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RENZI, AL CONGRESSO CON LA PELLE GIA’ CAMBIATA

Febbraio 29th, 2016 Riccardo Fucile

NEL REFERENDUM NASCE IL PARTITO DI MATTEO CON IL VOLTO DI MARIA ELENA

Il cuore è già  oltre l’ostacolo. Batte già  su quella che Matteo Renzi considera la madre di tutte le battaglie, ovvero il referendum sulle riforme istituzionali.
Verdini, il dibattito sui suoi voti “sostitutivi”, “aggiuntivi” o più o meno determinanti, la richiesta formale di un congresso di partito, avanzata dal leader della minoranza Pd Roberto Speranza: tutti elementi che non incidono e non mutano il percorso “sostanziale”, immaginato a palazzo Chigi.
E cioè arrivare al congresso — quello formale — con la pelle del partito già  cambiata.
Ecco che le elezioni amministrative di primavera vengono vissute come un ostacolo da superare senza troppi danni e drammi e come l’ultimo voto col vecchio Pd, ormai un contenitore di apparati, notabili, signori delle tessere.
Poi, change, si cambia. Nelle urne del referendum, nasce nei fatti il partito di Renzi. “Contaminazione” è la parola d’ordine identificata dal super consulente di Obama, Jim Messina, chiamato da Renzi come guru per incassare un plebiscito al referendum. Il piano prenderà  forma ad aprile, dopo l’ultimo passaggio delle riforme alla Camera. Ma i titoli sono già  nero su bianco.
Lorenzo Guerini, vice segretario del Pd, dice all’HuffPost: “Fuori dalla discussione di questi giorni proiettata sulle nostre dinamiche interne il lavoro di coinvolgimento della società  che si dovrà  fare anche per il referendum dovrà  essere importante per un lavoro più ampio. Ovvero: costruire nel paese la base culturale e sociale, prima ancora che politica che faccia vivere nella società  l’orizzonte di cambiamento che Renzi sta proponendo all’Italia”.
Proprio il “comitati per il sì” saranno i principali luoghi della contaminazione e di quella che Guerini chiama costruzione della nuova “base sociale del Pd”.
L’idea fu accennata proprio dal premier nel discorso conclusivo della scorsa Leopolda: “Prima del referendum costituzionale organizziamo mille luoghi di incontro in cui andiamo a raccontare perchè l’Italia la stiamo facendo ripartire e vogliamo scommettere sui nostri valori più belli. Noi della Leopolda siam fatti così”.
Il partito di Renzi, il partito della Leopolda o delle mille Leopolde, il partito della Nazione, comunque lo si voglia chiamare, lo schema è quello di un congresso sostanziale che “rottami” in partenza lo schema del “congresso” formale che, proprio per questo, il premier non ha alcuna intenzione di anticipare.
Il referendum è sulle riforme, sul governo, sul premier rappresentano, insomma, l’atto fondativo di una soggettività  politica che ha la testa e la leadership di Renzi e un corpo che non coincide solo con quello del Pd. È chiaro, sussurrano in parecchi, che a quel punto non ci si può stupire se dai comitati usciranno il grosso dei capilista alle prossime elezioni: “Lo schema della minoranza — sussurra un renziano di rango — è congresso subito per prendere un 15 per cento e chiedere un 15 per cento di capilista. Quello di Renzi è congresso dopo, quando il congresso diventa il secondo plebiscito su di sè, dopo il plebiscito del referendum”.
Ed è altrettanto chiaro che su un progetto del genere torna il protagonismo di Maria Elena Boschi.
Si vedrà  come saranno composti i comitati per il sì, se separati o un tutt’uno con quelli del Pd. Il volto sarà  quello della Boschi. Un grande ritorno dopo la fase della comunicazione più sobria e defilata iniziata con la scandalo della Banca Etruria.
Si spiega anche la presenza più intensa sui media in questi giorni o l’intervento alla scuola di partito. Anche se, comunque, le prossime settimane sono piene di incognite. La protesta dei risparmiatori truffati praticamente sotto casa del ministro indica che la polemica sulle banche è un elemento con cui la madrina delle riforme dovrà  convivere. Ora e in futuro.
Negli ambienti giudiziari viene infatti data per scontata l’iscrizione nel registro degli indagati dei vertici di banca Etruria per bancarotta fraudolenta, dopo la dichiarazione dello Stato di insolvenza.
Sia come sia nel favoloso mondo renziano, caratterizzato dall’assenza di una robusta classe dirigente e dall’ossessione per i media e per le performance tv, a giudizio dei più Maria Elena “resta sempre la più efficace in tv”.
Gli altri sembrano vecchi, nel senso di vecchia politica, meno brillanti, poco si prestano, rispetto alla ministra, a incarnare la nuova pelle del partito e dell’Italia renziana.
Anche perchè l’altro elemento per niente irrilevante è che occorre “mobilitare” e non solo “contaminare”, affinchè il plebiscito possa apparire come l’inizio di una nuova era.
Gli ultimi sondaggi dicono che, al momento, il 50 per cento degli italiani starebbe a casa. Il cuore del paese, sul tema, batte meno di quello del cerchio magico.

(da “Huffingtonpost“)

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BUCO NEI CONTI DELL’UNITA’, L’IRA DI RENZI VERSO I CIRCOLI

Febbraio 29th, 2016 Riccardo Fucile

POCHI ABBONAMENTI DALLE SEDI DEL PD

I conti dell’ Unità  non tornano, Renzi batte i pugni sul tavolo e chiede chiarezza.
Lo scorso giugno il giornale fondato da Gramsci è tornato in edicola, ma in meno di un anno sono state accumulate perdite preoccupanti, che agitano l’amministratore delegato Guido Stefanelli e il direttore Erasmo D’Angelis
Unità  srl non ha ancora approvato il primo bilancio, ma secondo quanto appreso da fonti qualificate il giornale perderebbe più di 200 mila euro al mese, che alla fine dell’anno significano un rosso di circa 2,4 milioni.
La situazione finanziaria, con il mercato pubblicitario ormai asfittico e lo scarso appeal tra i lettori (in primis quelli storici), è diventata sempre più preoccupante.
E nelle settimane scorse la patata bollente è arrivata sulla scrivania del premier e segretario del Pd, che ha chiesto chiarimenti a Francesco Bonifazi (tesoriere del partito) contestandogli di non averlo messo dovutamente al corrente riguardo l’evoluzione dei conti dell’ Unità  , di cui Renzi segue molto da vicino la fattura grazie allo stretto legame con il direttore D’Angelis.
Il giornale è per l’80% di proprietà  del gruppo Stefanelli-Pessina, solida realtà  da 400 milioni di fatturato tra immobiliare e acque minerali e che per la rinascita dell’ Unità  ha già  investito diversi milioni.
Il 19,05% è invece di proprietà  di Eyu, una srl che fa capo al Pd.
Ed è qui che entra in gioco il segretario, che dopo l’impegno profuso per riportare in edicola il foglio gramsciano vuole scongiurare scivoloni politici e finanziari, coordinando un importante intervento economico che consenta di chiudere il primo bilancio riducendo i danni, anche grazie ad un sempre più probabile aumento di capitale
Le aspettative di mercato, anche contando sulla rivoluzione identitaria dell’ Unità  e sul cambio di vento politico, erano infatti ben altre.
Renzi, oltre alla passione per il giornalismo, conosce bene anche la rete di distribuzione di un giornale, visto che da giovanissimo coordinava gli strilloni che ai semafori di Firenze e provincia distribuivano La Nazione .
Il segretario puntava a ricostruire la rete di radicamento del partito anche grazie alla nuova Unità  grazie e ad una precisa intuizione: un circolo, un abbonamento.
E visto che, in Italia, i circoli del Pd sono oltre settemila, la riuscita di questo piano avrebbe garantito un bacino di copie sicuro. Di quegli abbonamenti, nonostante gli appelli ai circoli, ne sono arrivati molto pochi. Lo stesso è accaduto tra parlamentari e consiglieri regionali dem
Nel frattempo si sono accumulati i costi delle circa 60 mila copie stampate ogni giorno, voce chiave di spesa oltre a quella dei 30 giornalisti (dimezzati rispetto a prima).
Il segretario del Pd non sembra però aver gradito la fredda reazione dei circoli, e secondo quanto filtra dal Nazareno avrebbe congelato circa un milione e mezzo di euro che il partito nazionale avrebbe incassato (e dovuto redistribuire alle sezioni locali) grazie a due per mille, tesseramento e cene di finanziamento, escluse quelle destinate a contribuire alla Fondazione Open, braccio operativo dell’attività  politica dei renziani.
E quel milione e mezzo, adesso, potrebbe essere dirottato per tamponare le falle dei conti dell’Unità .

Claudio Bozza
(da “il Corriere della Sera”)

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LA MELONI RICONSIDERA IL SUO NO ALLA CORSA: “MA MI HANNO LASCIATA SOLA”

Febbraio 29th, 2016 Riccardo Fucile

TROPPO POCO CORAGGIO? POTEVA FARE DI PIU’? HA PERSO UN’OCCASIONE?

Non si aspettava di finire «nel tritacarne», non pensava che la sua decisione di fare un passo indietro sull’ipotesi che pure era in discussione di una sua candidatura a sindaco di Roma fosse interpretata come una fuga dalla responsabilità  di giocarsi la leadership di un centrodestra alla ricerca di volti credibili per guidarlo.
Giorgia Meloni, che di Fratelli d’Italia è capo indiscusso e della rissosa coalizione di centrodestra una delle tre punte assieme a Berlusconi e Salvini, sta vivendo giorni difficili.
Gli ultimi mesi l’hanno vista protagonista per vicende pubbliche e private che le sono valse gli onori dei riflettori ma anche l’onere del subire critiche: troppo poco coraggio? Poteva e doveva fare di più? ha perso e fatto perdere al centrodestra un’occasione? Ha commesso, come ha scritto ieri Pierluigi Battista sul Corriere, troppi errori?
Lei ci riflette con i suoi e sente di avere ben poco da rimproverarsi. Anzi, la sensazione – non solo sua – è che sia stata lasciata sola e che ora a lei si guardi per salvare il salvabile.
Magari ricorrendo a quella che lei stessa ha sempre considerato l’ipotesi ultima, ma che nel centrodestra ora più d’uno considera l’unica via d’uscita possibile: la sua candidatura a sindaco in extremis, nonostante le difficoltà  e il clamore del gesto, per far ritrovare l’unità  a una coalizione che su Bertolaso si è spaccata, con Salvini a picconare il candidato dimostrando che non è certo quella di Roma la sua partita elettorale, anzi è forse il terreno dove la competizione a destra si fa più dura.
L’ipotesi che la Meloni corresse a Roma è stata davvero in piedi fino a qualche settimana fa, ma nel centrodestra non tutti l’avevano accolta con entusiasmo.
Storace (col sostegno di Alemanno e Fini) la sfidava; in FI più d’uno – da Tajani a Gasparri – premeva per Marchini, lo stesso Berlusconi lo aveva benedetto, Salvini aveva aperto ma lei si era opposta: uomo troppo legato alla sinistra, troppo a un mondo come quello delle banche e degli interessi imprenditoriali romani che «sono anni luce lontani dal nostro sentire».
Il pressing era tornato forte anche se – si è sfogata più volte lei – «l’atto di coraggio è stato comunque richiesto solo a me, perchè Salvini ha subito detto che lui di correre a Milano non ci pensava proprio…».
Ma a far tramontare quasi definitivamente l’ipotesi era arrivata la bella notizia di una gravidanza, che segnerebbe l’intera campagna elettorale e i primi mesi di mandato, per il peso emotivo, fisico, pratico che un figlio comporta per chi debba svolgere un lavoro 24 ore su 24 come quello del sindaco.
Ha temuto la Meloni che i due impegni fossero inconciliabili, ha proposto alternative – il suo Rampelli –, ha chiesto inutilmente le primarie.
Alla fine Berlusconi le ha assicurato che anche Salvini aveva accettato Bertolaso e lei ha messo da parte i dubbi su una campagna elettorale che sarebbe stata certamente delicata e difficile pensando – dice – che «l’unità  della coalizione e la certezza, in caso di vittoria, di avere un ottimo sindaco valessero il rischio».
Ma la guerra aperta all’ex capo della Protezione civile da Salvini, che ha schierato gazebo per frenarne le ambizioni, ha rimescolato le carte. E riaperto a questo punto una partita che sembrava chiusa.
Come finirà  è arduo da dire, ma non stupirebbe se alla fine la Meloni con una decisione sofferta cedesse, accettando una corsa pesante, difficile, rischiosa. L’extrema ratio appunto, la candidatura al colle del Campidoglio.
Quello che alla fine, forse, solo l’unica donna della coalizione può cercare di scalare.

Paola Di Caro
(da “il Corriere della Sera”)

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MATERNITA’ SURROGATA? PERMESSA, VIETATA, RICONOSCIUTA: UNA SCELTA CHE DIVIDE IL MONDO

Febbraio 29th, 2016 Riccardo Fucile

IL PUNTO SULLA LEGISLAZIONE… UNA SCELTA CHE NASCONDE ANCHE POVERTA’ E BUSINESS

Far crescere nel proprio grembo un figlio per conto di un’altra coppia alla quale poi sarà  dato il bambino. Questa scelta, che riguarda fondamentalmente una sfera etica e personalissima, sul piano giuridico è considerata una pratica che molti paesi, tra cui l’Italia, vietano per legge.
La discussione sulla cosiddetta maternità  surrogata divide l’opinione pubblica e si è riaccesa stavolta dopo l’annuncio che il leader di Sel, Nichi Vendola, e il suo compagno canadese Ed Testa sono diventati papà  ricorrendo appunto alla madre in affitto.
Da una parte c’è chi sostiene che è un modo di aiutare donne con problemi di salute o persone dello stesso sesso, nella maggior parte dei casi maschile, che desiderano avere un figlio.
I contrari la definiscono una nuova forma di sfruttamento, dal momento che, nella gran parte dei paesi dove la pratica è consentita, alla madre surrogata viene riconosciuto un compenso, ma nessun diritto sul nascituro.
In Italia il comma 6 dell’articolo 12 della legge 40 sancisce che “chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità  è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”.
La gestazione per conto terzi è vietata anche in Svezia, Norvegia, Danimarca, Germania, Francia, Spagna e Finlandia, mentre è permessa in molti altri Paesi, dagli Stati Uniti all’India.
In molti paesi dove la maternità  surrogata è consentita, i rapporti tra le parti coinvolte vengono disciplinati da accordi privati, come i contratti pre-nascita frequenti negli Usa.
In paesi come la Cambogia, la Thailandia o il Nepal, dove affittare il proprio utero è legale, spesso si verificano fenomeni di sfruttamento di donne povere.
Avere un bambino su commissione è possibile negli Stati Uniti, in Canada, in   Australia, in quasi tutto il Sud Est Asiatico, in Sudafrica, in Brasile, in Messico, ma anche in Grecia, a Cipro, in Inghilterra e soprattutto nell’Europa dell’Est.
Russia e Ucraina sono la meta preferita della maggioranza delle coppie eterosessuali italiane, mentre per i gay la scelta cade quasi sempre sugli Stati Uniti.
La cittadinanza del bambino.
Determinante per la scelta del Paese-meta, anche prima dell’analisi dei costi, è la questione del riconoscimento giuridico: chi si affida a Canada e Stati Uniti, rientrando in Italia non rischia ripercussioni di carattere penale perchè i neonati hanno cittadinanza e passaporto americani o canadesi e dunque non ci sono problemi di trascrizione dei certificati di nascita.
Chi invece sceglie Russia e Ucraina deve fare i conti con il fatto che i bambini non hanno alcuna cittadinanza e per uscire dal territorio hanno quindi bisogno di un’autorizzazione da parte del Consolato.
In questo passaggio, in presenza di sospetta pratica di utero in affitto, possono scattare le segnalazioni alla magistratura italiana e nei confronti delle coppie tornate in Italia può scattare l’inizio di un procedimento penale per “alterazione di stato di nascita”, reato punibile con la reclusione dai 3 ai 10 anni.
Il compenso vietato in Canada e Regno Unito.
Gli unici paesi in cui è vietata la retribuzione della ‘gestazione per altri’ sono Canada e Regno Unito.
In Canada si trovano agenzie specializzate in grado di seguire tutto il percorso di questa forma di maternità  surrogata altruistica. Esistono centri clinici specializzati per eventuali donatori di sperma o donatrici di ovuli, che devono preferibilmente essere diverse dalla surrogata.
Le agenzie sono inoltre estremamente accurate nella stesura dei contratti che legano gli aspiranti genitori a sè (contratto di mandato), alla portatrice ed eventualmente ai donatori.
Vengono scelte solo donne che hanno già  avuto dei figli e possono accedervi sia le coppie eterosessuali che quelle omosessuali.
Nel Regno Unito la maternità  surrogata è vietata ai single. Dopo la nascita il bambino viene adottato dalla coppia che ha fatto ricorso a questo tipo di gestazione.
Usa.
Gli Stati Uniti sono stati la prima nazione al mondo ad aver consentito la maternità  surrogata. La situazione cambia da uno stato all’altro. In alcuni stati è consentita solo in forma ‘altruistica’ (ossia senza compenso per la gestante). Esistono agenzie specializzate che seguono le coppie e le gestanti.
Diverse norme tutelano le donne più povere e la gestante non può essere anche la madre biologica del bimbo. Il ricorso all’utero in affitto è consentito a tutti: eterosessuali, coppie gay e single.
Grecia.
In Grecia dalla maternità  surrogata sono escluse le coppie gay e viene concessa solo nei casi in cui l’aspirante mamma non possa portare avanti la gravidanza.
E’ il   caso di donne prive di utero o di ovaie, o che soffrono di patologie le quali metterebbero a rischio la loro vita. Gestante e aspiranti genitori devono risiedere in Grecia e la gestante riceve solo un rimborso spese.
Belgio, Paesi Bassi e Danimarca.
In questi tre paesi l’utero in affitto è consentito, ma deve esserci un legame biologico fra il bambino e gli aspiranti genitori.
Russia, Ucraina e Biolorussia. In Russia, Ucraina e Biolorussia
L’utero in affitto è diffuso ed è a pagamento; possono accedervi però solo le coppie eterosessuali e le donne single. In questi paesi, le agenzie garantiscono un percorso clinico sicuro. La gestante rinuncia al bambino e i due componenti della coppia committente vengono registrati come genitori. In Russia l’ovocita non può essere quello della gestante.
India.
In India è legale dal 2002. Le gestanti sottoscrivono un contratto prima della nascita e rinunciano al bambino. Essendo previsto un ‘pagamento’, molte donne vi ricorrono per affrontare le difficoltà  economiche.
I costi.
Anche in caso di maternità  altruistica, la donna che presta il suo utero riceve del denaro, così come vengono pagate le agenzie di intermediazione, le cliniche, e le donatrici che forniscono alle coppie etero e gay i loro ovociti.
I costi sono alti quando la donna chiede un compenso e variano da paese a paese: si va dai picchi di 130mila euro negli States ai 30mila di Grecia e Russia, dai 20mila euro dell’Ucraina ai 15mila euro dell’India.
I contratti prevedono che la donna portatrice rinunci a ogni diritto sul bambino, dica ‘Sì’ all’aborto in caso di malformazione, sia disponibile a fornire il suo latte dopo il parto e paghi delle penali se non rispetta gli standard sanitari che le vengono richiesti. Nei paesi più ricchi i contratti tutelano maggiormente la donna.
In alcuni Stati, come la Thailandia, era possibile per i committenti rifiutare il figlio con una malattia o un handicap.
I dati.
Nel 2010 in California sono nati da maternità  surrogata circa 1.400 bambini, la metà  dei quali su richiesta di coppie straniere.
In India sono attive oltre 3mila cliniche, per un business che supera i 400 milioni di dollari l’anno e vede portare a termine almeno 1.500 casi di surrogazioni l’anno, un terzo dei quali per conto di stranieri.
In Ucraina nel 2011 sarebbero state portate a termine con successo 120 gravidanze, ma il numero reale potrebbe essere molto più alto. Metà  degli accordi coinvolge coppie straniere.

Valeria Pini
(da “La Repubblica“)

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DISABILI, IL CONSIGLIO DI STATO BOCCIA IL GOVERNO: “INDENNITA’ E’ UN SOSTEGNO, NON STIPENDIO PER INVALIDITA'”

Febbraio 29th, 2016 Riccardo Fucile

NUOVO ISEE: NON PUO’ ESSERE CONSIDERATO UN REDDITO

L’indennità  di accompagnamento per i disabili non può essere conteggiata come reddito. Parola del Consiglio di Stato che boccia la posizione del governo Renzi sul nuovo Isee.
La scorsa primavera l’esecutivo si era appellato ai giudici amministrativi in seguito alle sentenze del Tar del Lazio, che avevano accolto i ricorsi delle associazioni dei portatori di handicap contro il nuovo sistema di calcolo che somma le pensioni di invalidità  al reddito. Facendo perdere il diritto ad altri importanti benefici.
“Deve il Collegio condividere l’affermazione degli appellanti incidentali — si legge nella sentenza di lunedì 29 febbraio — quando dicono che ricomprendere tra i redditi i trattamenti indennitari percepiti dai disabili significa allora considerare la disabilità  alla stregua di una fonte di reddito — come se fosse un lavoro o un patrimonio — e i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni non un sostegno al disabile, ma una ‘remunerazione’ del suo stato di invalidità  oltremodo irragionevole, oltre che in contrasto con l’art. 3 della Costituzione“.
In pratica, le provvidenze economiche previste per la disabilità  non possono e non devono essere conteggiate come reddito.
Tutto era nato con il varo del nuovo Isee da parte del governo Letta, poi entrato in vigore sotto l’esecutivo Renzi, dopo che un decreto del ministero del Lavoro aveva predisposto i nuovi modelli per la dichiarazione sostitutiva unica (Dsu) a fine Isee.
Le modifiche, pensate anche per rendere il modello meno permeabile a elusioni e abusi, hanno coinvolto milioni di persone, visto che la dichiarazione Isee è indispensabile per l’accesso a prestazioni sociali agevolate e aiuti per le situazioni di bisogno.
Uno degli aspetti più criticati era proprio l’inserimento dei contributi ricevuti a fine assistenziale nel conteggio nel reddito, cosicchè per esempio il titolare di assegni e altre indennità  sarebbe risultato in molti casi “ricco” e avrebbe paradossalmente perso il diritto a ulteriori aiuti o per esempio l’accesso alle case popolari.
“Io sono madre di un ragazzo costretto a letto che ha diritto a due indennità , come invalido civile e come non vedente — aveva raccontato a ilfattoquotidiano.it Chiara Bonanno, una delle coordinatrici di Stop al nuovo Isee -. Ora questi soldi faranno reddito e avranno conseguenze sulla mia richiesta di affitto agevolato nelle case popolari, nonostante abbia lasciato il lavoro per assistere mio figlio. Noi siamo considerati più ricchi rispetto a una famiglia senza handicap, con una madre vedova e un figlio che risultino senza occupazione, magari perchè lavorano in nero. Il problema è questo”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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RUBY NON RIESCE A PAGARE L’AFFITTO: L’ITALIA SCONVOLTA ALLA NOTIZIA

Febbraio 29th, 2016 Riccardo Fucile

MENTRE TORNA IN AULA IL PROCESSO RUBY TER CHE VEDE BERLUSCONI INDAGATO PER   CORRUZIONE IN ATTI GIUDIZIARI, L’AVVOCATO DI KARIMA LANCIA L’ALLARME… CHE SI SIA GIA’ SPESA I SETTE MILIONI DI SILVIO?

Niente sfilata di ragazza, questa mattina, nella maxi aula del palazzo di giustizia di Milano.
L’unica che si è vista è stata Lisney Barizonte, nessuna delle parti civili si e’ presentata compreso il legale che rappresenta il ministero della Giustizia che valuterà  all’esito dell’udienza preliminare se costituirsi o meno parte civile.
Torna cosi’ in aula, senza il clamore degli altri due procedimenti, il caso Ruby per il quale, questa volta, Silvio Berlusconi è imputato per corruzione in atti giudiziari con Karima El Mahroug.
La giovane, ha detto il suo difensore Paola Boccardi, “non se la sente di patteggiare, affrontera’ in processo”.
L’ex premier teme che qualche altra ragazza possa avanzare istanza di patteggiamento? “Berlusconi non ha paura”, ribatte il suo avvocato Federico Cecconi.
DIECI MILIONI DI EURO
La vicenda Ruby e’ esplosa cinque anni fa, punto di partenza fu la famosa notte tra il 27 e il 28 maggio 2010 passata da Karima El Mahroug in questura e conclusasi con il rilascio della ragazza, affidata a Nicole Minetti dopo una telefonata di Silvio Berlusconi.
L’ex premier, assolto in via definitiva dalle accuse di concussione e prostituzione minorile, rischia di finire ancora una volta alla sbarra e con un’accusa pesante, corruzione in atti giudiziari, punita con pene comprese tra i 6 e i 12 anni di carcere.
Il procuratore facente funzione di Milano Pietro Forno e i pm Tiziana Siciliano e Luca Gaglio, infatti, a fine novembre, dopo aver chiuso le indagini, hanno chiesto il rinvio a giudizio per il leader di Forza Italia – imputato per aver comprato con “oltre 10 milioni di euro” il silenzio o la reticenza della marocchina e delle altre ragazze delle feste hard di Arcore al banco dei testimoni – e per altre trenta persone.
A difendere Berlusconi, oltre all’avvocato Cecconi, sara’ il professor Franco Coppi: gli storici legali dell’ex Cavaliere, Niccolò Ghedini e Piero Longo, sono stati indagati nel filone Ruby ter, ma poi le loro posizioni, insieme a quelle di altre undici persone, sono sono state archiviate dal gip, perchè malgrado avessero “superato il limite imposto dalla deontologia professionale”, non si era “giunti all’acquisizione di prove certe” di un loro “ruolo attivo di concorso in corruzione” con l’ex premier.
L’accusa di corruzione in atti giudiziari viene contestata anche a Karima El Mahroug, al suo ex legale Luca Giuliante, al cantante delle notti di Arcore Mariano Apicella, e a una ventina di ragazze, da Iris Berardi a Marysthelle Polanco, alle gemelle De Vivo. Per falsa testimonianza, altra accusa al centro del procedimento scaturito dalle motivazioni dei processi di primo grado Ruby e Ruby 2, rischiano invece il processo la senatrice Maria Rosaria Rossi e il giornalista Carlo Rossella.
“RUBY VIVE ALLA GIORNATA”
Stando alle indagini, Berlusconi dal 2011 e almeno fino al maggio scorso avrebbe pagato la versione delle “cene eleganti” resa dalle olgettine, ricompensandole con circa 3 milioni di euro tra bonifici, assegni, contanti, case, auto, contratti di lavoro fittizi, pagamenti di viaggi e spese varie.
Dalla mole di atti raccolti è emerso il pressing costante, al limite delle minacce, da parte delle giovani che battevano cassa.
“Domani butto giù il cancello di Arcore comunque, vado a rubargli una macchina al vecchio”, diceva Barbara Guerra a Ioana Visan.
Con il leader di FI che, stremato, stando alla testimonianza dell’architetto-imprenditore Ivo Redaelli, avrebbe detto “io a queste, appena posso, le butto in strada”.
Quanto a Karima avrebbe incassato tra i 5 e i 7 milioni di euro, parte dei quali sarebbero serviti per l’acquisto di un ristorante con annesso pastificio e due edifici con mini-alloggi per operatori del settore turistico in Messico.
Nel mirino anche 2 milioni investiti dalla marocchina a Dubai e 800 mila euro cash, ricevuti tra il 2013 e il 2014.
Ora Ruby “si trova a Genova con la sua bambina, non lavora e ogni tanto rimane indietro con il pagamento dell’affitto di casa. Ruby sta vivendo questa giornata – spiega il suo avvocato – con l’angoscia di un processo, anche mediatico, che riparte per la terza volta e dove lei ora è per giunta imputata. Anche se in verità  è sempre stata un po’ imputata”.

(da “il Messaggero”)

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CORTE DEI CONTI: “QUANDO GLI SGRAVI FINIRANNO SI RISCHIA BOOM DI DISOCCUPATI”

Febbraio 29th, 2016 Riccardo Fucile

I MAGISTRATI CONTABILI LANCIANO L’ALLARME SULLA STRATEGIA DEL GOVERNO PER DOPARE LE ASSUNZIONI

La Corte dei Conti lancia l’allarme sulle coperture e sull’efficacia degli sgravi contributivi per le assunzioni a tempo indeterminato.
Se la decontribuzione introdotta dal governo Renzi a partire dal gennaio 2015 continuerà  a favorire, come sta avvenendo, soprattutto le trasformazioni di contratti già  esistenti, e non “incrementi occupazionali effettivi”, sarà  necessario “un ulteriore incremento di trasferimenti dal settore pubblico la cui provvista ricadrebbe sulla fiscalità  generale”, rilevano per prima cosa i magistrati contabili nella relazione sull’Inps.
La Corte inoltre esprime preoccupazione sulla possibilità  che al termine del triennio di sgravi totali previsti per le assunzioni a tempo indeterminato fatte nel 2015 ci sia un aumento delle cessazioni di contratto, cosa che determinerebbe un aumento delle prestazioni a sostegno del reddito come l’indennità  di disoccupazione.
I magistrati proseguono avvertendo che già  ora l’intervento dello Stato sui conti dell’Inps, che quest’anno chiuderà  in rosso di 11,2 miliardi, risulta “sempre fondamentale per il contenimento dello squilibrio della gestione” perchè la spesa per le prestazioni continua a superare le entrate.
Nel biennio 2013-2014 per esempio “è proseguito l’aumento delle entrate contributive”, passate dai 210 miliardi del 2013 a 211,4 miliardi nel 2014. Ma “la spesa per prestazioni, pur costante nel biennio (303,464 miliardi nel 2013 e 303,401 miliardi nel 2014), è risultata tuttavia superiore al gettito contributivo”.
Nel biennio è proseguito, sottolineano i magistrati contabili “l’andamento negativo della gestione finanziaria che ha chiuso, nel 2013, con un disavanzo di 8,7 miliardi e, nel 2014, con un disavanzo di 7 miliardi, con una progressiva erosione dell’avanzo di amministrazione (che da 53,9 miliardi nel 2012, è passato a 43,9 ed a 35,7 miliardi rispettivamente, nel 2013 e nel 2014)”.
Lo stesso vale per il conto economico “che ha chiuso con valori di segno negativo, 12,8 miliardi nel 2013 e 12,5 miliardi nel 2014. Nè — sottolinea la Corte dei Conti — i trasferimenti dello Stato (99 miliardi nel 2013 e 98,4 nel 2014), nè la ripresa del flusso dei contributi, alimentato dalla gestione privata e in particolare da quella del lavoro autonomo, oltre che dalla gestione dei “parasubordinati“, sono valsi a far conseguire l’equilibrio delle gestioni amministrative”.
Il patrimonio netto è raddoppiato tra 2013 e 2014, passando da 9 a 18,4 miliardi per “uno specifico apporto dello Stato di 21,9 miliardi, a copertura del disavanzo dell’ex Inpdap“.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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ARENA DI VERONA, BUCO DA 32 MILIONI: IL CONTO LO PAGANO I LAVORATORI

Febbraio 29th, 2016 Riccardo Fucile

CRISI DI UNA ECCELLENZA ITALIANA, FONDI PER MILIONI ANDATI AD ARENA EXTRA…E TOSI MINACCIA I DIPENDENTI

“Con questi numeri meritiamo il Nobel per l’economia”.
Ora che la fondazione dell’Arena di Verona rischia il fallimento sotto il peso di 32 milioni di euro di debiti, i lavoratori del teatro stabile veronese non riescono a togliersi dalla testa questa frase, pronunciata dal sovrintendente Francesco Girondini.
Era il settembre 2013 quando il perito agrario amico di Flavio Tosi — recentemente riconfermato alla guida della prestigiosa fondazione lirico-sinfonica dal ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini — presentava orgoglioso i dati della stagione lirica.
La situazione dei conti dell’Arena, però, era un’altra.
Secondo un report del giugno 2015, curato dalla società  di revisione Kpmg per conto della stessa Fondazione Arena, nel triennio 2012-2014 si sarebbero verificati un “significativo incremento” dei debiti verso i fornitori e un “sensibile peggioramento” dell’esposizione bancaria.
In parole povere, il più grande teatro lirico all’aperto del mondo, fiore all’occhiello dell’Italia sul palcoscenico internazionale, ora rischia il default.
E per questo i lavoratori, dal 13 novembre scorso, hanno deciso di occupare in modo permanente gli uffici della Fondazione Arena per chiedere “un cambio di vertice immediato”.
Il sindacato autonomo dello spettacolo, Fials, punta il dito contro i debiti “accumulati in poco più di tre anni attraverso scelte aziendali tutte riconducibili al sovrintendente e al Consiglio di indirizzo (Cdi)”, il cui presidente è il sindaco di Verona, il leghista Flavio Tosi.
Che lunedì 22 febbraio ha annullato tutti gli incontri con i sindacati e ha minacciato di chiudere l’ente lirico se i lavoratori non accetteranno il piano lacrime e sangue che prevede fino al 50% di esuberi: “È un atto di occupazione illegittima della nostra sede — ha dichiarato Tosi, secondo quanto riporta il quotidiano veronese L’Arena — O si tratta subito o a casa tutti. E la stagione lirica la fa il Comune direttamente”.
Un “buco” di 32 milioni
Stando all’analisi di Kpmg, i conti della Fondazione Arena sono precipitati negli ultimi quattro anni della gestione Tosi-Girondini.
La situazione patrimoniale — si legge nel piano industriale 2015-2017 — ha visto “un peggioramento di circa 23 milioni di euro” e l’esposizione verso il sistema bancario è passata “da 3 milioni nel 2011 a 16,2 milioni nel 2014”, mentre i debiti verso i fornitori “da 3,3 milioni nel 2011 a 11,5 nel 2014” (ma il dato aggiornato è ormai intorno ai 16,3 milioni).
Il segretario veronese del sindacato autonomo dello spettacolo, Dario Carbone, ha le idee chiare: “La fondazione ha costituito una società  chiamata Arena Extra controllata al 100% dalla Fondazione Arena, con amministratore unico lo stesso sovrintendente Girondini, nella quale fluiscono milioni di euro senza un completo controllo neppure da parte del Cdi e dei revisori dei conti”. Insomma, “un mezzo che permette affari altrimenti negati dallo statuto della fondazione — prosegue Carbone — come la gestione dell’Arena Museo Opera (Amo) che ci costa 1,1 milioni all’anno”.
I fascicoli aperti dalla Procura di Verona in seguito agli esposti presentati sulla società  Arena Extra — creata per gestire tutti gli eventi dell’Arena che non fanno parte della stagione lirica — e sulla gestione del sovrintendente Girondini e del sindaco Tosi risultano archiviati o oggetto di richieste di archiviazione da parte della Procura.
Ma la questione è stata rispolverata di recente in Parlamento con un’interrogazione firmata dalla senatrice del M5S, Michela Montevecchi: “Nonostante la gestione fallimentare della nuova società  (Arena Extra, ndr) nel 2013 Flavio Tosi e l’amministratore unico Girondini hanno deciso di far acquisire ad Arena Extra, dalla fondazione Arena, un ramo d’azienda per circa 12,3 milioni di euro”. Una mossa che avrebbe permesso di iscrivere nel bilancio un credito che, per quanto “inesigibile”, consentiva di ottenere “un pareggio di bilancio fittizio per l’anno 2013, grazie al quale Girondini avrebbe percepito dallo Stato un bonus pari a 50mila euro”.
Secondo il capogruppo M5S in consiglio comunale, Gianni Benciolini, “la documentazione dettagliata della Fondazione Arena è top secret: abbiamo chiesto l’accesso agli atti e non abbiamo ricevuto alcuna risposta, tanto che siamo stati costretti a fare ricorso al Tar: l’udienza sarà  il 3 marzo prossimo”.
Il piano: 72 esuberi e ballerini “on call”
A “risanare” i conti della Fondazione Arena — dopo il taglio del contratto integrativo dei dipendenti, pari a circa il 30% dello stipendio — è stata chiamata direttamente da Firenze la manager Francesca Tartarotti.
Nel 2011 l’allora sindaco di Firenze, Matteo Renzi, l’aveva voluta per ristrutturare la fondazione del Maggio Musicale Fiorentino.
E lei — ex manager di Fastweb e Fondiaria — nel capoluogo toscano aveva applicato una ricetta semplice: il taglio del personale. “Per un teatro lirico il personale non è una semplice voce di spesa — spiega il segretario Fials, Carbone — ma è al tempo stesso il risultato finale e la materia prima”.
Il piano presentato da Francesca Tartarotti prevede circa 72 esuberi tra personale tecnico-amministrativo e artistico per poter accedere ai contributi della legge Bray.
Senza contare il taglio del corpo di ballo (la proposta è di sostituirlo con artisti con contratti di “job on call”) e dei laboratori delle scenografie, la cui professionalità  è rinomata in tutto il mondo.
“È un bagno di sangue per l’economia veronese — spiega a ilfattoquotidiano.it il capogruppo del Pd in consiglio comunale, Michele Bertucco — che dall’Arena riceve ogni anno un indotto di circa 400 milioni”.
Mentre i sindacati promettono battaglia: “Senza la nostra firma non se ne fa niente”.

Andrea Tornago
(da “il Fatto Quotidiano”)

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LA CORSA ALLE PRIMARIE TAROCCO DELLA LEGA: SALVINI DECIDE CHE NON HA VINTO NESSUNO

Febbraio 29th, 2016 Riccardo Fucile

DOPO 24 ORE DICHIARA TUTTI RONZINI EX EQUO… MA LA VERA VINCITRICE DELLE PRIMARIE PATACCA E’ VIRGINIA RAGGI

Se fossero state primarie serie oggi si sarebbe presentato con l’elenco dettagliato dei votanti, relativefotocopie di un documento di identità  e numero di iscrizione al seggio elettorale.
Mettendo a disposizione la relativa documentazione di   una autorità  terza.
Ma dato che serie non sono, Salvini informa la stampa che, nonostante siano passate 24 ore dalla chiusura dei seggi, “a metà  dello spoglio si può dire che non ha vinto nessuno, nessun candidato arriva alla maggioranza. Non dico tutti sullo stesso piano, ma ci sono poche percentuali di differenza”.
La soluzione? “Propongo una consultazione, chiamiamole primarie, ma non uno scimmiottamento sfigato del Pd”.
Ma non dovevano essere le sue le primarie serie? Abbiamo fatto delle primarie per decretare che bisogna farle?
Quanto allo scimmiottamento, al confronto quelle del Pd sono il massimo della trasparenza, il che è tutto   dire.
Se le denunce di Fratelli d’Italia fossero provate, altro che 12.000 presunti votanti, lievitati nella notte a 15.000. Si tratterebbe di ben poche migliaia di elettori reali.
I dati dichiarati dal circo leghista parlano di 1.450 voti per Marchini; 1.300 per Pivetti; 1250 per Storace; 1.050 per Bertolaso, 900 e rotti per “altri”.
Molti ritengono che Salvini fosse partito per cancellare Bertolaso e che ora abbia frenato di fronte al flop della sua iniziativa e alle reazioni degli alleati.
A parte i cinesi paracadutati per la Pivetti, gli elettori di centrodestra hanno snobbato l’iniziativa e Salvini non vuole esporsi per uno o per l’altro.
Gettando le basi così della sua ritirata dalle amministrative di Roma.
Ora parla anche di primarie a Milano (dopo il candidato è stato già  deciso senza primarie), ma stranamente non a Bologna (dove la sua protetta, la ex “zecca rossa” Borgonzoni, non la vuole nessuno).
E che aria tiri nell’elettorato deluso della capitale lo si capisce dando un’occhiata al quotidiano romano d’area, “il Tempo”: lunga intervista a Virginia Raggi, capolista del M5S.
Forse è lei, non partecipandovi, ad aver vinto le primarie del centrodestra.

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