Destra di Popolo.net

RIFORME, IL SENATO APPROVA, MA VERDINIANI E TOSIANI SONO FONDAMENTALI

Gennaio 20th, 2016 Riccardo Fucile

SENZA I 17 DI VERDINI, I 3 DI TOSI E 2 EX FORZA ITALIA, IL GOVERNO SI SAREBBE FERMATO A QUOTA 158, TRE IN MENO DEL QUORUM NECESSARIO

Il “motivatore” Matteo Renzi irrompe in Senato poco prima delle 18, ed è lui a rianimare una discussione, quella sulla riforma costituzionale, ormai arrivata al terzo passaggio nell’aula di palazzo Madama e dunque priva di qualsiasi pathos.
Le opposizioni, mentre lo ascoltano parlare di giornata “di cui si occuperà  la storia” e ribadire che se perderà  il referendum lascerà  la politica, sembrano quasi rianimarsi dal torpore.
Poi arriva la doccia fredda dei numeri: 180 sì contro 112 no.
Il Pd è dalla sua parte: un solo no, quello di Walter Tocci, mentre uno degli altri storici dissidenti, Felice Casson, non ha partecipato al voto insieme al senatore Renato Turano, assente per malattia.
Dai 25-30 dissidenti dem, che hanno fatto infuriare il premier nello scorso settembre, solo due voti negativi alla madre di tutte le riforme, quella su cui Renzi ha deciso di giocarsi la carriera politica.
Quota 180 è un ottimo risultato, il record per Renzi da quando è a palazzo Chigi. Ma questo successo non arriva solo dalla sua maggioranza: decisivi sono stati i 17 sì del gruppo di Verdini, insieme ai 3 delle senatrici legate all’ex leghista Flavio Tosi e a due dissidenti di Forza Italia, Riccardo Villari (ex Pd) e Bernabò Bocca.
Senza questi 22 voti la riforma Boschi si sarebbe fermata a quota 158, tre voti in meno del quorum fissato a 161.
Non a caso Renzi si è fermato a parlare, oltre che con Giorgio Napolitano (lodato nel discorso “senza di lui non saremmo qui”), anche con Verdini e il ministro Alfano, protagonisti essenziali del successo della riforma che porta il nome della ministra Boschi (lodata anche lei per la sua “determinazione”).
“I nostri voti sono stati determinanti”, rivendica per i verdiniani Lucio Barani. Annunciando il sì, il gruppo dell’ex braccio destro di Berlusconi ha chiesto modifiche all’Italicum, a partire da un ampliamento del premio di maggioranza alla lista vincente.
Duro il giudizio del bersaniano Miguel Gotor: “Questi risultati aprono la strada a una stagione di trasformismo e annunciano una lunga e profonda palude in cui il Pd non può e non deve smarrire la propria identità  riformista di forza di centrosinistra”.
La minoranza Pd, dal canto suo, ha presentato in mattinata una proposta di legge per l’elezione diretta dei senatori, subordinando alla sua approvazione l’impegno dei bersaniani nella campagna per il sì al referendum costituzionale previsto per ottobre. “Noi oggi voteremo sì alla riforma della Costituzione, ma questo non significa un sì automatico e immediato al referendum”, avverte Paolo Corsini.
“Chiediamo un impegno preciso del Pd e del governo nel dare attuazione alla legge ordinaria sulla legge elettorale. Il consenso dovrà  essere guadagnato attraverso passaggi politici chiari, coerenti e conseguenti”.
La minoranza chiede che la nuova legge dia attuazione al principio strappato a settembre a un riottoso Renzi, e cioè l’elezione diretta dei senatori, e propone una doppia scheda alle elezioni regionali: i senatori sarebbero scelti attraverso collegi uninominali.
Del resto, fu proprio quella soluzione di compromesso sui senatori eletti dai consigli regionali, “in conformità  con le indicazioni dei cittadini”, ad evitare a settembre 2015 lo strappo nel Pd e il naufragio della riforma.
Dopo lo scrutinio, grandi abbracci dei senatori dem con Maria Elena Boschi.
Stavolta però, a differenza dell’agosto 2014, nessun bacio con la berlusconiana Maria Rosaria Rossi, passata sulle barricate insieme all’ex Cavaliere che, ironia della storia, ora grida al “regime”.

(da “Huffingtonpost”)

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ITALIA PECORA NERA D’EUROPA: DA 14 ANNI IL PIL SOTTO LA MEDIA EUROPEA

Gennaio 20th, 2016 Riccardo Fucile

IMPIETOSO IL CONFRONTO CON IL RESTO DEL CONTINENTE

Per il 14° anno consecutivo, il Pil italiano è cresciuto a un ritmo inferiore rispetto alla media europea.
È questo il risultato più significativo di una ricerca elaborata dal centro studi ImpresaLavoro su dati OCSE.
Dall’introduzione della moneta unica ad oggi, questa differenza di ritmo di crescita (o di decrescita) è oscillata tra il minimo del 2010 (0,4%) al massimo del 2012 (2,3%), anno nel quale — a fronte del -2,8% fatto registrare dal Prodotto interno lordo nel nostro Paese — la media Ue si è fermata al -0,5%.
Comparando invece l’andamento del Pil italiano con quello tedesco, è interessante notare come, negli anni immediatamente successivi all’introduzione dell’Euro, l’Italia sia cresciuta a un ritmo più sostenuto della Germania.
Dopo una serie di riforme strutturali coraggiose (ed efficaci) messe in campo dal governo di Berlino, però, la tendenza si è bruscamente invertita.
E dal 2006 ad oggi l’andamento del Pil tedesco è stato nettamente superiore a quello del nostro paese, con la sola eccezione del 2009 (Italia -5,5%; Germania -5,6%).
Negli ultimi dieci anni, mentre l’Italia ha perso in media 4 punti decimali di Pil all’anno, la Germania ha fatto registrare un più che dignitoso +1,4%.
Con un ritmo di crescita del Prodotto interno lordo come quello degli ultimi anni, la strada per far tornare l’Italia ai livelli pre-crisi sembra ancora molto lunga e incerta.
Fatto 100 il Pil reale delle economie occidentali più avanzate nel primo trimestre del 2008, solo Italia e Spagna sono ancora al di sotto dei livelli precedenti al terremoto finanziario.
Francia e Germania sono “emerse” già  nel primo trimestre del 2011; nel penultimo trimestre dello stesso anno è arrivato il turno degli Stati Uniti; mentre il Regno Unito ha dovuto aspettare fino al secondo trimestre del 2013.
Mancano all’appello, dunque, solo Italia e Spagna. Ma quest’ultima negli ultimi due anni sembra avere decisamente invertito la tendenza negativa, per tornare a crescere a ritmi molto più sostenuti di quelli italiani.
Tanto che, nell’ultimo trimestre del 2015, il Pil reale spagnolo ha ormai raggiunto il 95,8% di quello pre-crisi, mentre nel nostro paese siamo ancora fermi al 91,8%, più o meno la stessa percentuale a cui siamo inchiodati dal primo trimestre del 201 (quando la Spagna era al 91,2%)
Ci aspetta dunque una strada lunga e in salita. Ma quanto lunga?
Dipenderà , naturalmente, dal tasso di crescita del nostro Pil nel prossimo futuro.
Con una crescita annua dello 0,8%, come quella del 2015, l’Italia dovrà  aspettare fino al 2026. Crescendo invece a ritmi compresi tra l’1,3% e l’1,6%, con numeri analoghi a quelli delle previsioni — molto ottimiste — elaborate dal governo italiano, l’economia italiana tornerebbe ai livelli pre-crisi tra il 2021 e il 2022.
Ma sulle previsioni dei governi, è cosa nota, bisogna sempre procedere con estrema cautela.
«L’Italia ha un problema strutturale di crescita — spiega Massimo Blasoni, imprenditore e presidente del Centro studi ImpresaLavoro — e le variazioni leggermente positive di quest’anno, se confrontate con il resto d’Europa, confermano purtroppo le nostre difficoltà . A questo quadro già  complesso vanno aggiunti un deficit e un debito che continuano a non scendere e che rappresentano una seria ipoteca sulla tenuta dei nostri conti in futuro. Sono i numeri, insomma, i primi a certificare che non stiamo uscendo dalla crisi. Per poter dire di aver iniziato la ripresa, servirebbero tassi di crescita simili a quelli di Regno Unito e Spagna, superiori rispettivamente al 2 e al 3%.»

(da “Centro Studi Impresa e Lavoro”)

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M5S, L’INCUBO DELLA NON VITTORIA A ROMA

Gennaio 20th, 2016 Riccardo Fucile

PARTONO FAVORITI MA RISCHIANO DI NON SMACCHIARE IL GIAGUARO COME BERSANI

Uno smacchiatore di giaguari s’aggira negli incubi grillini.
Ricordate la mitica non vittoria di Bersani? Man mano che il traguardo s’avvicinava, al sicuro anzi sicurissimo trionfatore delle politiche 2013 venne il braccino del tennista davanti al match point e a scaldargli la campagna elettorale rimasero solo le gag di Crozza («ohè ragassi , mica siam qui a smacchiare i giaguari!», appunto).
Il buon Pier Luigi non perse ma neppure vinse e, volendo rabberciare ad ogni costo un’alleanza per Palazzo Chigi, finì con l’umiliarsi (invano) in diretta strea ming davanti ai capigruppo dei Cinque Stelle neoeletti in Parlamento.
Capita che la storia si riproponga come nemesi.
Così ecco che, nemmeno tre anni dopo, i grillini partono da vincitori certi, anzi certissimi, nella corsa al Campidoglio, il podio più importante delle amministrative di primavera, chiaro anticipo di tendenza per le politiche che si terranno nel 2018 (o prima).
Dopo il disastroso quinquennio del centrodestra di Alemanno e il tragicomico biennio del centrosinistra di Ignazio Marino, sembra plausibile che i romani provino altro.
Marcello De Vito, già  sconfitto da Marino nel 2013, lo dice in tv da Lucia Annunziata con quello stile naà¯f che forse stranisce il sofisticato Casaleggio: «Ai cittadini chiediamo una chance perchè… l’hanno data a tutti».
Logico, no? A fine ottobre i sondaggi li piazzavano al 33 per cento, col Pd al 17.
Ma, si sa, resta quel dannato ultimo miglio, dove prima di Bersani si perse il maratoneta Dorando Pietri.
Ora la maionese impazzisce proprio nelle poche amministrazioni locali in mano ai grillini (fa eccezione il virtuoso Pizzarotti che però è fumo negli occhi per lo stato maggiore): la traballante Livorno di Nogarin è un blando antipasto.
I guai di Gela col sindaco Messinese un intermezzo.
Il piatto avvelenato è naturalmente Quarto, paesone napoletano sciolto per mafia e passato ai Cinque Stelle in cerca d’aria nuova. Giorno dopo giorno i verbali della sindaca Capuozzo (sotto ricatto del collega De Robbio intrugliato, secondo i pm, coi camorristi) tracimano sull’ala campana del direttorio grillino.
E il video in cui Fico, Di Maio e Di Battista giurano che i vertici del Movimento nulla sapevano è forse il più grave errore di comunicazione nella storia pentastellata: l’«effetto tre scimmiette» riempie i commenti della stampa, si sa, malevola.
Così tutte le rogne portano a Roma. Dove già  i problemi non mancano.
I quattro moschettieri della passata consiliatura sarebbero, di diritto, i più titolati a contendersi l’onore di correre da sindaco, avendo fatto battaglia d’opposizione per due anni e dato a Marino agonizzante l’ultimo colpo con lo scandalo degli scontrini.
Ma quando vanno da Lucia Annunziata mostrano tutti i limiti locali dei grillini.
Davanti a una prof pignola, sembrano stagisti volenterosi, «abbiamo studiato due anni»: visione, zero.
Comincia poi, sempre beninteso sulla stampa malevola, l’antico giochino delle correnti tra chi appoggia la più quotata Virginia Raggi (Di Battista?) e chi il tenace De Vito (Di Maio?).
Un Casaleggio sconcertato chiede (secondo Repubblica ) a Grillo di metterci la faccia, «o rischiamo Roma».
I segnali si moltiplicano: serve un candidato forte. E mentre Renzi, inseguendo un clamoroso recupero, estrae dal cilindro del Pd il più grillino dei candidati possibili, l’ex radicale Roberto Giachetti, avvezzo al corpo a corpo politico tanto caro ai Cinque Stelle, i grillini si preparano a selezionare via web l’aspirante sindaco tra 233 profili.
«Sarà  di certo uno di noi quattro», sussurrava De Vito mesi fa. Non a torto. Sconfessare la pattuglia che ha fatto opposizione a Marino sarebbe una Quarto bis, non dal punto di vista giudiziario, certo, ma politico: una nuova ammissione d’incapacità  nella scelta delle èlite locali.
Roma ci dirà  molto, insomma, sul futuro di Pd e Cinque Stelle: per questo certe notti sono così agitate da giaguari e fantasmi.

Goffredo Buccini
(da “il Corriere della Sera”)

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MARO’, FINE ARBITRATO SOLO NEL 2018

Gennaio 20th, 2016 Riccardo Fucile

LA PROCEDURA NON SI CONCLUDERA’ PRIMA DI DUE ANNI… PER GIRONE IL 30 MARZO SI DECIDERA’ SUL SUO RIENTRO IN ITALIA

Non terminerà  prima di agosto 2018 la procedura arbitrale tra Italia e India sulla giurisdizione per il caso dei maro’ in corso all’Aja.
È quanto emerge dal calendario fissato dal Tribunale arbitrale nella prima riunione procedurale del 18 gennaio e pubblicato oggi.
Sulla richiesta di rientro in Italia di Salvatore Girone in attesa della fine dell’arbitrato, la Corte permanente di arbitrato conferma invece l’udienza del 30/31 marzo prossimo.
L’Italia, secondo il calendario stabilito dai giudici del Tribunale arbitrale, dovrà  presentare una Memoria scritta – con la propria esposizione dei fatti e la propria richiesta al Tribunale – il 16 settembre 2016, mentre l’India presenterà  la sua il 31 marzo 2017.
Di nuovo l’Italia presenterà  una replica il 28 luglio 2017, l’India lo farà  il 1 dicembre 2017.
A questo punto, nel caso Delhi abbia presentato obiezioni di giurisdizione o ammissibilità , il governo italiano avrà  ancora la possibilità  di contro-replicare il 2 febbraio 2018.
Il Tribunale, secondo le regole stabilite, avrà  quindi sei mesi di tempo per decidere, arrivando così all’estate del 2018, ma si riserva di poter allungare i tempi per la presentazione delle rispettive dichiarazioni «in accordo con le Parti».
Il governo italiano ha intanto già  presentato lo scorso dicembre una richiesta di «misure provvisorie» per permettere al fuciliere di Marina Girone, tuttora trattenuto in India, di rientrare in Italia ed attendere a casa l’esito della decisione arbitrale.
Su questo punto il Tribunale dovrebbe decidere in un paio di settimane dopo l’udienza del prossimo marzo all’Aja.

(da agenzia)

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CASO SARRI-MANCINI E L’APOLOGIA DELLA MENTALITA’ MAFIOSA: “LE COSE DEVONO RIMANERE SUL CAMPO”

Gennaio 20th, 2016 Riccardo Fucile

COME LE DONNE CHE SUBISCONO VIOLENZA IN FAMIGLIA NON DEVONO DENUNCIARE, LE VITTIME DEL BULLISMO A SCUOLA DEVONO TACERE, CHI E’ VITTIMA DI MOBBING SUL POSTO DI LAVORO DEVE FAR FINTA DI NULLA: SIAMO UN PAESE DA QUARTO MONDO, IL TERZO E’ PIU’ EVOLUTO

Faccio una premessa, così sgombero subito il campo da ogni equivoco: pur non essendo un tifoso delle prime sei squadre che attualmente guidano la classifica, spero che il campionato lo vincano il Napoli o la Fiorentina.
Detto questo, passiamo alla vicenda degli insulti omofobi che Sarri ha rivolto a Mancini: personaggi pubblici come allenatori e giocatori svolgono un ruolo sociale, di esempio e passibile di imitazione, come pochi altri e   hanno responsabilità  e doveri ben diversi da quelli che ha un automobilista in una lite nel traffico.
L’insulto omofobo malcelato da insulto e basta, è la strada senza ritorno della volgarità .
Le cronache ci riportano periodicamente episodi di ragazzi picchiati, emarginati e indotti al suicidio per le loro preferenze sessuali, motivo per cui, nelle società  liberali moderne, questo genere di reato è perseguito con severità .
Ha ragione Mancini quando afferma che un Sarri in Inghilterra sarebbe radiato dalla federazione calcio (e negli Stati Uniti non troverebbe più neanche un posto in banca).
Ma siamo in Italia, un Paese talmente abituato alla logica mafiosa da giustificare le parole di Sarri con l’originale tesi secondo cui “le cose che accadono sul terreno di gioco devono rimanere all’interno di questo mondo”.
Una teoria aberrante: con la stessa logica una moglie che viene picchiata all’interno delle mura domestiche come si permette di andare a farsi medicare al pronto soccorso e magari denunciare il partner?   Dovrebbe tenere tutto in famiglia.
Una ragazzina vittima di bullismo a scuola non dovrebbe mai rendere pubbliche le violenze subite, ne va del buon nome della scuola. Al massimo si può suicidare.
Chi è oggetto di mobbing o ricatti sul posto di lavoro non penserà  per caso di rivolgersi alle autorità ? Tutto deve rimanere al’interno dell’azienda.
Il negoziante costretto a pagare il pizzo per quale ragione dovrebbe denunciare il racket, paghi e stia zitto, altrimenti si dirà  che in quella città  comanda la mafia e saarebbe cattiva pubblicità .
Assistete a una rapina o a uno scippo? Applicate la massima razziana: fatevi i cazzi vostri.
In un Paese dove i “campi da gioco” sono molteplici e i recinti in cui ci siamo rinchiusi con mille alibi, ben venga il coraggio del Mancio che, da eterosessuale, ha sbattuto in faccia a Sarri la frase: “se tu sei un uomo io allora sono orgoglioso di essere omosessuale, vergognati”.
Le cose cambiano con gli esempi, non con l’omertà , caro De Laurentis.
Ricordiamo quando Paolo Mantovani, dopo una vittoria di coppa a Cremona della Sampdoria, apostrofò contrariato i suoi tifosi che avevano alla fine della partita invaso pacificamente il campo con un “non si festeggia così senza regole, sembrate tante pecore che brucano”.
Da quel giorno nessuno si permise più di occupare il campo da gioco per i tanti trofei che quella squadra vinse, perchè tutti sapevano che il giorno dopo Mantovani se ne sarebbe andato.
E con un presidente come lui, statene certi, ieri sera Sarri sarebbe uscito dagli spogliatoi con un assegno di fine rapporto e una frase: “a mai più rivederla”.
Ma parliamo di un’altra Italia.

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IL PAESE DI PULCINELLA: SARRI POTREBBE CAVARSELA CON SOLO 2 GIORNATE DI SQUALIFICA (E SOLO IN COPPA ITALIA L’ANNO PROSSIMO)

Gennaio 20th, 2016 Riccardo Fucile

IN UN MONDO DEL CALCIO DOVE UN PRESIDENTE DA’ DELLE LESBICHE ALLE CALCIATRICI NON C’E’ DA MERAVIGLIARSI PIU’ DI NULLA… L’ESILARANTE TESI GIURIDICA CHE IL GIUDICE SPORTIVO APPLICHEREBBE

Dopo la rissa verbale, gli insulti, i veleni e le scuse, la notte della sfida di Coppa Italia fra il Napoli e l’Inter finisce sul tavolo della giustizia sportiva.
Il tecnico del Napoli Maurizio Sarri potrebbe, alla fine, cavarsela con due giornate di squalifica da scontare nelle prossima edizione della Coppa Italia visto che gli azzurri sono stati eliminati dall’Inter al San Paolo.
Il giudice sportivo Giampaolo Tosel, infatti, potrebbe non qualificare gli insulti di Sarri al collega interista Roberto Mancini («Mi ha detto “Siediti finocchio”…») come comportamento discriminatorio per motivi di sesso e, quindi, non punire con la sanzione minima di quattro mesi l’ex tecnico dell’Empoli.
Il ragionamento? Non saremmo in presenza di un insulto razzista, ma di una offesa generica e punibile con delle giornate di stop.
Notoriamente, Mancini è eterosessuale e, quindi, le parole di Sarri nei suoi confronti potrebbe essere giudicato come una offesa e non come un insulto omofobo.
Se invece Mancini fosse gay allora si ravvisebbe il comportamento discriminatorio.
Una tesi esilarante che all’estero farebbe sganasciare dalle risate, ma che nell’Italia in cui un presidente di federazione apostrofa come “lesbiche” le calciatrici non deve meravigliare.

(da “il Corriere della Sera“)

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LA BUFALA DELLA BIMBA SVEDESE UCCISA DAL PROFUGO ERITREO OSPITATO A CASA SUA

Gennaio 20th, 2016 Riccardo Fucile

UN TRAGICO INCIDENTE STRUMENTALIZZATO DALLA SOLITA FECCIA PER ISTIGARE ALL’ODIO XENOFOBO… E NESSUNO DICE CHE LA FAMIGLIA CHE OSPITAVA IL PROFUGO ERA ERITREA COME LUI

“In Svezia un profugo eritreo ammazza una bambina di sette anni tagliandole la gola”. La notizia gira da alcuni giorni su diversi siti online svedesi ed è arrivata anche in Italia.
I fatti sono avvenuti a Upplands-Bro, paese a nord di Stoccolma, dove il 36enne Daniel Gebru avrebbe sgozzato la figlia della famiglia che lo ospitava.
Secondo le ricostruzioni l’uomo non sarebbe stato in grado di spiegare alla polizia le ragioni del gesto.
La notizia è stata ripresa anche da una nota testata italiana, che aggiunge che l’uomo sarebbe stato condannato a una «breve detenzione in un istituto psichiatrico e alla conseguente espulsione che, però, «non è ancora certa» perchè a causa del crimine commesso, «potrebbe essere discriminato in Eritrea». Un’ulteriore ingiustizia. Che fa crescere l’indignazione, e le condivisioni su Facebook.
Il problema è che questa storia è falsa .
La notizia risale al 25 luglio del 2015, il giorno in cui una bambina di 7 anni viene trovata morta a Upplands-Bro. Ha una ferita alla gola.
La bambina è in una pozza di sangue nel bagno dell’appartamento di famiglia, assieme a Daniel Gebru. A casa c’è solo la zia.
Fin qui, tutto fila: una bambina è stata uccisa con una coltellata alla gola e ad essere accusato dell’omicidio è Gebru, il profugo eritreo ospite dei genitori della piccola. Quello che la nota testata italiana non racconta è che l’assassino è stato trovato con un coltello conficcato in gola.
Daniel Gebru, come emerge durante il processo a suo carico, soffre di disturbi mentali e il 25 luglio del 2015 aveva preso due coltelli da un cassetto della cucina. Voleva suicidarsi.
La piccola vittima è stata ferita quando è entrata nel bagno. Daniel le dava le spalle, si stava guardando allo specchio, uno dei due coltelli in mano.
Forse, spiega l’avvocato della difesa, «stava cercando il coraggio di uccidersi». La bimba avrebbe cercato di abbracciarlo da dietro, lui – spaventato – l’avrebbe ferita girandosi con uno scatto.
Nessuno degli articoli – pubblicati in Svezia soprattutto su siti islamofobi – riporta questi particolari, nè precisa che Daniel Gebru è stato condannato per omicidio colposo. Quindi, non ha ucciso con intenzione.
Tanto meno gli articoli spiegano che l’accusato è stato giudicato incapace di intendere e di volere al momento dei fatti e affetto da «gravi disturbi psichiatrici».
La testata italiana, al contrario, racconta che l’uomo «per ragioni ancora ignote ha invece deciso di accoltellare a morte la bambina per poi guardarla morire dissanguata».
Ma c’è un’altra omissione che accomuna tutti gli articoli che hanno raccontato questa storia: si parla del profugo eritreo che ha ucciso la bambina della famiglia svedese che lo ospitava.
E i commenti che compaiono online sono del tenore: «Gli immigrati uccidono i nostri figli», «Genocidio bianco causato dai clandestini», e così via.
Peccato che il «movente razziale» non esista: la piccola vittima, Yosan Afewerki, e i suoi genitori sono eritrei, come Daniel Gebru.
Non che uccidersi tra eritrei sia meno grave, ma è evidente che immaginare una bionda bambina svedese sgozzata da un immigrato fa gioco a chi vuole istigare all’odio razziale e sostenere lo scontro «tra civiltà ».

Francesco Zaffarano
(da “La Stampa”)

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PIER LUIGI BOSCHI E QUEL SOCIO LEGATO ALLA ‘NDRANGHETA

Gennaio 20th, 2016 Riccardo Fucile

DUE VECCHIE INDAGINE RACCONTANO GLI AFFARI POCO CHIARI DELL’IMPRENDITORE DI LATERINA

Nel 2007 Pier Luigi Boschi, il padre del ministro per le Riforme, portò a termine un grosso affare immobiliare insieme a un socio calabrese che secondo la Dda di Firenze era legato alla ‘ndrangheta crotonese.
Per quella compravendita Boschi venne indagato nel 2010 ad Arezzo per turbativa d’asta e successivamente per estorsione, ma poi fu definitivamente archiviato a novembre 2013 dal pm Roberto Rossi, che a distanza di qualche mese divenne capo della Procura aretina.
E’ quanto riportato da un’inchiesta del settimanale Panorama in edicola domani.
I fatti rimandano a nove anni fa, quando il padre dell’attuale ministro delle Riforme comprò — tramite la cooperativa agricola Valdarno superiore, di cui era presidente del cda — un’immensa tenuta agricola di proprietà  dell’Università  di Firenze.
Un acquisto sottocosto, a trattativa privata e, soprattutto, per conto di un acquirente che sarà  reso noto solo in un secondo momento: trattasi della Fattoria Dorna, di cui Boschi deteneva il 90% delle azioni, mentre il 10% era di Francesco Saporito, originario di Petilia Policastro, in provincia di Crotone.
Secondo la Dda di Firenze, Saporito è legato alla ‘ndrangheta, mentre a sentire la Procura aretina i componenti della famiglia Saporito erano “referenti nella provincia di organizzazioni malavitose riconducibili alla ‘ndrangheta”.
Nei mesi successivi all’acquisto, la quota di partecipazione di Pier Luigi Boschi pian piano andò riducendosi, poi nel 2009 il padre del ministro uscì di scena e subentrò la moglie di Saporito.
Nel frattempo, però, nel 2010 Boschi finì indagato per turbativa d’asta e riciclaggio e, soprattutto, cercò di portare a termine una serie di vendite della proprietà  appena acquistata.
Ed è proprio su una di queste cessioni che si concentrò la nuova attività  della Procura di Arezzo, che il 4 febbraio 2013 archiviò l’accusa di turbativa d’asta e riciclaggio e allo stesso tempo iscrisse il padre del ministro nel registro degli indagati per estorsione.
Il motivo? Secondo quanto sostenuto davanti ai pm da chi acquistò un appezzamento di terreno da Boschi, quest’ultimo pretese e ottenne un pagamento in nero di 250mila euro: soldi in contanti versati al momento del rogito, almeno a sentire la versione degli acquirenti interrogati in procura. Non solo.
Chi acquistò disse anche di aver fatto delle fotocopie dei contanti consegnati.
La Guardia di finanza perquisì l’abitazione e in effetti trovò conferma di quanto detto. Lo stesso giorno andò in casa di Pier Luigi Boschi a Laterina e sequestò una cartellina gialla e un assegno di 95mila euro firmato da Francesco Saporito.
Questi ultimi, evidentemente, non erano i soldi in nero che cercavano gli 007 delle Fiamme Gialle.
“Che fine hanno fatto quei soldi?” chiede oggi Panorama.
Fatto sta che il 7 novembre 2013 il pm Roberto Rossi chiede l’archiviazione per Pier Luigi Boschi.
Cosa era accaduto tra febbraio e novembre 2013?
Il 21 febbraio Maria Elena Boschi viene eletta deputato; a luglio Roberto Rossi diventa consulente del governo e a fine ottobre organizza in qualità  di reggente della Procura di Arezzo un convegno a cui partecipano l’allora ministro dell’Ambiente Andrea Orlando e la neo deputata Maria Elena Boschi.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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ETRURIA, ULTIMO TRUCCO: “LAUREE FINTE AI CLIENTI PER VENDERGLI I BOND”

Gennaio 20th, 2016 Riccardo Fucile

TITOLI DI STUDIO TAROCCATI PER ALZARE IL PROFILO DI RISCHIO

Pur di vendere le obbligazioni subordinate, i funzionari di Banca Etruria taroccavano i titoli di studiodei clienti.
Quindi la signora Pina F., che ha quasi 90 anni e nella sua vita scolastica non è andata oltre la terza elementare, nel questionario Mifid che le ha permesso di investire 40.000 euro in subordinate, risulta possedere un “diploma superiore”.
Anche Giancarlo C., 47 anni, operaio edile che ha comprato obbligazioni ad alto rischio per 20.000 euro, ha visto la sua licenza media diventare “diploma di scuola superiore”.
E Francesco S., di anni 42, non ha mai messo piede in un’università , eppure sul questionario è laureato.
Per capire dove punterà  l’inchiesta per truffa aperta dalla procura di Arezzo bisogna entrare nella stanzetta in fondo al corridoio del terzo piano del palazzo della Cgil aretina.
Qui c’è Chiara Rubbiani della Federconsumatori che due giorni fa ha iniziato a esaminare nel dettaglio le pratiche dei 1.300 piccoli investitori che si sono rivolti all’associazione nelle settimane scorse per capire cosa fare.
«Quaranta persone – racconta – ci hanno portato la documentazione che Banca Etruria ha fornito loro e nella quasi totalità  dei casi il Mifid è stato compilato dai funzionari con dati che non corrispondono a quelli reali ».
Mifid è un acronimo piuttosto complicato che sta per “Market in financial instrumets directive” e rimanda alla direttiva europea che disciplina, tra le altre cose, la vendita dei prodotti finanziari. Impone che il compratore abbia ben compreso e sia consapevole dei potenziali rischi cui va incontro, per cui il funzionario di banca è obbligato per legge a compilare un modulo che certifichi il profilo di rischio del cliente.
«Ma è evidente – spiega Chiara Rubbiani – che qui si tratta di persone che non avevano conoscenza alcuna degli strumenti finanziari che stavano acquistando»
Non solo i titoli scolastici sono stati ritoccati, per farli apparire più “esperti”.
Ci sono casi di pensionati di 93 anni che dichiarano sul modulo Mifid di non ritenere di aver bisogno dei soldi investiti per i successivi 10 anni.
«Va bene l’ottimismo, ma così si esagera…», commentano alla Federconsumatori.
Seduta nel corridoio, in attesa del colloquio, c’è Patrizia, insegnante precaria. In mano ha un blocco di carte col timbro Banca Etruria.
«A me il modulo non l’hanno mai fatto vedere – racconta – ho investito 13.000 euro nel 2013, perchè alla filiale mi dicevano che il rischio era basso. Solo ad agosto di quest’anno, quando ho provato a vendere i titoli, mi hanno fatto domande sul mio impiego e sul titolo scolastico ».
Accanto a lei ci sono altre quattro persone in attesa, che sfogliano carte su carte.
Chi ha deciso, nella dirigenza della Popolare, che quei 130 milioni di euro di subordinate emesse nel 2013 dovessero essere piazzate a ogni costo? Chi c’è dietro la grande truffa?
Sono domande a cui sta cercando di dare risposte il procuratore di Arezzo Roberto Rossi. Ieri dalla commissione del Csm è arrivato il parere unanime all’archiviazione del fascicolo a suo carico per incompatibilità , aperto dopo la pubblicazione della notizia della sua consulenza col Dipartimento degli affari giuridici di Palazzo Chigi.
Ora sarà  il plenum a decidere, ma l’esito pare scontato.

Fabio Tonacci
(da “il Fatto Quotidiano”)

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