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EMERGENZA IMMIGRATI, IL SUD REAGISCE MEGLIO

Febbraio 13th, 2016 Riccardo Fucile

IL MERIDIONALISTA SALES: “CON IL SUO PASSATO DI EMIGRAZIONE IL MEZZOGIORNO HA MATURATO UNA MAGGIORE TOLLERANZA E CAPACITA’ DI ASSORBIMENTO”

«Sulle sponde del Sud moltissimi immigrati hanno trovato forme collettive di appoggio, di comprensione del loro dramma storico, mentre al Nord, più che la società  nel suo complesso, sono state le singole persone a mostrare umanità ».
Chi parla è Isaia Sales, docente di Storia della criminalità  organizzata nel Mezzogiorno d’Italia, all’università  Suor Orsola Benincasa di Napoli.
Professore, vuol dire che nel Sud esiste un modello di integrazione tra popoli e culture diverse che non c’è nel resto del Paese?
«Il tema dell’immigrazione è complesso, ma in linea di massima non si esagera nel dire che il Mezzogiorno ha mostrato verso il fenomeno dell’immigrazione di massa una tolleranza e una sopportazione più alte rispetto ad altre aree del Paese, ha fatto registrare un impatto meno respingente, una capacità  di assorbimento delle conseguenze, in definitiva una potenzialità  di integrazione maggiore. Non dappertutto e non sempre, ma la tendenza mi sembra questa».
Anche nel Sud ci sono stati episodi di tensione. A Cerignola e nella Capitanata i caporali, spesso maghrebini, pagando al nero e a cottimo i «clandestini» vanificavano gli accordi stagionali strappati dalle leghe contadine, creando tensioni sociali. A Rosarno, nel gennaio del 2009, ci sono state manifestazioni di protesta violente.
«Più che di intolleranza razziale si è trattato di veri e propri conflitti nel mercato del lavoro. Dopo anni di mancato conflitto nelle campagne, i caporali e gli imprenditori agricoli si sono trovati di fronte a una rivendicazione di diritti, di maggiore salario e soprattutto di più umane condizioni di lavoro: richieste per loro insopportabili, avendo basato da anni la loro capacità  concorrenziale proprio sui più bassi costi realizzati utilizzando manodopera immigrata. Scomparso il vecchio bracciantato, registrata l’indisponibilità  di giovani a fare i mestieri dei loro padri e nonni, l’agricoltura meridionale è ridiventata concorrenziale grazie al lavoro degli immigrati e oggi è seconda solo alla Spagna in alcune produzioni ortofrutticole».
Se pensiamo agli sbarchi in Puglia o a Lampedusa e sulle coste calabresi, dovremmo dire che il Sud è terra di transito dei migranti. Ma leggendo le statistiche, nel Sud si sono insediati 630.000 e passa stranieri. Sono integrati?
«Il Sud si trova in questa particolare situazione storica: è stato per un secolo e mezzo terra di emigrazione, e lo è ancora oggi, ma al tempo stesso è terra di immigrazione. È terra di transito per ragioni di vicinanza geografica dai luoghi da cui si fugge, e al tempo stesso è luogo di insediamento stabile. Diminuiscono gli immigrati di passaggio e aumentano quelli stanziali. In Campania siamo ormai a più di 200 mila, il 4,1% del totale italiano, quattro volte in più di quello che avveniva solo dieci anni fa. Stessa cosa per la Sicilia e per la Puglia. C’è chi va via dal Sud, soprattutto giovani diplomati e laureati (e sono ancora tanti) e chi viene a viverci da altre parti del mondo. Vanno via i giovani meridionali e sono venuti a viverci giovani africani e dell’Europa dell’Est.
Il Meridione è diventato così un crocevia migratorio.
«L’immigrazione di massa anche stanziale, che pure il Sud sta conoscendo, è un’assoluta novità . Unico precedente storico è l’accoglienza delle comunità  greche e albanesi scappate dalla conversione all’islam e ospitate in tante realtà  meridionali diversi secoli fa. A queste novità  migratorie i meridionali hanno indubbiamente reagito meglio, perchè il fenomeno – sebbene notevole – non è ai livelli delle regioni del Centro-Nord, ma anche perchè le popolazioni del Sud hanno nella loro storia una secolare abitudine a lasciare le proprie case e i propri affetti, e credo perciò che abbiano maturato una comprensione umana più forte per le ragioni di chi è costretto ad andare via dai luoghi che ama. Nel Nord l’immigrazione storica è stata accettata per via dell’utilità  alla propria economia ma mai immedesimandosi nelle ragioni umane di chi è costretto a trasferirsi».
Perchè al Nord sono esplosi fenomeni di razzismo?
«Il razzismo nel passato era mitigato dalla comune consapevolezza di un prezzo pagato all’accumulazione di benessere collettivo a cui partecipavano gli immigrati. Fastidiosi ma utili. Quando è venuto meno questo convincimento, in gran parte per la crisi di quel modello economico e produttivo che accompagna il caso italiano da un ventennio, il razzismo non ha trovato più forme di mitigazione, di razionalità  economica. Manca nel Nord un grande fattore giustificativo dei disagi al di là  di quello economico. Al Sud invece, tranne che in alcuni settori agricoli, la presenza stabile di immigrati era ed è accettata di più perchè si muove all’interno delle famiglie, dove è chiaro che il grande ruolo delle badanti ha consentito forme più moderne di vivere i rapporti con i vecchi».
Non possiamo non parlare anche del rapporto tra immigrazione e criminalità .
«L’immigrazione porta con sè inevitabilmente violenza o il tentativo di integrarsi per via delinquenziale, come negli Usa tra fine ‘800 e metà  ‘900. In gran parte si tratta da noi di reati predatori, non di una capacità  di controllare settori economici legali per via criminale, come avviene per le nostre mafie. Non è in ogni caso dimostrabile un rapporto organico tra mafie meridionali e immigrati. Molti reati predatori vedono ancora protagonisti delinquenti italiani».
Il Mezzogiorno può diventare un modello di riferimento anche per il resto del Paese?
«Indubbiamente, non c’è un investimento politico sul rifiuto dell’immigrato e ciò rende in questo campo il Sud più interessante culturalmente e civilmente del Nord. Uno dei pochi campi in cui una certa “diversità ” meridionale può essere usata, se non come modello, almeno come possibile linea di condotta per questioni complesse. In questo campo il Sud ha mostrato verso l’immigrazione qualcosa in più della mera convenienza economica. Ci sono oggi diverse realtà  dell’Appennino meridionale dove il problema dello spopolamento si sta in parte risolvendo grazie agli immigrati. Paesi quasi morti stanno rivivendo grazie a queste forma di integrazione. In tutto ciò ci sarebbe tanto da investire».

Guido Ruotolo
(da “La Stampa”)

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IL BORGO CHE DOVEVA MORIRE ED E’ RINATO GRAZIE AGLI IMMIGRATI

Febbraio 13th, 2016 Riccardo Fucile

GLI ABITANTI DI SUTERA FUGGIVANO, POI IL PAESE SI E’ APERTO AL MONDO: “ORA SIAMO UNA COSA SOLA”

Dopo quarant’anni di onorata carriera nei licei classici della Sicilia, oggi il professore in pensione Mario Tona farà  lezione alla sua nuova classe. Insegna Italiano.
«Professore volontario», lo chiamano. Nel senso che lavora gratis. «Ciao a tutti, benvenuti» dice con voce emozionata. Gli allievi lo aspettano davanti al Cortile San Nicolò, nel centro del paese.
«Questa che vedete è la banca – dice il professore – qui potete depositare i risparmi, spedire soldi a casa, ai vostri genitori. Questo invece è il nostro Comune, cioè siamo noi. Tutti noi. E’ il posto dove cerchiamo di risolvere i problemi. Se camminiamo in questa direzione, venite con me, significa che andiamo in salita. Altrimenti, al contrario, scendiamo giù. Discesa».
TUTTI IN CLASSE  
La classe – 34 migranti provenienti da Gambia, Nigeria, Pakistan e Nepal – ripete le parole ad alta voce, proprio mentre la signora Carmelina Salomone sbuca dall’angolo per andare ad aprire il suo negozio di alimentari. «Ciao Kufi!». «Buongiorno Shyam». «Ciao Sonna». «Come stai Alex?». Baci e abbracci. La lezione viene sospesa per eccesso d’affetto.
Questa di Sutera, il paese che ha deciso di aprirsi al mondo per non morire, è una storia che sta arrivando lontano.
Pubblicata prima dal settimanale americano Time, poi da un importante quotidiano canadese che ha mandato qui un suo reporter, è la storia di chi, innanzitutto, non vuole tradire se stesso.
«Sutera è un paese di emigranti – dice il sindaco Giuseppe Grizzante – nei Sessanta eravamo più di 5 mila abitanti, ora non arriviamo a 1500. I ragazzi partono, sono sempre partiti. Per la Fiat di Torino, per la Necchi di Pavia, per il Nord Europa».
Contadini in Inghilterra, minatori in Germania. E dopo tante partenze, a Sutera hanno pensato che fosse venuto il momento di ospitare qualche arrivo.
«Nei nostri viaggi, abbiamo sempre sperato di essere accolti in modo dignitoso» dice il professore volontario Mario Tona. «Quello che cerco di fare, il più possibile, è rendere questi ragazzi indipendenti».
Arrivare a Sutera è una scommessa. Sono 39 chilometri da Caltanissetta, centro della Sicilia. Ma ci vuole un’ora e mezzo di auto.
Una strada tutta curve, salite, bretelle iniziate e non finite, greggi al pascolo, mandorli in fiore, fichi d’india, silenzio.
Come state, così isolati? «Questo è l’unico problema», dice Chris Richy dalla Nigeria. «C’è solo un pullman alle 5,50 del mattino. Ma qui la gente è buona. Non c’è razzismo. Ci aiutano davvero. E io un giorno, quando avrò trovato lavoro come elettricista, voglio ricambiare quello che stanno facendo per noi».
L’idea era nata dopo il naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa, quello dei 366 morti. Ma iniziare non è stato facile. Alcuni anziani del paese avevo espresso molti dubbi e paure. Per superarle, a differenza di quello sta succedendo in molte parti d’Italia, dove i migranti sono confinati in posti periferici e tenuti scientificamente a distanza, qui si è scelta la strada opposta.
Regole chiare e massima integrazione. Il Comune mette a disposizione un alloggio per ogni nucleo famigliare, perchè la privacy è sacra. Stanno nel centro storico.
Nei quartieri antichi che portano nomi arabi, come Rabato e Rabatello. Lavorano come commessi nei negozi di Sutera.
Ma forse, il momento in cui si è capito che l’esperimento stava davvero funzionando, è andato in scena poco prima di Natale. Quando proprio il nigeriano Chris Richy, vestito come uno dei Re Magi, ha preso parte al presepe vivente, il grande orgoglio del paese, una celebrazione che porta a Sutera 15 mila persone ogni anno.
LA POLITICA DEL RICAMBIO  
La signora Carmelina Salomone usava la parola «negri» senza neanche rendersi conto: «Con Bridget siamo legatissime. Mi ha telefonato ieri da Padova. Mi ha detto che verrà  a farmi una sorpresa. Stavamo insieme in negozio, mi aiutava, facevamo la maglia. Se guardi negli occhi queste persone, ti immedesimi».
Il ricambio è incominciato. Le famiglie stanno qui il tempo necessario a capire se verrà  accettata la domanda di asilo politico, circa due anni.
L’idillio prevede lezioni di Italiano obbligatorie, due corsi alla settimana. E patti chiari: vietato bere alcolici in casa, vietato tenere gli appartamenti in disordine, lavatrici solo in orario serale per ragioni di risparmio.
Ad occuparsi di ogni cosa, sono sei operatrici della cooperativa «I girasoli». Una si chiama Mariella Cirami, ha 28 anni e ci mette un mucchio di passione: «Sono molto fortunata – dice – ogni giorno ci confrontiamo con il mondo. Ringrazio per questa opportunità  e per quello che sta succedendo qui. I bambini di Sutera sono pochi, ma adesso giocano con i figli dei migranti. Il prossimo nascerà  fra un mese».
Nessuno nega che questa sia anche un’occasione economica. Ogni anno il Comune riceve 263 mila euro per gestire l’accoglienza.
Sono posti di lavoro, alloggi affittati che prima erano vuoti, incentivi all’assunzione per i commercianti. Ma è soprattutto vita messa in circolo, come aprire le finestre dopo anni al chiuso.
«Stiamo semplicemente facendo quello che altre persone hanno fatto per noi», dice il professor Tona.
Prima di finire sul Time, Sutera era già  famosa per un’altra storia.
Quella dell’ascensore «mostro». Un impianto finanziato con 1 milione e 300 mila euro di fondi europei, completato nel 2009 e mai entrato funzione.
La speranza era che potesse diventare un’attrazione turistica. La notizia è che la prossima settimana finalmente verrà  fatto il collaudo.
E forse, davvero, questo vecchio borgo italiano in mezzo al nulla potrà  diventare un piccolo barlume di futuro.

Niccolò Zancan
(da “La Stampa”)

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