Marzo 15th, 2016 Riccardo Fucile “FOSSI STATO LI’ AVRAI CAGATO SULLA SUA BARA”: OPERAIO DI SETTIMO TORINESE DENUNCIATO PER DIFFAMAZIONE CON AGGRAVANTE DELL’ODIO RAZZIALE… ECCO DOVE PORTANO CERTI CATTIVI MAESTRI CHE ISTIGANO OGNI GIORNO ALL’ODIO
«Sono felicissimo, un terrone in meno da mantenere».
Così un operaio di 40 anni di Settimo Torinese ha commentato su un falso profilo Facebook la morte di un diciassettenne, Stefano Pulvirenti, in un incidente stradale nel Siracusano.
L’uomo, al quale è stato sequestrato il computer, è stato identificato dal Nucleo investigativo telematico (Nit) e denunciato dalla Procura di Siracusa per diffamazione aggravata da finalità di odio razziale.
Dopo il tragico incidente l’uomo aveva postato frasi come «quando vedo queste immagini e so che nella bara c’è un terrone ignorante, godo tantissimo».
E ancora: «Peccato che ero al Nord, altrimenti avrei cagato su quella bara bianca. Buonasera terroni merdosi. Non è morto nessun altro di voi oggi?».
Una vicenda che il procuratore Francesco Paolo Giordano e il sostituto Antonio Nicastro, titolari dell’inchiesta, hanno definito «disumana», spiegando che «fra le varie forme di povertà , la povertà morale è quella che rischia di mettere a maggiore rischio la dimensione umana».
(da agenzie)
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Marzo 15th, 2016 Riccardo Fucile CONFERMATI LETTIERI, PARISI E NAPOLI, FUORI LA EX ZECCA ROSSA A BOLOGNA, SI PRESENTA BIGNAMI
Sembra ormai a un passo la rottura del centrodestra, almeno su Roma. 
La nota di Fdi che ha invitato la sua presidente Giorgia Meloni a candidarsi come sindaco se entro 24 ore Silvio Berlusconi non dovesse chiarire una volta per tutto il caso Bertolaso, non cambia le carte in tavola.
Forza Italia, infatti, non sarebbe disposta ad arretrare di un millimetro.
Anzi, è determinata a sostenere l’ex capo della Protezione civile, nel rispetto dei patti presi qualche settimana fa con la Lega e Fratelli d’Italia, come sancito ufficialmente da una nota congiunta Berlusconi-Salvini-Meloni.
Tra gli azzurri girano varie voci.
Alcuni sospettano «un’asse Lega-Fdi per affossare Bertolaso sin dall’inizio», visto che «il vero obiettivo è la futura leadership del centrodestra».
Una linea che vede d’accordo tutti quei forzisti contrari al principio che «un giorno si stringe un patto, come è successo per Bertolaso, e il giorno dopo si cambia idea».
C’è chi, invece, è convinto che la «Meloni sia prigioniera dei suoi e dopo aver prima preferito non correre perchè in dolce attesa, sia stata poi costretta a ripensarci per una faida interna».
Altri, in particolare l’ala romana, pensano che «tutto il pasticciaccio parta da lontano: da quando cioè, Meloni ha imposto il suo veto su Marchini, un nome che poteva portare il centrodestra al ballottaggio».
Intanto Berlusconi, oggi rimasto ad Arcore per un nuovo intervento all’occhio, avrebbe già pensato al ‘piano B’ qualora anche la Meloni (dopo il Carroccio), dovesse sfilarsi definitivamente dalla partita per il Campidoglio: candidati azzurri in tutte le città che contano, a cominciare da Bologna.
Una sorta di ‘tana libera tuttì, con effetto a catena, ma solo nei grandi Comuni. Secondo questo schema, a Napoli e Torino sarebbero confermati, rispettivamente, l’imprenditore campano Gianni Lettieri e l’ex parlamentare azzurro Osvaldo Napoli. A Milano, dove si rischia un vero e proprio tsunami politico per il centrodestra, il manager Stefano Parisi resta il candidato di Forza Italia (è stato lanciato per primo dal Cav), spetterà poi agli alleati decidere se votarlo o meno, mentre a Bologna potrebbe rispuntare l’azzurro Galeazzo Bignami (candidatura mai tramontata in realtà ) al posto della leghista Lucia Borgonzoni, fortemente voluta da Matteo Salvini.
(da “Libero”)
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Marzo 15th, 2016 Riccardo Fucile BERTOLASO: “A ME PREOCCUPA IL DISSESTO CHE OGGI HA CAUSATO LA CHIUSURA DI VIA DELLA MOSCHEA, NON LE BEGHE PER UNA LEADERSHIP”
“Quando Giorgia Meloni sentirà gli alleati, Berlusconi le dirà che il candidato di Forza Italia è Guido Bertolaso. Lei poi se vuole andarsi a schiantare contro il Marco Aurelio si candidi pure”. Questa, secondo quanto si apprende da fonti di Forza Italia, la risposta che Silvio Berlusconi darà alla leader di Fdi che oggi, dopo aver raccolto dall’ufficio di presidenza del suo partito l’invito a candidarsi a sindaco, ha annunciato che comunicherà la sua decisione domani dopo aver sentito gli alleati.
Al momento, secondo quanto si è appreso, Meloni e Berlusconi non si sono ancora sentiti.
“Bertolaso – ricordano da Fi – è stato scelto insieme da Berlusconi, Meloni e Salvini. La stessa Meloni aveva chiesto di anticipare le ‘gazebarie’ e poi, dopo che 47mila romani si sono espressi, cosa fa? Ci ripensa e dice di essere pronta a candidarsi”.
Da parte sua Bertolaso, ospite di “Porta a Porta” ha dichiarato: «Per me la notizia del giorno è che via della Moschea è stata chiusa per dissesto stradale e tutto il traffico della zona è paralizzato. Questi sono i problemi che interessano a me e non altri».
«Io voglio nella mia squadra solo ‘romani de Roma’ – ha aggiunto – perchè viviamo in una città che esprime intelligenze a sufficienza senza doverle andare a cercare in giro per l’Italia».
«È evidente che c’è una lotta tra una serie di personaggi per avere la leadership del centrodestra alle prossime elezioni nazionali» ha concluso.
(da agenzie)
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Marzo 15th, 2016 Riccardo Fucile “DAI RAGAZZOTTI DEL CENTRODESTRA SOLO VETI E DISTINGUO, PEGGIO CHE ALL’ASILO”
Le gazebarie volute per Bertolaso, al pari delle consultazioni popolari imposte da Salvini, per non dire
delle comiche primarie del Pd, non entreranno nei libri di storia come esempio accademico di coinvolgimento degli elettori.
Andrebbero regolate per legge, o addirittura abolite del tutto.
Tuttavia questi presupposti non fanno venir meno l’obbligo, soprattutto per il centrodestra morente, a uno scatto di reni e di responsabilità : là fuori c’è Roma, c’è un Partito democratico allo sfascio e un MoVimento 5 Stelle che si trascina troppi interrogativi circa l’adeguatezza di una classe dirigente a curare i mali della Capitale. Verrebbe da dire: chi ha più testa la usi, e chi non ce l’ha la trovi.
Perchè il clamoroso plebiscito per San Guido poteva rappresentare la svolta nel ricompattamento di una coalizione dilaniata da veleni, colpi bassi, tradimenti e tatticismi.
La scusa per resettare pagliacciate incomprensibili.
La resurrezione, insomma, per tentare il miracolo anche a costo di turarsi il naso. E invece no.
Puntualissima è arrivata sul tavolo la carta che anzichè far scopa, spariglia: dopo un irritante tira e molla di mesi, soprattutto dopo aver appoggiato pubblicamente Bertolaso per differenziarsi da Salvini (pro Marchini) il candidato ideale che non s’è voluto candidare, cioè Giorgia Meloni, ieri si è improvvisamente candidata per il Campidoglio nel preciso istante in cui Bertolaso si godeva il trionfo dei gazebo.
Un tempismo perfetto da leader in (dolce) attesa.
E allora non resta che inchinarsi a Berlusconi: è stato l’unico a portare un candidato e a metterci la faccia, a differenza dei suoi alleati, i ragazzotti della nuova generazione del centrodestra che non hanno messo la faccia su niente se non sui propri veti e i propri distinguo.
Berlusconi, al contrario, è sceso in strada nonostante Bertolaso non sia certo in una posizione di forza nel quadro complessivo del centrodestra.
Una lezione di stile anche a Renzi, che appena intravide la malaparata si scrollò di dosso la grana Marino rifilandola a Orfini.
Essendoci ancora in giro un gigante come il Cavaliere verrebbe da dire che non tutto è perduto e che una speranza, forse, c’è.
Epperò poi uno si guarda intorno e li vede tutti lì, come all’asilo, dietro i banchi a tirarsi i cancellini, a farsi le linguacce.
Fino a ieri all’appello rispondevano in troppi, da Bertolaso a Marchini fino a Storace. Adesso in classe si è aggiunta l’alunna Meloni, senza contare l’inserimento al volo della scolaretta Pivetti e la preannunciata presenza in classe, in fondo a destra, dei discoli postfascisti che a Roma qualche voto prezioso si portan via.
Sei, sette candidati al posto di uno. Oggi poteva essere Bertolaso, domani la Meloni. Avanti il prossimo, continuiamo così, facciamoci del male.
Gian Marco Chiocci
(da “il Tempo”)
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Marzo 15th, 2016 Riccardo Fucile NEGLI ULTIMI TRE MESI HA DETTO TUTTO E IL CONTRARIO DI TUTTO… SOLO SU UN PUNTO E’ IRREMOVIBILE: MAI CON MARCHINI
Sì, no, non so, forse.
Giorgia Meloni negli ultimi tre mesi, a proposito della sua candidatura, ha detto tutto e il contrario di tutto. Solo su un punto è stata irremovibile: mai e poi mai con Marchini.
Non sciogliendo però i dubbi su una sua eventuale candidatura che avrebbe messo d’accordo Lega e FI.
Almeno fino alla manifestazione del Family Day a Roma il 30 gennaio: «Sono incinta al terzo mese, non mi candido». Provocando la reazione stizzita di chi era rimasto ad aspettare: «Ma se lo sapeva da tre mesi, perchè ha tenuto tutti nell’indecisione?».
Per salvare la faccia ha allora deciso di «lanciare» Rita Dalla Chiesa.
Rimediando una figuraccia da record: dopo sole 24 ore la conduttrice di Forum ha detto «no grazie».
Allora è stata la volta del capogruppo alla Camera Fabio Rampelli. Rimasto in campo giusto il tempo per vedersi scavalcare da Guido Bertolaso.
Candidatura che comunque FdI ha sostenuto. Ma allo stesso tempo sulla Meloni si moltiplicavano le pressioni di Salvini.
E Giorgia ha commesso l’ennesimo errore, non dando una risposta definitiva. Risposta che è arrivata con un tempismo disastroso: domenica sera, dopo il plebiscito su Bertolaso, Meloni ha annunciato che era pronta a candidarsi per tenere unito tutto il centrodestra.
Uno scatto in avanti che Berlusconi, a quel punto non le ha perdonato: io resto su Bertolaso. Ai politici rido in faccia.
(da “il Tempo“)
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Marzo 15th, 2016 Riccardo Fucile DOMANDA AGLI ISCRITTI “CHE FARE?” DOPO CHE HA GIA’ DECISO…E OVVIAMENTE NON CI SONO CONTROLLI SULLA CONSULTAZIONE
Facciamo scegliere i nostri iscritti online.
Fratelli d’Italia fa finta di giocare la sua ultima carta per cercare di trovare una soluzione che eviti al centrodestra a Roma una disfatta epocale.
Giorgia Meloni ha già deciso la sua candidatura come ruota di scorta di Salvini, ma lancia anche lei le “cazebarie” per fingere di consultare i militanti del partito su quale sia la via d’uscita migliore.
Per una «verifica» in piazza ormai non c’è più tempo e così i vertici di FdI hanno deciso di inviare via mail un questionario a tutti gli iscritti.
Una paginetta nella quale si chiede sostanzialmente qual è, per loro, la soluzione: dall’alleanza con Bertolaso a quella con Salvini, dalla corsa in solitaria fino all’accordo con Alfio Marchini.
Ma quello che spicca nel «sondaggio» è l’assoluta mancanza di una voce su Francesco Storace.
Il leader de La Destra — che è stato il primo a candidarsi a Roma — non appare in alcuna delle ipotesi possibili. Insomma i suoi voti non interessano a Fratelli d’Italia.
La «verifica» con gli iscritti dovrebbe concludersi tra poco: da qualche ora è riunita rla direzione del partito.
E, in base al risultato scontato, Giorgia Meloni deciderà di portare FdI a correre insieme a Matteo Salvini, sganciandosi da Forza Italia.
(da agenzie)
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Marzo 15th, 2016 Riccardo Fucile LA PARTITA CHE SI GIOCA A ROMA VA AL DI LA’ DEI CONFINI DELLA CITTA’
Come le streghe sul Monte Calvo, tre destre si sono date convegno attorno al colle romano del Campidoglio.
Secondo le regole di ogni sabba che si rispetti urlano insulti e parole senza senso, ma nè le oche della leggenda nè le campane del mattino sembrano in grado di dissolvere il rumore del loro litigio.
Sotto il colle, Roma assiste stremata e incolpevole, soprattutto impotente.
Già ha vissuto la prova delle primarie anonime del Pd, con manciate di schede bianche gettate nei seggi per far crescere meccanicamente il numero di elettori che languiva politicamente.
Poi l’ossimoro vivente delle primarie di destra con un solo nome sulla lista, quello di Bertolaso, imposto da Berlusconi ma immediatamente contestato dai due partner del Cavaliere, Salvini e Meloni: come se a destra l’unica forma di consultazione possibile fosse il plebiscito, sanzione demagogica di un fatto compiuto, ma ormai senza più la forza nè l’autorità per realizzarsi fino in fondo.
Uno strumento napoleonico, ma per uno schieramento politico che ha smarrito ormai ogni ombra di bonapartismo.
Il risultato è surreale. Incapace di discutere di politica, la destra parla della gravidanza della Meloni, con Bertolaso che la invita a “fare la mamma”, la Lega che la difende scoprendosi improvvisamente femminista per un giorno, e intanto cova ormai apertamente la contro-candidatura della leader di Fratelli d’Italia, mettendo nell’angolo Berlusconi che promette di “ridere in faccia” ai politici di professione: perchè “vengono i brividi” a pensare che gente “incapace di amministrare un’edicola” possa credere di poter fare il sindaco di una città come Roma.
Sotto gli stracci che volano a destra, bisogna però cercare di capire la sostanza del problema, nuovissimo.
Non si tratta infatti di un litigio tra “i tre leader” come titolano comprensivi e nostalgici i giornali di destra, e nemmeno di un “tradimento”, termine che nel vocabolario berlusconiano ricorre ogni volta che la strategia dell’ex premier entra in difficoltà .
Il punto è un altro: Roma, com’è giusto che sia trattandosi della capitale del Paese, sta dilatando sul suo palcoscenico millenario la crisi definitiva dell’idea di una destra di governo, che Berlusconi aveva suscitato nel 1994, ventidue anni fa.
La partita che si gioca attorno all’aula Giulio Cesare del Campidoglio, infatti, va molto al di là dei confini di una città non governata da anni.
È prima di tutto una contesa di eredità , senza nemmeno che Berlusconi abbia firmato il suo testamento politico.
Il capo di Forza Italia è ancora in sella, rinchiuso nell’ultimo ruolo politico che gli è rimasto: non più candidato premier, non più con il suo nome sulla lista, non più padrone di mezza Italia elettorale ma piuttosto unico federatore possibile delle diverse anime di destra che si inseguono nel Paese.
È proprio questo ruolo che gli viene contestato nel momento in cui Salvini e Meloni decidono di mettersi in proprio nella Capitale.
Gli istinti populistici vengono prima e valgono di più del talento federativo dell’ex premier, pessimo uomo di governo sempre, ma più volte capace di costruire una coalizione vincente intorno a sè.
Quanto all’esperienza e all’autorità di un ex uomo di Stato, che ha guidato tre volte il Paese, la neodestra non sa che farsene, protesa com’è ad attaccare le istituzioni.
Così l’ex Cavaliere è solo in un Palazzo sempre più disabitato, costretto a fare il lungo inventario dei suoi errori e a difendere l’ultima trincea politica residua, quella di Forza Italia, dalla sfida oltraggiosa di Salvini e Meloni che lo attaccano da fuori, come se non valesse nemmeno la pena di lanciare un’opa su un guscio vuoto.
Quella a cui stiamo assistendo, in effetti, è una vera e propria “scalata esterna” al potere berlusconiano, che chiude un’epoca.
La partita interna – chi è il reggente, chi compone il direttorio nei misteri di Arcore, chi sarà il delfino – è diventata improvvisamente irrilevante, come un impero che si disfa da solo, in quell’autunno del potere tipico di brutti romanzi sudamericani. Il punto vero è la fine dell’egemonia berlusconiana sul “campo” che lui stesso ha prima evocato, poi recintato e quindi guidato per più di vent’anni.
Senza una vocazione istituzionale, ma con una fortissima inclinazione per il potere, la costruzione mezza meccanica e mezza ideologica del miracolo berlusconiano nel ’94 (un partito nuovo baricentro di un’alleanza a due teste inconciliabili, la Lega a Nord e An a Sud) proiettava comunque e fin da subito la destra resuscitata in una dimensione di governo che non aveva mai conosciuto, anche se per Berlusconi la conquista del Palazzo era per comandarlo più che per governarlo.
La scelta travagliata e incerta di aderire infine alla famiglia europea del Partito Popolare dava al berlusconismo una cornice d’obbligo moderata e governativa, utile a tenere a bada gli istinti cesaristi e una pratica drammatica di dismisura e abuso di potere, dalla legislazione ad personam al conflitto di interessi.
La cornice stessa oggi salta, perchè viene al pettine il nodo fondamentale dei vent’anni berlusconiani: non aver creato una moderna cultura conservatrice in un Paese che non l’ha mai conosciuta, essendo stato a destra prima fascista, poi doroteo, infine berlusconiano, mai conservatore nel senso europeo e moderno del termine. È una esatta e inevitabile conseguenza della prassi del cesarismo autocratico che contempla se stesso al potere in un eterno presente, convinto di essere immortale e comunque non sostituibile, se non per via dinastica.
Il risultato è la mancata creazione dello spazio culturale di una destra di governo: c’è un “campo” a destra, ci sono i voti e c’è la storia di un’esperienza titanica e tragica. Manca una cultura che lo rappresenti e lo renda vivo, lo racconti e lo riproduca, selezionando una classe dirigente con criteri diversi dall’ossequio e dalla fedeltà , che peraltro a destra ha sempre una data di scadenza.
In questo vuoto si liberano e dilagano due sottoculture, oggi rappresentate sulla maestosa scena romana dagli inconsapevoli Meloni e Salvini.
Da un lato un post-fascismo quirite che rinuncia ad ogni dimensione nazionale proprio mentre agita un’idea di nazione non come ideale ma come rifugio; dall’altro un etno-centrismo radicale e spaventato che predica l’egoismo come criterio della nuova politica.
Uniti nella povertà di una nuova ideologia che si nutre di paure e chiusure, dipinge un Paese perennemente sotto attacco, minacciato, depredato dalle èlite, ingannato dalle istituzioni, infiltrato dagli stranieri e dagli “zingari”, in una politica che non si accorge di aver sostituito del tutto i sentimenti con i risentimenti.
Un Paese in continua minorità psicologica, che proietta l’idea di una destra di ruspa e di piazza ma non di governo, dunque anch’essa di minoranza quasi per definizione.
Ai due sfidanti della neodestra italiana manca una cultura nazionale, persino l’ambizione di parlare all’intero Paese rappresentandolo, e non solo a una sua parte, impaurendola.
Finisce qui, dunque, l’avventura della destra italiana di governo, soppiantata da due surrogati minori benchè radicali, che messi insieme non riescono nemmeno a proiettare l’immagine d’importazione di un lepenismo all’italiana.
Il troppo lungo tramonto dell’ex Cavaliere oltre a non lasciare rimpianti non lascia nemmeno principi ereditari all’orizzonte, come forse voleva il suo inconfessato disegno.
Arrivano soltanto i barbari, e in Campidoglio non ci sono più oche.
Ezio Mauro
(da “La Repubblica”)
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Marzo 15th, 2016 Riccardo Fucile SALA 42% – PARISI 35%…. RAGGI 33% – GIACHETTI 30%… DE MAGISTRIS 34 – LETTIERI 28%- M5S 28%… AI BALLOTTAGGI VINCEREBBERO SALA, RAGGI E DE MAGISTRIS
Giuseppe Sala, Virginia Raggi e Luigi De Magistris partono in pole position per le elezioni amministrative
a Milano, Roma e Napoli.
È quanto emerge dal sondaggio Index Research condotto per PiazzaPulita, trasmissione di La7.
Capitolo Milano.
Dopo la vittoria facile alle primarie del centrosinistra, per Giuseppe Sala vincere le elezioni amministrative non sarà una passeggiata.
Approfittando del marasma di M5S, che ha ritirato la candidatura di Patrizia Bedori e cerca ancora un candidato, al primo turno il candidato del Pd si attesta al 42% contro il 35% di Stefano Parisi, candidato del centrodestra.
Al ballottaggio la distanza fra i due si riduce a 4 punti (52% contro 48% a favore di Sala).
Capitolo Roma.
Qui il marasma riguarda il centrodestra, ancora diviso sulla candidatura, mentre il Pd prova a riunire il centrosinistra attorno al nome di Roberto Giachetti, anche se Ignazio Marino minaccia di sottrarre parte dell’elettorato.
Ne beneficia il Movimento 5 Stelle. Al primo turno, infatti, Virginia Raggi è data al 33%, in vantaggio sia rispetto a Roberto Giachetti (30%), sia rispetto a Guido Bertolaso (15%)
Al ballottaggio il vantaggio della candidata M5S è netto su Giachetti (55% contro 45%).
Le incognite da valutare sono tuttavia diverse, nel momento che Giorgia Meloni si candidasse, ma il centrodestra diviso non arriverebbe certo a insidiare la seconda posizione e anche unito non arriva al 30%, considerando le molte altre candidature (da Marchini a Storace)
Capitolo Napoli.
I sondaggi danno credito alle speranze di Luigi De Magistris di essere rieletto.
Le macerie qui sono del Pd, alle prese con i litigi post-primarie fra Antonio Bassolino e la candidata sindaco Valeria Valente.
Al primo turno De Magistris è accreditato di un 34% che supera tanto Gianni Lettieri (28%), quanto il 5 Stelle, ancora privi di candidato (28%).
Al ballottaggio l’attuale sindaco di Napoli vince su Lettieri (54% contro 46%), mentre pareggia con M5S (50% contro 50%).
(da “Huffingtinpost”)
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Marzo 15th, 2016 Riccardo Fucile FINE DI OGNI COMPROMESSO
È difficile per un leader mantenere la leadership di una coalizione se un alleato la reclama dicendo «io ho più voti».
Berlusconi resta un personaggio carismatico, mentre Salvini cerca di trasformare quello che un tempo fu il centrodestra in un blocco lepenista, con risultati finora modesti
Roma è il paradigma della nuova sfida, a Roma si ripete un copione vecchio di ventidue anni, perchè nel ’94 – alla vigilia del voto che cambiò l’Italia – Bossi applicò la stessa tattica: mandò Maroni a trattare con Segni e poi siglò l’accordo con il Cavaliere.
Nulla di nuovo insomma, se non fosse che stavolta il capo di Forza Italia non è il beneficiario ma la vittima del gioco leghista, e prova a resistere al «voltafaccia» di Salvini, verso il quale concentra i suoi strali: «Non ha nessuna esperienza di governo, non ha nemmeno avuto mai un mestiere vero. L’unico lavoro che ha fatto è la comparsa a Mediaset».
E non molla certo su Bertolaso, che poi è sempre stato il baluardo degli azzurri romani, timorosi fin dal principio che una concessione alla candidatura della Meloni potesse provocare l’estinzione del partito nella Capitale.
Se ora Berlusconi difende l’ex capo della Protezione civile è per difendere se stesso dall’oltraggio del complotto.
Il punto è che i protagonisti del braccio di ferro sono consapevoli di non avere più margini per un compromesso: chi cederà avrà perso, senza possibilità di rivincita.
A dire il vero Berlusconi vorrebbe ancora trovare una mediazione, ma ha capito di essersi ritrovato nel bel mezzo di un conflitto tra «colonnelli», impegnati in una riedizione dei congressi di An.
È come se il tempo non fosse mai passato: Gasparri contro Meloni, Rampelli contro Augello, con Storace – nei panni di Terminator – a far da guastatore e con La Russa – epigono di Tatarella – alla ricerca dell’elisir perduto, quello dell’armonia.
Tre settimane fa, quando ancora nulla lasciava presagire dello scontro, Verdini teorizzava quanto poi è accaduto, mentre parlava in un ristorante dell’«occasione persa dal Cavaliere con il Nazareno»: «E vedrete come Salvini maltratterà Berlusconi. A quel punto non so cosa ci resterà a fare lì».
È una domanda che da giorni si pongono molti autorevoli esponenti di Forza Italia, anche se per ora l’unico ad aver avuto il coraggio di dirlo al capo è stato Matteoli: «A queste condizioni non si può fare la lista unica» con il Carroccio.
E il problema non è soltanto legato al numero delle candidature da strappare nel listone.
Il nodo è anzitutto politico. Se è vero che Salvini mira a costituire nel Paese un blocco lepenista, sulla scia dei risultati che movimenti populisti hanno ottenuto anche in Germania, resta da capire quale potrebbe essere il «positioning» di Forza Italia alle future elezioni politiche.
E siccome il partito di Berlusconi – nonostante le divergenze con la Merkel – fa parte a pieno titolo del Ppe, è a quell’area di riferimento che un pezzo importante della dirigenza azzurra inizia a guardare.
Tempo addietro Berlusconi aveva respinto ogni prospettiva in tal senso. Anche a chi gli proponeva di agganciare l’Udc per un accordo politico, aveva risposto di no: «Non valgono più dell’uno per cento. Tutt’al più me li prendo uno a uno».
Oggi le condizioni potrebbero mutare: se il centrodestra dovesse saltare, se dovessero dividersi le strade con la Lega e Fratelli d’Italia, Forza Italia potrebbe mai correre da sola?
L’interrogativo è stato posto a Berlusconi come una pratica che – nel caso – lui e solo lui potrà evadere. Con una avvertenza, che un ex ministro azzurro invita a tenere a mente: «Silvio è un pragmatico, ne sono stato testimone…».
E così dicendo, ecco la rivelazione: nel 2011, a pochi giorni dalla crisi del governo di centrodestra, il «pragmatico Silvio» spedì un suo fidato messaggero dall’«odiato Fini» per tentare di ricomporre lo strappo ed evitare le dimissioni da presidente del Consiglio.
Il futuro riposa sulle gambe di Giove, il presente vede l’ex premier arroccato dietro Bertolaso, quasi fosse l’ultimo cavallo di frisia.
Ora si capisce che l’interpretazione della foto di Bologna – quella che ritrae insieme Berlusconi, Salvini e la Meloni – era il frutto di un fraintendimento: tra chi pensava di affermare la propria leadership e chi invece lavorava per sottrargliela.
Francesco Verderami
(da “il Corriere della Sera”)
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