Gennaio 21st, 2016 Riccardo Fucile
“SPINTONI E INSULTI TRA LA SCORTA E GLI UOMINI DEL CERIMONIALE”… MA NESSUNO SA DIRE DOVE ORA SIANO FINITI I ROLEX E RENZI TACE
Palazzo Chigi nasconde la verità sui Rolex donati dai sovrani sauditi.
Quelli che hanno provocato una rissa fra la delegazione italiana a Ryad durante il viaggio di Matteo Renzi in Arabia Saudita di novembre, tra la notte di domenica 8 e l’alba di lunedì 9.
Ora c’è un testimone che racconta una versione molto dettagliata di una figuraccia internazionale non ancora chiarita dal governo.
Il testimone ha cenato e dormito assieme agli italiani nel palazzo di re Salman, un gruppo composto da militari, funzionari, diplomatici, imprenditori e giornalisti.
Per il momento preferisce restare anonimo per evitare ripercussioni, ma il Fatto Quotidiano conosce la sua identità .
Il nervosismo delle guardie del corpo
C’erano già molti sospetti, adesso è lampante il pasticcio di Ryad: la delegazione partita da Roma non ha rispettato le regole che impongono ai dipendenti pubblici di rifiutare e, soprattutto, di non trattenere omaggi di un valore oltre 150 euro, limite che aumenta a 300 per i membri di governo.
Torniamo a Ryad e ricostruiamo la scenata con le parole del testimone: “Il parapiglia s’è verificato dopo la cena nei saloni del palazzo reale. La scorta di Renzi non aveva ancora ricevuto i regali, in parte custoditi dal personale di Palazzo Chigi e in parte già distribuiti. Allora la scorta ha incrociato i dipendenti del Cerimoniale e sono andati verso le camere di un piano superiore. A prima vista, la scorta si è accorta della differenza di dimensione delle scatole che ha fatto percepire la disparità di valore dei regali. C’erano orologi preziosi, ma di categorie diverse: di una marca meno conosciuta, e varie tipologie di Rolex. Questo ha suscitato un malcontento e la scorta l’ha manifestato in maniera concitata, per non dire violenta”.
Il sequestro degli orologi
Il diverbio è tra alcuni funzionari del Cerimoniale e gli uomini della scorta del fiorentino. Da lontano assistono i diplomatici di stanza a Ryad e i consiglieri del governo: “Il capo dei militari ha urlato a lungo. E ha costretto il dipendente del Cerimoniale ad aprire il suo regalo, convinto che avesse scambiato le scatolette o influenzato i sauditi per ottenere un Rolex. E poi diceva di meritare un regalo migliore perchè lui è un alto dirigente dello Stato. È stato brutto, mi ha traumatizzato. Il gruppo non è arrivato alle mani, però ci è mancato poco: spintoni, insulti, testate simulate”.
Per la vergogna, il battibecco viene sospeso.
Ma non finisce: “Quando si è capito che i sauditi stavano ascoltando e che non fosse proprio una edificante rappresentazione della delegazione da Roma, la scorta ha preso i pacchi per correre di sotto. L’indomani, lunedì 9, chi era scontento si è lamentato con Renzi. Così il premier ha deciso di volere per sè tutti i regali senza specificare i motivi”.
Il mistero e gli errori del Cerimoniale
Il fiorentino non interviene, ma delega il compito a Ilva Sapora, capo del Cerimoniale: “Lei ha riferito che il presidente desiderava tutti i regali nell’appartamento dov’era ospite dei sauditi. Ha parlato di opere caritatevoli, ma è stata molto vaga. Ha tentato di recuperare i regali, ma non in maniera formale. Ha rifiutato di predisporre un documento per certificare la restituzione dei cronografi”.
Ma il Rolex di Renzi dov’è?
Ieri a Palazzo Madama ha sfoggiato un esemplare simile a quello che il nostro testimone ci ha mostrato: “Ovvio che il presidente ha ricevuto un Rolex, credo il più prestigioso. Tutti gli italiani presenti a Ryad, dai diplomatici ai dirigenti, dai giornalisti ai cineoperatori, hanno ricevuto un orologio”.
Il peccato originale: il Cerimoniale doveva conservare gli orologi e poi depositare i pacchetti al Diprus, il dipartimento di Palazzo Chigi che gestisce la sala dei doni di Stato.
Non è andata così: “I regali erano già stati assegnati alla delegazione dal Cerimoniale di Palazzo Chigi. Ma non potrei giurare che avessero capito l’importanza del regalo: o hanno sbagliato perchè hanno distribuito i doni o hanno sbagliato perchè non hanno controllato”.
La stanza dei doni di Stato
Palazzo Chigi ha replicato agli articoli del Fatto Quotidiano con una generica spiegazione: “I regali di cortesia sono nella disponibilità della Presidenza del Consiglio”.
Ma in realtà , a metà dicembre, al dipartimento competente di Palazzo Chigi (Diprus) non sapevano niente: “Quando il Diprus è stato contattato non era a conoscenza dell’esistenza stessa dei Rolex. Vuol dire che non erano stati coinvolti. Ci sono molti Rolex ancora in giro”. A parte qualche tentativo informale e per niente trasparente, dal governo è mai arrivata una comunicazione scritta che ordinava di riportare i Rolex? “No, è accaduto il contrario. Palazzo Chigi ha negato qualsiasi documento scritto per restituire i Rolex”.
Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 21st, 2016 Riccardo Fucile
POLTRONE ALLA COSENTINIANA DI FERRO E AL FIGLIO DI UN BOSS UCCISO
A metà mattinata, Lucio Barani, craxiano mai pentito, garofano rosso nell’occhiello ruggisce: “Coi numeri che abbiamo secondo il Cencelli dobbiamo avere almeno quattro vicepresidenti di commissioni. O una presidenza di Commissione”.
Barani ora è capogruppo di Ala, la pattuglia verdiniana, affamata di posti dopo mesi di fedeltà a Renzi.
E dopo il voto sulle riforme costituzionali: “Senza i nostri 17 voti non c’era maggioranza”. Palazzo Madama pare un suk, il giorno in cui si rinnovano le presidenze delle commissioni.
Serve Denis Verdini, per trattare. La sua criniera bianca si vede entrare felpato nelle stanze del Pd a ora di pranzo, per parlare con Luigi Zanda.
Uomo di trattative, fa capire che, pagata moneta dei voti, vuole vedere cammello dei posti. Poche parole, Denis esce dalla stanza con un foglietto. Nero su bianco, ci sono i nomi che sanciscono la nascita del tripartito Renzi-Alfano-Verdini.
Eva, il primo nome. Destinata alla vicepresidenza della commissione Finanze.
Eva è la senatrice Eva Longo, una delle colonne del Pdl di Nicola Cosentino, approdata in Ala proprio su promessa di un incarico parlamentare.
Appagato l’appetito anche Vincenzo Compagnone e di Pietro Langella, altro campano eccellente.
Pietro Langella in una relazione per lo scioglimento del Comune di Boscoreale era considerato “esponente dell’omonimo clan”.
Omonimo perchè suo padre Giovanni, detto “il Paglietta”, era un boss trucidato nel 1991 per ordine della “cupola” agli ordini di Carmine Alfieri, capo della Nuova Famiglia. Langella, che diversamente da Cosentino non ha avuto problemi con la giustizia, da allora di carriera ne ha fatta approdando a palazzo Madama col Pdl e ora approdando alla vicepresidenza della commissione Bilancio.
Si chiede Roberto Speranza, leader della minoranza dem: “Forse è il caso che Renzi ci dica se esiste una nuova maggioranza politica che sostiene il governo con Verdini dentro. Se è così si apra un dibattito pubblico e in Parlamento”
La maggioranza invece c’è, ma non si dice. Si capisce dai posti: “Tre in quota Ala, una presidenza alle Autonomie, la Giustizia ad Alfano”.
È questo l’accordo raggiunto nelle stanze del capogruppo Zanda.
Tradotto dal politichese: il Pd, pur di trovare la quadra, rinuncia a una presidenza di Commissione, per compensare le Autonomie.
L’accordo prevedeva Antonio Fravezzi ai Lavori pubblici ma poi, una manovra delle opposizioni lo fa franare, consentendo di rimanere presidente ad Altero Matteoli, uno che con Denis Verdini ha sempre avuto rapporti eccellenti.
Il Pd, perno del tripartito, rinuncia a una commissione ma conferma tutte le altre.
Mentre Alfano incassa la commissione Giustizia per Nico D’Ascola, che ha rinunciato al posto di vice-ministro della Giustizia per non trascurare la l’attività redditizia del suo studio privato, che ha visto in questi anni clienti eccellenti.
D’Ascola per anni è stato socio di Niccolò Ghedini nel suo studio romano ed è stato protagonista, nei tempi del berlusconismo, quando difesa politica e giudiziaria erano tutt’uno, della difesa di Claudio Scajola, ma soprattutto di Gianpaolo Tarantini in uno di processi sul giro di escort attorno a palazzo Grazioli.
Tra gli altri politici eccellenti difesi da D’Ascola, l’ex presidente della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti, condannato per abuso e falso a sei anni e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Il rinnovo delle commissioni è solo l’inizio della trattativa che si concluderà col rimpastino del 28 gennaio, quando saranno riempite le caselle di governo vacanti da mesi: “Alfano — racconta una fonte di governo che segue il dossier – ha bisogno di posti perchè sennò Verdini gli svuota il partito”.
Per placare i calabresi, il grosso del gruppo al Senato, un posto al noto Antonio Gentile, che dovrebbe tornare sottosegretario alle Infrastrutture. E poi ha indicato il torinese Enrico Costa, attuale viceministro alla Giustizia, agli Affari regionali.
La contropartita è la rinuncia a presentare a Torino una lista contro Fassino che si giocherà la partita con pochi voti.
La Boschi preferirebbe in quella casella Dorina Bianchi, diventata una sua amica. Una che, se venisse promossa, saprebbe comportarsi di conseguenza stando al suo fianco senza se e senza ma su ogni questione che riguarda Etruria, scandali e massoni.
E poi l’occhio vuole la sua parte, come ha fatto capire Michele Anzaldi parlando dell’importanza dell’estetica nei talk show nell’era renziana. Vale anche nel suk.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 21st, 2016 Riccardo Fucile
UN CONTRIBUTO DI 15.000 EURO ATTRAVERSO UNA CONSOCIATA
Anche la «Fondazione Open» che finanzia la Leopolda ideata da Matteo Renzi ha preso soldi provenienti da Banca Etruria.
Grazie a un intreccio societario, il fallimento dell’istituto di credito di Arezzo torna a incrociarsi con l’attività del presidente del Consiglio. E tanto basta a far riesplodere il caso, resa già incandescente dagli «avvisi» recapitati in questi giorni al premier dal faccendiere Flavio Carboni – accusato di essere uno dei fondatori della presunta associazione segreta chiamata P3 – e da svariati suoi soci e amici, proprio sui rapporti avuti negli ultimi anni con l’ex vicepresidente Pier Luigi Boschi, padre della ministra per le Riforme Maria Elena.
Anche perchè altre società , finite nell’inchiesta sul conflitto di interessi tra gli ex componenti del Cda di Etruria, sono state accusate di aver concesso denaro alla «Party srl» che fa capo ai genitori del premier.
Quello dei finanziamenti decisi dal cda commissariato nel febbraio scorso è uno dei capitoli che l’indagine condotta dal procuratore Roberto Rossi (che oggi potrebbe finire nuovamente sotto inchiesta al Csm, per due fascicoli su Pier Luigi Boschi archiviati su sua richiesta due anni fa) sta affrontando e potrebbe diventare il fulcro di nuovi accertamenti.
Il tribunale ha infatti fissato all’8 febbraio l’udienza per decidere sull’insolvenza della banca. Di fronte alla dichiarazione, la procura dovrà procedere per il reato di bancarotta fraudolenta nei confronti degli amministratori.
«Intesa Aretina»
A denunciare la concessione del denaro alla «Open» è Giovanni Donzelli, capogruppo Fdi in Consiglio regionale della Toscana, che da tempo spulcia tra i «beneficiati» di Etruria.
«Sono 15 mila euro – dice – arrivati attraverso la società “Intesa Aretina Scarl” di cui Banca Etruria è socia. La “Fondazione Open” è presieduta da Alberto Bianchi, avvocato di Renzi, il consiglio direttivo è composto da Maria Elena Boschi, il cui padre è stato vicepresidente dell’istituto di credito, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti, e Marco Carrai, che il presidente del Consiglio sta proprio in questi giorni pensando di nominare a responsabile di una struttura per la cyber security . Il finanziamento è pubblicato sul sito della “Open” ed è gravissimo che il presidente del Consiglio abbia preso l’iniziativa del “salvabanche” dopo aver ricevuto quei soldi dall’istituto di credito che maggiormente ne ha beneficiato. Come abbiamo sempre sostenuto, il conflitto d’interessi non coinvolge soltanto Maria Elena Boschi, ma lo stesso Matteo Renzi: il salvataggio di Banca Etruria è stato una cambiale decisa dal governo ma pagata con i soldi dei risparmiatori truffati, che hanno così perso i loro investimenti».
La consigliera
Secondo le visure, il 2% di «Intesa Aretina» appartiene a Etruria, un altro 2% a Monte dei Paschi di Siena, il 35% ad Acea spa, il 51% a «Ondeo Italia» che ha acquisito anche il 10% che prima era di «Irides srl».
Oltre alle banche, si tratta dunque di aziende specializzate nel settore energetico e idrico, visto che «Ondeo» è stata sostituita da «Suez Italia» a sua volta controllata al 100 per cento da «Suez Einvironnement»
Alberto Bianchi, presidente di «Open», si dice «allibito perchè affermare che la Fondazione sia finanziata da una banca che possiede solo il 2% della finanziatrice, una quota irrilevante ai fini delle decisioni che prende, è voler fare una polemica senza uno straccio di argomento».
In realtà a complicare la vicenda c’è il fatto che tra i consiglieri di «Intesa Aretina» c’è Gaia Checcucci, moglie di Giacomo Billi, uomo forte del Pd toscano e grande amico di Renzi, che proprio il presidente del Consiglio ha nominato nel dicembre scorso capo della Direzione generale per la salvaguardia del territorio e delle acque del ministero dell’Ambiente.
Un incarico di grande prestigio per la donna che era anche consigliere di amministrazione della «Nuove Acque», gestore del servizio idrico integrato nell’alto Valdarno.
Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera“)
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Gennaio 21st, 2016 Riccardo Fucile
IL GOVERNATORE EMILIANO. “E’ UNA NOTIZIA BOMBA”… MA POCHI MEDIA LA RIPORTANO
Sblocca Italia incostituzionale per le norme che non prevedono il coinvolgimento delle Regioni. E’ di notevole impatto per il sistema delle infrastrutture e le politiche regionali la decisione della Corte Costituzionale che, ‘bocciando’ alcune delle misure del decreto varato nel 2014 per far ripartire cantieri e opere pubbliche, ha accolto le istanze della Regione Puglia.
Non a caso il governatore Michele Emiliano afferma che questa “è un’altra notizia bomba”: la seconda, in pochi giorni, dopo che la Consulta ha dichiarato ammissibile il referendum sulle trivelle e la durata delle autorizzazioni a estrarre idrocarburi.
“Sono orgoglioso di aver messo la mia firma su quel ricorso contro una legge sbagliata e autoritaria.
La sentenza è un colpo duro alle pretese del governo Renzi di “mettere la museruola alle comunità locali, e alla democrazia”, aggiunge l’ex presidente della Puglia, Nichi Vendola.
Il ricorso venne presentato nel gennaio 2015, quando a guidare la giunta regionale pugliese era appunto il leader di Sel.
Le questioni di legittimità costituzionale sollevate poggiavano sull’ipotesi che fossero stati violati gli articoli della Costituzione sul riparto delle competenze tra Stato e Regioni: il 117 e il 118.
E la Corte, con la sentenza redatta dal giudice Giorgio Lattanzi depositata oggi, ha accolto questa tesi.
Le norme impugnate sono contenute nell’art. 1 dello Sblocca Italia, al cui interno sono disposti, tra gli altri, provvedimenti per far ripartire gli interventi sugli assi ferroviari Napoli-Bari e misure urgenti per gli aeroporti di interesse nazionale.
Ma proprio su questi aspetti la norma è carente – afferma la Consulta – sotto il profilo del coinvolgimento della Regione interessata.
Lo Sblocca Italia infatti stabiliva che l’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato fosse nominato commissario per la realizzazione delle Napoli-Bari e che spettasse al commissario il potere di approvare le opere.
Al Ministero dei Trasporti era affidato il compito di redigere il piano di ammodernamento dell’infrastruttura ferroviaria.
Inoltre si fissavano termini per accelerare i tempi concessi a ministero dei Trasporti e dell’Economia per esprimersi sull’avvio agli investimenti previsti dai contratti di programma tra l’Ente nazionale aviazione civile e i gestori degli scali aeroportuali di interesse nazionale.
Ma la Corte ha stabilito che queste disposizioni vanno sanate prevedendo l’approvazione dei progetti d’intesa con la Regione interessata; il varo del piano per ammodernare le infrastrutture insieme alla Conferenza Stato-Regioni; e i contratti Enac-gestori col parere della Regione.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 21st, 2016 Riccardo Fucile
GLI EROI MUOIONO IN SILENZIO: LA POLIZIA HA SCORTATO LA SALMA FINO A MANDERA DOVE ERA VICE-PRESIDE IN UNA SCUOLA LOCALE: “MORTO PER PROTEGGERE INNOCENTI”
Eroi che muoiono in silenzio. Come Salah Farah, un insegnante keniota di religione islamica, ucciso per aver protetto alcuni cristiani. Morto per salvare dalla morte un diverso paradiso.
Il 21 dicembre, al-Shabaab, formazione islamista e cellula somala di al-Qaeda, ha teso un’imboscata a un autobus che si stava dirigendo a Mandera, città nel nord-est del Kenya.
Col volto coperto, armati, in tuta mimetica, i militanti hanno fatto scendere i passeggeri e cominciato la loro caratteristica conta mortale. I musulmani da una parte, i cristiani dall’altra, due gruppi separati per ucciderne uno solo, in nome della sharia. Ma questa volta i passeggeri musulmani si sono rifiutati di collaborare.
“Gli abbiamo chiesto di ucciderci tutti o di lasciarci andare” ha raccontato Salah Farah al Daily Nation dopo l’attacco.
Anche lui si trovava sul bus. “Appena abbiamo parlato hanno sparato a un ragazzo, e a me”.
Il 18 gennaio, Farah, dopo un mese trascorso al Kenyatta National Hospital di Nairobi, è morto per le ferite riportate. La polizia ha scortato il suo corpo a Mandera, dove viveva e lavorava come vice preside in una scuola locale.
“E’ un vero eroe” ha detto di lui il capo della polizia keniota, Joseph Boinnet, “è morto per proteggere innocenti”.
“Siamo fratelli”, ha detto Farah a Voice of America all’inizio di questo mese.
“E’ la religione a fare la differenza, quindi chiedo ai miei fratelli musulmani di prendersi cura dei cristiani in modo che i cristiani possono prendersi cura di noi”.
Farah era musulmano, prima di morire ha fatto in tempo a raccontare che si era rifiutato di sacrificare i passeggeri cristiani perchè credeva fermamente nella convivenza pacifica tra musulmani e non musulmani. E quel giorno sull’autobus non è rimasto solo, altri passeggeri musulmani a bordo lo hanno affiancato, dando i loro veli ai cristiani perchè si confondessero, perchè non fossero riconoscibili.
Mentre passeggeri e militanti si trovavano faccia a faccia, sulla strada polverosa era arrivato un camion. Sospettando fosse la polizia, i terroristi si erano nascosti dietro un cespuglio. Approfittando della pausa, i passeggeri erano saliti sul bus e scappati.
Un vigile urbano e il conduttore del camion sono stati uccisi. Al-Shabaab ha rivendicato la responsabilità per l’attacco.
Nonostante gli sforzi da parte delle autorità del Kenya, al-Shabaab resta una minaccia grave.
Separare musulmani e non musulmani durante gli attacchi è diventata la loro firma. All’inizio di quest’anno individui affiliati con il gruppo hanno preso d’assalto i dormitori Garissa University, un piccolo college nel nord del Kenya, e ucciso 147 studenti. Hanno separato studenti non musulmani dai loro colleghi musulmani, poi li hanno massacrati.
Nel novembre dello scorso anno, il gruppo ha rivendicato l’uccisione di 28 persone: anche loro erano su un autobus diretto a Mandera. Hanno subito la stessa esecuzione.
La scorsa settimana l’esercito è stato attaccato dei militanti in una delle sue basi in Somalia, subendo pesanti perdite.
Da circa quattro anni Al-Shabaab sta attraendo un numero crescente di musulmani del Kenya da poco convertiti. Sembra che i combattenti kenioti costituiscano il 10 per cento del totale delle forze del gruppo, si tratta spesso di giovani appartenenti alle classi più povere del Kenya, e questo li rende particolarmente sensibili alle attività di propaganda e reclutamento.
Un keniota pentito, ex membro del gruppo terrorista e che ora collabora con la polizia, ritiene che la formazione impieghi i kenioti per le azioni più pericolose, in modo tale che i membri storici del gruppo restino indenni.
La prima operazione importante dopo la fusione con al-Qaeda è stata l’attacco al centro commerciale Westgate Mall di Nairobi, in Kenya, iniziato il 21 settembre 2013 e terminato il 24 dopo ripetuti assalti delle forze di sicurezza keniane.
Molti dei morti sono stati, secondo i testimoni, uccisi per non aver saputo rispondere a venti domande inerenti al recitare versetti del Corano o i nomi del profeta Maometto.
Katia Ricciardi
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 21st, 2016 Riccardo Fucile
COME PREVISTO, APPENA 2 GIORNATE DI SQUALIFICA IL PROSSIMO ANNO… IL MONDO CIVILE CI RIDERA’ DIETRO, MA INTERESSI E SCOMMESSE SONO SALVE
Due giornate di squalifica e una multa da 20mila euro.
E’ questa la ridicola sanzione inflitta dal giudice sportivo al tecnico del Napoli, Maurizio Sarri, per gli insulti all’allenatore dell’Inter Roberto Mancini, durante il match dei quarti di finale di coppa Italia vinto dai nerazzurri.
Nelle sue motivazioni il giudice Gianpaolo Tosel parla solo di “epiteti pesantemente insultanti“, escludendo quindi la discriminazione di natura omofoba che il tecnico del Napoli avrebbe potuto pagare con una squalifica fino a quattro mesi.
A Mancini, anche lui allontanato dall’arbitro dopo l’alterco con Sarri, è stata inflitta un’ammenda di 5mila euro, così impara a indignarsi di fronte a insulti omofobi.
Fa sorridere il tentativo in queste ore di riportare alla luce comportamenti offensivi di Mancini risalenti a ben 15 anni fa: la differenza sta proprio nel fatto che, dopo esperienze all’estero, l’attuale allenatore dell’Inter ha assimilato le regole delle società civili, a differenza di Sarri e del mondo del calcio italiano.
Gli affari del calcio nostrano sono salvi, le scommesse (lecite e illecite) pure, le “lesbiche” del calcio femminile anche, il ragazzino che si sentirà dare del frocio è rassicurato: potrà gettarsi dalla finestra pensando che i suoi persecutori non se la caveranno facilmente ma sconteranno ben due giornate di squalifica.
Ha vinto il calcio omertoso e mafioso, come nella società italiana, non c’è da meravigliarsi: chi denuncia finisce per trovarsi abbandonato dalle istituzioni.
Filtrano notizie di un De Laurentis molto seccato con Sarri, ma che non può inimicarsi la piazza e rischiare atti che potrebbero pregiudicare il campionato del Napoli e causargli problemi. A dimostrazione di quanto sopra.
Ci faremo ridere dietro da tutto il mondo, ma il campionato è salvo, questo è quello che conta: che poveracci quelli che all’estero radiano i calciatori per episodi del genere.
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Gennaio 21st, 2016 Riccardo Fucile
LEGAMI IMBARAZZANTI, LEGAMI OSCURI, NEPOTISMO: TORNANO I VECCHI VIZI DEL GIGLIO MAGICO
Marco Carrai – candidato a diventare consulente di una nuova struttura di Palazzo Chigi dedicata alla cyber sicurezza – non ha alcuna competenza specifica nel settore dei crimini informatici, ma il suo profilo relazionale e professionale – scrive l’Espresso in un’inchiesta di Emiliano Fittipaldi anticipata sul sito – «è un vero inno al conflitto di interessi».
Il “Gianni Letta di Renzi” ha infatti fondato a fine 2014 insieme a Leonardo Bellodi, ex braccio destro di Paolo Scaroni all’Eni e grande amico dell’attuale numero uno degli spioni dell’Aise Alberto Manenti, una società privata che si occupa proprio di sicurezza informatica, la Cys4.
Una SpA che secondo i malpensanti mira ai futuri appalti che il governo potrebbe bandire dopo la creazione del “nucleo” per la sicurezza cibernetica.
Nell’azionariato non ci sono solo Carrai e Bellodi, ma attraverso scatole cinesi pezzi grossi come Franco Bernabè (attraverso il suo Fb Group, è lui che ha trovato i partner tecnologici della società , quasi tutti israeliani), Jonathan Pacifici (imprenditore italo-israeliano trasferitosi anni fa a Gerusalemme, ad del “World Jewish Economic Forum”) e Mauro Tanzi, che controlla il pacchetto di maggioranza attraverso la fiorentina Aicom, specializzata proprio in sicurezza informatica.
Tanzi è stato per anni manager di punta di Finmeccanica, tanto da essere messo nel 2011 da Pier Francesco Guarguaglini a capo della controllata che gestiva l’immenso Real Estate del colosso degli armamenti.
Diventasse davvero Carrai consulente di Palazzo Chigi, non basterebbe certo un trust a evitare – nel caso la società intendesse partecipare a gare statali – possibili conflitti d’interessi.
Anche perchè il fratello di Carrai, Stefano, è oggi consigliere sia della Cys4 sia dell’Aicom.
La scalata di Carrai in settori sensibili dell’intelligence viene mal vista non solo da chi nei servizi sottolinea che le influenze israeliane (Stato che non è membro della Nato) su Carrai e soci sono troppo evidenti. Ma anche una parte del corpo diplomatico, che conosce bene i retroscena della nomina del nuovo ambasciatore di Israele a Roma, Fiamma Nirenstein.
Com’è noto lo scorso agosto Benjamin Netanyahu annunciò a sorpresa la designazione dell’ex parlamentare del Pdl trasferitasi nella colonia di Gilo a Gerusalemme, orgogliosamente sionista e da sempre contraria al riconoscimento dello stato della Palestina.
Una personalità forte ma divisoria, tanto che secondo il quotidiano “Haaretz” alcuni rappresentanti della comunità ebraica romana hanno chiesto al presidente israeliano di fare un passo indietro ritirando la nomina.
È difficile, però, che Netanyahu torni sui suoi passi: non solo perchè stima l’ex berlusconiana, ma sa che la Nirenstein ha avuto il beneplacito del miglior amico del premier italiano, e ha spinto in prima persona per la giornalista.
Carrai è infatti intimo sia di Fiamma sia del suo primogenito, un trentenne classe 1982 che lavora per i servizi segreti italiani e che, insieme alla mamma, ha partecipato al matrimonio di Marco.
«È solo un caso, il governo israeliano ha deciso da solo il suo ambasciatore», spiegano i renziani.
Sarà : ma è un fatto che la designazione della Nirenstein è stata comunicata pochi giorni dopo l’incontro tra Renzi e “Bibi” a Tel Aviv del luglio del 2015 (era presente anche Carrai), e che un mese dopo la nomina fu proprio l’imprenditore ad accogliere Netanyahu che sbarcava all’aeroporto di Firenze.
Emiliano Fittipaldi
(da “L’Espresso”)
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Gennaio 21st, 2016 Riccardo Fucile
DIETRO LE BALLE DEL GOVERNO EMERGE LA VERITA’ DEI DATI: TRE ASSUNZIONI SU QUATTRO SOLO PER GLI INCENTIVI
Gli ultimi dati dell’Inps confermano l’aumento delle assunzioni nel periodo gennaio-novembre 2105 sullo stesso periodo dell’anno precedente: +444.409, pari quasi al 10%. Crescono i contratti a tempo indeterminato (+442.906) ma anche quelli a termine (+46mila), mentre cala l’apprendistato (-45mila).
Senza sminuirne gli effetti, va segnalato che le assunzioni sono avvenute prevalentemente al nord, ma molte sono anche trasformazioni a tempo indeterminato di contratti a termine (470mila).
La variazione netta è un +356mila assunzioni (saldo tra assunzioni e cessazioni); che diventano 300mila considerando gli ultimi 12 mesi (novembre 2105 su novembre 2014).
Per le prospettive, sarà utile verificare se l’aumento delle assunzioni continuerà , non solo grazie al traino di una ripresa significativa della domanda, ma in relazione alla riduzione degli incentivi.
Fino al 31 dicembre 2015 gli incentivi arrivavano sino a 8.060 per nuovo assunto per un triennio (oltre 24mila euro di incentivazione).
La legge di Stabilità 2016 ne ha ridotto la durata (da tre a due anni) e il valore (3.250 euro anzichè 8.060).
Si vedrà quindi se le assunzioni continueranno anche nel 2016 e 2017 con lo stesso ritmo, visto che i tre quarti delle assunzioni del 2015 hanno usufruito dell’esonero contributivo.
Walter Passerini
(da “La Stampa”)
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Gennaio 21st, 2016 Riccardo Fucile
LA BINDI INVIERA’ AI PM GLI ATTI DELL’AUDIZIONE ALL’ANTIMAFIA
“Mi dimetto da sindaco. Non è una resa, ma un gesto di responsabilità . E’ impressionante tutto quello che è accaduto intorno a questa vicenda. Questa è una sconfitta politica, ma anche una vittoria della camorra”.
Rosa Capuozzo, finita al centro di una vicenda politico-giudiziaria in seguito a un’indagine condotta dalla procura di Napoli su presunte infiltrazioni camorristiche nel comune di Quarto e già espulsa dal Movimento Cinque stelle, lascia la guida del Comune.
Annuncia le dimissioni e si commuove, poi attacca la capogruppo regionale M5s, Valeria Ciarambino anche senza citarla.
“Non si capisce perchè i voti di Quarto puzzano, se riguardano me e gli stessi voti non pesano allo stesso modo se riguardano i consiglieri regionali”.
E attacca Roberto Fico: “Fico il 9 gennaio mi ha telefonato per dirmi che dovevo dimettermi. Il 10 voleva venire al flash mob e starmi accanto se mi fossi dimessa. Dal giorno successivo tutti sono spariti”.
Il rischio dell’altra inchiesta.
Repubblica, che ha ricostruito i sospetti della procura sul ruolo e l’eventuale conflitto di interessi assunto dalla sindaca nella vicenda dell’abuso edilizio, chiede alla Capuozzo: “Quanto ha influito nella sua scelta di dimettersi, il rischio di poter essere indagata in questa altra indagine?”. Lei risponde: “Non ha avuto alcun peso. Sono tranquilla”.
“Lascio dopo sette mesi. Ma la mia non è una resa è un gesto d’amore verso Quarto. Ho fatto un giuramento e l’ho rispettato -continua Rosa Capuozzo – Quelli che si sono dimessi pensavano che qui si faceva una passeggiata. E’ stata una giornata durissima anche quella in antimafia”.
La sindaca dimissionaria quindi ringrazia tutti i collaboratori e i consiglieri comunali della maggioranza “per aver resistito su una barca in tempesta senza essere scappati come topi”.
Spiega: “Vado via perchè mancano i numeri necessari per governare, siamo una forza politica che non si muove con le larghe intese”. E chiarisce: “Non mi ricandido e non penso neanche ad una lista civica. Forse non mi sarei dovuta candidare”.
Poi conclude, amara: “Mi sono sentita abbandonata da M5s ma si sono sentiti abbandonati tutti i cittadini di Quarto. Non è semplice quello che stiamo affrontando in questo territorio, con il movimento accanto sarebbe stato più facile.
“Mi è dispiaciuta la reazione che ha avuto il Movimento a quello che è un problema. Quando c’è un problema non si scappa, lo si affronta”.
Intanto la presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Rosy Bindi, ha disposto la trasmissione alla Procura di Napoli degli atti dell’audizione del sindaco di Quarto, Rosa Capuozzo, tenuta a San Macuto la sera di martedì scorso.
Dalla ricostruzione complessiva dei fatti fornita dal sindaco e alla luce della documentazione giudiziaria acquisita dalla Commissione è emersa la necessità di segnalare alla Procura alcuni aspetti da approfondire, sui quali anche la Commissione si riserva di svolgere ulteriori analisi.
(da “la Repubblica”)
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