Destra di Popolo.net

SI CELEBRA LO “STRANO AMORE” (CON NAPOLITANO TESTIMONE)

Febbraio 25th, 2016 Riccardo Fucile

LO SCUDIERO DI VERDINI IMITA CRAXI E SI BECCA GLI INSULTI… LA SINISTRA PD   E’ UNO ZOMBI

Ecco, si alza Lucio Barani, garofano rosso, nel taschino, Craxi nel cuore: “Il nostro voto favorevole alla fiducia – scandisce il capogruppo di Ala – non è mercimonio, ma coerenza”. Una voce si leva dai banchi dei Cinque stelle: “Vai ad Hammamet”.
L’immagine fissa che il maxi-schermo proietta in Transatlantico, al Senato, è questa. In piedi, Barani, che nella mimica imita Craxi, girandosi a 45 gradi rispetto al microfono prima verso destra poi verso sinistra.
Alla sua sinistra Denis Verdini, aria sorniona. Dietro Manuela Repetti, per la quale Bondi sognava un ruolo da portavoce di Berlusconi. Di fronte al no, scoppiò l’amore per Renzi.
Alla sinistra della Repetti Amoruso, ex An, ex Pdl area Gasparri: “Siamo rimasti fedeli al patto del Nazareno – prosegue Barani – e il nostro è un sì tecnico e politico. Il rischio è che senza i voti di Ala questa legge non passi, così come senza i nostri voti non sarebbe passata la riforma costituzionale”.
Il ministro Orlando passa davanti allo schermo. A domanda, se la foto ricorda il governo Berlusconi, tira dritto: “Scusate, devo dare un’intervista al Corriere”.
Fa effetto l’immagine. Verducci allarga le braccia. Provvidenziale, sul telefonino, compare l’Ansa con le dichiarazioni di Giorgio Napolitano: “Renzi al Colle? I voti di Ala sono solo aggiuntivi”. Aggiuntivi, determinanti, il quesito della giornata lo chiarisce Sposetti, sempre circondato da capannelli di senatori che adorano la sua saggezza comunista: “Da che mondo è mondo, se uno vota la fiducia significa che sta in maggioranza. O no? Il dato politico è che d’un colpo è cambiata la natura del Pd, che è diventato un partito moderato e quella della maggioranza con l’ingresso di Verdini”.
L’unico a parlare chiaro. Il grosso del Pd evita il discorso.
Loro, i verdiniani, per l’intera giornata, non si vedevano neanche al bar. Profilo basso, non una parola coi giornalisti.
Stefano Esposito, turco del Pd, li guarda con occhi sbarrati: “Sono delle sfingi, nulla li turba. Riuscirebbero a negare il loro nome rimanendo imperturbabili. È una forma di professionismo politico. Sono, indubbiamente dei professionisti, comunque uno la pensi. Comunque, sa che le dico? Menomale che c’è Gandolfini. Ci ha fatto uno spot che chiude la giornata”.
Già , Gandolfini, che vede i cosacchi in Vaticano è una manna dal cielo.
Pure la Cirinnà , che ha visto stravolta la sua legge, pare meno tramortita. Dentro, parecchi cattolici vanno al sodo. Giuseppe Ruvolo, una volta gran difensore di Cuffaro oggi con Verdini: “Siamo in maggioranza e all’inpiedi, perchè le poltrone sono tutte occupate”.
Esce dall’Aula Jonny Crosio, leghista. Ha appena finito di parlare in Aula con Verdini. Chiacchiere, come accade nelle giornate infinite: “Verdini sta sul pezzo, sta sul pezzo di brutto… Altro che unioni civili, dentro si fanno i discorsi seri: il conflitto di interessi, le autostrade. Lotti sta furioso con Delrio. E Denis… Faccio una previsione: finiranno tutti assieme, appassionatamente: Renzi, Lotti, Verdini”.
La vulgata, dentro Ala, è che per ora siamo “all’appoggio esterno”, l’ingresso al governo avverrà  dopo il referendum, poi le liste assieme.
Riccardo Villari, vecchio volpone: “Vabbuò, ma è chiaro quello che sta accadendo: Verdini sta facendo esplodere le contraddizioni del Pd. È convinto che Renzi scaricherà  i comunisti. E i fatti gli danno ragione”.
A palazzo Madama, a metà  pomeriggio, tutta la sinistra dem è riunita. Clima teso: “Parliamoci chiaro – dice uno dei presenti – l’ingresso di Verdini è un cazzotto nello stomaco, la fiducia sui diritti un modo di procedere vergognoso, ma come facciamo a dire di no a questo compromesso che comunque è un passo in avanti?”. In Transatlantico è un florilegio di battute sulla vis pugnandi della sinistra Pd.
Vicino a una finestra, c’è Sergio Lo Giudice a telefono, furioso. F
orse è un’intervista: “La fedeltà  – dice – è un concetto obsoleto. Non può mica essere questo il fondamento della famiglia”.
Si avvicina Guido Viceconte, senatore lucano di Ncd: “Riccà , questo non sta buono. Dobbiamo chiamare il 118”.
Villari, imperturbabile: “Guido, come sei antico. Liberati dalle catene”.
Si aggira, ovunque, una sorridente Cirinnà : “Abbiamo sconfitto il partito incolore dell’immobilismo”.
E anche Verdini continua a muoversi molto.

(da “Huffingtonpost”)

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INTERVISTA A CACCIARI: “SUL CONCETTO DI FEDELTA’, DIBATTITO TRA UBRIACHI”

Febbraio 25th, 2016 Riccardo Fucile

“UNA SCELTA CHE FA VOMITARE: UNA COPPIA DI QUALSIASI GENERE CHE DECIDE DI SPOSARSI ACCEDE A UN RITO CHE HA I SUOI VALORI SIMBOLICI, NON E’ UNA QUESTIONE CHE SI POSSA LIQUIDARE COME HA FATTO IL PARLAMENTO”

«Una piccola grande vergogna». Questo pensa, Massimo Cacciari, del modo in cui il concetto di fedeltà  è finito nel dibattito sulle unioni civili.
Svilito del suo significato più profondo. Usato come un dispetto della politica da coloro che hanno voluto sottrarre l’obbligo di fedeltà  ai gay che decidono di sposarsi. E come una ripicca insensata da chi ora propone di levarlo anche al matrimonio, ritenendolo desueto e ancorato a un passato che non c’è più.
«È la vergogna di un istituto da cui traspare lo spirito del mondo in cui stiamo vivendo. Uno spirito misero, che mi fa orrore», dice il filosofo.
Professor Cacciari, ha senso consentire le unioni gay eliminando l’obbligo di fedeltà ?
«È allucinante che si parli di queste cose con tale leggerezza. La fedeltà  è un argomento serissimo di cui queste persone neanche capiscono il significato, il termine, l’etimo. Questa cosa che venga considerata un elemento di sacralizzazione del matrimonio per gli eterosessuali e – al contrario – un optional per gli omosessuali che decidono di costituire una famiglia, fa vomitare».
Alcuni parlamentari del Pd propongono che l’obbligo sia tolto anche dalle norme che regolano il matrimonio. Che ne pensa?
«Va bene. Di fronte a puttanate si risponde con battute. Come tra ubriachi. Questo mi sono sembrati i dibattiti di questi giorni al Senato: discussioni tra ubriachi».
Ma non crede che l’obbligo di fedeltà  possa essere considerato il retaggio di una mentalità  superata, di un mondo diverso da quello di oggi?
«Sono questioni che non riguardano solo le leggi. Quando quelle norme sono state scritte penso che i politici si rendessero conto del significato del termine fedeltà . Qualsiasi relazione, una coppia di qualsiasi genere che decide di sposarsi, accede a un rito che ha i suoi valori simbolici e che esiste da decine di migliaia di anni. Questo è un fatto molto importante che impegna, che responsabilizza. Un Parlamento che si mette a giudicare queste cose con siffatta faciloneria è incomprensibile. Potrei parlare a lungo del significato e del valore della fedeltà , ma avrei bisogno di 50 pagine. Non è un tema che possa essere trattato in questo modo».
Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica”)

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“VIA L’OBBLIGO DI FEDELTA’ ANCHE PER GLI ETEROSESSUALI, UNA VISIONE SUPERATA”: LA PROVOCAZIONE DI 12 DEPUTATI

Febbraio 25th, 2016 Riccardo Fucile

“IL GIUDICE NON DEVE CONSIDERARE ADDEBITO DELLA SEPARAZIONE LA INOSSERVANZA DEL DOVERE DI FEDELTA’ CONIUGALE”

C’è anche Monica Cirinnà  tra i firmatari del disegno di legge presentato dalla senatrice del Pd Laura Cantini e che prevedere di “togliere dall’articolo 143 del Codice Civile il riferimento all’obbligo reciproco di fedeltà  tra i coniugi”.
Il ddl è stato sottoscritto da altri 11 senatori tra i quali la stessa Cirinnà  e Sergio Lo Giudice.
L’obbligo di fedeltà , ha spiegato la senatrice Cantini, “è un retaggio di una visione superata e vetusta del matrimonio il giudice non può fondare la pronuncia di addebito della separazione sulla mera inosservanza del dovere di fedeltà  coniugale. Inoltre la legge 219 del 2012 — sottolinea la senatrice Pd — ha superato la distinzione tra figli legittimi e naturali, che rese fondamentale all’epoca l’obbligo di fedeltà  tra i coniugi”
Per la senatrice quindi “da questo punto di vista l’accordo raggiunto sulle unioni civili recepisce un modello molto più avanzato, che dovrà  essere recepito dal Codice civile”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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DIRITTI CIVILI, QUANTO SIAMO LONTANI DALL’EUROPA

Febbraio 25th, 2016 Riccardo Fucile

VIVIAMO UN’ARRETRATEZZA CULTURALE DI FONDO … LA SPECULAZIONE POLITICA E’ RIUSCITA A PERSEGUITARE I BAMBINI

Una soluzione che ben potrebbe essere considerata paradossale, se i modi fantasiosi dell’attuale politica non l’avessero spinta verso funambolismi che la destituiscono di vera credibilità .
Si rafforza, infatti, l’attuale maggioranza di governo proprio sul terreno più “divisivo” tra Pd e Ncd. Ma non sarebbe questo l’unico paradosso, o l’unica contraddizione, di una fase così confusa e politicamente così mal gestita.
E allora è il caso di fare una prima valutazione di quel che è già  avvenuto, di quanto si è già  perduto e di quanto si può ancora perdere
La discussione sulle unioni civili era cominciata sottolineando che finalmente era alle porte una legge da troppo tempo attesa, che avrebbe consentito all’Italia di recuperare un livello di civiltà  dal quale si era allontanata e che, in questo modo, l’avrebbe riportata in Europa.
Ma, avendo perduto troppi pezzi, la legge approvata finirà  con l’essere considerata come una nuova testimonianza di una arretratezza di fondo che, anche quando si fanno sforzi significativi, non si riesce davvero a superare.
Che cosa vuol dire Europa in una materia davvero fondamentale, non per una forzatura ideologica, ma perchè riguarda i fondamenti stessi del vivere?
Vuol dire costruzione di un sistema sempre più diffuso e condiviso di principi e regole, che è stato poi affidato ad un documento comune, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che dal 2009 ha lo stesso valore giuridico dei trattati e che, quindi, dovrebbe essere costante punto di riferimento nelle discussioni legislative dei singoli Stati membri.
Proprio per il tema affrontato in questi giorni al Senato, l’innovazione della Carta è stata massima.
L’articolo 21 ha vietato ogni discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale. L’articolo 9 ha cancellato il requisito della diversità  di sesso per il matrimonio e per ogni forma di organizzazione familiare, e i giudici europei seguono ormai questo criterio. Eguaglianza, parità  dei diritti, libertà  nelle scelte.
Principi essenziali, che avrebbero dovuto guidare i dibattiti parlamentari e che lì, invece, sono comparsi in maniera sempre più pallida.
Sono stati spesso sopraffatti da un coacervo di confusi riferimenti morali, strumentalizzazioni politiche, controversi riferimenti scientifici.
Si finisce così con l’avere la sensazione che l’Italia – al riparo da un “Grexit” per ragioni economiche e da un “Brexit” per ragioni politiche – abbia scelto la strada di un “exit” dall’Europa tutto culturale.
Già  possiamo misurare gli effetti sociali di questo modo di procedere. Sono tornati nella discussione pubblica, con una rinnovata e violenta legittimazione derivante da toni del dibattito parlamentare, argomenti omofobi, discriminatori, aggressivi, incuranti dell’umanità  stessa delle persone.
Si è minacciato il ricorso ad un referendum popolare contro la norma che avesse ammesso l’adozione del figlio del partner.
Forse vale la pena di ricordare che, nel 1974, quando ci si avviava verso l’eliminazione delle discriminazioni contro i figli nati fuori del matrimonio (i “figli della colpa”, gli “illegittimi”), i professori Sergio Cotta e Gabrio Lombardi, che già  avevano promosso il referendum contro la legge sul divorzio, ne minacciarono uno contro una riforma che fosse andata in quella direzione (intenzione caduta dopo che l’abrogazione del divorzio fu respinta dal voto popolare).
E proprio intorno alla norma sull’adozione si è concentrato oggi un fuoco di sbarramento che colpisce, insieme, i diritti delle coppie e quelli dei bambini.
Proprio dei bambini, strumentalmente indicati come oggetto di una necessaria tutela e che, invece, rischiano d’essere ricacciati in una condizione di discriminazione, creando una nuova categoria di “illegittimi”.
Più che un intento discriminatorio, ormai uno spirito persecutorio.
Si può in concreto indebolire o cancellare la tutela di cui essi già  godono fin dal 1983 attraverso un saggio intervento e una valutazione dei giudici, che hanno applicato le norme sull’adozione in casi particolari in nome dell’interesse “supremo” del minore.
Una conquista civile dalla quale non si dovrebbe uscire, richiamata dall’Avvocatura dello Stato davanti alla Corte costituzionale, che ieri ha deciso un caso relativo all’adozione da parte di due donne sposate negli Stati Uniti delle reciproche figlie.
Dallo scarno comunicato della Corte non si può dedurre con certezza se le sue indicazioni puntuali consentiranno di continuare a ricorrere alle diverse soluzioni già  utilizzate dai giudici.
La prudenza e il rigore dovrebbero sempre guidare il legislatore. Ma più ci si inoltra negli intricati meandri in cui si è cacciato il Senato nella tenace sua volontà  riduzionistica delle unioni civili, più si coglie l’approssimazione e l’incapacità  di comprendere la rilevanza dei diritti in questione.
L’esecrazione per l’utero in affitto, improvvisamente evocata contro l’adozione del figlio del partner nelle coppie omosessuali mentre è pratica al 93% di quelle eterosessuali, porta a declamare la sua qualificazione come “reato universale” con condanna del genitore e divieto di riconoscimento del figlio.
Ma si ignora che la questione è stata risolta il 26 giugno 2014 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha condannato la Francia a trascrivere l’atto di nascita dei figli nati all’estero da una madre surrogata, anche se in Francia, come in Italia, questa pratica è vietata.
E la Cassazione francese ha dato seguito a quella decisione. Ma la nostra aggrovigliata discussione ignora a tal punto l’Europa da aver subito dimenticato che il Parlamento non ha scelto liberamente di legiferare in questa materia, ma è stato obbligato a farlo da una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 2015, che ha condannato lo Stato italiano a riconoscere alle coppie di persone dello stesso sesso uno statuto giuridico adeguato.
Un “obbligo positivo”, al quale si tenta di sottrarsi con mille sotterfugi, cominciando con il trascurare che quella sentenza è fondata sull’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che riconosce il diritto alla “vita privata e familiare”.
A questo non basta fare un riferimento generico. Poichè la sentenza dice che “le coppie dello stesso sesso hanno una situazione sostanzialmente simile a quelle delle coppie di sesso diverso”, e qui la discrezionalità  del legislatore è ridotta, il riferimento alla vita familiare deve essere inteso nella sua pienezza organizzativa.
Altrimenti si fa una operazione culturalmente regressiva, un altro atto implicito di uscita dall’Europa.
È in corso una grottesca operazione di ripulitura di ogni accenno che possa far pensare al matrimonio. Persino l’idea della fedeltà  nelle coppie di persone dello stesso sesso deve essere allontanata, quasi che l’affetto e il “diritto d’amore” possano scomparire per effetto di arzigogoli verbali.
In realtà  si sta preparando una linea interpretativa rigidissima della nozione di famiglia per bloccare ogni ulteriore sviluppo in materia. È urgente invece un riflessione culturale sul sistema costituzionale, quella che nel 1975 aprì la strada alla riforma del diritto di famiglia.
Tutto questo, e molto altro che si potrebbe aggiungere, ci dice con quale spirito si dovrà  accogliere la legge ora annunciata.
Nessuno predica il tanto peggio tanto meglio. Ma nessuno potrà  negare che un testo scarnificato, impoverito, mortificato porterà  al suo interno il segno di una sconfitta politica e culturale.
Condannando l’Italia, la Corte europea aveva parlato di un tradimento della fiducia e delle attese delle persone omosessuali.
Tradimento che oggi riguarda tutti i cittadini ai quali spetta di vivere in un paese coerentemente inserito nel contesto culturale europeo.
E invece si annunciano nuove distanze nuovi conflitti, rinvii a testi futuri, giochi d’inganni.

Stefano Rodot�
(da “La Repubblica”)

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ERNESTO, STAI SERENO, QUANDO RENZI PROMETTEVA A UN BAMBINO: “AVRAI GLI STESSI DIRITTI DEI MIEI FIGLI”

Febbraio 25th, 2016 Riccardo Fucile

LA PROMESSA TRADITA DI QUANDO CORREVA PER DIVENTARE SEGRETARIO DEL PD

Era il 29 novembre 2013 quando l’allora candidato alla segreteria del Pd Matteo Renzi si sfidava in diretta tv su Sky Tg24 con i suoi rivali Gianni Cuperlo e Pippo Civati. Tra i tanti interventi ce n’è uno che è tornato a girare sui social network in questi giorni di discussione e approvazione al Senato della legge sulle unioni civili.
Un testo dal quale, com’è noto, è stato eliminato un pilastro portante del ddl Cirinnà : la stepchild adoption.
Durante il confronto tv il premier Renzi infatti lanciò una promessa: “Nel mio gruppo di lavoro – disse – c’è una coppia, Letizia e Teresa, che da poche settimane ha un figlio che si chiama Ernesto. Da segretario del Pd lavorerò perchè Ernesto abbia gli stessi diritti dei miei figli e, dopo tanti anni di discussioni andate a vuoto, faremo una legge sui diritti civili”.
La decisione di porre la fiducia da parte del governo sul maxi-emendamento uscito dall’accordo tra Pd e Ncd ha portato al sacrificio dell’adozione del figlio del partner sull’altare del compromesso.
Lo stesso Renzi, in realtà , durante la conferenza di fine anno, aveva detto che il governo non avrebbe fatto ricorso a uno strumento come la fiducia per lasciare liberi tutti i parlamentari di votare.
Ora però tanti sui social network chiedono conto al premier che ne sarà  del piccolo Ernesto: “Salutaci il piccolo Ernesto. Tu che mantieni le promesse”, scrive un utente. Oppure “Ernesto, stai sereno”.
Tanti saluti e tanti abbracci al piccolo figlio di Letizia e Teresa. E auspici per il futuro: “Ernesto, al prossimo giro ti andrà  meglio, contaci”.

(da “Huffingtonpost“)

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ALFANO INDAGATO A ROMA PER ABUSO D’UFFICIO

Febbraio 25th, 2016 Riccardo Fucile

NEL MIRINO IL TRASFERIMENTO AD ISERNIA DELL’ALLORA PREFETTO DI ENNA GUIDA

Il ministro dell’Interno Angelino Alfano è indagato per abuso d’ufficio dalla procura di Roma.
Con Alfano sono indagati anche il viceministro Filippo Bubbico e il suo segretario particolare Ugo Malagnino, l’ex senatore del Pd Vladimiro Crisafulli, il presidente dell’università  Kore di Enna, Cataldo Salerno.
Il reato sarebbe stato commesso il 23 dicembre, giorno in cui il Cdm approvò il trasferimento ad Isernia dell’allora prefetto di Enna, Fernando Guida.
Il fascicolo è stato trasmesso dalla procura di Roma al tribunale dei ministri lo scorso primo febbraio.
Nell’avviso notificato agli indagati, che vale come informazione di garanzia, si legge che Alfano e gli altri indagati risultano «sottoposti ad indagini per il reato di cui all’articolo 323 del codice penale, commesso in Roma il 23.12.2015».
«In data odierna – è scritto ancora nell’avviso – questo ufficio ha trasmesso il procedimento sopra indicato al competente Collegio per i reati ministeriali, al quale i suddetti possono presentare memorie o chiedere di essere ascoltati».
Il provvedimento è firmato dal sostituto procuratore Roberto Felici e dal procuratore aggiunto Francesco Caporale.
L’inchiesta – secondo quanto si apprende – riguarda proprio il trasferimento da Enna del prefetto Guida.
Questi lo scorso 28 ottobre aveva avviato le procedure e gli accertamenti che si sono conclusi, dopo il suo trasferimento, con il commissariamento dell’università  Kore.
Lo scorso primo febbraio la prefettura di Enna, con un decreto, ha sciolto gli organi amministrativi dell’ateneo e ha nominato tre commissari, per un periodo di sei mesi, prorogabili. Si tratta del prefetto Francesca Adelaide Garufi e dei professori Carlo Colapietro e Angelo Paletta.
La procedura era stata avviata dopo la proposta, avanzata dalla Fondazione per la libera università  della Sicilia centrale Kore di modificare il proprio statuto.

(da “La Stampa”)

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ANONYMUS ATTACCA IL SITO DI NCD DOPO LE PAROLE DI ALFANO SULLE ADOZIONI “CONTRO NATURA”

Febbraio 25th, 2016 Riccardo Fucile

“IL MASSIMO DISPREZZO PER LA TUA PERSONA E IL TUO PARTITO”

Mentre al Senato andava in scena il voto di fiducia sul ddl Cirinnà , la legge sulle unioni civili riscritta in extremis con un maxi-emendamento frutto di un accordo all’interno del governo, in rete partiva il contrattacco di Anonymous contro il Nuovo Centrodestra.
Il sito del partito di Angelino Alfano è stato hackerato in risposta alle parole pronunciate dal minsitro, che in mattinata si era detto felice di aver «impedito una rivoluzione contronatura».
Sul sito Nuovocentrodestra.it, il logo del partito e la foto del suo leader sono state affiancate a una svastica, con un messaggio rivolto direttamente ad Alfano.
«Siamo costretti nuovamente a perdere tempo per te e le tue stronzate – scrivonmo gli hakcer di Anonymous – Le tue frasi propagandistiche sono sempre più simili a quelle fasciste, e gli scandali giudiziari del tuo partito sempre più rivolti ad associazioni mafiose. Da solo tu rappresenti due mali storici in Europa e in Italia. Non smetti mai di stupirci. Le tue ultime frasi non posso essere ammissibili in una società  civile e sufficientemente evoluta. Per tale riteniamo doveroso far sentire il nostro disprezzo per la tua persona e il tuo partito».

Francesco Zaffarano
(da “la Stampa”)

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PARTITI, FINO A 150.000 EURO PER UN SEGGIO: IL TARIFFARIO DELLA DEMOCRAZIA IN VENDITA

Febbraio 25th, 2016 Riccardo Fucile

LE CHIAMANO “EROGAZIONI LIBERALI”, IN REALTA’ SONO OBBLIGATORI IN FORZA DI SCRITTURE PRIVATE E ATTI NOTARILI: SE VUOI CANDIDARTI DEVI PAGARE… BIANCONI: “SI TRATTA DI ESTORSIONE”

Con 150mila euro il Pd è quello che, a conti fatti, propone il seggio al prezzo più caro. Segue la Lega, che ai suoi candidati ne chiede 145mila, poi i Cinque Stelle, 114mila euro più quanto avanzato della diaria (che versano però allo Stato).
Forza Italia, ormai in declino, si accontenta di 70mila euro.
Ecco il “tariffario” della democrazia in Italia, dove dal 2008 —   complice il Porcellum e i listini bloccati — tutti i partiti impongono ai propri candidati ed eletti una tassa sullo scranno in Parlamento, nei consigli regionali e nei comuni.
Le chiamano “erogazioni liberali” ma di libero, in realtà , hanno ben poco: quei “contributi” sono tanto obbligati da fungere come condizione stessa della candidatura e della permanenza nelle Camere in forza di scritture private, atti notarili e contratti. Da corrispondere anche in comode rate.
Chi non sottoscrive l’impegno decade dalla lista. L’eletto che non versa viene deferito alle “commissioni di garanzia” e non ricandidato al prossimo giro, salvo conguaglio. Così i partiti, senza eccezioni, si vendono i seggi alla luce del sole, così li vincolano poi in forza di statuti, regolamenti finanziari e perfino di pretesi “codici etici”.
Un pratica che non fa scandalo e non tramonta mai. Tanto che già  si preparano i nuovi “contratti” in vista delle prossime amministrative.
Il commercio delle candidature passa sotto silenzio. Non come la famosa “multa” da 150mila euro con cui i Cinque Stelle pensano d’imporre ai propri eletti il vincolo di fedeltà  per arginare transfughi e dissenzienti.
Quel “patto di candidatura” che viene proposto — senza eccezioni — da quasi dieci anni a questa parte non è però migliore: si fonda sempre sulla preventiva sottoscrizione di obbligazioni patrimoniali della persona, con l’aggravante (semmai) di agire non sul vincolo di mandato quanto sull’accesso dei cittadini all’esercizio democratico dell’elezione.
“E’ una pratica estorsiva”, arriva a dire l’ex tesoriere del Pdl Maurizio Bianconi che all’ultima tornata delle politiche stracciò assegni e contratti in via dell’Umiltà .
Di sicuro è un veleno altrettanto fatale per la vita democratica che incrocia, non a caso, analoghi dubbi di incostituzionalità .
Ma mica per ragioni “alte”, come può essere l’insindacabilità  del mandato elettivo: per la pretesa dei partiti di esentare dal Fisco le “restituzioni” dei loro eletti.
Beneficio che, manco a dirlo, hanno prontamente concesso (a se stessi). Per legge.
PD
Il benefattore n. 1 del Pd è l’onorevole Giuditta Pini. Nel 2013, con i suoi 28 anni, ha contributo allo svecchiamento dei deputati dem.
L’anno dopo ha ricambiato la cortesia versando alle casse del Nazareno un assegno da 58mila euro, cifra che la proietta in cima alla lista dei contributi dem che, insieme, hanno versato quell’anno 7,5 milioni. Sempre di “erogazioni liberali” si tratta, secondo lo statuto e i tesorieri che si sono succeduti negli anni. Partiamo da qui perchè nella speciale “boutique della democrazia” il Pd è il partito che propone il seggio al prezzo più caro: 150mila euro.
Come funziona? Il candidato deve sottoscrivere due obbligazioni. Una tra 30 e 50mila euro in base alla posizione nel “listino” da corrispondere anche a rate entro il termine della legislatura.
I soldi andranno alle federazioni. Per un seggio sicuro, solitamente, il pagamento è anticipato. Poi ci sono 1.500 euro da versare alle casse del Nazareno ogni mese. In tutto, un seggio del Pd può costare 140-150mila euro.
Per ripagare la sua elezione la giovane Pini, dunque, si è portata avanti: nel 2014 ha ricevuto 98.471 euro di competenze parlamentari e più della metà  le ha “girate” al partito che gliel’ha permesso. Di tasca sua, per quello scranno, aveva sborsato 196 euro in “spese di propaganda”.
“Questo è il punto”, dice Antonio Misiani, tesoriere dal 2009 al 2013, che non vuol sentir parlare di “commercio delle candidature”. Con il Porcellum, sostiene, sono venute meno le preferenze e le campagne elettorali “vengono fatte solo dal partito, non dai singoli candidati. Per questo chiediamo loro di contribuire, come fanno gli altri partiti. E’ un impegno politico verso la comunità  di cui l’eletto fa parte”. Tuttavia tutti i partiti hanno ricevuto dallo Stato fior di rimborsi a refusione di quelle spese, in forma di cinque euro per ogni voto espresso dagli elettori.
L’ultima volta, a fine 2015, si sono concessi altri 10 milioni aggirando anche, con la famosa legge Boccadutri (Pd), il visto di regolarità  della Commissione di vigilanza.
LEGA NORD
Cambiamo partito, la Lega Nord. Il Porcellum l’han scritto loro, va da sè che siano i più esperti in materia di “tassa sul seggio”.
Gli eletti tra le fila del Carroccio sono tenuti a versare nel salvadanaio di via Bellerio poco più del 40% del loro stipendio, tra i 2.000 e i 2.400 euro.
Non si paga, invece, il contributo una tantum per la campagna elettorale. Un seggio del Carroccio vale dunque 145mila euro. L’impegno viene sancito davanti a un notaio con una scrittura che vale come riconoscimento di “debito” e costituisce anche titolo per l’emissione di un decreto ingiuntivo, in caso di inadempimento.
Lo spiegò ai magistrati di Forlì l’ex segretaria della Lega Nadia Dagrada che insieme a Francesco Belsito custodiva la cassaforte del Carroccio. Si urlò alla scandalo, ci furono le note condanne su diamanti e quant’altro, ma la vicenda ebbe anche uno strascico a livello tributario e normativo tutt’ora pendente.
Gli onorevoli che contribuivano alla causa, bontà  loro, trovavano ingiusto pagare le tasse su quei versamenti. Il problema fu risolto allora alla radice, con un colpo di spugna in Parlamento benedetto da tutti i partiti.
Gli onorevoli Calderoli e Bisinella proposero un emendamento ad hoc alla legge che aboliva il finanziamento pubblico ai partiti — governo Letta, fine del 2013 — che dall’anno di imposta 2007 disponeva retroattivamente la “detraibilità  delle erogazioni in favore dei partiti”.
Il marchingegno aveva lo scopo dichiarato di sottrarre la generalità  dei parlamentari dal fare i conti col Fisco, facendo passare come “donazioni” e atti di liberalità  versamenti che in realtà  sono il prezzo di una candidatura certa. Inutile dire che passò a pieni voti.
La faccenda, come detto, non è chiusa. Alcuni senatori, nel frattempo, erano stati chiamati in giudizio di fronte alle commissioni tributarie provinciali e nei loro ricorsi hanno preteso di far valere il “salvacondotto” attrezzato per loro dai colleghi.
Alcune commissioni, in Piemonte ad esempio, hanno però ravvisato nella decisione del legislatore di allora una “contraddizione irragionevole” che hanno rimesso poi alla Corte Costituzionale. Il ragionamento: volendo abolire il finanziamento pubblico e regolare in modo trasparente le donazioni ai partiti, quella norma finiva di fatto per creare “un illegittimo privilegio che dovrà  essere rimosso dalla Corte, perchè non corroborato da ragioni oggettive che ne giustifichino la sussistenza”.
Detto altrimenti: quel decreto partito dai partiti (e destinato ai partiti) “non tutela esigenze di carattere generale bensì interessi del tutto particolari e personali”. Per questo, a settembre, la commissione tributaria di Biella ha rimesso la questione alla Corte, dove pende tutt’ora. Se un domani passasse quella linea, per i donatori forzati del Parlamento sarebbero dolori.
FORZA ITALIA
Sono passati quasi tre anni, lui ancora s’incazza. “Salgo le scale di via dell’Umiltà , al quarto piano vedo un impiegato con un banchetto. Con una mano fa firmare contratti ai candidati, con l’altra incassa assegni o contanti. Lo fermo, li prendo uno a uno e li faccio restituire. Nossignori, la democrazia non si vende!”.
Maurizio Bianconi è l’ex tesoriere del Pdl, una vita al fianco di Silvio Berlusconi e nel centro nevralgico del partito. Finchè, in occasione delle ultime politiche, s’è messo di traverso al commercio delle candidature.
Forse anche per questo siede oggi tra i banchi dei Conservatori riformisti, ma non ha cambiato idea. “Capite che questa roba è un’estorsione?”, urlò allora attirandosi attenzioni poco benevole in chi era arrivato coi soldi in mano a comprarsi il seggio e chi tenendo il cappello in mano già  faceva i conti dell’incasso.
“Ho fatto l’avvocato per 40 anni, so benissimo che questa cosa di pretendere soldi per una candidatura rasenta l’estorsione. Molti poi girarono i soldi direttamente, so anche di qualche bischero che lo fece senza poi essere eletto”.
Parliamo di quotazioni. Un seggio alle politiche 2013 veniva via per circa 25mila euro (Verdini ne chiedeva però 50 per un posto sicuro nel listino di Fi).
A differenza del Pd, devono essere versati immediatamente, all’atto della candidatura. Più un impegno, previsto dalla statuto, a versare 800 euro al mese al partito. Comprarsi lo scranno con Forza Italia, alla fine, costa circa 70mila euro.
Ciò nonostante non tutti pagarono, anzi.
Chi aggirò Bianconi alla fine raggirò Berlusconi. Ciclicamente, in questi tre anni, è venuto fuori il bubbone dei parlamentari inadempienti.
Quando il Pdl si è sciolto in Forza Italia si è aperto un buco nei conti da quasi 70 milioni, in parte dovuto proprio ai mancati “contributi” dei suoi parlamentari. Nelle casse dovevano arrivare circa 800mila euro al mese, ma il 40% degli eletti non aveva versato l’obolo.
CINQUESTELLE
I Cinque Stelle fanno delle “restituzioni” materia di vanto e un tratto distintivo. Ma anche queste sono imposte come vincolo a chi vuole esser “democraticamente eletto”. L’impegno, a conti fatti, vale almeno 114mila euro, una cifra non molto diversa dagli altri partiti ma con una differenza non da poco: gli altri versano la quota al partito, il M5S la restituisce allo Stato. Ecco i conti.
Ogni mese i parlamentari grillini possono percepire 5mila euro lordi, più gli altri benefit. E’ quanto prevede il “Regolamento” o codice di comportamento dei futuri parlamentari a Cinque Stelle comparso in occasione delle politiche 2013 sul blog di Grillo.
A conti fatti rinunciano quindi a 2.500 euro lordi, circa 1.900 netti. Più quanto riescono a non spendere della diaria da 8mila euro circa.
In un anno, mediamente, siamo intorno ai 114-130mila euro. Una cifra non così lontana dai candidati della Lega, un po’ inferiore di quella versata al Pd dai democratici. Anche in questo caso si parla di “contributi volontari” che in realtà  sono obblighi imposti dal codice di partito. In caso di mancanto versamento, infatti, scatta l’espulsione.
Danilo Puliani è il fiscalista che si occupa di compensi e restituzioni per i gruppi (e di circa il 70% dei parlamentari a Cinque Stelle).
Spiega che poco dopo l’elezione, tra fine aprile e inizio marzo 2013, ci furono diverse assemblee aventi ad oggetto il tema delle restituzioni.
Tra i più sentiti, il fatto che le tasse sul reddito dei parlamentari dovessero essere pagate per intero, pur percependo loro una parte soltanto dei compensi.
“Allora, di comune accordo, si decise di stabilire una sorta di agio per chi ha figli a carico o condizioni economiche più svantaggiate, consentendogli in via straordinaria di trattenere qualcosa di più dello stipendio in busta paga. Ma parliamo di piccole cifre”.
Quanto ai rapporti con il Fisco per le restituzioni “il problema non esiste”. Quei soldi vengono versati direttamente su un conto Tesoro per il microcredito. “Per questo ai parlamentari del M5S non si è mai posto il problema di fare un versamento e poi farlo rientrare sotto forma di detrazione”.

Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano”)

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SPENDING REVIEW, PER RENZI E’ DI 25 MILIARDI, MA IN REALTA’ LA MANOVRA NE HA TAGLIATI SOLO 7

Febbraio 25th, 2016 Riccardo Fucile

E LE USCITE CORRENTI SONO AUMENTATE… I DATI DELLA RAGIONERIA DI STATO SMENTISCONO IL PREMIER

“Dovendo fare la spending review, a mio avviso giusta, è chiaro che abbiamo meno soldi degli altri da spendere e la crescita è più bassa degli altri”.
Così Matteo Renzi, martedì, ha attribuito al taglio delle uscite della pubblica amministrazione lo stentato progresso del pil italiano.
Il premier ha citato i dati del Tesoro, che venerdì scorso, dopo l’allarme della Corte dei Conti sul “parziale insuccesso” della revisione della spesa, ha diffuso un documento in cui sostiene che l’anno scorso la spending è ammontata a 18 miliardi e quest’anno i risparmi arriveranno a quota 25 miliardi.
Ma secondo la Ragioneria generale dello Stato gli interventi dell’ultima legge di Stabilità  contengono le uscite di soli 7,2 miliardi, contro i 10 auspicati dall’esecutivo fino allo scorso autunno e i 34 previsti dal piano dell’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli.
E a stretto giro il centro studi di Unimpresa ha risposto con un’analisi secondo cui “lo scorso anno la spesa pubblica è aumentata di 52 miliardi di euro e le tasse sono cresciute di quasi 26 miliardi”. Come stanno davvero le cose?
Il Tesoro somma i risultati di cinque leggi
Il ministero dell’Economia, per arrivare a 25 miliardi, somma i risultati di cinque diverse leggi, la prima delle quali peraltro — si tratta di un decreto sull’emersione dei capitali detenuti all’estero — varata a gennaio 2014 dal precedente esecutivo Letta.
Ci sono poi il decreto 66 del 2014, quello sul bonus degli 80 euro (che prevedeva tra l’altro tagli ai ministeri, razionalizzazione degli immobili della pubblica amministrazione e un tetto di 240mila euro agli stipendi dei manager pubblici), il decreto di Marianna Madia con le prime misure di riforma della pubblica amministrazione e le manovre finanziarie per il 2015 e il 2016. A questo va aggiunta la voce “revisione politiche invariate”, cioè ad esempio i soldi destinati annualmente a 5 per mille, missioni di pace e non autosufficienze, il cui ammontare, spiega XX Settembre a ilfattoquotidiano.it, “è stato ridotto rispetto a quanto rifinanziato per prassi”.
L’impatto dell’ultima finanziaria è quantificato in effetti in 7,17 miliardi. Il contributo maggiore, 13 miliardi, consiste invece nelle ricadute della Stabilità  precedente, varata nel dicembre 2014 dopo che il governo ha dato il benservito a Cottarelli.
Oggetto delle battute del presidente del Consiglio secondo il quale la sua proposta di ridurre le uscite per l’illuminazione pubblica avrebbe creato “allarme sociale pazzesco”. Salvo che, come chiarito dall’economista, per risparmiare basta spegnere i lampioni nelle aree industriali, senza effetti sulle strade in cui di sera circolano i cittadini.
Il resto arriva per 2,8 miliardi dal decreto 66, per 1,3 dalle “politiche invariate”. Più di 560 milioni derivano poi dal decreto del 2014 con Disposizioni urgenti in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero e 113 milioni dal decreto Madia dell’agosto 2014, che ha previsto tra l’altro lo stop alle consulenze a pagamento per i pensionati e la mobilità  obbligatoria per gli statali.
Unimpresa: “Spesa su di 52 miliardi, tasse aumentate di 26″
I dati di Unimpresa sono in contrasto solo apparente con il risultato rivendicato dal governo. Si riferiscono infatti alla somma delle uscite correnti dello Stato, dagli stipendi ai trasferimenti a famiglie e imprese, come gli sgravi contributivi per le assunzioni a tempo indeterminato.
Secondo dati della Banca d’Italia esaminati dall’associazione delle piccole e medie imprese nel 2015 il totale si è attestato a 536,4 miliardi, in crescita di 52,6 (+10,87%) rispetto ai 483,8 del 2014, mentre il totale delle tasse versate da famiglie e imprese è stato di 433,5 miliardi contro i 407,5 del 2014.
La Ragioneria: “Stanziati 570,4 miliardi, 14 in più rispetto al 2014″
Per tagliare la testa al toro conviene comunque consultare il rapporto “Il bilancio in breve” della Ragioneria generale dello Stato relativo al 2015.
Secondo il quale “le risorse stanziate per le spese finali dello Stato per il 2015 ammontano a circa 570,4 miliardi di euro, con un incremento di circa 14 miliardi rispetto alle previsioni della legge di bilancio 2014 e circa 11 miliardi rispetto al valore del bilancio assestato”.
Quanto al 2016, “gli stanziamenti di bilancio si riducono rispetto all’anno precedente (di circa 4 miliardi)”. Nel 2015 “crescono i trasferimenti correnti a famiglie in conseguenza della stabilizzazione dell’assegno di 80 euro”, “aumentano i redditi da lavoro dipendente in conseguenza delle disposizioni della legge di stabilità  per l’attuazione del piano La buona scuola” e “i consumi intermedi registrano una flessione rispetto alle previsioni dell’esercizio precedente, per effetto delle riduzioni di spese di funzionamento delle Amministrazioni centrali e in modo particolare quelle del ministero della difesa”.
Tra le altre voci che determinano incrementi di spesa ci sono poi “l’istituzione di un fondo, con una dotazione di 6,4 miliardi di euro nel triennio, destinato a far fronte agli oneri derivanti dall’attuazione dei provvedimenti normativi di riforma degli ammortizzatori sociali” nonchè a “finanziare l’attuazione dei provvedimenti normativi volti a favorire la stipula di contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti”.

Chiara Brusini
(da “il Fatto Quotidiano”)

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