Febbraio 21st, 2016 Riccardo Fucile “IL MIO MSI SARA’ DIVERSO DA TUTTI I PARTITI”: PARLA IL VICEPRESIDENTE DELLA RIFONDAZIONE MISSINA
Un’ex camicia verde che si candida a far politica sotto la fiamma del “nuovo” Msi e che —
guardando a distanza gli ultimi guai in casa Lega con l’arresto di Fabio Rizzi — commenta come «la rivoluzione delle scope» intrapresa contro lui e l’allora “cerchio magico” se «non è finita» di certo a suo avviso si è inceppata.
Francesco Belsito, l’ex tesoriere del Carroccio reso celebre dalle inchieste giudiziarie che hanno decretato la fine della segreteria di Umberto Bossi e oggi vicepresidente della rifondazione missina, spiega così i progetti futuri e rivendica la buona amministrazione del passato.
Belsito, che cosa ci fa l’ex tesoriere del Carroccio nel “nuovo” Msi di Cannizzaro e Proietti?
«È un progetto che viene discusso da tempo con il presidente Cannizzaro e Proietti: mettere in piedi qualcosa di diverso dagli altri soggetti politici. Fare ciò con un soggetto politico, poi, che ha una storia molto importante, che qualcuno — con il congresso di Fiuggi — ha deciso di sospendere, parcheggiando il Msi. Mi hanno chiesto di partecipare, portando la mia esperienza».
Dopo gli scandali e le inchieste che l’hanno vista coinvolta come le è venuto in mente di ritornare ad avere a che fare con la politica?
«Mi sono stancato della politica per gli episodi negativi sui quali aspetto che i giudici facciano chiarezza. La mia posizione è sempre stata interpretata in maniera non veritiera. So di aver lasciato la Lega Nord in una posizione economica con 42 milioni di saldo: cosa che non è mai stata riportata. Il motivo per cui sono rientrato nella scena politica? Questo progetto mi ha realmente colpito».
Come?
«Vogliamo aiutare le piccole e medie imprese, rilanciare il sistema dell’accesso al credito. Intendiamo sostenere quegli italiani che non arrivano a fine mese».
Lo dicono un po’ tutti a destra.
«Aggiungo un’idea. Riabilitiamo i “protestati”. Sono 14 milioni e sono “marchiati”. Riabilitiamoli per far ripartire l’economia».
Capitolo Lega. L’arresto in Lombardia del leghista Fabio Rizzi come lo commenta?
«È un fatto che colpisce la Lega all’interno. Attenzione: è un mondo che non mi appartiene più. L’unica cosa che mi dispiace, però, è il fatto che davanti a persone che hanno sbagliato oggi il movimento arriva in loro difesa. Quando successe il caso delle scope a Bergamo tutti si scagliarono contro di me senza darci la possibilità di spiegazione».
Sta dicendo di essere stato un capro espiatorio?
«L’ho sempre sostenuto e con me tanti altri. Purtroppo non ho avuto mai un confronto con i miei dirigenti. A priori è stato deciso che non dovevamo più fare parte della Lega. E pensare che nel mio mandato non ho mai fatto investimenti perdendo capitale. Lo posso dimostrare».
Rosy Mauro, l’altra grande esclusa, ha commentato le vicende relative al dirigente del Carroccio dicendo che «hanno tradito i valori della Lega».
«Lo condivido. Se i valori della Lega sono quelli della purezza e della trasparenza…. Non si può parlar male di una classe dirigente perchè faceva parte del passato, per poi scoprire che ci sono altri dirigenti oggetto di guai giudiziari».
Insomma, “la rivoluzione delle ramazze” è finita?
«Non lo so. Sicuramente la vicenda di Rizzi ha riaperto una fase dove la battuta sulla “pulizia” riemerge».
Una curiosità : investirà i soldi del suo nuovo partito come ha fatto con quelli della Lega?
«Sfatiamo l’arcano: non c’è alcuna risorsa. Non ci sono soldi nel Msi. Non mi pongo neanche l’ipotesi, non penso ad alcun investimento finanziario extra. Con le poche risorse faremo solo attività politica».
Antonio Rapisarda
(da “il Tempo“)
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Febbraio 21st, 2016 Riccardo Fucile SCESO IL CUMULO DI INCARICHI SU UNO STESSO SOGGETTO
Torna a salire, anzi ad impennarsi, la spesa per consulenti e collaboratori esterni a cui sono stati affidati incarichi nelle amministrazioni pubbliche.
«Una variazione percentuale in aumento del 61,32%» ha registrato «l’ammontare dei compensi erogati, che sono passati da 737.879.446,55 a 1.190.319.167,47 euro, in controtendenza con la diminuzione della spesa» degli anni precedenti. Così la relazione del ministro P.A, in base ai dati dell’Anagrafe delle prestazioni, per il monitoraggio e la trasparenza della spesa pubblica.
In realtà il numero degli incarichi dati a consulenti o collaboratori esterni nel 2014 è aumentato solo leggermente, mentre c’è stata una forte crescita degli incarichi liquidati, ovvero pagati.
Inoltre ha subito un boom l’importo medio.
Infatti, sempre dalla relazione presentata al Parlamento dal ministro della P.A, Marianna Madia, si legge: «Nel 2014 il numero di incarichi conferiti è aumentato lievemente (1,55%) e, in modo più considerevole, è aumentato il numero di incarichi liquidati (40,24%). Allo stesso modo, il numero dei soggetti cui sono stati conferiti gli incarichi ha subito un aumento del 15,66% e il numero dei consulenti e collaboratori esterni che ha ricevuto un compenso per incarichi è aumentato del 47,94 % rispetto all’anno 2013».
La relazione sottolinea come sia in parallelo sceso il cumulo di incarichi su uno stesso soggetto (con una «variazione negativa del 12,20% per gli incarichi conferiti e una diminuzione del 5,21 % per quelli liquidati ad ogni soggetto rispetto all’anno precedente».
Quanto al compenso medio per incarico, «ha avuto un aumento del 15,03%, passando da 3.844,50 euro a 4.422,33 euro erogati rispettivamente nel 2013 e nel 2014».
Se aumentano le consulenze è anche vero che si alza il numero delle amministrazioni pubbliche per le quali è stata ricevuta comunicazione.
Le P.a. che collaborano con l’Anagrafe delle prestazioni per gli incarichi affidati a consulenti e collaboratori esterni è d’altra parte in costante crescita negli ultimi anni, sottolinea sempre la relazione firmata da Madia.
Ciò si spiega, viene evidenziato, sia attraverso le «sempre più stringenti regole di pubblicità e trasparenza che il legislatore ha imposto alle amministrazioni, determinando un maggiore coinvolgimento dei soggetti tenuti all’adempimento», sia con «il rafforzamento dei poteri di controllo dell’Ispettorato del Dipartimento della funzione pubblica».
È da notare che `l’operazione verità ‘ sugli incarichi precede il decreto Trasparenza appena arrivato in Parlamento per i pareri (la relazione è stata siglata a fine 2015 e pubblicata venerdì scorso).
(da agenzie)
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Febbraio 21st, 2016 Riccardo Fucile DOPO LA VITTORIA DEL PRESTIGIOSO “ORSO D’ORO” AL FESTIVAL DI BERLINO
«Penso a tutti quelli che hanno attraversato il mare per arrivare a Lampedusa e a quelli che
non ce l’hanno fatta ». Gianfranco Rosi stringe l’Orso d’oro della Berlinale per Fuocoammare e chiama il medico Pietro Bartolo sul palco: «Mi ha insegnato che Lampedusa è un’isola di pescatori, che accettano tutto quel che viene dal mare. Siamo tutti pescatori e dobbiamo accettare tutti quello che viene dal mare ».
La sfida per il regista, già Leone d’oro con Sacro GRA, era «sradicare il bombardamento di immagini quotidiane dei telegiornali, una realtà narrata in termini di cifre a cui siamo assuefatti. Era importante testimoniare la tragedia umana in corso».
Tra le immagini più forti del film, in sala dallo scorso giovedì, ci sono quelle dei cadaveri ammassati sotto la stiva di un barcone.
Rosi afferra il cellulare e cerca tra le foto. «Ecco». Eccolo in tuta bianca mentre si cala nella botola che sbuca sul pavimento del barcone dipinto di azzurro.
In un’altra foto è già sotto, la camera in spalla.
«Quelli intorno alla botola sono i bulloni, servono per sbarrare ogni via di uscita alle persone che sono sotto. Il 15 agosto 2015 in quaranta sono morti asfissiati a venti miglia dalla costa della Libia, dopo appena cinque ore di navigazione. Nessuno racconta di loro »
Lo ha fatto lei a Berlino, città che ha accolto solo quest’anno80 mila migranti.
«In questi anni da Lampedusa sono passate 400 mila persone. Non è mai stato considerato un fenomeno, ma qualcosa che l’Italia doveva risolvere da sola. La scorsa estate tutto è cambiato e l’Europa si è improvvisamente accorta che ci sono masse di persone in movimento. E ha iniziato a reagire, purtroppo non bene. Un mio amico che vive qui da vent’anni mi ha detto che anche la sinistra è terrorizzata, tutti sono contro la Merkel. Mi fa paura anche la manipolazione politica: “Apriamo ai siriani”. E tutti gli altri?».
In Austria è in vigore il tetto giornaliero e una serie di altre misure anti-immigrati.
«Lo trovo vergognoso. Se l’Europa non riesce a fare i conti con una politica europea e non nazionale, sarà la fine di tutto. La cosa che fa più paura non sono i confini fisici, ma quelli mentali. Ciò che è successo a Berlino qualche giorno fa, il pullman assediato dai passanti che si sono accorti dei migranti all’interno, è vergognoso. Il direttore della Berlinale Dieter Kosslick ha giustamente confessato il dolore per qualcosa che lo riporta alla Germania di settant’anni fa».
Questo premio al Festival ha un significato politico forte.
« Fuocoammare non è un film politico, non consegno giudizi o soluzioni. È un grido di dolore. Ma la sua valenza politica è imprescindibile: perciò era importante mostrarlo qui».
Nel film la vita degli abitanti e quella degli immigrati scorrono parallele senza incontrarsi.
«Sono arrivato a Lampedusa per raccontare l’identità dell’isola, non volevo che il film fosse solo un collettore di storie legate all’immigrazione. Ho scoperto l’esistenza di due vite parallele. Non esiste un reale incontro tra i pescatori e gli immigrati: Lampedusa non è più l’approdo di chi arrivava e interagiva con gli abitanti. Ora i profughi vengono presi in mare, c’è un controllo medico, un bus che li porta in centro, si fermano lì per la prima identificazione. Ho seguito l’intero viaggio di un gruppo di nigeriani dal soccorso sulla nave militare al trasbordo sulla guardia costiera, lo sbarco a Lampedusa, l’arrivo in centro. È nata così la scena in cui il giovane nigeriano con il suo rap racconta l’orrore del viaggio, il deserto, la prigione in Libia, gli stenti. Quando sono tornato al centro, tre giorni dopo, erano tutti spariti».
Qualcuno ha parlato di pornografia, di fronte alle immagini dei corpi nella stiva.
«Non avrei mai voluto raccontare i morti, nè li ho cercati. La tragedia del barcone mi è arrivata addosso e non ho avuto scelta. Mi sono trovato di fronte a quelle immagini e sarei stato ipocrita a non usarle. Il comandante della nave mi ha spinto: “Devi andare sotto la stiva e filmare. Sarebbe come trovarsi davanti alle camere a gas dell’Olocausto e censurarsi perchè le immagini sono troppo forti. Il film è un viaggio emotivo verso quelle immagini necessarie. Nulla è gratuito, nessuno è manipolato».
Quali reazioni ha avuto a Berlino?
«Un eritreo e un somalo dopo la proiezione sono venuti ad abbracciarmi: “Grazie per aver raccontato il nostro dramma”. Sono abituato al fatto che i miei film dividono, stavolta non è successo. Magari c’è qualche voce di dissenso, qualcuno ha urlato “pornografia”. Ma la critica e il pubblico l’ha sostenuto e credo che sia anche arrivato l’amore con cui è stato fatto. Spero di aver creato qualcosa che resti e aiuti a creare consapevolezza. Non possiamo più fare finta di non sapere. Siamo tutti responsabili».
Arianna Finos
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 21st, 2016 Riccardo Fucile DA CAMILLERI A BOLLE, DA TIZIANO FERRO A JOVANNOTTI, DA LAURA PAUSINI A SELLERIO, DALLA MARZOTTO A CATTELAN… MA AL SENATO SI PROFILA L’ENNESIMO TRADIMENTO DEI DIRITTI CIVILI
“E’ tardi per perdersi in strategie politiche, si sta parlando delle vite concrete d’italiani in estenuante attesa di esistere agli occhi dello Stato. Siamo fuori tempo massimo“. Sono le parole contenute in una lettera-appello ai parlamentari per l’approvazione del ddl Cirinnà sulle unioni civili.
Una lettera che è diventata una petizione lanciata su change.org da Sebastiano Mauri e firmata da oltre 400 esponenti del mondo dell’arte, della cultura, del cinema e della musica.
Dall’attore romano Claudio Amendola ad Asia Argento e Arisa, che già in occasione di Sanremo aveva aderito alla campagna per il riconoscimento delle unioni civili.
E poi ancora la pallavolista azzurra Valentina Arrighetti, la scrittrice Silvia Avallone, la cantante Malika Ayane.
Nel lungo elenco anche i nomi di Margherita Buy, Victoria Cabello, Andrea Camilleri, Jovanotti, l’etoile Roberto Bolle, Laura Chiatti e Geppy Cucciari. Elio, Tiziano Ferro, Max Gazzè, le sorelle Sozzani, Carla e Franca. Paolo Virzì e Daria Bignardi, Filippo Timi e Oliviero Toscani.
Tutti in campo a favore della legge Cirinnà .
“Accorgersi di un’ingiustizia e correggerla a metà , significa perpetuarla”, si legge nel testo, “è insufficiente non essere razzisti, omofobi o sessisti, è necessario essere operosi nella lotta contro il razzismo, l’omofobia o il sessismo, combatterli ovunque si celino, soprattutto attraverso gli strumenti legislativi in mano al Parlamento”.
Per Mauri la legge così com’è già “garantisce il minimo dei diritti alle persone Lgbt. Un minimo oltre il quale non si può sconfinare, perchè significherebbe approvare una legge di facciata o peggio lesiva, rimandando al mittente il riconoscimento di legittimità di milioni d’italiani e delle loro famiglie”.
“Abbiamo oggi l’occasione di fare la Storia” conclude l’appello “chiediamo pertanto la celere approvazione della legge Cirinnà nella sua completezza, permettendo all’Italia di unirsi al resto d’Europa e di sempre più Paesi del mondo nel riconoscimento di diritti fondamentali a tutti i suoi cittadini”.
E proprio mentre il presidente del Consiglio pensa alla possibilità di andare al voto senza la stepchild adoption, a Milano le bandiere arcobaleno hanno invaso la piazza ai piedi del Duomo per chiedere diritti e laicità .
Migliaia le persone che hanno aderito all’iniziativa #temposcaduto.
Al suono di una sirena, i manifestanti si sono tutti sdraiati per terra stanchi “di attendere una legge che riconosca i nostri diritti e di essere considerati cittadini di serie B”.
(da agenzie)
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Febbraio 21st, 2016 Riccardo Fucile LA PERDITA DEI GENITORI IN COSTA D’AVORIO, LA TRAVERSATA SUI BARCONI PER ARRIVARE IN ITALIA E L’IMPEGNO NEGLI STUDI
L’amore è scoccato davanti a un libro, una grammatica italiana di base. 
E lo studente, un diciassettenne rifugiato originario della Guinea Conakry, ci metteva tanto impegno, tanta dedizione che la professoressa, una volontaria in un centro di accoglienza, ha deciso che quel ragazzo meritava una possibilità in più.
«Senza contare come ci è entrato nel cuore, con la sua gentilezza, la sua educazione», spiega la donna.
È cominciata così la storia d’amore e solidarietà tra la famiglia di Sandro, generoso quanto schivo (ha chiesto di usare un nome di fantasia) ingegnere in pensione di Cornigliano, e Mori, un rifugiato della Guinea sbarcato a Lampedusa un anno fa.
Sandro e sua moglie Elena, già genitori di una bimba di sei anni, avevano ancora spazio in casa e nel cuore.
Così, con la mediazione dei Servizi sociali del Comune, è entrata nel percorso dell’affido familiari dei minori stranieri non accompagnati: nemmeno un mese fa, la famiglia ha ottenuto il minore rifugiato in affido, pochi giorni prima che il ragazzo diventasse maggiorenne.
Ma la famiglia ha già deciso che continuerà a ospitarlo anche dopo, quando tra sei mesi lo strumento giuridico dell’affidamento sarà scaduto.
«Ci stiamo già muovendo perchè prenda la residenza a casa nostra – racconta Sandro, l’ingegnere – e lo terremo con noi finchè non avrà trovato la sua strada».
Sorride Mori, ringrazia la sua famiglia affidataria ogni volta in cui si alza da tavola, studia con impegno ogni pomeriggio in una scuola di Voltri e, dopo aver bruciato le tappe dei corsi d’italiano (superando i primi due livelli in pochi mesi), tenterà di ottenere la licenza media.
«Per avere almeno un titolo di studio».
La storia di questo ragazzo, arrivato in Italia con i barconi dopo 11 mesi vissuti in Libia a mettere insieme i soldi per il passaggio in nave in Italia, è come tante altre, triste e tormentata.
Originario della Guinea, è cresciuto in Costa d’Avorio in un contesto rurale dove il padre faceva il meccanico.
“Ci ha raccontato che la mamma è scomparsa nel 2010, era uscita per andare al mercato in città . non è più tornata. Probabilmente ha perso la vita durante la guerra civile. Il padre è morto di malattia nel 2013, quando Mori aveva 15 anni. Uno zio si è preso in casa i suoi fratellini ma non si è potuto occupare di lui che si è dovuto arrangiare da solo”.
“I ragazzi arrivano stremati da queste traversate e da certe esperienze, alcuni si adeguano, considerando l’Italia un punto di arrivo, altri non hanno più energie e risorse per andare avanti. Mori invece non si arrende, è adesso che deve tirare fuori le unghie per dare una svolta alla sua vita”.
Forse farà il giardiniere, questo ragazzo. “Forse lavorerà con me”, racconta Sandro, papà adottivo: “le cose bisogna farle, non dirle”.
Francesca Forleo
(da “il Secolo XIX”)
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Febbraio 21st, 2016 Riccardo Fucile IL RAGAZZO DOPO LE ATROCI TORTURE E’ STATI LAVATO E RIVESTITO CON I PROPRI ABITI … HANNO CERCATO DI ELIMINARE LE TRACCE
«Sono italiano». E lo avrebbe ripetuto per ben tre volte.
Questo però non ha impedito ai suoi aguzzini di continuare a torturarlo fino alla morte.
Giulio Regeni, il 28enne italiano scomparso dall’Egitto il 25 gennaio scorso e ritrovato cadavere il 3 febbraio, avrebbe dichiarato chiaramente la sua nazionalità a chi lo ha sequestrato.
Sperava che questo sarebbe bastato a salvarlo, ma non è andata così. Il corpo senza vita, poi, a distanza di una settimana è stato ritrovato in un fossato alla periferia de Il Cairo, lavato e vestito con gli stessi abiti che indossava al momento della scomparsa. Un dettaglio nuovo e inquietante che vorrebbe dire che qualcuno ha tentato di eliminare le tracce dei responsabili, così da rendere difficili le indagini.
È quanto rivelano alcune fonti interpellate da Il Tempo , che stanno lavorando sulla drammatica vicenda che ha coinvolto il ricercatore italiano.
Attraverso una serie di indicazioni raccolte in queste settimane da «collaboratori» che appartengono alla fitta rete degli informatori, infatti, chi indaga in Egitto sta lavorando sull’ipotesi che il 28enne sia finito nelle mani di personaggi legati ai servizi segreti interni che lo hanno preso e condotto in una cella dove la situazione è sfuggita di mano.
Qui, nonostante Regeni avrebbe ripetuto più volte di essere italiano, l’ordine sarebbe stato quello di andare fino in fondo e continuare in una sorta di interrogatorio folle per capire se si trattava di una spia.
(da “il Tempo”)
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Febbraio 21st, 2016 Riccardo Fucile “CHI INDAGA RESTI AL CAIRO FINCHE’ NON SARA’ SCOPERTO CHI L’HA UCCISO”
Paola ha 57 anni ed è un’insegnante in pensione. Suo marito Claudio Regeni è un
rappresentante e ha 63 anni. Giulio era il loro primogenito e unico figlio maschio. La figlia minore si chiama Irene.
Paola e Claudio portano il loro dolore con la dignità e la compostezza della loro terra. Pesando ogni sillaba.
Dopo un silenzio durato 18 giorni, protetto dal loro avvocato, Alessandra Ballerini, hanno accettato di rispondere alle domande di Repubblica.
Chi era Giulio?
“Giulio era nostro figlio. Un giovane uomo, un viaggiatore. Era un cittadino del mondo. Come dicevano i suoi amici, era piacevole, affascinante, sofisticato e di grande talento. Era serio, concentrato sul suo lavoro. Ma sapeva essere allegro, caloroso, aperto. In quello che faceva era spinto da una forte passione. Credeva di poter migliorare la vita delle persone”.
Quando lo avete sentito per l’ultima volta?
“Domenica 24 gennaio, via Skype. Siamo rimasti a chiacchierare per due ore, dalle due alle quattro del pomeriggio. Giulio era molto soddisfatto della sua ricerca, anche degli ultimi feedback ricevuti da Maha Abdelrahman, la sua professoressa di Cambridge. Ci raccontò come sempre della sua vita: studio, ricerca, amici. E ristoranti. Amava la cucina egiziana. Quella domenica ci disse che aveva intervistato il pittore Ivan Bidoli, che apprezzava molto. Poi, come sempre, cominciammo a parlarci nel nostro dialetto, il “bisiaco-triestino”. Ci demmo appuntamento alla domenica successiva, sempre su Skype”.
Chi vi ha detto che era scomparso?
“Il console italiano al Cairo, Alessandra Tognonato. Ci telefonò mercoledì 27 gennaio, alle 2 e mezzo del pomeriggio”.
Quando Giulio vi disse che partiva per l’Egitto avevate avuto paura?
“Quando un figlio esce di casa, c’è sempre un po’ di preoccupazione. E comunque Giulio era andato via 11 anni fa. Non abbiamo mai ostacolato le sue scelte. Abbiamo sempre cercato si sostenerlo e comprenderlo. Non ritenevamo l’Egitto più pericoloso di tanti altri Paesi. Giulio era molto prudente e per altro era la terza volta che andava al Cairo. Era lì come ricercatore: credeva nella ricerca come emancipazione dell’uomo e della donna”.
Dopo la notizia della scomparsa siete partiti per l’Egitto.
“Siamo arrivati sabato 30 gennaio. E sono stati giorni d’ansia. Ci sono stati vicini sia l’ambasciata italiana che gli amici che Giulio aveva al Cairo. Avevamo la speranza che le cose sarebbero andate a finire bene. E comunque sentivamo di vivere una cosa più grande di noi”.
Avete abitato nella casa di Giulio?
“Sì. Abbiamo passato il tempo a capire cosa avrebbe potuto aiutarlo. Abbiamo parlato con tutti. Il coinquilino ci ha raccontato che nostro figlio era sempre con un libro in mano anche quando cucinava in casa. Ci aveva chiesto a dicembre la ricetta per il tiramisù. Pare sia stato un successo”.
Pensate che il lavoro di ricerca di Giulio possa essere stato usato impropriamente da altri?
“Speriamo proprio di no. E al momento non abbiamo elementi per poterlo dire”.
Perchè non era tornato a Cambridge in gennaio?
“Giulio aveva programmato fin dall’inizio il suo rientro a Cambridge subito dopo Pasqua 2016, al termine del lavoro di ricerca. L’Egitto doveva essere una tappa”.
L’articolo di Giulio pubblicato postumo dal Manifesto ha creato polemiche.
“Amici avevano avuto contatti con il giornale. Giulio non ne era un collaboratore”.
Giulio aveva un sogno?
“Fin da piccolo aveva mostrato una passione per la storia e le scienze sociali. A Fiumicello, era stato prima assessore allo sport e tempo libero e poi sindaco del Governo dei Giovani. A 28 anni voleva completare il suo dottorato di ricerca, trovare un lavoro che gli desse soddisfazione umana e intellettuale, vivere una vita la più completa possibile. Anche dal punto di vista affettivo”.
Lei , signora Paola, ha detto: “Mio figlio mi ha insegnato tanto”.
“Di solito, si pensa che siano i genitori che insegnano ai figli ma, quando si diventa madri, ci si modifica. Si cresce insieme ai propri figli. A me è successo”.
In 18 giorni, l’inchiesta egiziana non ha prodotto nessun risultato. Ritenete abbia un senso che i nostri investigatori restino ancora in una città dove non gli è consentito di svolgere un solo atto autonomo? Non pensate che il governo italiano debba ora muovere passi più energici con l’Egitto?
“Abbiamo molta fiducia nelle nostre forze di polizia, nel pm Sergio Colaiocco, nelle istituzioni, e chiediamo che i nostri investigatori al Cairo ritornino in Italia solo quando sarà stata fatta completa chiarezza. Noi contiamo sull’impegno che hanno preso con noi alcuni rappresentanti delle istituzioni italiane che ci hanno assicurato che la storia di Giulio non cadrà nell’oblio. Vogliamo soltanto la verità su cosa è accaduto a Giulio. Chiediamo che non ci sia nessuna omissione, nessun tentennamento. È giusto per lui. È giusto per tutti”.
Credete che la mobilitazione lanciata da Amnesty e Repubblica possa avere un effetto?
“Vi siamo grati e pensiamo che continuare a chiedere la verità sia una battaglia anche per tutti quelli che, come Giulio, sono stati oggetto di inspiegabile violenza. Per questo chiediamo un regalo a quanti si sentono vicini a nostro figlio e credono nei suoi ideali di vita e nella ricerca della verità : esponete quello striscione. Anche per questo, pur apprezzando la solidarietà e la vicinanza che abbiamo sentito in queste settimane, vorremmo che il nome e l’immagine di Giulio non siano in alcun modo strumentalizzati, come sta accadendo per esempio sui social network. E che per qualsiasi iniziativa si prendano prima contatti con noi”.
Carlo Bonin e Giuliano Foschini
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 21st, 2016 Riccardo Fucile IPSOS:”VENGONO SEMPRE PIU’ PERCEPITI COME GLI ALTRI PARTITI”
Prima Livorno, poi Quarto.
Negli ultimi tre mesi il M5S ha pagato e continua a pagare gli effetti di due vicende controverse che hanno prodotto un deciso calo nei sondaggi.
Sono i numeri a evidenziarlo: in assenza di una prospettiva certa sulla data del voto nazionale, le rilevazioni che ogni settimana descrivono le performance dei partiti servono più che altro a certificare lo stato di salute delle forze politiche e da queste si possono ricavare alcune informazioni sull’impatto che hanno le vicende di cronaca sull’elettorato.
Prendiamo i dati forniti da Ixè ad Agorà , il programma di approfondimento mattutino di Rai Tre. Dopo i giorni caldi del caos rifiuti a Livorno, il M5S ha cominciato a perdere terreno, cedendo in due settimane, tra il 4 e il 18 dicembre, quasi un punto, passando dal 26,9 al 26,1 per cento. Un trend negativo che è continuato con l’esplosione del caso Quarto, a gennaio.
Tra incertezze e svolte improvvise il Movimento ha lasciato sul campo circa un punto e mezzo in due mesi. Dal 26 per cento del 15 gennaio è sceso fino al 24,4 sondato il 17 febbraio.
Paolo Natale di Ipsos spiega che il «comportamento del M5S degli ultimi tempi l’ha portato ad assomigliare un po’ agli altri partiti.
Stanno perdendo quell’aura di diversità che li ha caratterizzati finora. Inoltre, dimostrando di non saper governare la macchina locale, si rivelano poco credibili anche in chiave nazionale».
Non solo. Guardando la media dei sondaggi dei vari istituiti disponibile su termometropolitico.it la curva discendente dei Cinquestelle appare ancora più chiara, provocando contemporaneamente una lieve crescita in quella del Pd. Dati che al Nazareno hanno portato una ventata di ottimismo.
Oggi tutti i partiti, e in questo neanche i Cinquestelle fanno eccezione, si avvalgono di una war room, cioè un gruppo di persone che studiano e mettono in pratica strategie comunicative.
Per restare nel gergo della comunicazione basta chiedere a uno di questi «soldati» che lavora per il Pd un giudizio informale sull’andamento dei sondaggi degli ultimi tre mesi per sentirsi rispondere che «abbiamo sgonfiato l’hype al M5S».
Tradotto: siamo riusciti a rendere meno efficace la narrazione positiva che erano riusciti a veicolare finora.
Le critiche rivolte da deputati e senatori Cinquestelle al direttorio vertono tutte su questo punto: a uscire perdente da Quarto e Livorno è stata la narrazione di un Movimento pronto a governare. La peggior condizione possibile per lanciare una campagna elettorale per le amministrative.
Il calo nei sondaggi è ben presente al gruppo parlamentare del M5S e rappresenta un ulteriore elemento di nervosismo in queste ore già calde per la questione delle unioni civili.
Inoltre c’è un tema di potere locale non trascurabile. I più conosciuti tra i parlamentari hanno ormai una delega di fatto sul territorio.
A loro il termine non piace, ma definire Nicola Morra «segretario» dei Cinquestelle in Calabria sarebbe corretto tanto quanto dire che Roberto Fico lo è a Napoli o Roberta Lombardi a Roma.
Alle amministrative di primavera molti di loro si giocano la prima, vera partita politica personale da quando sono stati eletti nel 2013 grazie a un pugno di voti alle primarie online e sull’onda dei quasi nove milioni di consensi raccolti da Grillo.
I big regionali non ci stanno a perdere. Dopo una burrascosa assemblea congiunta di deputati e senatori che si è tenuta giovedì scorso più d’uno, soprattutto tra gli eletti a palazzo Madama, ha chiesto maggior attenzione alla comunicazione a livello locale.
Vogliono garanzie e la decisione di Casaleggio che ha affidato ai due capi degli uffici stampa M5S di Camera e Senato l’incarico di gestire la comunicazione nei territori, sembra loro non bastare.
Francesco Maesano
(da “La Stampa”)
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Febbraio 21st, 2016 Riccardo Fucile IL JOBS ACT HA CREATO SOLO L’1% DEI NUOVI POSTI DI LAVORO… GLI ALTRI (POCHI) POSTI SONO IL RISULTATO DEL DOPING DEGLI SGRAVI FISCALI PER CUI SONO STATI BUTTATI MILIARDI
Il Jobs Act ha contribuito a creare solo l’1 per cento dei nuovi posti di lavoro. Lo la detto ieri
Bankitalia, in uno studio della sua Struttura economica.
Da giornalista, mi viene subito da pensare alla comunicazione: cioè a quel titolo «effetto Jobs Act» che quasi tutti i quotidiani hanno messo per un anno ogni volta che il governo o Istat davano numeri positivi sull’occupazione.
Bene, quei titoli in prima o in homepage erano al 99 per cento balle: ora è appurato. Intanto però hanno inciso sul percepito comune, anche perchè la stessa bufala è circolata ovunque, dai talk show a Facebook.
Il leggerissimo aumento dell’occupazione dell’ultimo anno è stato dovuto invece a una serie di cause incrociate, esterne e interne, dice Bankitalia.
Tra quelle interne, il provvedimento che ha impattato di più è stato quello delle detrazioni fiscali per le nuove assunzioni: una cosa che peraltro qui si dava come probabile sei mesi fa.
Peccato che le detrazioni fiscali (che non hanno nulla a che vedere con il Jobs Act, nonostante le due cose vengano spesso dolosamente confuse) siano una misura pro tempore, straordinaria e costosa.
Non costituiscono una “riforma strutturale” ma esattamente il contrario: un doping one-shot.
Ce lo diranno gli anni, quindi, quali saranno stati i veri effetti del Jobs Act, vista la sua inutilità sotto il profilo occupazionale.
E ci diranno probabilmente la verità : cioè che è servito fondamentalmente a cambiare i rapporti di forza nelle aziende tra datori e lavoratori, a seppellire il principio di civiltà basilare che se uno fa bene il suo lavoro non lo si può mandare a casa per uzzolo.
Insomma è stato un altro metro guadagnato dai più potenti contro i più deboli.In più, è stata una medaglia di chi lo ha voluto, il Jobs Act: una medaglia da esibire con i potenti dell’economia e dell’Europa che lo sostengono.
Infine, è stato l’occasione per una forsennata campagna a diffondere la falsa narrazione secondo cui per creare occupazione bisogna peggiorare le condizioni di chi lavora.
Del resto, si diceva: 99 per cento di balle.
da gilioli.blogautore
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