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CORSELLO, IL PEDIATRA CONTRO: UNA CARRIERA SOTTO LA SPINTA DI CUFFARO

Febbraio 4th, 2016 Riccardo Fucile

VIRA DA SINISTRA A DESTRA CON L’AVVENTO DI CUFFARO E PER LUI INIZIANO LE PROMOZIONI

Un curriculum brillante, un cursus honorum fulmineo, una carriera veloce e irreprensibile nella Sicilia dei camici bianchi cresciuta all’ombra di Totò Cuffaro.
È il profilo di Giovanni Corsello, il presidente della società  italiana di pediatria, che ha appena guadagnato notorietà  nazionale con il suo intervento contro la stepchild adoption, cioè le adozioni del figlio del partner.
Ma chi è il medico che con la sua dichiarazione ha praticamente fornito un alibi alle frange più conservatrici del Parlamento?
Nato a Cefalù 57 anni fa, laureatosi in medicina nel 1982, quattro anni dopo si specializza in pediatria a Palermo. Il suo maestro è Liborio Giuffrè, barone universitario e apprezzato luminare, che prima di lui aveva diretto la società  italiana di pediatria.
Dietro a Giuffrè, Corsello fa un’ottima carriera universitaria e professionale: nel 1990 si specializza in genetica medica a Catania, nel 1994 diventa professore associato di neonatologia all’Università  di Palermo, quando ha appena 36 anni.
Ma se nella Sicilia di trentacinque anni fa il suo mentore Giuffrè era considerato vicino alla sinistra Dc di Piersanti e Sergio Mattarella, negli anni ’90 il giovane Corsello si sposta più a destra.
Si ricolloca cioè nella nascente area di potere fiorita attorno a Cuffaro, l’ex governatore della Sicilia poi condannato per favoreggiamento alla mafia e rilasciato due mesi fa dopo cinque anni di detenzione.
È proprio a cavallo tra gli anni ’90 e quelli duemila che in Sicilia la sanità  si lega indissolubilmente alla politica: Cuffaro, di professione medico radiologo, cavalca l’onda dei camici bianchi, si costruisce un gigantesco cerchio magico fatto di primari, professori universitari, ricchi proprietari di case di cura.
Sono gli anni in cui il ricco ingegnere Michele Aiello (poi condannato per associazione mafiosa) decide d’investire nella clinica Villa Santa Teresa, contrattando direttamente con Cuffaro i tariffari per i rimborsi pubblici delle prestazioni.
Tra il 2006 e il 2008, invece, il potentissimo assessorato regionale alla Sanità , che gestisce dieci miliardi di euro all’anno, è guidato da Roberto Lagalla, ex professore di diagnostica alla facoltà  di Medicina di Palermo, futuro rettore dell’Ateneo siciliano. Nello stesso periodo, Adelfio Elio Cardinale, ex preside di Medicina e poi sottosegretario del governo di Mario Monti, viene indicato dal governo di Totò Vasa Vasa come vicepresidente della Istituto superiore sanità , mentre Mimmo Miceli, medico pure lui, è l’uomo di fiducia dell’ex governatore al comune di Palermo, dove verrà  nominato assessore alla Sanità  dal sindaco Diego Cammarata, prima di finire condannato a sei anni e mezzo per concorso esterno a Cosa nostra.
Un posto tra i convinti sostenitori di Tòtò, è occupato anche dallo stesso Corsello: è in quegli anni in cui primari e baroni universitari sono la punta di diamante del potere cuffariano che la carriera del professore comincia a correre.
Nel 1999 viene promosso direttore della divisione dell’ospedale Cervello.
Incarico che dura fino al 2002 quando diventa professore ordinario di pediatria dell’università  di Palermo e viene nominato al vertice della clinica pediatrica e dell’unità  operativa di Neonatologia e Terapia intensiva neonatale del policlinico palermitano.
Nel 2003 altra nomina: viene chiamato a dirigere la scuola di specializzazione in pediatria dell’università , mentre quattro anni dopo — poco prima delle dimissioni di Cuffaro da governatore — diventa responsabile dell’intero dipartimento materno infantile.
Nel frattempo comincia la carriera all’interno della società  dei pediatri italiani: prima presidente siciliano, poi vice presidente nazionale, quindi il balzo alla presidenza nazionale.
Il legame tra Corsello e Giuffrè, però, non si esaurisce: nello staff del professore all’interno dell’ambulatorio di genetica medica del policlinico c’è, infatti, anche Mario Giuffrè, figlio del suo mentore.
Che nel frattempo è deceduto nel 2000, stroncato da un ictus proprio mentre partecipava ad un congresso della società  italiana di pediatria.
Che oggi, per bocca del suo presidente, si è schierata apertamente contro le stepchild adoption: una posizione che a molti è sembrata più politica che scientifica.

Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano”)

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GLI SCIENZIATI BOCCIANO IL PRESIDENTE DEI PEDIATRI SULLA STEPCHILD ADOPTION: “PRIMA DI PARLARE FAREBBE BENE A USARE CAUTELA”

Febbraio 4th, 2016 Riccardo Fucile

DALLA CATTANEO A SCAPARRO: I COLLEGHI CONTRO CORSELLO CHE A SUA VOLTA HA FATTO DIETROFRONT

Non è bastata una nota di precisazione. Nello scontro continuo sulla legge per le unioni civili il nuovo ring è la presa di posizione del presidente della Società  italiana di pediatria, Giovanni Corsello.
Prima ha detto di non poter escludere effetti negativi per i bambini che non hanno una madre o un padre come modelli di riferimento, poi ha spiegato che l’adozione del figlio acquisito (la cosiddetta stepchild adoption) “non è rischiosa di per sè”, mentre è “rischioso un dibattito teso a promuovere situazioni simili come assolutamente fisiologiche”.
Piccola marcia indietro, ma ormai la miccia era accesa. E così da una parte il pediatra siciliano ha raccolto un numero non indifferente di repliche e critiche da parte di diversi specialisti (dalla scienziata lena Cattaneo allo psicologo Fulvio Scaparro), tutti d’accordo nel dire che la letteratura scientifica in materia è “scarna e non consolidata” e quindi che prima di dichiarare qualcosa sarebbe stata necessaria una maggiore cautela.
E, dall’altra parte, il sostegno dei politici, naturalmente quelli contrari al ddl Cirinnà , che hanno utilizzato quel primo comunicato di Corsello come spada e scudo. A partire dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin.
Tra i primi a replicare a Corsello è stato Claudio Mencacci, presidente della Società  italiana di psichiatria: “Ciò che conta è la capacità  affettiva dei genitori, la capacità  di accogliere e seguire la crescita dei bambini, creando un ambiente sicuro, sereno e protettivo. E questo non dipende certo dal ‘genere’ dei genitori” ha detto, sottolineando che “è prematuro esprimere opinioni scientifiche”.
Critico anche un collega di Corsello, Giampietro Chiamenti, presidente della Federazione medici pediatri, che rappresenta circa 6mila medici: “A schierarmi in una qualsivoglia direzione su questo tema, complesso e condizionabile dalle implicazioni citate sopra, non potrebbe sorreggermi neppure una letteratura scientifica scarna e non consolidata da verifiche di lungo periodo”.
Al contrario dice Chiamenti di sottoscrivere “quelle affermazioni, condivise e riconosciute da tutti gli esperti in pediatria, neuropsichiatria e psicologia dell’età  evolutiva, che riconoscono ai bambini il diritto e l’esigenza di crescere in un contesto di grande affetto e rispetto a loro dovuto dalla nascita fino all’età  adulta, senza distinzione di sesso, etnia e residenza”.
Alle dichiarazioni di Corsello aveva replicato anche la scienziata Elena Cattaneo, da tre anni senatrice a vita. Quelle parole sull’omogenitorialità , secondo la Cattaneo, sono “prive di significato scientifico“.
“Stupisce la costruzione della frase priva di un significato ‘scientifico’ — dice la Cattaneo — nella misura in cui è indimostrabile in astratto che qualcosa non possa avvenire, dovendosi al contrario, con dati empirici alla mano, dimostrare che l’effetto indesiderato si è realizzato”.
Al contrario, la senatrice a vita ricorda “numerosi studi scientifici affermano il contrario, come quello American Academy of Pediatrics del 2006, secondo cui i bambini cresciuti da genitori dello stesso sesso si sviluppano come quelli cresciuti da genitori eterosessuali”.
Quanto alle preoccupazioni di Corsello sulla necessità  di valutare caso per caso le condizioni di adottabilità  del minore “ricordo che l’articolo 5 del disegno di legge Cirinnà  non fa altro che estendere la possibilità  di adozione coparentale disciplinata dalla legge 184 del 1983 al genitore sociale” che “prevede già  il passaggio dal tribunale dei minori”.
Firmano invece una nota congiunta 7 esperti che affermano tra l’altro che il tema è di tale importanza “che dovrebbe suggerire a ciascuno — quando ritiene di voler dire qualcosa in proposito — una grandissima cautela e alcune semplici regole comportamentali: la prima è distinguere nettamente posizioni personali generate da proprie convinzioni etiche e morali che — condivisibili o non condivisibili — vanno comunque rispettate, da dichiarazioni a nome o per conto anche di altri”.
Il riferimento appare chiaro. La nota è firmata da Maurizio Tucci (Laboratorio Adolescenza), Fulvio Scaparro (noto opinionista del Corriere della Sera, psicoterapeuta dell’infanzia, fondatore di Genitori Ancora), Piernicola Garofalo (Società  Italiana di Medicina dell’Adolescenza), Gianni Bona (direttore del Dipartimento per la salute della donna e del bambino dell’Asl di Novara), Cinzia Marroccoli (Telefono Donna Potenza), Alessandra Marazzani (Psichemilano), Andrea Vania (pediatra).
Bisogna essere, spiegano, “estremamente rigorosi e cauti quando si invocano evidenze scientifiche e che, quanto meno, si abbia l’accortezza di citarne esplicitamente la fonte. Sul tema specifico, non sembrano esserci in letteratura evidenze scientifiche dalle quali emerga che una famiglia adottiva omosessuale possa — in quanto tale — procurare situazioni di disagio ad un bambino. Chi ne fa riferimento darebbe un prezioso contributo al dibattito se fornisse gli estremi per consentire a tutti di prenderne visione”.
E ancora, poi, il presidente dell’Enpap, l’ente nazionale di previdenza per gli psicologi, Felice Damiano Torricelli: “La comunità  scientifica degli psicologi ha raggiunto da tempo il consenso sul principio che non sussistono significative differenze tra figli di genitori omosessuali e figli di genitori eterosessuali”.
La ricerca “a livello internazionale — assicura — dimostra che non esistono differenze significative legate all’orientamento di genere nella capacità  di essere genitori” e “ha chiarito, in studi numerosi ed approfonditi che la qualità  dello sviluppo dei bambini è indipendente dal fatto che i genitori siano conviventi, separati, single, risposati o dello stesso sesso”.
“I pediatri sono al servizio dei bambini, non delle ideologie. Ritengo che le recenti dichiarazioni del collega Giovanni Corsello, non vadano nella direzione che i pediatri si auspicano e che è quella di potersi prendere cura dei loro pazienti a prescindere da quella che è la cultura, l’orientamento, le convinzioni della famiglia di origine”, conclude il presidente dell’osservatorio Paidoss e della Società  italiana dei medici pediatri, Giuseppe Mele.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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GLI SCIENZIATI BOCCIANO IL PRESIDENTE DEI PEDIATRI SULLA STEPCHILD ADOPTION: “PRIMA DI PARLARE FAREBBE BENE A USARE CAUTELA”

Febbraio 4th, 2016 Riccardo Fucile

DALLA CATTANEO A SCAPARRO: I COLLEGHI CONTRO CORSELLO CHE A SUA VOLTA HA FATTO DIETROFRONT

Non è bastata una nota di precisazione. Nello scontro continuo sulla legge per le unioni civili il nuovo ring è la presa di posizione del presidente della Società  italiana di pediatria, Giovanni Corsello.
Prima ha detto di non poter escludere effetti negativi per i bambini che non hanno una madre o un padre come modelli di riferimento, poi ha spiegato che l’adozione del figlio acquisito (la cosiddetta stepchild adoption) “non è rischiosa di per sè”, mentre è “rischioso un dibattito teso a promuovere situazioni simili come assolutamente fisiologiche”.
Piccola marcia indietro, ma ormai la miccia era accesa. E così da una parte il pediatra siciliano ha raccolto un numero non indifferente di repliche e critiche da parte di diversi specialisti (dalla scienziata lena Cattaneo allo psicologo Fulvio Scaparro), tutti d’accordo nel dire che la letteratura scientifica in materia è “scarna e non consolidata” e quindi che prima di dichiarare qualcosa sarebbe stata necessaria una maggiore cautela.
E, dall’altra parte, il sostegno dei politici, naturalmente quelli contrari al ddl Cirinnà , che hanno utilizzato quel primo comunicato di Corsello come spada e scudo. A partire dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin.
Tra i primi a replicare a Corsello è stato Claudio Mencacci, presidente della Società  italiana di psichiatria: “Ciò che conta è la capacità  affettiva dei genitori, la capacità  di accogliere e seguire la crescita dei bambini, creando un ambiente sicuro, sereno e protettivo. E questo non dipende certo dal ‘genere’ dei genitori” ha detto, sottolineando che “è prematuro esprimere opinioni scientifiche”.
Critico anche un collega di Corsello, Giampietro Chiamenti, presidente della Federazione medici pediatri, che rappresenta circa 6mila medici: “A schierarmi in una qualsivoglia direzione su questo tema, complesso e condizionabile dalle implicazioni citate sopra, non potrebbe sorreggermi neppure una letteratura scientifica scarna e non consolidata da verifiche di lungo periodo”.
Al contrario dice Chiamenti di sottoscrivere “quelle affermazioni, condivise e riconosciute da tutti gli esperti in pediatria, neuropsichiatria e psicologia dell’età  evolutiva, che riconoscono ai bambini il diritto e l’esigenza di crescere in un contesto di grande affetto e rispetto a loro dovuto dalla nascita fino all’età  adulta, senza distinzione di sesso, etnia e residenza”.
Alle dichiarazioni di Corsello aveva replicato anche la scienziata Elena Cattaneo, da tre anni senatrice a vita. Quelle parole sull’omogenitorialità , secondo la Cattaneo, sono “prive di significato scientifico“.
“Stupisce la costruzione della frase priva di un significato ‘scientifico’ — dice la Cattaneo — nella misura in cui è indimostrabile in astratto che qualcosa non possa avvenire, dovendosi al contrario, con dati empirici alla mano, dimostrare che l’effetto indesiderato si è realizzato”.
Al contrario, la senatrice a vita ricorda “numerosi studi scientifici affermano il contrario, come quello American Academy of Pediatrics del 2006, secondo cui i bambini cresciuti da genitori dello stesso sesso si sviluppano come quelli cresciuti da genitori eterosessuali”.
Quanto alle preoccupazioni di Corsello sulla necessità  di valutare caso per caso le condizioni di adottabilità  del minore “ricordo che l’articolo 5 del disegno di legge Cirinnà  non fa altro che estendere la possibilità  di adozione coparentale disciplinata dalla legge 184 del 1983 al genitore sociale” che “prevede già  il passaggio dal tribunale dei minori”.
Firmano invece una nota congiunta 7 esperti che affermano tra l’altro che il tema è di tale importanza “che dovrebbe suggerire a ciascuno — quando ritiene di voler dire qualcosa in proposito — una grandissima cautela e alcune semplici regole comportamentali: la prima è distinguere nettamente posizioni personali generate da proprie convinzioni etiche e morali che — condivisibili o non condivisibili — vanno comunque rispettate, da dichiarazioni a nome o per conto anche di altri”.
Il riferimento appare chiaro. La nota è firmata da Maurizio Tucci (Laboratorio Adolescenza), Fulvio Scaparro (noto opinionista del Corriere della Sera, psicoterapeuta dell’infanzia, fondatore di Genitori Ancora), Piernicola Garofalo (Società  Italiana di Medicina dell’Adolescenza), Gianni Bona (direttore del Dipartimento per la salute della donna e del bambino dell’Asl di Novara), Cinzia Marroccoli (Telefono Donna Potenza), Alessandra Marazzani (Psichemilano), Andrea Vania (pediatra).
Bisogna essere, spiegano, “estremamente rigorosi e cauti quando si invocano evidenze scientifiche e che, quanto meno, si abbia l’accortezza di citarne esplicitamente la fonte. Sul tema specifico, non sembrano esserci in letteratura evidenze scientifiche dalle quali emerga che una famiglia adottiva omosessuale possa — in quanto tale — procurare situazioni di disagio ad un bambino. Chi ne fa riferimento darebbe un prezioso contributo al dibattito se fornisse gli estremi per consentire a tutti di prenderne visione”.
E ancora, poi, il presidente dell’Enpap, l’ente nazionale di previdenza per gli psicologi, Felice Damiano Torricelli: “La comunità  scientifica degli psicologi ha raggiunto da tempo il consenso sul principio che non sussistono significative differenze tra figli di genitori omosessuali e figli di genitori eterosessuali”.
La ricerca “a livello internazionale — assicura — dimostra che non esistono differenze significative legate all’orientamento di genere nella capacità  di essere genitori” e “ha chiarito, in studi numerosi ed approfonditi che la qualità  dello sviluppo dei bambini è indipendente dal fatto che i genitori siano conviventi, separati, single, risposati o dello stesso sesso”.
“I pediatri sono al servizio dei bambini, non delle ideologie. Ritengo che le recenti dichiarazioni del collega Giovanni Corsello, non vadano nella direzione che i pediatri si auspicano e che è quella di potersi prendere cura dei loro pazienti a prescindere da quella che è la cultura, l’orientamento, le convinzioni della famiglia di origine”, conclude il presidente dell’osservatorio Paidoss e della Società  italiana dei medici pediatri, Giuseppe Mele.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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GIULIO, IL CORPO E’ IN MANI ITALIANE: CONFERMATE LE FERITE DA TORTURA, CORPO SEMINUDO E COLPO ALLA TESTA

Febbraio 4th, 2016 Riccardo Fucile

I DEPISTAGGI DELLA POLIZIA EGIZIANA E GLI INTERESSI ECONOMICI: L’ITALIA ORA ESIGA GIUSTIZIA SENZA SE E SENZA MA

Il corpo di Giulio è ora in mano italiane. In questo tristissimo giallo è un punto di partenza e non di arrivo.
Perchè purtroppo solo analizzando il corpo dello studente di Cambrdige – in maniera obiettiva – si potrà  capire qualcosa su cosa è successo veramente a Regeni negli ultimi istanti della sua vita. Il percorso italiano per avere chiarezza sulla morte di questo “figlio che tutti avrebbero voluto avere” è però pieno di insidie e incastrato in una partita politica-economica di delicati rapporti fra Egitto e Belpaese.
La giornata di ieri ci ha restituito il cadavere del ragazzo, ritrovato in un fosso lungo la strada Cairo-Alessandria, quella di oggi fornisce un dubbio dopo l’altro.
Di Giulio, dottore laureato ad Oxford e dottorando al Cairo per la sua tesi economica, non si avevano più notizie certe dal 25 gennaio.
E’ stato ritrovato ieri mattina: cosa è successo in quei 9 giorni?
Giulio è morto poco dopo la sua scomparsa? Oppure è stato “sequestrato” da qualcuno fino al ritrovamento su quella strada di passaggio continuo?.
Prime domande, zero risposte.
Le altre seguono la cronaca: dopo l’annuncio del ritrovamento e le condoglianze del ministro Gentiloni, ancor prima dell’autopsia, la polizia, per bocca del generale Khaled Shalabi si è affrettata a dire che si trattava di un incidente e che non c’erano segni di “arma da taglio o da fuoco”. Falso.
La procura egiziana, che ora collaborerà  nelle indagini con quella italiana (un team di sette uomini di polizia, carabinieri e Interpol arriverà  domani al Cairo), ha dichiarato che sul corpo del 28enne friulano sono stati trovate ferite da coltello, bruciature di sigaretta, lividi, abrasioni, che occhio e orecchio sono sfregiati – o colpiti da pugno – e che le ferite si trovano anche sul dorso di Giulio. Inoltre era seminudo.
Un quadro da “tortura”. Una morte avvenuta infine per “un forte colpo alla testa vibrato con un corpo contundente”.
La polizia ha successivamente descritto la possibilità  che il ragazzo fosse vittima di una rapina, ipotesi che non regge affatto.
I segni sul corpo di Regeni parlano di qualcosa di più: chi lo ha ridotto così e per quanto tempo Regeni è stato in mano a qualcuno?
Perchè la polizia egiziana e ancor più i servizi hanno depistato le prime notizie? Chiederselo è lecito.
Anche perchè il clima di quei giorni, quelli di dicembre e gennaio, anniversario della rivolta d’Egitto anti Mubarak, è uno scenario da tener presente: secondo l’Ong ECFR in due mesi sono sparite 340 persone, fatto ricordato anche dal Nyt.
Poteva in qualche modo Giulio rientrare in discorsi di repressione politica?
Regeni era al Cairo per la tesi ma – collaboratore del Manifesto su cui firmava con uno pseudonimo per proteggere la sua incolumità  – stava anche raccogliendo materiale e scrivendo articoli su sindacati e condizioni dei lavoratori.
Parlava l’arabo, faceva domande. Anche all’opposizione. Un conoscente conferma ad Al Ahram che aveva inviato più mail per avere contatti con sindacati e attivisti. Contatti che gli servivano per scrivere.
Questo non basta a ipotizzare nessun tipo di coinvolgimento ma Giulio – e lo dimostra lo pseudonimo – era attento a quello che faceva perchè voleva garantire la sua sicurezza e quella delle sue fonti.
Quando è sparito, le ultime notizie fornite dai compagni di stanza già  interrogati, si stava recando ad una festa. Poi gli appelli per ritrovarlo e il dolore, lancinante, della famiglia: è stato riconosciuto all’obitorio da alcuni compagni e il suo corpo era in pessime condizioni.
Ora quella salma è all’ospedale Umberto I del Cairo. Da lì e dagli esami che verranno fatti si potrà  capire meglio, trovare la verità  ed evitare balletti diplomatici sul corpo di questo splendido italiano.
Perchè come ha detto il presidente Mattarella questa morte “non deve restare impunita”.
Una morte dubbia, che si inserisce in rapporti a triplo filo fra Italia-Egitto: la stretta collaborazione fra i due paesi; gli interessi economici con in primis il neo giacimento di Nooros scoperto da Eni e i progetti di centrali idroelettriche e scambi commerciali; e infine la questione militare libica, dove l’Egitto è già  impegnato in Libia nella battaglia contro l’Isis.
In questi delicati intrecci diplomatici ora Palazzo Chigi è chiamato a raccogliere la sfida di fare chiarezza, in un Paese fortemente criticato per le azioni di polizia, su questo atroce omicidio.
Il presidente egiziano Al Sisi, citando anche l’importanza dei rapporti politico-economici con l’Italia, ha assicurato telefonicamente al premier Matteo Renzi di aver ordinato al ministero dell’Interno e alla Procura generale di “perseguire ogni sforzo per togliere ogni ambiguità ” e “svelare tutte le circostanze” sulla scomparsa dello studente. “L’Italia – ha detto -troverà  una cooperazione costruttiva da parte delle autorità  egiziane”.
All’Italia è richiesta una prova di forza limpida e decisa: è l’unico degno fiore di condoglianze che può offrire a mamma Paola e papà  Claudio.

(da “Huffingtonpost”)

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ALDO MORO, “NELL’AUTOPSIA C’ERA LA FIRMA DEL KILLER, MA IL CAPPELLANO TACQUE”

Febbraio 4th, 2016 Riccardo Fucile

LA RIVELAZIONE DI DON FABBRI ALLA COMMISSIONE PARLAMENTARE RIAPRE IL CASO: ERA LA “FIRMA” DI UN EX DETENUTO CHE CONOSCEVA BENE…MA IL CAPPELLANO “FECE UN ACCORDO CON ADREOTTI” PER ESSERE TENUTO FUORI DALLA VICENDA… SEGRETATE LE RIVELAZIONI SUI 10 MILIARDI RACCOLTI DA PAOLO VI PER LIBERARE IL PRESIDENTE DC

“Studiate l’autopsia, lì c’è la firma del killer di Aldo Moro“.
L’audizione di don Fabio Fabbri, il braccio destro del cappellano delle carceri Cesare Curioni, scorreva liscia, interessante ma senza particolari novità .
La trattativa voluta da Paolo VI; il misterioso intermediario, forse due, che Curioni incontrava quasi sempre a Napoli, nelle toilette della metropolitana, qualche volta andò anche al Nord; i 10 miliardi raccolti dal Papa — “non erano soldi dallo Ior, questo lo so per certo”, dice Fabbri in uno dei passaggi che fin lì si annuncia come il più intrigante, tanto che la seduta per qualche minuto viene segretata (in serata in presidente Fioroni farà  sapere che Fabbri ha fornito notizie utili per identificare la provenienza di quei soldi); l’interruzione dei contatti che, per tutta la durata del sequestro furono intensi, almeno una volta alla settimana; l’agente segreto “Gino“, che lo segue durante i 55 giorni, e poi incontra anche dopo: non sa il suo nome ma dà  tutte le indicazioni per rintracciarlo, “era lo zio di una donna di cui ho celebrato il matrimonio”.
Ma ecco che, passata una buona oretta dall’inizio, il sacerdote fa un leggero movimento sulla sedia e dice: “A questo punto ve lo devo dire: ma l’avete guardata bene l’autopsia?”.
Silenzio in sala, come si suol dire. Fabbri prende a spiegare che il primo a cui furono mandate le foto dell’autopsia, proprio appena fatta, fu proprio Curioni: “Io ero lì con lui, come sempre, le guardammo insieme, in tutto erano 5, 6, forse 8. Si vedeva in modo chiaro che sei colpi erano stati sparati attorno al cuore di Moro, fotografato separatamente. Curioni ebbe un sussulto, ‘io conosco il killer, è un professionista, quella è la sua firma”.
Bisogna tener presente, per cogliere il peso di questo inedito ricordo (ebbene sì, dopo 38 anni) che monsignor Curioni conosceva molto bene il mondo dei penitenziari italiani: sin dal periodo dell’attentato a Togliatti (14 luglio 1948), aveva una intensa attività  e frequentissime relazioni dentro le carceri italiane, ne respirava l’aria, conosceva bene i suoi abitanti, captava gli umori, sentiva le confidenze.
Ebbene di quell’uomo, il killer di professione, si parlava nell’ambiente criminale, e le dicerie erano rimbalzate anche al suo orecchio: tra quelle più macabre c’era il particolare di quella firma, i sei colpi attorno al cuore.
Curioni nel tempo aveva messo ben a fuoco l’identità  di quell’inquietante personaggio perchè lo aveva conosciuto in passato, quando era ancora solo un piccolo delinquente e venne portato al Beccaria, il carcere minorile di Milano.
Forse negli anni aveva avuto qualche altra notizia di lui, sapeva che era stato a lungo all’estero.
Fino a quel giorno in cui vede il cuore di Moro e crede di riconoscere quella firma. La scena finisce qui. L’audizione è finita. C’è una nuova pista da seguire.
Ma sarà  possibile trovare riscontri, fare qualche passo in avanti più concreto? Avrà  mai un volto questo killer? Vedremo, forse ci saranno sviluppo investigativi.
L’inchiesta va avanti, ma che amarezza quella frase del sacerdote, persa tra l’immagine di un cuore colpito a morte e quella di killer maniacale: Fabbri svela che ci fu un “successivo accordo tra Andreotti e don Cesare che aveva chiesto al presidente del Consiglio la garanzia che non sarebbe mai stato chiamato a parlare del suo coinvolgimento nel caso Moro. Una richiesta che venne accolta dal presidente Andreotti”.

Stefania Limiti
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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“IN EGITTO 340 CASI DI SPARIZIONE FORZATA NEGLI ULTIMI DUE MESI”: LA DENUNCIA DELLE ONG

Febbraio 4th, 2016 Riccardo Fucile

IL GOVERNO EGIZIANO NEGA SEMPRE OGNI AVVENIMENTO

Il ministro del Esteri Paolo Gentiloni già  mercoledì aveva espresso la necessita di un’inchiesta congiunta sulla morte di Giulio Regeni, il ricercatore dell’Università  di Cambridge scomparso la sera del 25 gennaio al Cairo e ritrovato morto nella periferia della capitale.
Ma tra gli analisti politici, nonostante si mostri una certa cautela, serpeggia il timore che arrivare a una verità  sarà  difficile.
I fattori che remano contro il raggiungimento della verità  ufficiale, dalla dinamica della sparizione di Regeni alla sua morte sono molteplici.
Regeni viveva nel quartiere di Behoos a pochi chilometri di distanza da piazza Tahrir e la sua scomparsa è avvenuta mentre si spostava verso il centro. Come sia potuto arrivare nella periferia della capitale, nel quartiere del 6 ottobre, resta un mistero.
Non ci sono prove che questa vicenda sia legata al clima politico di repressione, ma negli ultimi due mesi i casi di sparizioni di attivisti e dissidenti del regime hanno segnato dei numeri mai visti prima.
Il gruppo indipendente ECFR (Egyptian Commission for Rights and Freedoms) lo scorso dicembre parlava di 340 casi di sparizione forzata negli ultimi due mesi, una media giornaliera di tre casi al giorno.
Human Rights Watch, inoltre ha definito il regime di Abdel Fattah Al Sisi, l’ex capo delle forze armate che nel 2013 depose il presidente islamista Mohammed Morsi e poi divenne presidente l’anno successivo, il più repressivo che l’Egitto abbia mai visto.
Altro fattore è la tendenza del governo egiziano a negare qualsiasi avvenimento che possa mettere in difficoltà  la credibilità  dell’Egitto all’opinione pubblica straniera.
Se il caso di Regeni fosse legato a un coinvolgimento delle forze di sicurezza o dell’intelligence del Cairo, anche se al momento non ci sono prove per dimostrarlo, il governo egiziano potrebbe non ammetterlo mai.
Lo dimostrano altri avvenimenti. Il più recente è quello legato alla tragedia dell’aereo russo precipitato in Sinai agli inizi di novembre. Le inchieste portate avanti da alcuni paesi europei e dalla Russia confermano l’ipotesi di una bomba.
Ipotesi che coincide con la rivendicazione arrivata dalla Wylat al Sinai, il gruppo jihadista che nel 2014 ha giurato fedeltà  allo Stato Islamico. Gli unici a negare questa versione restano le autorità  del Cairo.
Nell’autunno 2013 un cittadino francese venne arrestato nel ricco e centrale quartiere di Zamalek perchè circolava in stato di ebrezza durante il coprifuoco imposto dalle autorità  dopo lo sgombero del sit- in di Rabaa Al Adaweya. Anche qui non si è mai giunti alla verità .
La versione iniziale delle autorità  egiziane parlava di una morte causata dai suoi compagni di cella, ma in realtà  il presunto coinvolgimento delle autorità  egiziane non è mai stato accertato.
Ora in ballo ci sono i rapporti diplomatici e commerciali tra Roma e il Cairo.
Per il presidente Al Sisi l’Italia è un importante alleato politico e economico, essendo il primo partner commerciale dell’Egitto in Europa ed il terzo a livello mondiale (dopo Cina e Usa). Secondo i dati riportati dalla Farnesina, la maggior parte delle esportazioni egiziane riguardano il petrolio mentre per le esportazioni italiane sono in prevalenza rappresentati da “componente macchinari e beni strumentali”.
In base ai dati dell’Istat, nel 2014 l’interscambio tra i due paesi è ammontato a 5.180 milioni di euro (+9,9%). Le esportazioni italiane verso l’Egitto si sono attestate a 2.784 milioni di euro, mentre le importazioni italiane dall’Egitto sono state di 2.369 milioni di euro.
Il saldo, positivo per l’Italia, solo lo scorso anno è stato di 388 milioni di euro.
Ieri la visita al Cairo del ministro per la cooperazione Federica Guidi è stata sospesa dopo la notizia del rinvenimento del corpo. La Guidi poco prima del ritrovamento di Regeni aveva incontrato il presidente Sisi rimarcando le ottime relazioni economiche con il paese e l’intenzione di espandere gli investimenti.
Ammettere che la morte del giovane ricercatore sia responsabilità  dello stato egiziano potrebbe essere dunque motivo di gran imbarazzo anche di fronte alle imprese italiane che hanno investimenti enormi nel paese.
A partire dall’Eni che presto investirà  circa 10 miliardi di dollari per lo sfruttamento integrale del maxi-giacimento gasiero Zohr 1, da poco scoperto nella acque territoriali egiziane.
Al Cairo la vasta comunità  italiana osserva un religioso silenzio e chiede verità  per una morte che al momento sembra non avere nessuna spiegazione.

Laura Cappon
(da “il Fatto Quotidiano”)

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“LAVORAVA CON NOI, AVEVA PAURA”: GIULIO REGENI COLLABORAVA CON “IL MANIFESTO” SOTTO PSEUDONOMO

Febbraio 4th, 2016 Riccardo Fucile

SI FA STRADA L’IPOTESI DI UN COINVOLGIMENTO DELLE FORZE DI SICUREZZA EGIZIANE   NELL’OMICIDIO DEL GIOVANE RICERCATORE ITALIANO

Sale la tensione tra Roma e il Cairo sul caso della morte di Giulio Regeni, lo studente italiano scomparso la notte del 25 gennaio al Cairo e ritrovato mercoledì.
Se in mattinata era stato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni a interfacciarsi con le autorità  egiziani, ora sulla questione è intervenuto Matteo Renzi: il presidente del Consiglio ha sentito nel pomeriggio il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi al quale ha rappresentato l’esigenza che il corpo del ricercatore sia presto restituito alla sua famiglia e all’Italia e che sia dato pieno accesso ai nostri rappresentanti per seguire da vicino, nel quadro dei rapporti di amicizia che legano Italia ed Egitto, tutti gli sviluppi delle indagini per trovare i responsabili di questo orribile crimine ed assicurarli alla giustizia.
Il presidente egiziano ha risposto al premier dicendo di aver ordinato al ministero dell’Interno e alla Procura generale di “perseguire ogni sforzo per togliere ogni ambiguità ” e “svelare tutte le circostanze” della morte di Regeni.
L’Italia “troverà  una cooperazione costruttiva da parte delle autorità  egiziane”.
Cominciano a emergere particolari sugli ultimi minuti in cui Regeni è stato visto vivo. Giuseppe Acconcia, collaboratore del Manifesto con il quale collaborava anche Regeni, ha raccontato a Radio Popolare che il ricercatore aveva preferito non firmare gli articoli perchè “aveva paura per la sua incolumità ”.
“Giulio si occupava soprattutto di movimenti operai e di sindacalismo indipendente”, ha raccontato Acconcia, dunque era in contatto con esponenti dell’opposizione egiziana.
Acconcia ha raccontato anche della testimonianza di una cronista locale che avrebbe visto uno straniero arrestato alla fermata della metropolitana di Giza, nel quartiere dove Regeni viveva, luogo in cui nel 2013 — proprio nell’anniversario della rivoluzione di piazza Tahrir del 2011 — si erano verificate manifestazioni contro il regime di Mubarak. “Può essere che Giulio fosse andato lì proprio per vedere se ci fossero ancora manifestazioni”, ha raccontato il giornalista.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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“TORTURATO, MORTE LENTA”: SULL’OMICIDIO DI REGENI SCOPPIA IL CASO DIPLOMATICO CON L’EGITTO

Febbraio 4th, 2016 Riccardo Fucile

PER LA POLIZIA “NESSUN CRIMINE, SOLO UN INCIDENTE STRADALE”, PER I MAGISTRATI DI GIZA “FERITE DA COLTELLO E BRUCIATURE”… L’ITALIA CONVOCA L’AMBASCIATORE EGIZIANO E PRETENDE INDAGINE COMUNE… SOSPESA UNA MISSIONE COMMERCIALE ITALIANA

Procura e polizia dicono due cose opposte.
Il cadavere di Giulio Regeni, lo studente italiano scomparso la notte del 25 gennaio al Cairo e ritrovato mercoledì, “presenta chiari segni di percosse e torture“, è emerso dalle indagini della procura di Giza, che ha disposto l’autopsia sul corpo per accertare le cause del decesso.
Stando alle indagini preliminari, è probabile che dietro al decesso di Regeni vi sia un “movente criminale“, riporta il sito del quotidiano egiziano Youm 7.
Una fonte dell’ufficio della procura generale egiziana ha fatto sapere che, esaminando il corpo, i procuratori al Cairo hanno trovato segni di accoltellamento sulle spalle e tagli su un orecchio e sul naso, ma anche “contusioni accanto agli occhi, come se fosse il risultato di un “pugno“.
Parlando all’Associated Press il procuratore ha parlato di “segni di una morte lenta“. E ora i pm hanno “ordinato di interrogare immediatamente gli amici dello studente italiano”.
Di segno diametralmente opposto le parole del direttore dell’Amministrazione generale delle indagini di Giza, il generale Khaled Shalabi, secondo cui “non c’è alcun sospetto crimine dietro la morte del giovane’.
In dichiarazioni esclusive al sito, il generale “ha indicato che le indagini preliminari parlano di un incidente stradale e ha smentito che Regeni “sia stato raggiunto da colpi di arma da fuoco o sia stato accoltellato”.
Anche una fonte della sicurezza della prefettura di Giza, la circoscrizione amministrativa che copre la parte ovest dell’area metropolitana del Cairo dove è stato rinvenuto il corpo di Regeni, ha in dichiarazioni all’Ansa ha sostenuto “che non c’è alcun sospetto di atto criminale dietro la sua morte”.
Tra Roma e il Cairo sale la tensione.
“Chiediamo fermamente all’Egitto che le autorità  italiane possano collaborare alle indagini sulla morte del nostro connazionale al Cairo — ha detto a Londra il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni a margine della conferenza dei donatori sulla Siria — perchè vogliamo che la verità  emerga fino in fondo”.
La Farnesina ha convocato l’ambasciatore egiziano.
Su indicazione del Ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni, il Segretario Generale della Farnesina Michele Valensise ha convocato oggi con urgenza Amr Mostafa Kamal Helmy per esprimere “lo sconcerto del Governo italiano per la tragica morte del giovane Giulio Regeni al Cairo”.
Valensise “ha sottolineato che l’Italia si attende dalle autorità  egiziane la massima collaborazione a tutti i livelli, alla luce della eccezionale gravità  di quanto accaduto al nostro connazionale e dei tradizionali rapporti di amicizia e vicinanza tra i due Paesi”. Helmy “ha assicurato che l’Egitto fornirà  la massima collaborazione per individuare i responsabili di questo atto criminale“, si legge in una nota.
Valensise, da parte sua, ha chiesto “che il corpo del giovane Regeni sia al più presto rimpatriato in Italia”. Anche il Cairo, da parte sua, ha convocato il rappresentante italiano Maurizio Massari.
Ma la tensione è altissima.
La morte di Regeni ha causato la sospensione della missione commerciale di circa 60 aziende e dei rappresentanti di Sace, Simest e Confindustria organizzata dal ministero dello Sviluppo Economico. La missione è guidata dal ministro Federica Guidi, che aveva in programma incontri con il Presidente della Repubblica Abd al-Fattah Al-Sissi, il Primo Ministro Sherif Ismail, tutti i ministri economici, l’Autorità  del Canale di Suez e altri interlocutori.
Incontri intesi a delineare i contenuti del vertice governativo che il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha annunciato voler tenere a breve, sempre in Egitto.
Si sa molto poco degli ultimi minuti, poco prima delle 20 di quel lunedì, in cui Regeni era sicuramente vivo, come riportato da alcune fonti: il giovane stava andando a trovare amici per un compleanno (circostanza confermata da un suo amico, Omar Aassad).
Si stava spostando a piedi tra il quartiere di El Dokki, sulla sponda sinistra del Nilo, e il centro che è su quella destra, diretto dalla stazione della metropolitana di Bohoot a quella di Bab Al Louq, circa 5 km in linea d’aria più a ovest, nei pressi di piazza Tahrir.
Sempre Al Watan riporta nella sua edizione online che il corpo è stato trovato nella zona di Giza lungo la cosiddetta Desert road che va dal Cairo ad Alessandria.
Finora non c’è nessuna ipotesi ufficiale sulla matrice del delitto di cui è stato vittima il dottorando di Cambridge che, da settembre, abitava in un appartamento del Cairo per scrivere una tesi sull’economia egiziana presso l’American University.
A far temere il peggio erano state martedì scorso fonti del Cairo che avevano escluso l’ipotesi della scomparsa del ragazzo per un errore dei servizi di sicurezza egiziani compiuto proprio il 25 gennaio, anniversario della rivoluzione anti-Mubarak di piazza Tahrir, sempre accompagnato da disordini e arresti.
Prima dell’anniversario la polizia aveva fermato diversi attivisti ed era stato chiesto di non manifestare. Quel giorno infatti non hanno avuto luogo proteste significative. Fonti della sicurezza egiziana hanno fatto sapere che il ministero dell’Interno non commenterà  sul caso fino alla conclusione delle sue indagini.
Oltre alla teorica possibilità  di un depistaggio, restava dunque in piedi l’ipotesi di un rapimento per estorsione: a sfondo economico, in caso di criminalità  comune; o “politico”.
Per non azzardare conclusioni affrettate, una fonte della sicurezza locale aveva sostenuto che la scomparsa sarebbe potuta essere legata a non meglio precisati “motivi personali“.
Visto il luogo del ritrovamento del cadavere è verosimile, ma siamo nel campo delle possibilità , ipotizzare anche l’esito di una rapina andata male.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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LE DONNE SI RIPRENDONO COLONIA: E’ IL GIORNO DEL “WEIBERFASTNACHT”

Febbraio 4th, 2016 Riccardo Fucile

DOPO LE VIOLENZE DI CAPODANNO ARRIVA IL CARNEVALE BLINDATO… OGNI ANNO UNA MEDIA DI 50 REATI A SFONDO SESSUALE, ANCHE SENZA GLI IMMIGRATI

Ore 11.11, piazza dell’Alter Markt a Colonia.
Parte il Weiberfastnacht, il Carnevale delle donne, l’appuntamento che dà  tradizionalmente il via a quello che viene considerato come il Carnevale per antonomasia in Germania insieme a quelli di Dusseldorf e Mainz.
Non è però un Carnevale come tutti gli altri. Dopo lo sgomento seguito alla notte di Capodanno, quando centinaia di donne furono circondate e molestate da gruppi di immigrati nella piazza davanti alla stazione centrale, la città  è blindata e il clima è teso.
All’allerta terrorismo, che ormai caratterizza gli eventi pubblici in ogni parte d’Europa, si aggiunge il timore che simili violenze possano accadere di nuovo.
D’altro canto, negli anni scorsi sono stati denunciati in media 50 reati a sfondo sessuale nel periodo fra il Weiberfastnacht e la fine del carnevale.
Per questo è stato raddoppiato il numero degli agenti, oltre duemila; è stata potenziata la videosorveglianza, migliorata l’illuminazione, installato nei pressi del Duomo un “security point” per le donne vittime di molestie o minacce.
Colonia è mobilitata per evitare che si ripeta quanto accaduto durante i festeggiamenti per il nuovo anno. Si sono moltiplicati gli sforzi per spiegare le usanze del Carnevale ai migranti arrivati da poco nella città  della Renania.
Il Comitato organizzatore ha diffuso un opuscolo, in tedesco, inglese e arabo, e la Caritas ha messo in piedi un corso accelerato di Carnevale per i migranti, a cui ha partecipato un centinaio di persone: si arriva a spiegare che un bacio furtivo sulla guancia o anche sulle labbra che le donne scambiano con conoscenti o sconosciuti non va interpretato come una proposta di matrimonio, si invita a non essere invadenti o insistenti.
Il Messaggero ha lanciato l’iniziativa #tutteaColonia. Il “tutte a Colonia” – scrive Maria Latella – invia un messaggio ben diverso dal semplice “prendiamoci la città  e divertiamoci”: le donne, a Colonia e altrove, non hanno intenzione di cambiare i loro programmi.
All’iniziativa ha aderito, tra le altre, la vicepresidente del Senato Valeria Fedeli:
“Andare a Colonia il 4/5 febbraio è un atto di europeismo forte, vuol dire andare a difendere nello stesso tempo i valori dell’accoglienza, della tolleranza e del rispetto, che fanno del nostro continente un faro di civiltà , ma vuol dire anche chiedere che i temi posti dall’immigrazione, dal mescolarsi di culture spesso molto diverse, da forme ed equilibri di convivenza che dobbiamo costruire giorno dopo giorno, non vengano espulsi dall’agenda politica una volta spentisi i riflettori su queste violenze”.
Il Weiberfastnacht è considerato uno dei dieci carnevali più insoliti del mondo, come spiega l’Ansa:
Tagli di cravatta e lanci di rose dai carri sono i gesti che contraddistinguono il Carnevale della grande città  sul Reno, più simile a una parata storica che a una festa in maschera.
Quest’anno il Carnevale di Colonia, che risale al Medioevo, inizia il 4 febbraio con l’immancabile festa delle donne che al grido di Kà¶lle Alaaf! tagliano le cravatte ai malcapitati uomini, chiedendo loro un bacio sulla guancia.
La Weiberfastnacht dà  l’avvio al periodo carnevalesco chiamato “Quinta stagione dell’anno”, che terminerà  il 10 febbraio, mercoledì delle ceneri, con l’immancabile e benaugurante banchetto a base di pesce.
Sempre il giorno d’apertura vengono nominati i protagonisti del Carnevale: il “Principe”, il “Fante” e la “Vergine” che ricevono le chiavi della città  e aprono ufficialmente i festeggiamenti.
Da allora, di giorno e di notte, è un susseguirsi di cortei e sfilate in costume per le strade e nei locali; tra gli appuntamenti più attesi c’è il raduno di sabato in piazza Neumarkt, dove tra balli, maschere e gustose pinte di birra si assiste alla sfilata storica degli uomini vestiti con le giubbe rosse, che ricordano i soldati di Colonia.
Il momento clou del Carnevale, tuttavia, è il “lunedì delle rose”, Rosenmontag, quando un corteo di migliaia di persone attraversa la città  su carri allegorici da cui lanciano rose e dolci alla gente assiepata dietro le transenne.
Il martedì grasso, penultimo giorno di Carnevale, si assiste al rogo del Nubbel, uno spaventapasseri di paglia che rappresenta l’inverno, tenuto appeso in diverse birrerie della città  e solo alla fine esposto in piazza per essere bruciato.

(da “Huffingtonpost”)

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