Marzo 19th, 2016 Riccardo Fucile LA MELONI AVEVA DETTO CHE ALEMANNO ERA STATO UN PESSIMO SINDACO … LUI REPLICA CITANDO I NOMI DI ESPONENTI DI FDI CON RUOLI CHIAVE NELLA SUA AMMINISTRAZIONE
«Cara Giorgia, il tuo partito ha condiviso tante scelte della mia amministrazione, devi essere prudente quando parli. Non si crea una discontinuità positiva rispetto al passato partendo dall’ipocrisia e dallo scaricabarile».
Così Gianni Alemanno si aggrappa a Giorgia Meloni e la tira giù, mentre la leader di Fratelli d’Italia è invece tutta impegnata, nell’iniziare la sua corsa per il Campidoglio, a scrollarsi di dosso ogni possibile traccia dell’ex sindaco.
«Cara Giorgia», dice Alemanno, ma per Meloni è uno schiaffo: «Sai benissimo che tutte le scelte della nostra amministrazione sono state condivise anche dagli assessori e dai consiglieri di Fratelli d’Italia».
Non ci sta Alemanno, insomma, ad accollarsi tutta la responsabilità di un’esperienza che l’ex sindaco peraltro continua a difendere, anche oltre le inchieste.
E fa notare che nella sua giunta, nelle partecipate del Comune e negli staff, tra il 2008 e il 2013, c’era un pezzo importante del mondo di Giorgia Meloni.
C’era Fabrizio Ghera, tanto per cominciare, assessore ai lavori pubblici della giunta Alemanno, uno che Buzzi diceva di non riuscire a raggiungere, ma che certo nel giudizio politico sulla giunta ha qualche responsabilità .
Ed è proprio sul giudizio politico che oggi insiste Meloni: «Non ho rapporti con Alemanno, che ha fondato un partito contro di me», ripete anche ai microfoni di Radio Anch’io, «sul tema giudiziario credo che Alemanno dimostrerà la sua estraneità ai fatti, ma sul piano politico è un dato di fatto che la sua amministrazione non è riuscita a fare repulisti di quella roba che in sessant’anni avevamo messo in piedi Dc e comunisti».
Bene. Nota allora Alemanno però che nella sua amministrazione Giorgia Meloni ha creduto fino all’ultimo giorno e anche dopo, avendolo sostenuto nella ricandidatura contro Marino.
Meloni ha creduto in Alemanno e gli ha fornito uomini di peso. Oltre a Ghera, infatti, c’era all’inizio pure l’assessore alla Scuola Laura Marsilio, oggi responsabile scuola del partito di Meloni.
E poi, quando questa ha dovuto cedere il posto per colpa di un rimpasto, è stata data in cambio alla stessa area la presidenza di Ama. E a Roma le partecipate valgono più degli assessorati.
E’ questo che farà notare Gianni Alemanno quanto – tanto per movimentare la campagna elettorale – il 28 aprile presenterà il libro con la sua versione su quegli anni, “Verità Capitale”: «Ci saranno cose interessanti da questo punto di vista», anticipano all’Espresso dallo staff dell’ex sindaco.
Si ricorderà ad esempio che è proprio su indicazione di Fratelli d’Italia che Alemanno ha nominato a capo dell’Ama, appunto, Piergiorgio Benvenuti, già consigliere provinciale e fedelissimo di Fabio Rampelli, signore delle preferenze nere a Roma e attuale spalla di Meloni.
Si occupa poi attualmente del coordinamento degli Enti Locali del partito Domenico Kappler, già senatore, e soprattutto, con Alemanno, Ad di Risorse per Roma, una delle municipalizzate più importanti in città , al centro dello scandalo parentopoli.
Più vicino al senatore Augello (altro ex Msi ma ora alfaniano) era invece Marco Clarke, già presidente di Ama, assessore in Provincia, infine presidente di Risorse per Roma e anche lui del giro degli ex camerati.
Nomi pesanti per ruoli centrali, come detto, spesso più importanti di quelli in giunta. «Troppo per fare l’imitazione delle tre scimmiette», dice Alemanno a Meloni.
E così dovrà insistere Giorgia Meloni su quello che si annuncia un tormentone della sua campagna elettorale.
«Si presenta a come se venisse da Marte», la accusa ad esempio Stefano Fassina, candidato sindaco di Sinistra Italiana, «ma lei ha sostenuto fino all’ultimo giorno Alemanno, suo intimo amico di partito, e tutti conosciamo i risultati di quell’amministrazione».
Si potrebbe temere, a quel punto, che con lei torni infatti in Campidoglio la classe dirigente che ha portato in Comune, insieme a Alemanno, i nomi celebri non tanto di Mafia Capitale, quanto di altre inchieste e di parentopoli.
Dovrà impegnarsi, Meloni, perchè deve riuscire a non far pensare, ad esempio, a Riccardo Mancini, arrivato a capo di Eur Spa partendo dalla militanza nel Fronte della Gioventù e in Avanguardia nazionale.
Luca Sappino
(da “L’Espresso”)
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Marzo 19th, 2016 Riccardo Fucile “NON CONOSCO DI STEFANO”… “LA PRIMA VOLTA CHE SEI ENTRATA IN UNA SEDE DEL MSI, LA PORTA TE L’HO APERTA IO E ABBIAMO FATTO POLITICA INSIEME PER ANNI”
Attenzione a non far arrabbiare i camerati di Casa Pound. 
Simone Di Stefano non ha apprezzato per niente che Giorgia Meloni, candidata sindaco a Roma, abbia detto di non essere mai stata fascista e, soprattutto, di non conoscerlo.
Lui, su Facebook, la smentisce: «Ricordi Giorgia? La prima volta che sei entrata in una sede del Msi la porta te l’ho aperta io. E abbiamo fatto militanza insieme per due anni». Di Stefano ironizza: «Governare con i moderati fa perdere la memoria».
Al di là della querelle su chi sia stato o meno fascista (cosa che peraltro interessa poco) la Meloni sta inanellando una serie di gaffes non da poco.
Prima cerca di prendere le distanza da Alemanno, ma viene smentita dall’ex sindaco che snocciola i nomi di esponenti di FdI “imposti” dalla Meloni come assessori o presidenti di partecipate nella giunta Alemanno.
Ora finge di non conoscere Di Stefano col risultato di venire clamorosamente smentita dal candidato sindaco di Casa Pound, suscitando i commenti della base dei “fascisti del terzo millennio”: “Meglio soli che accompagnati da infami e traditori. Schiena dritta e orgoglio sempre. Lei non ti conosce? Simone, fregatene. Giorgia è solo borghesia patrimoniale improduttiva, ci sono i combattenti fedeli all’ideale e i traditori”.
Va ricordato che la candidatura autonoma di Di Stefano segna la fine dei rapporti con la Lega di Salvini.
Confidiamo abbiano compreso che in certi casi le porte, più che aprirle, sia opportuno chiuderle.
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Marzo 19th, 2016 Riccardo Fucile TENTATIVO DI DIALOGO CON SEL E TRE LISTE DI APPOGGIO
«Ragazzi, qua si mette male ». Roberto Giachetti è preoccupato.
Forse per la prima volta da quando, tre mesi fa, decise di accettare l’invito di Renzi a correre per il Campidoglio, ha realizzato che l’impresa è più complicata del previsto.
Non che non ne fosse consapevole: la traumatica caduta della giunta Marino, la rottura dell’alleanza con Sel e i tormenti interni al Pd facevano già presagire che la strada sarebbe stata in salita.
Ma la campagna on the road per le primarie e l’implosione del centrodestra gli avevano restituito la speranza di una rimonta possibile
Fino agli ultimi, impietosi sondaggi: tutti concordi nel fotografare la grillina Virginia Raggi al ballottaggio e poi vincente contro qualunque candidato, con un tasso di astenuti e di incerti concentrato specialmente fra gli elettori del centrosinistra.
«Dobbiamo trovare il modo di recuperare, di riconquistare il nostro popolo, altrimenti al secondo turno ci asfaltano», ha sussurrato ieri il vicepresidente della Camera al termine dell’ennesima giornata di passione.
«So bene quanto sia difficile, che ci portiamo dietro anche il peso dei nostri errori», ha poi spiegato a Radio24, «ma ripeto: se questa storia va avanti c’è bisogno di una rottura totale con il passato, a cominciare dalle liste elettorali»
Un incubo, la fuga dalle urne, da cui Giachetti teme di svegliarsi sconfitto.
Scenario così realistico da impensierire pure il Nazareno. Dove i dati romani sulla disaffezione al voto sono stati letti come un campanello d’allarme.
Perchè «se il caos nel centrodestra avvantaggia noi, coi quattro candidati che finiranno per neutralizzarsi a vicenda» – o, per dirla con Orfini, «noi pensiamo alla città , non ai giochetti di politica nazionale messi in atto dagli altri partiti» – la vera incognita è cosa accadrà al ballottaggio.
Quando «ci sarà la corsa a far perdere il Pd». Tutti coalizzati, destra e sinistra, sulla candidata a 5 stelle.
Una questione da affrontare subito, dunque. Parola d’ordine: mobilitare gli elettori di centrosinistra delusi o tentati dall’astensione.
Come? Innanzitutto facendo professione di ottimismo: «Sei mesi fa il Pd era dato per perso, con i sondaggi che dopo Mafia Capitale ci davano al 16%», ha ribadito ieri il candidato sindaco. «Adesso tutti gli indicatori dicono che la partita è contendibile».
Ovvero: «È tosta ma ce la giochiamo », riassume la renzianissima Lorenza Bonaccorsi.
E poi cercando di aprire un canale con la sinistra che ha puntato su Stefano Fassina.
Perchè se il candidato ex pd resta ostile a ogni ipotesi di riconciliazione, c’è invece una parte di Sel – che a Roma governa con i democratici in Regione e nei municipi – per nulla rassegnata alla rottura dell’alleanza.
Obiettivo di Giachetti: disarticolare quell’area, come a Milano e Bologna. In attesa di capire cosa farà l’ex sindaco Marino: scenderà in campo oppure no
Due perciò le strategie pensate per strizzare l’occhio alla sinistra extra-Pd. Intanto una lista arancione con dentro movimenti, associazioni e pezzi di Cgil da tempo non più in sintonia coi dem, oltre ai fuoriusciti di Sel.
E poi una lista Pd con qualche nome forte, anche della minoranza, che per Orfini dovrebbe essere guidata da Fabrizio Barca, l’uomo che ha mappato i circoli e fatto pulizia.
Infine coinvolgendo, specie nella stesura del programma, parlamentari tutt’altro che renziani come Walter Tocci e simboli dell’ex giunta Marino, a cominciare dal giudice Alfonso Sabella.
Due liste cui ne verranno affiancate altre tre: una radicale, in omaggio all’antica appartenenza di Giachetti, messa in piedi dal giovane segretario Riccardo Magi.
Una cattolica organizzata dall’ex dc Beppe Fioroni insieme all’ex leader Cisl Raffaele Bonanni. E una del sindaco, con esponenti di richiamo della società civile
Uno schema tuttavia a rischio per i malumori della stessa minoranza, che si sente trascurata. «Nel partito c’è molta preoccupazione », rivela l’ex sfidante alle primarie Roberto Morassut, «la campagna elettorale è ferma, fatichiamo a trovare una linea di combattimento e un percorso unitario. Orfini si dia una svegliata ».
Con il bersaniano Nico Stumpo ad avvertire: «O Giachetti decide di allargare, inaugurare una gestione collegiale su liste e programma, oppure non si va da nessuna parte».
Giovanna Vitale
(da “La Repubblica”)
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Marzo 19th, 2016 Riccardo Fucile “SE DICO CHE SALVINI E’ UNA MERDA INTERPRETO IL SENTIMENTO DEI NAPOLETANI”
“Scetateve guagliù, non possiamo più restare a guardare”. 
Sceglie il napoletano per la sua prima uscita da candidato sindaco del Movimento 5 Stelle Matteo Brambilla, il brianzolo scelto sul web da circa 250 attivisti che definisce “consapevoli” liquidando le polemiche su un voto poco partecipato in termini di numeri.
L’ingegnere, che si è trasferito nel capoluogo campano dopo aver sposato la moglie Teresa, nel 2006, ha detto di voler vivere “a Napoli tutto il resto della mia vita. Non mi sento un monzese, io sono un napoletano che abita a Napoli. Sono stato scelto da una napoletana, sono stato scelto dagli attivisti di questa città e sono stato rapito dalla sua bellezza. Oggi vivo nel quartiere di Chiaiano, pago le tasse qui e vivo tutti i problemi di Napoli”.
Malgrado la sua fede nella Juventus — “sono gobbo bianconero dalla nascita”, ammette — Brambilla spera di “festeggiare da sindaco il terzo scudetto del Napoli”.
Parlando con i giornalisti, Brambilla racconta di esser stato per la prima volta in città nel 1992: “Una bambina mi disse ‘tu nun si e Napule, si vede perchè tien na facc e cazz’. Poi mi invitò al suo compleanno”.
“Sono stato criticato perchè dico le parolacce su Facebook. Ma il signor Salvini che canta ‘Senti che puzza scappano anche i cani’ e viene a cercare voti a Napoli non insulta Napoli? – attacca poi Brambilla – se dico a Salvini che è una m…, interpreto il sentimento di quei napoletani schiacciati da questa gente”.
E ancora: “Salvini pensa che i rifiuti di Napoli puzzino. Eppure a Napoli ci hanno mandato i rifiuti di Milano quando eravamo in emergenza. I rifiuti di Milano sotterrati qui puzzano come quelli del Sud che la ‘ndrangheta ha sotterrato in Lombardia”, aggiunge.
Il ‘marziano’ M5S a Napoli ne ha anche per il governatore della Campania Vincenzo De Luca, definito ‘lota’ (acqua mista a fango, ndr) perchè “vuole nascondere i rifiuti nelle cave dismesse”.
Del suo programma elettorale, Brambilla annuncia che sarà “un documento scritto da un gruppo che ci lavora da tempo nei tavoli programmatici. Noi abbiamo deciso di metterci la faccia per cambiare le cose dopo che per troppi anni siamo stati presi in giro dai politicanti che facevano i propri interessi. Ho scelto il M5S perchè fatto di cittadini consapevoli di voler cambiare Napoli”.
Tra i primi punti, la questione ambientali: “Pianura va bonificata, come la Terra dei Fuochi, a Chiaiano bisogna chiudere la discarica. Sui rifiuti, l’obiettivo è raggiungere il 100% di differenziata ma soprattutto produrne meno. Su Bagnoli bisogna investigare sulla mancata bonifica”.
Quanto alla camorra, sostiene, “le mafie avanzano quando trovano una sponda istituzionale, quando c’è qualcuno che si fa corrompere. La camorra si combatte con l’onestà . Nelle istituzioni vanno fatte gare d’appalto controllate. Senza soldi la camorra non è niente”.
“Io non mi rivolgo all’elettorato di De Magistris come non mi rivolgo all’elettorato di nessuno – aggiunge – i cittadini devono scegliere il candidato da votare e non guardare il nome, Brambilla o De Magistris che sia”.
E dell’ex pm attuale sindaco, Brambilla dice che “ha avuto 5 anni per fare quella rivoluzione arancione che aveva annunciato e cinque anni bastano almeno per iniziarla. Lui, però, non ha avuto il coraggio di portarla avanti fino in fondo la battaglia. Pur avendo apprezzato “la battaglia in difesa dell’acqua pubblica, sul resto è stato un mezzo fallimento. In 5 anni di mandato si è dovuto rivolgere a disparati soggetti solo per tirare a campare”.
Il candidato del Movimento Cinque Stelle racconta di aver votato per De Magistris “quando si candidò alle europee. Poi ha disatteso quel mandato per venire a fare il sindaco. Ora si presenta con 13 liste, dovrà mettere insieme un puzzle perchè dietro non ha un gruppo unito”.
(da agenzie)
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Marzo 19th, 2016 Riccardo Fucile OCCHI CHIUSI SUL LORO DESTINO, NON C’E’ NULLA DI UMANITARIO
Sull’accordo di ieri tra Consiglio d’Europa e Turchia bisogna reprimere un senso opprimente di vergogna.
I 28 statisti che governano questo continente di 506 milioni di abitanti hanno negoziato con Davutoglu (cioè con il suo padrone Erdogan) il seguente accordo: l’Europa accetterà 72.000 profughi e ne rimanderà altrettanti dalla Grecia in Turchia.
In cambio Ankara ottiene per il momento 3 milioni di Euro per progetti sui migranti (i termini qui sono vaghi per occultare le promesse europee di altro denaro), l’avvio della procedura di ammissione della Turchia alla Ue e una facilitazione, anch’essa vaga, dei visti d’ingresso dei cittadini turchi in Europa
Davotoglu ha avuto la faccia tosta di definire questo accordo non un mercanteggiamento ma una questione di «valori».
Certo, basta dividere i 3 miliardi ottenuti dalla Turchia per 72.000 e otteniamo poco più di 40.000 euro a persona.
Ecco il valore di migranti e profughi per Ankara.
E che cosa ne faranno Erdogan e Davutoglu del gruzzoletto?
Pasti caldi e comodi alloggi per tutti o magari, con i quattrini risparmiati sui rifugiati, un po’ di armi e di bombe? Bisognerà chiederlo ai curdi
Ma accusare la sola Turchia di speculare sull’umanità alla deriva tra Egeo e Macedonia sarebbe ingiusto.
Perchè i veri mercanti di uomini sono gli stati europei.
Come ha scritto ieri la Tageszeitung, 72.000 sono solo gli stranieri arrivati in un anno a Berlino. Una cifra irrisoria se proiettata sull’intero continente.
Un numero che non risolve nulla, che lascia le cose come stanno e che serve solo ad alleggerire il peso dell’accoglienza che si è scaricato negli ultimi mesi sulla Grecia.
Ora, orde di funzionari, poliziotti e guardie di confine europee invaderanno le isole dell’Egeo per “selezionare” gli stranieri buoni da quelli “illegali”.
Per uno che entra, uno deve uscire. È la roulette russa del profugo
L’ipocrisia europea ha toccato in questo caso cime abissali. Poichè una recente sentenza della Corte di giustizia prescrive che un profugo possa essere espulso in uno stato terzo solo se questo è “sicuro”
Paese “sicuro”, cioè non specializzato in torture, ecco che alla Grecia basterà riconoscere alla Turchia questa qualifica e, voilà , i giochi sono fatti.
La Turchia uno stato “sicuro”? Quella che rade al suolo le sue città abitate dai curdi? Quella che manganella manifestanti a tutto spiano? Quella che chiude i giornali non allineati al regime di Erdogan
L’accordo di ieri non ha nulla a che fare con l’umanità , di cui ha parlato qualche tempo fa Frau Merkel.
È la risposta miserabile della Ue alle paranoie di Hollande, all’eccezionalismo high brow di Cameron, alle pretese di Orban, del governo ultra-reazionario di Varsavia, dell’estrema destra tedesca e di tutti gli altri cultori del filo spinato.
E anche delle istituzioni finanziarie che ora, se l’emergenza di Idomeni finirà , potranno dedicarsi a spennare ancora un po’ Atene.
E probabilmente della Nato, di cui la Turchia è membro irrinunciabile
Che fine faranno i 72.000 rimandati in Turchia e tutti gli altri che dovevano essere ricollocati da mesi e vagano tra Sicilia, Calais e chissà dove?
Che ne sarà di quelli che arriveranno ora, con la stagione calda, e che sicuramente la Turchia farà passare per spillare ancora quattrini agli europei?
Renzi ha dichiarato che la questione dei migranti si risolve in Africa. Bisognerà dirlo agli afghani, agli iracheni e a tutti gli altri che non sono africani, non sono riconosciuti come profughi ed errano in quell’enorme campo minato che si stende tra Istanbul e Kabul, passando per Damasco e Baghdad.
Con l’accordo di ieri l’Europa ha chiuso gli occhi sul loro destino.
Alessandro Dal Lago
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Marzo 19th, 2016 Riccardo Fucile I SONDAGGI LA DANNO AL 2%, NON HANNO NEANCHE UNA SEDE… CHI DIRIGE L’ORCHESTRA E’ DI PAVIA, POI DIVERSI TROMBATI EX AN IN CERCA DI POLTRONA
Ma quanto vale Salvini a Roma, la Capitale un tempo nemico assoluto della Lega nord? 
Nella città teatro dello scontro fratricida dentro il centrodestra, il Carroccio non si presenta con le insegne ufficiali ma sotto forma di «Noi con Salvini», il movimento con cui il leader prova lo sfondamento al Centro-Sud.
L’ultimo test elettorale dei leghisti a Roma, sotto la segreteria Salvini (e ancora col simbolo ufficiale) risale alle Europee 2014, quando il Carroccio nel comune di Roma ha raccolto l’1,4%, poco più di 16mila voti.
Risultato non certo esaltante, ma si trattava di elezioni europee, senza contare che il boom di Salvini è concentrato soprattutto nell’ultimo anno.
Ma anche la prova di «Noi con Salvini» alle amministrative 2015 è stata inferiore alle aspettative, pure nel Lazio dove (ad Albano e Colleferro) non è andata oltre il 2,8%.
Secondo Ipr Marketing «Noi con Salvini» si fermerebbe al 2,5%, mentre per Berlusconi «a Roma la Lega vale l’1%».
Ora il movimento è guidato a Roma e in tutto il Lazio dal capogruppo in Senato Gian Marco Centinaio, fedelissimo di Salvini che l’ha nominato commissario al posto del senatore Raffaele Volpi, fatto fuori da un giorno all’altro.
Il grosso problema è reclutare gente senza, per usare le parole del commissario Centinaio, «diventare la discarica di Malagrotta del centrodestra».
Ma «riciclare», nel senso di appoggiarsi a persone con un’esperienza politica pregressa seppure non nella Lega, è inevitabile.
E così la dirigenza romana del movimento è in gran parte di matrice ex An.
Come Barbara Saltamartini (ex An, poi Pdl, poi Ncd, ora Lega), Souad Sbai (ex finiana), Barbara Mannucci (ex Pdl), Salvatore Sfrecola (ex capo di gabinetto di Gianfranco Fini), Fabio Sabbatani Schiuma (ex An).
Ma l’organizzazione è inesistente: «i tesseramenti non sono mai partiti, nè si sono celebrati congressi» sostiene Termometro Politico.
Non c’è ancora una sede ufficiale, conferma Sabbatani Schiuma, «non c’è nemmeno uno statuto, Salvini ha imposto Centinaio che viene da Pavia, che è la metà del più piccolo municipio di Roma, non la conosce, e hanno fatto fuori chi aveva aderito al progetto» dice invece Marco Pomarici, ex consigliere di «Noi con Salvini» al Comune di Roma («Ero nel Ncd, venne a trovarmi Salvini nel mio ufficio di persona perchè voleva qualcuno in Campidoglio»), uscito dal movimento leghista pochi giorni fa insieme ad altri tre esponenti capitolini che hanno mollato Salvini per entrare (dopo la mediazione del senatore azzurro Aracri) in Forza Italia.
Anche nelle altre province laziali il lavoro non è semplice, gli incontri pubblici non attirano grandi folle.
Paolo Bracalini
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Marzo 19th, 2016 Riccardo Fucile INSANABILE FRATTURA TRA FORZA ITALIA E FDI TRA INSULTI, OFFESE PERSONALI E FAIDE LOCALI
Se nella Capitale la frattura nel centrodestra dopo la discesa in campo di Giorgia Meloni è grave, nell’hinterland romano la rottura tra Forza Italia e l’asse Fratelli d’Italia-Noi con Salvini è irrecuperabile.
Insulti, incomprensioni, faide locali, offese personali.
C’è tutto questo nella frammentazione del centrodestra nei Comuni sopra i 15mila abitanti che andranno alle amministrative in primavera.
Il caso più emblematico è Nettuno, dove rischiano di andare al ballottaggio due candidati di centrodestra, come gi avvenuto nella vicina Anzio tre anni fa quando a sfidarsi furono Luciano Bruschini (poi vincitore) e l’ex sindaco Candido De Angelis.
Il Comune del litorale a sud di Roma, il più grande al voto dopo la Capitale, è il paradigma di una situazione insanabile.
Dopo la prematura caduta della giunta di centrosinistra guidata dal sindaco Alessio Chiavetta, FI appoggia come candidato sindaco Rodolfo Turano, consigliere comunale uscente scelto dal coordinatore provinciale azzurro Adriano Palozzi e dal senatore Claudio Fazzone.
Il resto del centrodestra però – FdI, Noi con Salvini e alcuni consiglieri civici uscenti tra cui l’ex sindaco forzista Vittorio Marzoli – sostiene Carlo Eufemi, storico (ormai ex) esponente di FI sul litorale, per dieci anni sindaco di Ardea e candidato del centrodestra sconfitto proprio da Chiavetta alle scorse elezioni.
A Nettuno tutti sono convinti che il ballottaggio sarà una contesa tutta interna al centrodestra. Nella città del baseball, feudo storico del centrodestra, al secondo turno dovrebbero andare infatti proprio Turano ed Eufemi.
Del resto, il Pd, dopo la caduta di Chiavetta è dato ai minimi storici. Quanto al M5S il consenso all’ombra del Forte Sangallo sarebbe ben al di sotto della media.
FI e FdI andranno divisi anche negli altri grandi Comuni dell’hinterlan al voto: Marino – dove il partito della Meloni e i salviniani chiedono discontinuità rispetto al passato – Genzano, Ariccia, Mentana, Anguillara e Trevignano.
Le prime avvisaglie del collasso del centrodestra ci sono state con la scelta di FI di Turano a Nettuno.
Poi con l’uscita dal tavolo di trattativa del coordinatore di Salvini, Pierluigi Campomizzi e relativa durissima polemica tra il commissario di NcS Roma e Lazio, il senatore leghista Gian Marco Centinaio e lo stesso Palozzi.
Comunicati al vetriolo tra i due. «Ma io ho sempre cercato il dialogo – spiega il coordinatore di FI – Ho detto che dal mio partito c’era l’indicazione di restare uniti ovunque. Loro hanno detto di non aver ricevuto una linea simile, ma di voler andare insieme solo dove lo avrebbero ritenuto conveniente. Io sono conciliante, ma non fesso. Nessuno dal Nord mi può venire a spiegare come funziona la provincia di Roma».
La frattura tra FI e FdI si consuma invece dopo la decisione della Meloni di candidarsi a sindaco di Roma.
«Dopo il traditore Salvini la traditrice Meloni. La parola e la firma di questi soggetti vale un centesimo. Spero che la città li spazzi via», scrive Palozzi su Facebook.
E FdI interrompe ogni rapporto in provincia. «Ma con Silvestroni ci siamo sentiti ieri, ci siamo chiariti – dice Palozzi – Mentre non capisco l’importanza che si dà a Salvini, soggetto politico irrilevante a Roma, con FdI è diverso: esistono problemi di natura locale, ma c’è la volontà di tenere aperto il dialogo. Andare divisi complicherebbe una campagna elettorale già di per sè difficile. Con intelligenza supereremo i problemi».
Ma da FdI trapela uno scenario molto diverso.
«I rapporti personali possono anche esserci – replica il coordinatore provinciale di FdI Marco Silvestroni – ma è inaccettabile che il rappresentante di FI dica che la parola della nostra leader vale un centesimo”
Daniele Di Mario
(da “il Tempo”)
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Marzo 19th, 2016 Riccardo Fucile QUELLO CHE NESSUNO DICE APERTAMENTE: MARCHINI SINDACO-BERTOLASO CITY MANAGER
Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto… chi ha dato, ha dato, ha dato… scordamose er passato. Riveduta e
corretta in gergo romano la tarantella partenopea ben si adatta all’ultima, clamorosa, svolta epocale di un Berlusconi in vena di indulgenze e in cerca di riscatto dopo i tradimenti capitolini ad opera di Bruto Salvini e Cassia Meloni.
La sterzata di Silvio è così brusca e improvvisa da consigliare all’elettore di centrodestra, già confuso dalla giostra dei candidati, venti gocce di Xanax prima di immergersi nelle lettura delle righe a seguire: Berlusconi apre ad Alfano.
Della serie, c’eravamo tanto odiati. Ma ora non più.
L’ex premier porge infatti l’altra guancia al suo ex giovane erede, ripudiato senza quid e a seconda dei momenti etichettato come traditore, irriconoscente, opportunista e voltagabbana.
Il Berlusca 2.0 si dice ora pronto alla clemenza e alla concessione della grazia poichè «in politica vince chi non serba rancore».
E siccome a nuttata è passata, ed entrambi debbono guardare al futuro guardandosi però prima le spalle (chi da Verdini, chi da Giorgia e Matteo) il Cav – senza rancore – ha lanciato un segnale al figliol prodigo per un’alleanza con Ncd in Sicilia sulla scia di quanto già fatto a Milano.
Obiettivo non dichiarato, scimmiottare Sarkozy e riaggregare a livello nazionale l’area moderata di centro per scongiurare una deriva leghista d’ispirazione lepenista.
La mossa del presidente di Forza Italia sorprenderà i fedelissimi ma non gli addetti ai lavori che da giorni s’interrogano sui troppi indizi lasciati da Berlusconi a riprova che qualcosa di nuovo (o di vecchio) si sta muovendo.
Il plateale endorsement delle due opposte anime di Ncd verso Marchini e il segnale lanciato da Lupi poco prima dell’esternazione del Cav («a Roma la figura unificante su cui bisognava costruire era quella di Marchini. Se volesse Berlusconi potrebbe ancora imboccare questa strada, appoggiando la sua candidatura e ripartendo da qui») fanno pensare a quel che tutti nella Capitale sussurrano e nessuno osa dire: Bertolaso retrocesso a city manager e Marchini promosso sindaco.
«Tutto sembra impossibile finchè non viene realizzato» arringava agli scettici un certo Nelson Mandela.
Gian Marco Chiocci
(da “il Tempo”)
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Marzo 19th, 2016 Riccardo Fucile LA DIGNITA’ DELLA MENDICANTE UMILIATA DALLA FECCIA DELLO SPARTA PRAGA
“Chiedo l’elemosina sdraiata, per non vedere quello che ho intorno. Spesso mi insultano, mi prendo in giro. Sdraiata, con la testa nascosta, non vedo niente. Poi è anche un gesto di umiltà “.
Non sembra serbare rancore Isabela Caldarar, la mendicante rumena vittima del gesto ignobile di un gruppo di tifosi dello Sparta Praga che, a Roma per assistere al match contro la Lazio, le hanno urinato addosso mentre la donna era accovacciata davanti a Castel Sant’Angelo a chiedere l’elemosina ai passanti.
L’intervista La Repubblica:
“Avevano occhi spiritati, da stupidi, anche. E poi erano completamente ubriachi. Sono subito andata via per quello”.
“Gli italiani sono più gentili di altri”, assicura.
“Vengo da Sibiu, una città che si trova in Transilvania. Sono qui con mio marito. I miei figli sono rimasti tutti con mia madre. Io in Romania non avevo più niente. Prima facevo la contadina, avevo le mucche, le mungevo, le portavo la pascolo. facevo i formaggi, vendevamo il latte. Ma poi è finito tutto”.
Anche il marito chiede l’elemosina. Ma ci tiene a precisare che non rubano.
“Tanti di noi qui rubano e basta. Io no. Io non mento e non rubo. Io amo l’Italia: non la Francia, no per carità , non la Germania. Ma l’Italia”.
(da “Huffingtonpost”)
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