Febbraio 13th, 2016 Riccardo Fucile AGENTI EGIZIANI OSSERVANO E FOTOGRAFANO PER METTERE PRESSIONE A GIORNALISTI E TESTIMONI…L’AMBASCIATA ITALIANA PREOCCUPATA PER L’INCOLUMITA’ DI ALTRI CONNAZIONALI
Giovedì pomeriggio. Un bar nella downtown del Cairo.
Al tavolo con il cronista c’è un avvocato che da anni si batte per i diritti umani. Si parla dell’omicidio di Giulio Regeni e delle tante storie dei desaparecidos di questo paese: in mano ha un dossier e le sentenze che testimoniano le condanne di Khaled Shalaby, alla guida delle investigazioni sul caso Regeni, accusato di aver torturato un uomo in prigione.
Al tavolo accanto tre persone guardano e scattano fotografie. Uno alto e magro, con le cuffiette sempre nelle orecchie, 30 anni non di più, una camicia bianca; l’altro più giovane, capelli molto neri e un marsupio; il terzo, 40 anni almeno, molto alto e una maglietta verde acceso.
L’attivista li conosce. E li riconosce. Dice che sono agenti in borghese. Sorride e – mentre racconta il coprifuoco imposto al Cairo il 25 gennaio, anniversario degli scontri di piazza Tahrir e giorno della sparizione di Giulio – piazza al tavolo accanto una battuta riuscita: “Visto che scattate tutte queste foto, facciamo un selfie di gruppo?”.
È questa l’aria che si respira nell’Egitto di Al Sisi, Paese di falsi amici.
Cronisti seguiti. Egiziani ma anche italiani molto impauriti. Lo racconta bene una ragazza, che lavora nel mondo della cooperazione, che spiega come, tra loro, gli italiani si siano dati un registro di comportamenti: “Se qualcuno non risponde per più di due ore a un messaggio, ci attiviamo per cercarlo. Abbiamo un numero diretto con un funzionario dell’ambasciata: siamo molto preoccupati”, spiega.
E dall’ambasciata non possono far altro che confermare: “La situazione è difficilissima – dice un alto funzionario – Abbiamo invitato tutti alla massima cautela, noi stiamo facendo il massimo ma più di così…”.
Per dire sono stati costretti in tutta fretta a mettere su un aereo i due testimoni chiave del caso Regeni, gli amici di Giulio, per portarli “al sicuro” in Italia.
Oppure a stringersi in spallucce quando uno di quei tre egiziani seduti al caffè – quello in camicia – si ripresenterà qualche ora dopo nella hall dell’albergo dove alloggiano i cronisti italiani, a gironzolare attorno al tavolo in cui è seduto proprio un funzionario dell’ambasciata.
L’egiziano non è solo. Alle spalle c’è un ragazzo con la maglia bianca e la barbetta incolta che fuma narghilè e scatta foto con l’Iphone.
Mentre dopo poco si avvicina un signore distinto, alto, magro e baffetto bianco, che fa finta di ammirare come fosse un’opera d’arte il telo in plastica appeso sul muro accanto. E poi, prima di allontanarsi, si premura di controllare cosa ci sia sul tavolo.
Una presenza, quella degli agenti (o chi per loro) egiziani, talmente evidente da essere quasi comica. Che ha una sola palese intenzione: mettere pressione. Ai testimoni. Ma, evidentemente, anche a chi prova a raccontare questa storia.
Per dire, un bravissimo cronista americano che mercoledì, insieme con alcuni giornalisti italiani, aveva fatto domande nel condominio dove viveva Giulio raccogliendo testimonianze che si sono poi rivelate molto utili all’inchiesta, decide di cambiare programma per il weekend. “Vado via per qualche giorno dall’Egitto…”, scrive.
Come si fa a lavorare così? “È impossibile, capisco: ma in una situazione come questa non possiamo garantire nulla”, spiega un funzionario dell’ambasciata dove, pure, in questi giorni stanno facendo il possibile.
Proprio loro che, qualche giorno fa, brindavano all'”Egitto Paese amico” e a quel “vertice governativo che il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha annunciato di voler tenere” per usare le parole, al Cairo, del ministro Federica Guidi mentre un centinaio di imprenditori festeggiavano i loro nuovi affari con il governo egiziano.
Lo stesso che, poche ore dopo, permetterà all’orrore di mangiare Giulio.
Giuliano Foschini
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 13th, 2016 Riccardo Fucile IL RAPPORTO ORMAI SEGNATO DALLE GAFFE E DALLO SCONTRO SULLA ECCESSIVA INGERENZA DELLA CHIESA ITALIANA NELLA POLITICA DEL PAESE
Dopo Scola, Papa Francesco dà buca anche a Bagnasco. 
Dopo aver annullato la visita a Milano programmata per il 7 maggio 2016, a settembre Bergoglio non sarà a Genova per il 26esimo Congresso eucaristico nazionale.
“È ormai una decisione ufficiale”, ha affermato il cardinale Bagnasco. “Abbiamo atteso e sperato che il Papa potesse rispondere positivamente alle nostre richieste, — ha aggiunto il porporato — ma purtroppo me lo ha comunicato e anche lui naturalmente è dispiaciuto, però gli impegni all’estero, in modo particolare, gli impediscono questa presenza. Sarà comunque presente spiritualmente con la sua preghiera e noi con la nostra accanto a lui”.
Erano oltre 20 anni che un Papa non disertava questo importante appuntamento della Chiesa italiana. Benedetto XVI non vi aveva mancato mai. San Giovanni Paolo II soltanto una volta, nel 1994, in 27 anni di pontificato.
Il motivo della decisione di Francesco? Ufficialmente perchè il Papa non vuole fare visite pastorali in Italia durante il Giubileo, ma in realtà , essendo quello di Genova un appuntamento della Cei, Bergoglio vuole ancora di più sottolineare la distanza con la Chiesa italiana e Bagnasco anche per la sua continua ingerenza nella vita politica in particolare sulle unioni civili.
Non a caso il Papa non ha ricevuto il presidente della Cei alla vigilia del primo Consiglio episcopale permanente del 2016 dove al centro del dibattito c’era il tema delle unioni civili e del ddl Cirinnà che vuole regolarle disciplinando anche l’istituto delle adozioni.
Nella prolusione a quella riunione Bagnasco si limitò a citare le parole che Bergoglio aveva rivolto pochi giorni prima alla Rota Romana sottolineando chiaramente che “non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione“. Posizione presente anche nella dichiarazione congiunta che Francesco e Kirill hanno firmato nel loro storico incontro a L’Avana: “Il matrimonio è una scuola di amore e di fedeltà . Ci rammarichiamo che altre forme di convivenza siano ormai poste allo stesso livello di questa unione, mentre il concetto di paternità e di maternità come vocazione particolare dell’uomo e della donna nel matrimonio, santificato dalla tradizione biblica, viene estromesso dalla coscienza pubblica”.
La distanza tra il Papa e Bagnasco in merito alle unioni civili non è, dunque, sulle posizioni — che coincidono esattamente — ma sui metodi per esprimerle e in particolare sull’ingerenza nella vita politica del Paese del presidente della Cei che negli ultimi giorni è arrivato perfino a chiedere il voto segreto in Parlamento sul ddl Cirinnà dando indicazioni procedurali dirette alla politica.
In questo modo si è registrata anche la distanza tra il porporato e il numero due della Chiesa italiana, monsignor Nunzio Galantino, che ha, invece, preferito il silenzio: “Per rispetto del Parlamento e delle istituzioni preferisco non parlare”.
Nel 2010 l’allora cardinale Bergoglio si oppose alla legge argentina che equipara il matrimonio alle unioni gay sostenuta dalla presidentessa Cristina Fernà¡ndez de Kirchner. Ma lo fece sempre dal pulpito, invitando alla preghiera, mai dalla piazza.
E nonostante ciò i suoi non pochi critici, anche all’interno della Chiesa argentina, attribuirono alla sua opposizione l’approvazione della legge definendo l’azione del futuro Papa come un vero e proprio “errore strategico”.
La distanza tra Francesco e Bagnasco è, invece, nota da tempo, fin dalla sera dell’elezione con il telegramma di auguri della Cei a “Papa Scola”.
Una gaffe destinata a incrinare per sempre i rapporti tra Bergoglio e la Chiesa italiana. L’ultima sferzante critica del Papa alla Cei è arrivata a Firenze nel novembre 2015 in occasione del quinto convegno nazionale dei vescovi della Penisola: “Dio protegga la Chiesa italiana da ogni surrogato di potere, d’immagine, di denaro”.
E proprio in quell’occasione Francesco aveva detto ai presuli: “Non dobbiamo aver paura del dialogo: anzi è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in ideologia”.
Nei primi tre anni di pontificato con Bagnasco lo scontro è stato sempre manifesto.
Da quando il Papa ha chiesto ai vescovi di eleggere direttamente il loro presidente, alla decisione di escludere il capo della Cei dalla Congregazione per i vescovi fino a quella di aprire personalmente l’annuale assemblea generale della Chiesa italiana che si svolge a maggio in Vaticano.
Ma Bagnasco non ha mai rinunciato alla “contro prolusione” e al tentativo, invano, di non far aprire al Papa le successive assemblee della Chiesa italiana.
Eppure fino a oggi questa “guerra fredda” tra Francesco e Bagnasco non ha mai portato alle dimissioni del presidente della Cei
Francesco Antonio Grana
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 13th, 2016 Riccardo Fucile LO SFOGO DI UNA STUDIOSA CHE HA VINTO UNA BORSA DI DUE MILIONI: “IN ITALIA NON ESISTE MERITOCRAZIA, SVILUPPERO’ IL MIO PROGETTO IN OLANDA”
«Cara ministra, la prego di non vantarsi dei miei risultati».
Inizia così il duro messaggio di Roberta D’Alessandro, ricercatrice italiana che vive e lavora in Olanda, a Stefania Giannini.
Un autentico sfogo su Facebook indirizzato alla ministra dell’Istruzione, che aveva esultato per il successo degli italiani al prestigioso bando – da oltre mezzo miliardo – dell’European Research Council.
I MILIONI PERSI
Trenta nostri ricercatori (su 302) hanno vinto fino a due milioni di “borsa” a testa. Siamo al terzo posto dietro Inghilterra e Germania, «un’ottima notizia per la ricerca italiana» come evidenziava sui social la ministra.
«Ma quei successi non sono affatto italiani e non deve appropriarsene», ha replicato Roberta D’Alessandro. Un vero e proprio atto d’accusa al sistema dell’istruzione italico. Un autentico autogol per la ministra, che i social hanno subito amplificato.
Il messaggio che aveva pubblicato la ministra Giannini su Facebook
“L’ITALIA NON CI HA VOLUTO”
Guardando i dati, infatti, c’è poco da esultare: soltanto 13 ricercatori resteranno in Italia a sviluppare i loro progetti. La maggior parte di loro lo farà all’estero. Cervelli in fuga per scelta o necessità , che da tempo hanno lasciato il nostro Paese per altri lidi, dove la ricerca è più valorizzata.
«La mia borsa e quella del collega Francesco Berto sono olandesi, non italiane. L’Italia non ci ha voluto, preferendoci, nei vari concorsi, persone che nella lista degli assegnatari dei fondi ERC non compaiono, nè compariranno mai», continua Roberta D’Alessandro.
LO SFOGO AL VETRIOLO
Nel suo j’accuse la ricercatrice si toglie più di un sassolino dalla scarpa, denunciando come la meritocrazia, in ambito accademico, non è tenuta in gran conto in Italia: «Vada a chiedere alla vincitrice del concorso per linguistica informatica al Politecnico di Milano (con dottorato in estetica, mentre io lavoravo in Microsoft), quante grant ha ottenuto. Vada a chiedere alle due vincitrici del concorso in linguistica inglese, senza dottorato, alla Statale di Milano, quanti fondi hanno ottenuto. Vada a chiedere alla vincitrice del concorso di linguistica inglese, specializzata in tedesco, che vinceva il concorso all’Aquila (mentre io lo vincevo a Cambridge, la settimana dopo) quanti fondi ha ottenuto».
Ma, ora, Roberta si è presa una bella rivincita.
Filippo Femia
(da “La Stampa”)
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Febbraio 13th, 2016 Riccardo Fucile IL SINDACO NO, SI LIMITA A CHIEDERE SCUSA… “ERO CONVINTO CHE L’ITER DELLA SANATORIA FOSSE CONCLUSO, INVECE NON E’ COSI'”
Bufera a Bagheria sulle case abusive delle famiglie del sindaco Patrizio Cinque e dell’assessore
all’Urbanistica Luca Tripoli.
Dopo il servizio delle Iene, è arrivato il diniego alla concessione edilizia per la casa costruita nel 2008 dai genitori dell’assessore grillino.
In un video pubblicato sul sito dei Beppe Grillo per lui il sindaco annuncia le dimissioni. Ma lo stesso Cinque è stato coinvolto in prima persona nella polemica perchè l’abitazione nella quale vive con i genitori, realizzata negli anni Ottanta, ancora non è stata sanata e formalmente è abusiva.
Intervistato da Giulio Golia delle Iene il sindaco aveva assicurato che tutte le carte erano “in regola”.
In realtà manca il parere della soprintendeza e, secondo Cinque, visto il ritardo sarebbe scattato il silenzio assenso: “Come probabilmente sapete ci sono stati alcuni servizi sul problema dell’abusivismo a Bagheria – dice sul blog beppegrillo.it – E sono stato tirato in ballo io stesso, con la casa dei miei genitori. Ecco i fatti. Nel 1982, quando ancora non ero neanche nato, la mia famiglia costruisce questa casa che, contrariamente a quanto è stato detto, non ricadeva in una zona con vincolo monumentale e viene avviata la pratica per sanarla. Sono stati ottenuti, dal Comune, i pareri favorevoli necessari e sono stati pagati gli oneri concessori. Ero convinto che l’iter fosse concluso, ma in realtà non è così e quindi ho detto un’inesattezza – di cui mi scuso con i cittadini – affermando che la casa fosse sanata. Quindi ho chiesto io stesso a mio padre di presentare in Comune l’ultimo documento mancante, l’attestazione del silenzio assenso della Sovrintendenza già in suo possesso dal settembre 2012.
Ma a Bagheria, purtroppo, negli uffici tecnici ci sono ben 8000 pratiche di sanatoria, frutto di decenni di governo della città sull’impronta del far west edilizio. Tra queste c’è anche quella che riguarda il papà dell’assessore all’urbanistica.
Gli uffici del Comune, a dimostrazione della loro imparzialità — se mai ce ne fosse stato bisogno — hanno esitato negativamente la sua pratica. L’assessore stesso, per fugare ogni ombra, ha deciso di fare un passo indietro rimettendo la delega. E di questo gli do atto”.
Dal Partito democratico “si prende atto di questa vicenda”: “Apprendo delle dimissioni dell’assessore all’urbanistica Tripoli – dice Daniele Vella – e ritengo che con questo gesto si pone fine ad una vicenda non legata solamente alla questione della bugia sulla casa abusiva di famiglia,ma legata all’opportunità di mantenere in carica un Assessore che in questi quasi due anni di consiliatura ha fatto emergere svariati profili di incompatibilità e su questi ha sempre trovato la inopportuna copertura politica del Sindaco Cinque.
Nel comunicato diramato dal blog di beppe grillo, inoltre,il Sindaco si scusa con i cittadini per la bugia sostenuta rispetto alla questione della sua casa abusiva.Non conosceva le carte. Bene, ne prendiamo atto ed è un passo in avanti rispetto all’arroganza manifestata spesso da questa amministrazione. Adesso la rotta va corretta sugli altri settori in cui emergono gravi carenze :servizio idrico, rifiuti, edilizia scolastica e sicurezza delle scuole,bilancio e servizi al cittadino”.
Antonio Fraschilla
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 13th, 2016 Riccardo Fucile IL PRIMO CITTADINO DI STRONGOLI NON AVEVA MOSSO UN DITO PER IMPEDIRE L’INFRAZIONE
I vigili urbani parcheggiano sul posto dei disabili e reagiscono: “Dov’è il problema? Vai a fare due passi, va”.
Il sindaco poi si scusa per loro, ma gli agenti stavano scarrozzando proprio lui che non ha mosso un dito.
Il video diventa virale, le proteste pure. Foto e filmato sono postati sulla pagina Facebook Fotografa l’impostore. E tanti ce ne sono di impostori.
Stavolta, però, a essere immortalati sono anche i vigili urbani insieme al loro sindaco, proprio i primi che dovrebbero dare l’esempio e fare multe salate a chi parcheggia negli spazi destinati ai disabili.
E’ successo a Catanzaro dove Paolo Faseta, cittadino torinese in trasferta per lavoro, faceva la spesa. Nel parcheggio del centro commerciale Le Fontane s’imbatte in un’auto di vigili in borghese ferma sulle strisce, l’auto è vuota.
Arrivano gli agenti, dipendenti del Comune di Strongoli (in provincia di Crotone), e Faseta gli va incontro armato di telefonino per fargli notare che stanno violando il codice della strada e pure quello civile.
La reazione, però, non contempla scuse ma si fa aggressiva: gli agenti gli rispondono “dov’è il problema? Vai a fare due passi, va’”.
Il video viene postato sulla pagina che stana gli impostori, compresi i tanti che girano con permessi falsi o scaduti. E in poche ore colleziona 850mila visualizzazioni, costringendo il sindaco di Strongoli, Michele Laurenzano (Pd), a scusarsi per la condotta degli agenti.
Da lì arriva anche la prova del sospetto balenato per un momento: che su quell’auto ci fosse anche il sindaco e che non avesse battuto ciglio di fronte alla reazione dei “suoi” agenti. Laurenzano, raggiunto dalla notizia e subissato dai post di protesta, scrive sulla sua bacheca un messaggio di scuse nel quale dà la colpa alla pioggia e all’agente (non a se stesso): “Oggi di ritorno dalla Regione, circa le 14.40, ci siamo fermati per prendere a nostre spese qualcosa da mangiare. Purtroppo, non ci siamo accorti che il vigile aveva parcheggiato sullo spazio per disabili perchè pioveva. Ha sbagliato e ha sbagliato anche per la reazione avuta. Chiedo due volte scusa al posto suo per l’atto scorretto commesso dall’Amministrazione Comunale che gli chiederà conto”.
“Ma lui era proprio lì, e poteva impedirlo. Invece non ha aperto bocca”, rispondono gli utenti inferociti.
Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 13th, 2016 Riccardo Fucile E’ ORA CHE RENZI PARLI… IL MISERABILE SILENZIO DELLA DESTRA ITALIANA E L’OCCASIONE PERSA DA TOTI: IL TRICOLORE LO USI PER RICORDARE TUTTI GLI ITALIANI, NON SOLO I MARO’
“Tre funzionari della sicurezza egiziana coinvolti nelle indagini affermano che Regeni è stato
preso” da alcuni agenti il 25 gennaio. Lo scrive il New York Times.
Il ragazzo “ha reagito bruscamente, si è comportato come un duro”, sostengono le fonti.
Tutti e tre, intervistati separatamente – scrive il Nyt – dicono che Regeni aveva sollevato sospetti a causa dei suoi contatti con ambienti sindacali.
“Diversi testimoni – prosegue il New York Times – dicono che intorno alle 7 di sera due agenti in borghese davano la caccia ad alcuni giovani nelle strade”.
Un ulteriore testimone, che ha chiesto l’anonimato, racconta che i due agenti “hanno fermato l’italiano”. “Uno gli ha perquisito lo zaino, mentre l’altro gli ha controllato il passaporto. Quindi lo hanno portato via”.
Secondo questa ulteriore testimonianza, “uno dei due agenti era già stato visto nel quartiere in diverse precedenti occasioni, e aveva fatto domande ad alcune persone su Regeni”.
Tornando alla testimonianza dei tre funzionari della sicurezza invece, il New York Times ricorda che Regeni stava conducendo ricerche sui sindacati indipendenti in Egitto. Ma, dice uno dei tre funzionari al Nyt, gli agenti “pensavano fosse una spia”.
Mentre il team di investigatori italiani continua, tra mille ostacoli, le proprie indagine al Cairo, si fa urgente una presa di posizione ferma e ufficiale del governo italiano, a fronte degli elementi univoci per portano al governo di Al Sisi la responsabilità dell’omicidio e delle torture nei confronti di un nostro connazionale.
Nel silenzio miserabile della pseudodestra italiana che non ha nulla da dire in difesa della legalità e della sovranità del nostro Paese di fronte ai torturatori di un Italiano da parte di uno Stato canaglia, una occasione l’ha persa il Gabibbo bianco Toti.
Ieri sera a Sanremo ha fatto la sua marchetta elettorale con la coccarda tricolore per ricordare la vicenda dei marò.
Al suo posto avremmo sfruttato l’occasione per invitare tutti i cantanti a esibire per la serata finale in Eurovisione una coccarda con la scritta “Giustizia per Giulio”, in nome dell’untà nazionale contro ogni regime che viola i diritti umani.
Un messaggio che sarebbe arrivato in tutto il mondo, dimostrando che l’Italia non ci sta a essere presa per il culo da una banda di criminali.
Ma per fare certe cose ci vogliono le palle.
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Febbraio 13th, 2016 Riccardo Fucile “IL METODO DEI CLIC FA SCHIFO, AMBIGUITA’ TRA AZIENDA E MOVIMENTO”
Filippo Pittarello è stato per anni uno dei tre “triumviri” della Casaleggio, l’uomo macchina di Casaleggio (anche se il sistema per estrarre soldi dalle varie piattaforme web non è inventato tecnicamente da Gianroberto Casaleggio, ma dal figlio Davide). Era uno dei due che seguivano Grillo nell’èra aurorale del Vday di Bologna, scriveva i testi del blog, lo coordinava, ci metteva cose anche interessanti dentro.
Ieri, pur senza contestare elementi fattuali della ricostruzione della Stampa sul meccanismo dei clic, ha scritto: «Prendere una manciata di nomi di persone che lavorano molto e si fanno vedere poco, mischiare con qualche confusa nozione di advertising online, condire con abbondante dietrologia. Servire a mezzo stampa a chi si ciba di disinformazione».
Immaginava uno stuolo di commenti di fan ma, sorpresa, a quel punto è spuntato Marco Canestrari: «Caro Filippo, nessuno meglio di te sa quanto ho investito in tempo, soldi e salute in un progetto in cui ho creduto ancora fino a tre anni fa. Sono consapevole che le mie opinioni, adesso, dopo il 2013, possono anche valere meno di zero (anche se all’epoca mi pare che la mia opinione in merito a quanto successo fosse stata apprezzata), ma so che comunque accetterai di leggerle e rifletterci su».
Ma chi è Marco Canestrari?
Era l’altro, di quei due. È un web developer che faceva spesso terzetto con Grillo e Pittarello. Ha lavorato alla Casaleggio più di tre anni, fino al 2010. Ora vive a Londra. Canestrari è una mente talentuosa.
Molte delle idee della rete da cui nasceranno i meet up sono sue.
Sentite ora cosa scrive: «L’articolo – a parte l’ingenuità sul titolo, “struttura delta” – è buono».
«I siti della galassia (TzeTze, LaFucina, LaCosa), nati per cercare di inventare un nuovo sistema di informazione, sono diventati una macchina per creare consenso facile con sistemi di dubbia moralità . Non trovo nessuna differenza tra il Canale 5 del 1994, dove Sgarbi vomitava insulti per creare il brodo necessario a Forza Italia, e LaFucina che usa le tette della Boschi per attirare qualche clic con titoli scandalistici, o propaganda rimedi al limone contro il cancro, o fa terrorismo contro i vaccini che provocherebbero l’autismo; ma poi c’è il M5S, in regione Lombardia ad esempio, che fa interrogazioni, proposte di legge, proteste, basate su evidenze scientifiche nulle, passando all’incasso del consenso».
È il j’accuse di uno del gruppetto fondatore del M5S: il problema «non è tanto il soldo, anche se mi rifiuto di credere che tu, Filippo, non veda l’ambiguità di questa struttura organizzativa (che poi è la stessa che usava Forza Italia: un’azienda privata che supporta con la sua logistica un movimento politico; poco importa se il vantaggio sia poco, tanto, a favore di una, dell’altro o di entrambi, se il sistema non è limpido come l’acqua di fonte). Il problema è che questo metodo fa schifo e provoca danni».
Pittarello a quel punto vacilla. Ammicca ad antiche complicità di tempi andati: «Caro Marco, tu per me sei sempre la “mente grigia”. Sono certo non vorrai passare per qualcuno che non fa distinzione tra un movimento politico e iniziative editoriali».
Ma Canestrari è secco: «Possono anche essere due cose diverse, ma se gestite dalle stesse persone, entrambe contribuiscono a formare l’opinione sull’iniziativa che, delle due, ha un impatto pubblico, cioè il movimento politico. Che, in questo caso, ne esce malissimo». L’unità del mondo-Casaleggio è infranta.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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Febbraio 13th, 2016 Riccardo Fucile MOLESTATORI PADAGNI: MINACCIAVA L’EX FIDANZATO E LA FAMIGLIA DI LUI
Alice Grassi era stata eletta Miss Padania nel 2003. A distanza di 13 anni la donna è stata
arrestata dai carabinieri di Chiari, nel bresciano con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale, danneggiamento aggravato, minacce aggravate e stalking nei confronti dell’ex fidanzato.
L’arresto, disposto dal pm Claudia Moregola, è scattato dopo che l’ex fidanzato ha accusato la miss di aver più volte minacciato di morte sia lui che i suoi genitori. Inoltre la donna, riferiscono fonti investigative, andava spesso sotto casa dell’ex fidanzato “di giorno e di notte”.
L’ultimo episodio si è verificato nel negozio che l’uomo gestisce con la famiglia: Alice Grassi è entrata nel locale e ha distrutto alcuni arredi, poi è uscita e scappando a bordo di un motorino ha anche quasi travolto un passante.
Nel corso dell’irruzione la Grassi ha, secondo le ricostruzioni, anche ferito l’ex fidanzato con un cavatappi.
“Non ho perseguitato il mio ex. Gli ho distrutto il negozio? È vero ma è stato un raptus”, si è difesa nel corso dell’interrogatorio.
L’arresto è stato convalidato e la 32enne resta nel carcere di Verziano per il pericolo di reiterazione del reato. Secondo il Gip, “È incontrollabile”.
Secondo quanto riportano le pagine bresciane di corriere.it alla donna sono stati sequestrati, oltre al cavatappi usato nell’aggressione, anche 0,44 grammi di cocaina.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 13th, 2016 Riccardo Fucile BARANI SCRIVE A GRASSO: “NON HANNO PIU’ I NUMERI, VADANO AL MISTO”… ACCUSE ALLA BONFRISCO
S’erano tanto amati. Tutti insieme, o quasi, appassionatamente, nella grande famiglia del berlusconismo. Ma il passato è d’obbligo.
Perchè oggi, tra i vecchi amici di un tempo, non corre più buon sangue. E dalla favola della rivoluzione liberale, la nuova sceneggiatura dello psicodramma del centrodestra racconta il dramma dei fratelli coltelli.
Protagonista dell’ultimo sgarbo tra ex condomini del fu Popolo della libertà , il capogruppo di Ala, la componente che fa capo a Denis Verdini nata il 29 luglio 2015 dalla scissione con Forza Italia, Lucio Barani.
Che martedì scorso ha consegnato, insieme al suo vice Riccardo Mazzoni, una lettera al presidente del Senato Pietro Grasso.
Oggetto: richiesta di scioglimento, a norma di regolamento, del gruppo dei Conservatori e riformisti, riferimento parlamentare dell’ex governatore della Puglia Raffaele Fitto.
Sceso sotto il numero legale di 10 componenti (il minimo richiesto per formare un gruppo a Palazzo Madama) dopo l’addio di Lionello Pagnoncelli che, il 29 gennaio scorso, seguendo le orme di Eva Longo e Ciro Falanga, ha fatto le valigie per traslocare proprio fra i banchi dei rivali verdiniani.
LETTERA AVVELENATA
“Grasso ha riconosciuto la fondatezza della mia richiesta e mi auguro che già nei prossimi giorni vengano presi provvedimenti — spiega Barani a ilfattoquotidiano.it —. Mi risulta che il presidente abbia già comunicato agli altri capigruppo il contenuto della mia lettera”.
Una questione che, effettivamente, regolamento alla mano sembrerebbe fondata: in base all’articolo 14 comma 6, quando i componenti di un gruppo — che non rappresenta un partito presente con il medesimo contrassegno alle ultime elezioni per il Senato, come nel caso dei Conservatori e riformisti — si riducono a meno di 10, “il gruppo è dichiarato sciolto” e i parlamentari che ne facevano parte, qualora entro tre giorni non aderiscano ad altri gruppi, vengono iscritti al Misto.
“Lo scopo della norma è evidente — prosegue Barani —. Innanzitutto evitare una ripartizione impropria delle risorse spettanti ai gruppi che, in caso di scioglimento, i Conservatori e riformisti dovranno in parte restituire”.
Inoltre, aggiunge il capogruppo di Ala, “occorre ripristinare gli equilibri nelle commissioni permanenti che, in questo momento, tengono conto di una componente che non ha più i numeri sufficienti ad esistere”.
FRATELLI COLTELLI
Insomma, un bel guaio per la componente nata il 3 giugno 2015 dalla scissione capeggiata da Fitto in polemica con Silvio Berlusconi e il Patto del Nazareno.
Ma cosa ha scatenato il duro affondo dei verdiniani?
Tutto comincia da una riunione delle forze di minoranza, tenutasi a ridosso del rinnovo delle presidenze delle commissioni del Senato. E organizzata, secondo Barani, dalla capogruppo dei fittiani Anna Cinzia Bonfrisco.
All’ordine del giorno, l’assegnazione dei ruoli spettanti alle opposizioni e gli emendamenti al ddl Cirinnà sulle unioni civili attualmente all’esame dell’Aula. Incontro al quale, però, il capogruppo di Ala non è stato invitato.
Uno sgarbo che i verdiniani non hanno preso affatto bene. “Una vera e propria discriminazione, tipica dei metodi fascisti. E solo perchè avevamo votato sì alla riforma costituzionale del governo”, lamenta il presidente dei senatori verdiniani.
Che lancia l’ultima bordata: “A differenza loro, che si definiscono minoranza, noi ci consideriamo opposizione — conclude Barani —. La differenza? Non diciamo ‘no’ a prescindere ma valutiamo e votiamo, provvedimento per provvedimento, ciò che riteniamo utile al Paese”.
MI FACCIA IL PIACERE
Accuse che la Bonfrisco rispedisce al mittente. “Non posso rispondere di responsabilità non mie. La riunione delle opposizioni fu convocata dal capogruppo di Forza Italia, Paolo Romani, e non da me”, spiega a ilfattoquotidiano.it.
“Non conosco il carteggio tra il presidente Grasso e il gruppo Ala — assicura la senatrice dei Conservatori e riformisti —. Per certo, il tema è stato posto nell’ultima conferenza dei capigruppo: quando il presidente si esprimerà sul da farsi prenderemo atto della sua decisione nel rispetto dell’istituzione che rappresenta”.
Di sicuro “non andremo a caccia di parlamentari solo per evitare lo scioglimento: noi proponiamo un progetto politico, chi vuole sposarlo è il benvenuto”.
E con Barani? “Fra me e lui non c’è alcuna questione personale — conclude —. Questa vicenda è solo l’ennesimo effetto della frammentazione del centrodestra”.
Antonio Pitoni e Giorgio Velardi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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