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PANSA SVELA CHE FINE FARANNO BERLUSCONI, SALVINI E LA MELONI

Marzo 20th, 2016 Riccardo Fucile

UNA TURBA DI MORTI CHE CAMMINANO HA DECISO DI AFFRETTARE LA PROPRIA FINE, FACENDO CASCARE LA CATAPECCHIA DOVE SI ERANO RIFUGIATI… PRESTO DOVRANNO TROVARSI UN LAVORO DI RIPIEGO PER CAMPARE

Ve lo ricordate quel marito che per far dispetto alla moglie si taglia gli zebedei?
Ci sono capi e capetti del centrodestra italiano che si comportano esattamente così. Vogliono disfarsi del vecchio Silvio Berlusconi, un ottantenne senza forze, capace di dare segni di vita soltanto se gli capita di imbattersi nel pelo fresco di una ventenne.
Così testardo da non voler passare il mazzo di carte a qualche erede meno sfasciato di lui. Ma nella speranza di ricoverarlo alla Baggina, il famoso ospizio milanese per i vegliardi, questi dirigenti, personaggetti da quattro soldi, stanno montando una baraonda che distruggerà  anche loro.
La politica italica ci sta offrendo un caso da manuale che fino a oggi non conoscevamo. Una turba di morti che camminano ha deciso di affrettare la propria fine, facendo cascare la baracca dove si erano rifugiati.
Succede nel centrosinistra dove gli ex comunisti, un tempo campioni di arroganza feroce, si mettono in fila davanti al boia arrivato da Firenze per accopparli. E lo pregano tremebondi di tagliare tutte le teste che gli fanno ombra.
Ma succede soprattutto nella catapecchia di centrodestra. Qui si assiste a un fenomeno pressochè unico al mondo. Quello di un gruppo dirigente che ha deciso di eliminarsi da solo, in modo autarchico, senza nessun intervento esterno.
Neppure quello dei kamikaze del Califfato nero che, prima o poi, faranno una visitina a Roma. E tra qualche settimana i piccoli boss dovranno trovarsi un lavoro di ripiego per riuscire a campare.
Debbo confessare che il Bestiario e il suo autore, considerati dalla Casta un esempio da manuale del giornalismo criminale, è preoccupato soprattutto della sorte che toccherà  alla star del momento: la Giorgia Meloni, ragazzona bionda, dai singolari occhi azzurri, una vulcanica rompiscatole. Si è candidata a fare il sindaco della capitale. Ma è matematico che neppure Santa Scarabola, la patrona delle imprese impossibili, la aiuterà  ad arrivare almeno al ballottaggio.
Madama Meloni lo pensa anche lei. Infatti, ecco un’altra maxi sciocchezza senza precedenti, si è già  affrettata a rivelare per chi voterà  nel duello tra i candidati che riceveranno più voti: la grillina Raggi, la sconosciuta uscita dal cilindro di Casaleggio che tutti danno per vincente.
Che cosa potrà  fare la signora Meloni dopo la sconfitta, se non vorrà  arruolarsi nei reparti femminili della Legione Straniera per espiare la sua fenomenale ingenuità ?
Il mago Otelma ha rivelato al Bestiario che ha già  trovato un mestiere alternativo: andrà  in tivù a fare la cuoca.
Viviamo in un’epoca di suprema stoltezza che vede gli chef imperversare su tutte le emittenti pubbliche e private. Ma di solito sono maschi, quasi sempre panciuti e barbuti. Giorgia bucherà  il video e porterà  alle stelle l’audience di qualunque boiata in cucina.
Il suo collaudato spin doctor, il missino Fabio Rampelli, architetto e campione di nuoto, indosserà  anche lui il grembiulone bianco.
E assisterà  Giorgia nel preparare primi, secondi e terzi piatti, felice di servire quella che fu la sua leader.
Voleva un impiego analogo un altro degli scudieri meloneschi, il satanico Ignazio La Russa, ma Giorgia l’ha considerato troppo demoniaco. E così anche lui andrà  in tivù, ma a interpretare il mostro cattivo di Guerre Stellari.
Spaventerà  i bambini che poi la cuoca consolerà  con merende elaborate, il giusto alimento per i futuri Fratelli d’Italia.
E Matteo Salvini che cosa farà , dopo aver tentato invano di conquistare Palazzo Chigi? Non lascerà  la politica, ma aprirà  una stagione cruenta di lacrime e sangue. Il Matteo leghista si è già  confezionato una divisa strabiliante: da Dittatore dello Stato Identitario di Bananas.
E comincerà  ad accoppare tutti i capi leghisti che gli fanno ombra.
Ammazzerà  il vecchio Umberto Bossi, soffocandolo con il sigaro toscano che insiste nel fumare. Liquiderà  il Roberto Maroni, uno zitellone che non si vergogna di portare occhiali rossi. Il colore preferito dai gay comunisti che Salvini vorrebbe rinchiudere in un lager apposito, costruito alle sorgenti del Po.
Poi farà  pugnalare il fantasioso Roberto Calderoli. Costui ha ricevuto un assaggio di quanto gli toccherà . Il dittatore leghista ha già  cacciato la presidente della provincia di Cuneo, Gianna Gancia, che guarda caso è la moglie del Calderoli.
Il governatore veneto, l’esangue Luca Zaia, con quel suo eterno vestito nero che lo fa sembrare un becchino triste, si prepari a espatriare in Austria: i killer di Matteo prima o poi gli andranno addosso e lo faranno sparire.
Il secondo tempo della pulizia etnica decisa da Salvini prenderà  di mira i fedelissimi di Berlusconi.
Il tecnico delle emergenze, Guido Bertolaso, sarà  costretto a chiedere asilo politico al premier Renzi, che lo spedirà  a velocizzare gli eterni lavori della Salerno-Reggio Calabria.
La senatrice badante del Cavaliere, Maria Rosaria Rossi, per salvarsi la ghirba si rinchiuderà  in un convento di suore di clausura. I servizi segreti salviniani daranno la caccia persino alla fata bionda di Bolzano, la statuaria Michaela Biancofiore, che ha osato parlare di «un centrodestra suicida».
E il povero Cavaliere? Il dittatore leghista non oserà  toccarlo. Ma lo sfratterà  dalla villa di Ancore.
Poi deciderà  di mandarlo al tappeto con l’affronto più velenoso: fare una proposta di matrimonio alla fidanzata di Silvio, la solare Francesca Pascale.
Infine manderà  i propri scherani a impadronirsi dell’Impero televisivo di Mediaset. Marina verrà  costretta a cercarsi un impiego da segretaria. Pier Silvio dovrà  rassegnarsi a fare l’usciere.
L’unico a salvarsi sarà  il grande Fedele Confalonieri. Scriverà  un libro di memorie dal titolo: «I miei sessant’anni con Silvio». Lo stamperà  la Mondazzoli che ne venderà  un milione di copie.
Travolti da questo suicidio collettivo, spariranno nel nulla le figure di secondo piano del centrodestra.
L’ingenuo Storace, solitario e immarcescibile. I capi e i gregari di CasaPound, monaci generosi della militanza in camicia nera. Stefano Parisi che a Milano perderà  la battaglia contro quel furbone del Sala. Osvaldo Napoli, rottamato dal Dittatore come candidato sindaco a Torino, dovrà  limitarsi a sfoggiare le sue belle cravatte nei talk show, ammesso che vogliano ancora invitarlo.
Una volta scomparso il centrodestra, l’Italia starà  meglio o peggio di prima.?
Nessuno lo sa. A meno che non si avveri una previsione che molti stanno già  facendo.
I due dittatori rimasti in campo, il Ganassa fiorentino e il Bananista della Lega, si metteranno d’accordo e firmeranno il cosiddetto patto del Doppia Emme.
Le conseguenze si vedranno subito. Un regime autoritario con una coppia di ducetti in grisaglia. Nessuna opposizione. Caccia ai dissidenti. I posti di potere soltanto ai fedeli del Matteo nazionale e di quello leghista.
Resterà  un problema.
Che cosa fare delle tante donne che avevano militato nel centrodestra del Cavaliere, anche a titolo privato?
La soluzione la scoverà  Filippo Sensi, il super consigliere renzista. Lui si rammentò che Denis Verdini era un vecchio sottaniere e coltivava il sogno di farsi un harem. Le femmine di Silvio passarono a Denis.
Il Grande Voltagabbana le concentrò in un villone sui colli di Firenze. E tutte si rivelarono il trastullo allegro della sua vecchiaia.

Giampaolo Pansa
(da “Libero”)

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“IL CENTRODESTRA A BOLOGNA E’ UN CUMULO DI MACERIE, MI ASTERRO'”: L’EX DEPUTATO PDL CAZZOLA NON CONDIVIDE IL NOME DI LEGA E FDI

Marzo 20th, 2016 Riccardo Fucile

MOLTI A DESTRA NON VOGLIONO VOTARE L’EX “ZECCA ROSSA” LUCIA BORGONZONI, UN LUNGO PASSATO NEL CENTRO SOCIALE LINK E ORA CANDIDATA SINDACO DA SALVINI E DALLA MELONI

“Un cumulo di macerie”: così Giuliano Cazzola definisce il centrodestra di Bologna a pochi mesi dalle elezioni comunali che decideranno sul secondo mandato di Virginio Merola.
L’ex deputato del Pdl, ammette di essere tentato dall’astensione al primo turno.
Cazzola dice però ai microfoni dell’agenzia Dire che “Solo in caso di ballottaggio, tra il sindaco uscente e il Movimento 5 Stelle, a quel punto voterei Merola”.
Cazzola precisa che non si è mai astenuto prima d’ora, ma che la tentazione sul primo turno c’è. Sul centrodestra bolognese si esprime in modo severo: “Lo vedo come un cumulo di macerie, come Berlino alla fine della seconda guerra mondiale”.
Nel frattempo, anche se formalmente si dice che occorre attendere l’ok da Roma per sposare la candidatura della Lega per Palazzo D’Accursio, a Bologna l’asse tra Fratelli d’Italia e Lucia Borgonzoni si sta saldando sempre più, con Forza Italia che fa un passo indietro.
Ma perchè votare la Borgonzoni per molti di destra è improponibile?
Di rosso ora le sono rimasti solo i capelli. E tuttavia Lucia Borgonzoni, candidata sindaco della Lega a Bologna, le tanto odiate “zecche rosse” dei centri sociali pare averle frequentate a lungo negli anni giovanili.
Un vecchio conoscente dei tempi del Link (uno dei principali centri sociali bolognesi), Mauro, ha postato su Facebook una vecchia foto del 2000, scattata in un “casale occupato”.
Nel post, Mauro ironizza sulla nuova Borgonzoni e lancia l’hashtag #sindachessadellafattanza, termine che a Bologna ricorda certe notti passate in compagnia della marijuana.
La candidata, intervistata da Repubblica Bologna, non ha potuto che confermare di essere stata per anni barista al Link.
Oggi tutto è cambiato per la giovane consigliera comunale, con in tasca una laurea all’Accademia di Belle Arti e un presente da pittrice e interior designer per locali pubblici.
Un passato ingombrante, però, per la candidata di un partito che a quel mondo ha dichiarato guerra. E in effetti in città  l’argomento è sulla bocca di tutti.
Sui social network spuntano anche racconti di vicini di casa del tempo, nel centro storico. “Averla come vicina nella mansarda sopra il mio appartamento è stato indimenticabile”, racconta una signora. “Musica a tutto volume e viavai notturni da chiamare i Vigili per il rumore, cani che lasciavano le loro deiezioni sul mio/nostro pianerottolo e che nessuno puliva…la signora inavvicinabile fino alla tarda mattinata, perchè sai sta dormendo…ho cambiato casa”. Non è proprio un profilo “legge e ordine”, quello che sta venendo fuori.
E del resto, anche Salvini da ragazzo ha frequentato le serate al Leoncavallo. Insomma, la Borgonzoni sembra in buona compagnia, condividendo certi trascorsi con il Capo
Li vogliamo vedere quelli di Fdi andare a votare per la sindachessa della fattanza…

(da agenzie)

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GLI ITALIANI TEMONO ATTENTATI ISIS SE INTERVENIAMO IN LIBIA: 49,7% CONTRO UN 42,9% DI OTTIMISTI

Marzo 20th, 2016 Riccardo Fucile

SONDAGGIO SCENARI POLITICI: CONTRARI A UNA PRESENZA IN LIBIA IL 58,5%, FAVOREVOLE IL 30,7%

Se nell’ambito di un’operazione internazionale l’Italia dovesse intervenire in Libia con la sua forza militare, i cittadini temono attentati per rappresaglia.
E’ quanto rivela un sondaggio di Scenari Politici condotto per l’Huffington Post.
Secondo il 49,7 per cento della platea intervistata, ci sarebbe da temere il rischio di attacchi da parte dello Stato Islamico.
Il 42,9 per cento, invece, prevede delle ripercussioni per il nostro Paese ma confida nei servizi segreti e nella loro capacità  di prevenirle.
Nel complesso, quasi tutti concordano che un’operazione militare esporrebbe l’Italia al rischio attentati, quindi. Solo il 7,4 per cento si dice sicuro di non correre alcun rischio.
La situazione libica è caotica: dopo lo stop arrivato da Tripoli al governo designato di Fayez Sarraj, fortemente spinto dalla comunità  internazionale, anche Tobruk ha fatto sapere che non accetterà  governi imposti da forze straniere.
Tuttavia il premier Renzi ha ribadito che l’Italia non interverrà  militarmente in Libia senza “una esplicita richiesta da parte del governo locale”.
Gli italiani sono per la maggior parte contrari all’intervento: secondo il sondaggio Sp, il 58,5 per cento dice di no alle truppe o partecipazione militare in Libia.
Si dice favorevole, invece, il 30,7 per cento.
POLITICA
Tornando alle vicende di casa nostra, SP registra un contro-sorpasso sul fronte politico rispetto alla settimana scorsa. In caso di ballottaggio alle elezioni, il Pd sarebbe sopra il Movimento 5 Stelle: i dem infatti raggiungerebbero il 51 per centro contro il 49 per cento dei grillini.
Sul fronte della fiducia nei leader, invece, nel panorama di sinistra l’ex premier Romano Prodi riscuote, seppur di poco, maggiore consenso rispetto all’attuale presidente del Consiglio Matteo Renzi: 36 per cento a 34.
PARTITI
In testa sempre il Pd al 32,4%, segue il M5S al 23,6%, in calo la Lega al 12,9%, poi Forza Italia al 9,8%, Sinistra Italiana al 6,6%, FdI al 5,5%, Ncd al 3,4%

(da “Huffingtonpost”)

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SOLO UN ELETTORE PD SU DIECI CREDE A UNA SCISSIONE

Marzo 20th, 2016 Riccardo Fucile

SONDAGGIO IPSOS: LA SINISTRA RADICALE NON SFONDA, SE NASCESSE UNA FORMAZIONE SI FERMEREBE AL 9%

Il tema dello spazio politico a sinistra del Pd è da tempo presente nel dibattito politico. Renzi e la sua modalità  di condurre l’azione di governo e di gestire il partito, le sue scelte spesso criticate da quell’area hanno provocato un progressivo e in qualche caso risentito allontanamento della minoranza pd (non di tutta).
È un pezzo di ceto politico che ha avuto un ruolo rilevante nella storia recente, ma non solo, del Paese, spesso proveniente dalla tradizione postcomunista.
Oggi quel ceto vede fortemente ridimensionato il proprio ruolo.
Le linee di frattura
Numerose sono le linee di frattura tra minoranza e maggioranza del Pd: dal Jobs act alla scuola, dalla riforma del Senato a quella elettorale, tutti i principali atti di governo sono stati criticati e a fatica sostenuti dalla sinistra.
La scorsa settimana c’è stato un incontro a San Martino in Campo, in Umbria, in cui la minoranza ha cercato di definire il proprio posizionamento nel Pd.
Convegno preceduto da un’intervista fortemente critica di Massimo D’Alema su questo giornale, anche se l’ex premier ha poi negato che essa preannunciasse ipotesi di scissione.
Tuttavia abbiamo voluto testare l’impatto di una possibile forza di sinistra alimentata anche dalla minoranza proveniente dal Pd.
Uno su cinque immagina la scissione
La previsione di una scissione è molto contenuta: solo il 19% degli intervistati la accredita.
Lo fanno soprattutto gli elettorati lontani dal Pd, mentre gli elettori di questo partito sono profondamente scettici: solo il 12% vede all’orizzonte questa possibilità . Ammesso che questa scissione si verifichi, emergono diffusi dubbi sulle effettive potenzialità  elettorali di una nuova forza che aggreghi la sinistra.
Solo per il 13% potrebbe raccogliere una messe importante di voti dai delusi di Renzi. Un terzo pensa che forse la scissione potrebbe portare qualche voto in più rispetto a quelli già  consolidati dalla sinistra (lo credono un po’ di più gli elettori del Pd), mentre altrettanti sono certi che un’operazione di questo genere è destinata a non avere risultati di sorta.
Lo spazio a sinistra
Che oramai lo spazio a sinistra si sia sensibilmente ridotto è confermato anche dai dati relativi alla simpatia che una formazione di questo genere riscuoterebbe tra gli elettori.
Oggi solo il 6% degli intervistati guarderebbe con consistente simpatia a un’operazione simile. Una percentuale dimezzata rispetto al gennaio 2015, che segnò la vittoria di Tsipras in Grecia e inferiore anche alla simpatia suscitata dalla presentazione della coalizione sociale di Landini, esattamente un anno fa.
Anche il gruppo che guarderebbe con qualche simpatia a questa realtà  si contrae: oggi è il 17% contro il 31% degli inizi di gennaio. Non cresce il rifiuto netto: la percentuale degli apertamente antipatizzanti (47%) non è molto diversa dalle rilevazioni precedenti. Cresce il «non so», che manifesta freddezza.
L’elettorato pd mostra qualche simpatia in più, ma nessuna passione: la percentuale di chi esprime molta simpatia è all’8%, nella media, mentre cresce il numero di chi guarda con qualche attenzione.
Tra astensione e M5S
È quindi basso l’appeal elettorale di una forza che nascesse dalla scissione a sinistra del Pd: il 2% dichiara che la voterebbe sicuramente, il 7% potrebbe farlo.
Convertire in voto effettivo questa probabilità  non è affatto facile: sostanzialmente un bacino potenziale del 9%, che si dimezza o più all’atto del voto.
Il perimetro del consenso della sinistra in questi ultimi anni, senza segnali di allargamento. La sinistra oggi ha uno spazio limitato nel Paese.
Da un lato chi è uscito a sinistra dal Pd difficilmente ha poi deciso effettivamente di votare una forza di sinistra.
Molti si sono rifugiati nell’astensione, una parte ha deciso di dare il voto ai 5 Stelle. Dall’altro lato se l’insofferenza verso Renzi è molto chiara, non altrettanto sono i programmi politici conseguenti.
Il dibattito appare molto chiuso nel ceto politico. E non conquista elettori.

Nando Pagnoncelli
(da “il Corriere della Sera”)

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“CASO MACCHI, UN PRETE CONOSCE LA VERITA”

Marzo 20th, 2016 Riccardo Fucile

LA TESTIMONE CHE RIAPRE IL CASO… L’OMICIDIO DELLA STUDENTESSA DI VARESE NEL 1987 E GLI INTRECCI CON COMUNIONE E LIBERAZIONE… CACCIA AL SACERDOTE CHE HA RICEVUTO LA CONFESSIONE

Scrive sempre, scrive tutto, Patrizia. Annota ogni frase di quel ragazzo di cui si è invaghita. Patrizia Bianchi è la super-testimone che con le sue rivelazioni lo scorso 15 gennaio ha portato all’arresto di Stefano Binda, accusato di essere l’assassino di Lidia Macchi, a quasi 30 anni dall’omicidio avvenuto il 5 gennaio 1987.
È lei ad aver riconosciuto la grafia di Binda dalla lettera mostrata più volte dai quotidiani locali e poi nel 2014 dal programma tv «Quarto grado», una lettera anonima intitolata «In morte di un’amica» e inviata a casa Macchi il giorno del funerale di Lidia, il 10 gennaio.
E’ sempre lei ad aver consegnato le cartoline ricevute da Binda e messe a confronto per la perizia grafica che ha indirizzato gli inquirenti a Brebbia, a casa di Stefano, un uomo disoccupato e con grandi problemi di eroina. Ma questa è storia nota.
LA CONFIDENZA AL DON  
La Stampa è in grado di rivelare un’altra confessione registrata da Patrizia su una sua agenda e ora in mano agli investigatori come ulteriore prova contro Binda: un documento che aprirebbe uno scenario inedito, confermando voci sempre circolate attorno al delitto e ai misteri che lo hanno avvolto per anni, e cioè che un sacerdote sa quello che è successo.
Lidia è stata uccisa con 29 coltellate all’uscita dall’ospedale di Cittiglio, mezz’ora circa di macchina da Varese, dove era ricoverata l’amica Paola Bonari. Le sue tracce si perdono poco dopo le 20, quando una testimone vede uscire a bassa velocità  dal parcheggio la Panda rossa dei Macchi.
Lidia viene ritrovata senza vita in un bosco in località  Sass Pinì, a 700 metri dall’ospedale. Il corpo a terra coperto da un cartone e il liquido seminale come prova di un rapporto sessuale.
La comunità  di Varese è ancora sconvolta dall’omicidio, quando Patrizia raggiunge Stefano davanti alla chiesa di San Vittore.
Secondo gli appunti della donna il dialogo è questo: «Tu non sai, non puoi nemmeno immaginare cosa sono stato capace di fare». Firmato, tra parentesi, “T.” «Forse è per questo, di certo per questo, che non ho insistito nel chiederti perchè vai a letto così tardi». Firmato “L”. «Per quanto è nelle tue responsabilità , e questo solo Dio lo sa, io ti perdono». Firmato “D”.
Chi sono, “T”, “L” e “D”? Sono iniziali: le prime due stanno per Teti e Loa, i soprannomi affettuosi che si scambiavano Stefano e Patrizia. Il terzo per Don.
E’ un prete che, secondo la ricostruzione di Patrizia, avrebbe ricevuto la confessione dell’assassinio. Un prete, ancora. E’ una storia piena di preti, questa.
Perchè è una storia che coinvolge uno dei più importanti movimenti ecclesiali in Italia. Lidia, Stefano e Patrizia facevano parte di Comunione e Liberazione, un brand politico-religioso che a Varese domina sin dalle origini. E’ su questa cerchia di amici che puntano subito gli investigatori, lasciando un’ombra su Cl che non se ne andrà  mai più.
LA CORTINA DI SILENZIO DI CL  
Si parla di coperture, depistaggi, silenzi più o meno complici: «Non è omertà , è legittima riservatezza» ci dice Alberto Macchi, il fratello di Lidia, che aveva 10 mesi alla sua morte e come tutta la famiglia ne ha seguito le orme in Cl. Gianni Spartà  è la memoria di Varese, il cronista, oggi in pensione, che più di ogni altro si è occupato di quella che per lui è diventata un’ossessione al punto da titolare «L’impossibile verità » il capitolo su Lidia del suo ultimo libro Tutta un’altra storia.
Spartà  ci racconta un episodio: «La sera del ritrovamento di Lidia venne in redazione da noi alla Prealpina il sindaco ciellino Maurizio Sabatini e mi disse: “Questo non è un delitto come gli altri”».
Cosa voleva dire? Anche il capo della mobile di allora, Giorgio Paolillo, conferma che Sabatini cercava in ogni modo di allontanare i sospetti dai ciellini. Le pressioni sulla procura e sul pm Agostino Abate, anche per i suoi modi bruschi di condurre gli interrogatori, furono fortissime.
Quattro parlamentari della Dc presentarono un’interrogazione parlamentare. Abate aveva fermato per un giorno quattro preti e un laico, un dirigente di Cl, per torchiarli. Da Milano arrivarono le proteste della Curia guidata dal cardinale Carlo Maria Martini.
Don Giussani chiese di mandare a Varese Federico Stella, il super avvocato della chiesa ambrosiana, per tutelare gli amici ciellini di Lidia: «Sembravano tutti pilotati da una regia. Rispondevano solo sì, no, non lo so. E ognuno dava una versione che suonava concordata» racconta Paolillo. Lui stesso fu avvicinato da don Riccardo Pezzoni, il prevosto di Varese.
In un irrituale colloquio gli consigliò di lasciar stare preti e ciellini: «Perchè non indagate sulle sette sataniche?» gli domandò.
La chiusura del Movimento, forse solo per paura, fu immediata. Sta di fatto che mancò la collaborazione con i magistrati. Partì anche una campagna per togliere l’inchiesta ad Abate.
A guidarla il capo di Cl a Varese, Giulio Cova. Oggi è preside all’istituto Manfredini e ci accoglie nel suo studio dove ricostruisce una riunione di allora tra i ciellini più in vista in città  per sapere dai ragazzi cosa avessero detto durante gli interrogatori.
«Cl era nel mirino, ricevevamo telefonate di minacce e c’era chi si voleva fare giustizia da solo».
Negli anni però il sospetto che qualcuno sapesse o coprisse un segreto è sempre rimasto. Dalla questura varesina filtra lo stupore degli investigatori : «C’è tanta omertà  ancora oggi. Neanche a Palermo è così».
Anche all’avvocato della famiglia Macchi, Daniele Pizzi, che ha ottenuto la riesumazione della salma, non è sfuggito l’«abbraccio avvolgente e tranquillizzante» dell’intero Movimento attorno ai parenti di Lidia, santificata come una martire da Cl. Certamente non può non suonare strano che gli avvocati di Binda, cioè del presunto assassino di Lidia, Sergio Martelli e Roberto Pasella, siano anch’essi ciellini e amici dei Macchi. A consigliarli a Binda è Marco Pippione, altro responsabile ciellino.
I DUBBI DEL PARROCO  
Di Cl è anche don Baroncini, la guida spirituale che pochi mesi prima del delitto era stato trasferito a Milano.
Nella sua grafomania, Patrizia annota in agenda, parola per parola, persino l’omelia funebre per Lidia di don Baroncini. E’ lui il prete a cui lei fa riferimento nei diari, colui che avrebbe raccolto il pentimento dell’assassino?
E’ l’ipotesi più forte, basata sui ricordi, anche se incerti, della donna interrogata dagli inquirenti. «E’ don Fabio, o don Serafino» dice.
Il secondo è il parroco di Brebbia, il paese a venti chilometri da Varese dove vive Binda. Don Serafino è morto tre anni fa. Patrizia ci risponde al citofono ma non vuole rilasciare dichiarazioni.
Don Baroncini invece è in servizio alla parrocchia di San Martino nel quartiere Niguarda di Milano. Lo raggiungiamo in canonica, prima della messa.
Sul tavolo del suo studio un ritaglio di giornale sul caso Macchi, e appesa al muro una grande foto di due ragazzi in abiti da montagna: don Fabio e il futuro cardinale Angelo Scola.
Sono tra i primi seguaci di don Luigi Giussani, fondatore di Cl. Subito dopo l’arresto di Binda, don Baroncini si è lasciato sfuggire una frase («Non c’è ancora tutta la verità ») che ha attirato l’attenzione degli inquirenti. «Il mio era un augurio. Tre indizi non fanno una prova. Questo è un pasticcio. L’ho detta anche al giudice che si è offesa». E sospira: «Il questore di allora mi avvertì che stavano puntando su Cl».
Don Baroncini mostra di non credere alla colpevolezza di Binda anche se ha più volte detto di essere convinto che Lidia conoscesse l’assassino. Chi lo conosce, anche oggi a Brebbia, è stupito. Colpisce che molti della sua vita, assieme al carattere mite, ribadiscano un aspetto: non è mai stato visto in giro con una ragazza. Anche Patrizia ricorda quella che definisce la sua «misoginia», e ricorda un bacio di lui e il suo immediato pentimento.
Durante l’incidente probatorio don Baroncini ha ribadito di essere tenuto per il proprio magistero al segreto confessionale, con una specifica però, la stessa che ripropone a noi prima che gli venga chiesto: «Io non ho mai confessato i ragazzi di Cl. E’ prassi per i ciellini distinguere la guida spirituale dal confessore». Don Baroncini molto probabilmente verrà  interrogato e forse sottoposto al test del Dna.
IL DNA ANONIMO  
Perchè fra i tanti misteri di questa storia c’è anche una traccia genetica sulla linguetta della busta dov’era contenuta la lettera anonima attribuita dalla perizia a Binda. Il Dna è maschile ma non appartiene a Stefano, nè agli altri uomini coinvolti a vario titolo nella vicenda.
Un particolare che va a favore della difesa. L’unico con cui non è stato ancora fatto l’incrocio è don Baroncini. Il parroco ritorna a quegli anni, al banco alla fine dell’aula del liceo Cairoli dove sedeva Stefano.
Lo ricorda con una personalità  affascinante e carismatica. Ricorda lui, Lidia, Patrizia e soprattutto Giuseppe Sotgiu, l’amico più caro di Binda. Anche lui prete, e di Cl. Sotgiu è una figura centrale in questo «cold case».
«Noi non abbiamo mai pensato a Binda, il sospettato è sempre stato Sotgiu» racconta la madre di Lidia, Paola. Sotgiu è il primo indagato dopo l’omicidio, già  29 anni fa, quando al pm Abate fornisce alibi contraddittori sull’amico che al tempo, e fino alle rivelazioni di Patrizia Bianchi, non viene sfiorato dai sospetti dei magistrati.
Dunque è Sotgiu che involontariamente tira dentro per la prima volta Binda. Ma è Sotgiu a essere indagato. Prima che Lidia arrivasse all’ospedale di Cittiglio era lì, pure lui a far visita a Paola.
Si sono incontrati? Sotgiu dice di no. Lo sottopongono al test del Dna, ma la tecnologia dell’epoca non permette una fotografia genetica affidabile.
Così come accaduto anche al responsabile dell’oratorio di San Vittore, la parrocchia di Lidia, il prete chiamato a benedirne la salma.
Si chiama don Antonio Costabile, per 29 anni il suo nome è rimasto l’unico nel fascicolo dei pm di Varese, senza prove. E’ stato scagionato solo due anni fa, quando il sostituto procuratore generale di Milano Carmen Manfredda ha avocato l’inchiesta. Sotgiu invece è stato interrogato più volte. E più volte è apparso reticente, di nuovo contraddittorio agli occhi dei pm.
LA LETTERA DELL’ARCIVESCOVO  
Dopo l’arresto di Binda, i magistrati cercano prove di complicità  o coperture.
Non credono tanto all’omicidio in concorso, ma non escludono che Stefano, disperato, abbia chiesto aiuto. Nel 2015, consapevole di essere indagato, Binda riprende contatti con gli amici del tempo.
Perchè lo fa? Uno è Sotgiu, l’altro è Piergiorgio Bertoldi. Tutti e tre sono di Brebbia. A metterli in contatto è Pippione. La vita li ha divisi, ma il passato ritorna. Bertoldi ha fatto carriera e oggi è arcivescovo e Nunzio in Burkina Faso.
Anche lui ha sempre dimostrato un interesse per Binda e lo dimostra la corrispondenza sequestrata dai pm a casa del presunto assassino, in particolare in una lettera in cui, in toni poetici, Bertoldi cede al fascino del più giovane amico.

Giacomo Galeazzi Marco Grasso Ilario Lombardo
(da “il Secolo XIX”)

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VICESINDACO A CAPO DELLA BANDA DEI PORTAVALORI: “RIMANDAVA IMPEGNI ISTITUZIONALI PER PARTECIPARE A RAPINE”

Marzo 20th, 2016 Riccardo Fucile

L’ESPONENTE DI FORZA ITALIA OLIANAS ERA IL CERVELLO DELL’ORGANIZZAZIONE: I BANDITI SI RIUNIVANO A CASA SUA

Tra le 23 persone arrestate sabato dalla Polizia di Stato e dalla Guardia di Finanza in Sardegna c’è anche Giovanni Olianas, vicesindaco di Villagrande Strisaili. Cinquantun anni, incensurato, iscritto a Forza Italia, Olianas era stato il più votato nella lista civica guidata da Giuseppe Loi, che lo aveva portato a diventare vicesindaco con delega ai Lavori pubblici.
L’assessore però agli impegni istituzionali alternava l’organizzazione degli assalti ai portavolori sardi: secondo il sostituto procuratore della Dda di Cagliari, Danilo Tronci, infatti, Olianas “è probabilmente il cervello della banda“, che comprende anche altri membri della famiglia, come i fratelli Carlo e Gianluigi Olianas.
In casa dell’amministratore pubblico, poi, sono stati trovati 30mila euro.
E, secondo gli inquirenti, è in quella abitazione che “gli indagati si ritrovavano per progettare le varie azioni criminali“.
Nel profilo tracciato dal sostituto procuratore si legge che Olianas “ha dato prova di esperienza criminale fuori dal comune, costantemente impegnato nell’ideazione di nuovi colpi” ai quali partecipava procrastinando gli impegni da vicesindaco. Durante alcune intercettazioni Olianas ha anche confermato di avere a disposizione due kalashnikov.
Altre figure di spicco del gruppo sono Luca e Sergio Arzu, fratelli dell’ex latitante Raffaele, esperto di rapine ai portavalori.
La famiglia, insieme a quella degli Olianas, era a capo della consorteria criminale: non una banda qualsiasi, ma una vera a propria organizzazione paramilitare specializzata in assalti a portavalori e caveau degli istituti di vigilanza.
Non un lavoro qualsiasi, tant’è che la gang aveva nella sua disponibilità  un arsenale di armi da guerra, esplosivi e apparecchiature per intercettare le comunicazioni delle forze dell’ordine.
Decine le rapine messe in atto dal 2005 al 2016: l’ultima, messa a segno all’inizio di marzo a Sassari, gli aveva assicurato un bottino da 10 milioni di euro dopo un blitz di pochi minuti nel caveau della Mondialpol.
Stesso modus operandi e stesse armi usate per assaltare la Vigilanza Sardegna di Nuoro e rubare 6 milioni di euro.
Un’attività  che andava avanti da più di 10 anni e che comprende anche rapine andate in fumo: tra queste il colpo a luglio dello scorso anno al caveau della Mondialpopl di Arzachena, dove erano custoditi circa 20 milioni di euro e l’assalto a un portavalori a Nuoro a gennaio di quest’anno.
E già  era tutto pianificato per una nuova azione, programmata per lunedì prossimo a Voghera: Luca e Sergio Arzu e Angelo Lostia, un altro dei fermati, avevano infatti già  lasciato la Sardegna clandestinamente e si trovavano nella zona di Pavia dove sono stati catturati. Altri erano pronti a lasciare l’isola per raggiungere i complici, motivo per cui le operazioni dei militari sono state accellerate.
Oltre alle rapine gli arrestati sono accusati anche di traffico di droga e riciclaggio.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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E ADESSO CHI RIPIANA I 20 MILIONI DI DEBITI DELLA LEGA?

Marzo 20th, 2016 Riccardo Fucile

TRADENDO BERLUSCONI, SALVINI RISCHIA DI PERDERE L’AIUTO DI PUTIN

Tradendo Silvio Berlusconi, Matteo Salvini rischia di perdere anche quello che poteva essere un suo potenziale finanziatore, Vladimir Putin.
Non è un mistero, infatti, che al fine di destabilizzare l’Europa, lo zar russo negli ultimi anni ha visto con favore la nascita di partiti ultra nazionalisti in Spagna, Grecia, Ungheria e Francia.
Al Front National di Marine Le Pen, ad esempio, una banca russa ha concesso un prestito per oltre 9 milioni di euro e, stando ad un giornale inglese, una linea di credito potrebbe essere aperta anche alla Lega, oberata da circa 20 milioni di euro di debiti.
Salvini ci ride sopra, ma molti se lo ricordano come uno scolaretto sulla Piazza Rossa con la maglietta con l’effigie di Putin a esprimere solidarietà  contro le sanzioni UE alla Federazione Russa o nella hall di un albergo di Milano per una «photo opportunity» con zio Vlady.
A favorire le relazioni tra Putin e la Lega è stato certamente anche Silvio Berlusconi ma oggi, infuriato come mai gli era capitato prima, è pronto a far saltare ogni accordo tra i due.
L’operazione non dovrebbe essere neppure troppo difficile, dato il nuovo scenario internazionale.
Con il ritiro dalla Siria degli asset strategici russi, Washington e Mosca potranno parlarsi con maggiore serenità  e la destabilizzazione dell’Europa non è più un piano prioritario per Putin.
A questo punto, viaggiare da solo senza trovare i fondi per ripianare i debiti diventa un problema per Salvini.
Di sicuro in questo Giorgia Meloni non può essergli di aiuto e alla fine il Matteo in felpa tornerà  da zio Silvio.

(da “il Tempo“)

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ANCHE RAZZI SI CANDIDA A SINDACO DI ROMA: ORA LA FARSA E’ AL COMPLETO

Marzo 20th, 2016 Riccardo Fucile

IL SUO ORIGINALE PROGRAMMA: “PULIRE, RINOVARE E CHIUDERE LE BUCHE”

Abruzzese di nascita e candidato a sindaco di Roma. Ex operaio immigrato in svizzera, entrato in Parlamento nel 2006 con l’Italia dei Valori, oggi è Senatore della Repubblica con Forza Italia.
Segni particolari: in Corea del Nord è un mito, Kim Jong-un lo stima e lui ha visitato più voltr più volte quel paese facendosi “ambasciatore” nei momenti di maggiore tensione tra la Corea del Nord e l’Occidente.
Chi è? Si chiama Antonio Razzi – chi non lo conosce! – e ieri ha annunciato la sua discesa in campo nella corsa elettorale per il nuovo sindaco di Roma.
Senatore, glielo chiedo alla Antonio Di Pietro: ma che c’azzecca lei nella sfida per diventare sindaco di Roma?
«Guardi, c’azzecco eccome. E posso dare un contributo importante. Io ritengo che la città  sua degradata e per me che vengo dalla Svizzera ogni volta che vedo qualcosa che non va mi viene l’orticaria: ma perchè – mi ci arrabbio – non la facciamo come la Svizzera questa bellissima Roma. Senza la mondezza per le strade, con le buche tappate e i trasporti che funzionano. Qui c’è da cambiare del tutto l’andazzo dell’amministrazione».
Il programma del Razzi sindaco?
«Anzitutto bisogna far sparire la munnezza, va tolta. Non è possibile che nelle strade della città  più bella del mondo ci sia questa sporcizia. Non funziona. Tra l’altro, se si riuscisse a fare un buon servizio sui rifiuti si potrebbero anche abbassare le tasse comunali, a cominciare da quelle sulla spazzatura, che sono troppo alte per i cittadini. Vede Lenzi, io non mi capacito».
Di cosa senatore?
«Non è possibile che uno non possa guardare le bellezze di Roma e debba guardare per terra mentre cammina, per non cadere dentro una buca, rischiando di farsi male. Io quando passeggio per strada a Roma guardo sempre il selciato» .
Ha già  pronto il Razzi slogan per le elezioni?
«Roma deve tornare. Deve tornare la Capitale del mondo. Sulla cultura e anche sui servizi. Molti turisti, io parlo bene tedesco e girando per la città  mi capita di incontrarne, sento che imprecano sulle cose che non vanno in questa nostra città ».
Ma perchè i romani dovrebbero mettere una croce su Razzi sindaco?
«Anzitutto le dico che a Roma ci sono quasi 500mila abruzzesi residenti, e quando incontro qualcuno di loro per strada, che mi riconosce, mi sento dire: ‘Ma perchè a Roma non ti candidi tu paisà ?’. Io questa Roma la farò funzionare perchè vengo da una mentalità  diversa, la mentalità  del lavoro visto che sono 52 anni che lavoro».
Adesso le chiedo di essere un po’ cattivo. Diamo i voti ai suoi sfidanti. Giorgia Meloni?
«La Meloni? È una amica, abbiamo fatto pure varie iniziative insieme. Ma non mi va che una volta dica che no, perchè è incinta, e un’altra cambi idea e dica si. Non mi va che vogliono far fare una brutta figura al presidente Silvio Berlusconi. Non è giusto».
Di Guido Bertolaso cosa pensa?
«Bertolaso l’ho apprezzato dopo il terremoto de L’Aquila, per il lavoro che ha fatto. E’ un tecnico. Ma ora per lui con Razzi in campo sono cazzi. Lo dico con ironia».
Perchè sottolinea l’ironia?
«Perchè non facessero loro ironie alla Maurizio Crozza, che mi imita su La7, ma si confrontassero con me. Io in Svizzera ho amministrato la Federazione degli abruzzesi, oltre 27mila iscritti. Perchè per governare una città , e guidare delle persone, ci vuole “la coccia”, la testa come si dice in dialetto abruzzese».
Il candidato del Pd, Roberto Giachetti?
«Giachetti, te lo dico da amico: come sindaco non ti ci vedo. Io conosco anche Roberto, ma per fare il sindaco di Roma servono le palle quadrate. Io mi sono candidato e non ho paura di niente».
L’imprenditore Alfio Marchini?
«Ma guarda, è romano, dovrebbe conoscere la città . Ma Roma è Roma, e lui non è che sia onnipotente. Insomma, Non vedo neppure lui».
Della candidato 5 Stelle, Virginia Raggi, cosa mi dice?
«Che è una bella donna. Ma Roma ha un sacco di problemi e c’è da faticare, da rimboccarsi le maniche. No».
Andiamo a destra: Francesco Storace?
«Ha una buona parlantina ma non bastano le parole».
Al nord: Flavio Tosi, sindaco di Verona?

«Tosi, lascia che te lo dica: Roma non è Verona. A Verona, c’è l’Arena e ci sono Giulietta e Romeo, a Roma c’è il Colosseo. Un’altra cosa».
A sentir lei, l’unico che va sembra lei medesimo. Ma Antonio Razzi da dove comincerebbe una volta eletto?
«Comincerei dal riqualificare e valorizzare tutte le opere d’arte. Bisogna intervenire. Dico grazie anche a Diego Della Valle, per il contributo al restauro del Colosseo, ma c’è da fare ancora molto. Tante meraviglie di Roma, vanno riqualificate. E ricodificate. Con una premessa. Per valorizzare, anzitutto via la munnezza, via le buche – i sanpietrini vanno controllati metro per metro e va fatta la manutenzione. E poi far funzionare i trasporti. Roma deve tornare e con Razzi tornerà ».

Massimiliano Lenzi
(da “il Tempo“)

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VIRGINIA AI RAGGI X: CHI E’ E COSA VUOLE LA FAVORITA ALLA CORSA A SINDACO DI ROMA

Marzo 20th, 2016 Riccardo Fucile

E’ L’INCOGNITA DELLE ELEZIONI A ROMA CHE PUO’ TERREMOTARE LA POLITICA ITALIANA (GRILLO PERMETTENDO)

Operazione dama.
È partita più di un anno fa, quando è apparso chiaro che Marino non avrebbe retto all’onda d’urto di Mafia Capitale.
«Se riusciremo a spiegare che la rivoluzione a Roma sta nell’ordinario andiamo a dama», spiega Virginia Raggi all’ “Espresso”, che dedica alla candidata sindaco del Movimento 5 Stelle a Roma la copertina, un lungo servizio e un colloquio, la radiografia completa dell’incognita Capitale che può sconvolgere la politica italiana: Raggi X.
«Non so se sono adeguata a guidare la Capitale d’Italia. Posso dire che mi sento pronta».
Il nuovo volto di M5S inaugura la stagione della normalità : «Per Roma la vera rivoluzione è la normalità ».
«Da studente non ho mai partecipato alle manifestazioni», racconta. «Ho votato nel corso degli anni l’Ulivo, quelle cose lì, forse il Pd è più recente, non ricordo bene. Ero di sinistra, in famiglia sono cresciuta con un ideale che non ho visto rispettato, sono stata delusa».
Normale la professione di fede: «Sono cattolica, non praticante».
Normalissimi i gusti culturali: «L’ultimo libro che ho letto? Non me lo ricordo. Ultimo film? “Revenant”, con Leo DiCaprio.
La musica? De Gregori e i Subsonica. E un tempo “avevo fatto l’abbonamento a teatro».
Il chiodo fisso sono le due ruote: la bicicletta, un giro dell’Austria nel 2008, e la moto. Prima una Honda VF 400, poi una Sv 650.
«Vivo di passioni», s’illumina la centaura quando ne parla.
«All’inizio volevo seguire la carriera accademica, poi ho fatto due colloqui, dopo essermi rotta una gamba. Pieremilio Sammarco che avevo conosciuto all’università  mi chiese se volevo lavorare con lui, all’epoca si appoggiava lì, da Previti. C’erano quindici avvocati e due o tre praticanti, facevamo le file e le copie degli atti. Previti lo incontravo in corridoio. Sapevo dei suoi processi, ne parlavo con gli amici, ma facevo il mio lavoro».
L’imbarazzante vicinanza con l’avvocato berlusconiano condannato per corruzione in atti giudiziari è stata omessa nel curriculum della Raggi, lei sfodera gli artigli: «Per accusare me hanno attaccato un’intera categoria, gli avvocati, e poi i ragazzi normali che dopo la laurea cercano uno studio in cui fare pratica».
«Il sindaco deve amministrare in nome di tutti», spiega la Raggi.
I dipendenti comunali e delle aziende partecipate (Atac, Ama, Acea)?
«Bisogna riallacciare i rapporti con i dipendenti capitolini onesti e farli sentire parte di una squadra. Non vedo un problema di sovrabbondanza».
E l’Atac, con i suoi 11 mila dipendenti, la voragine del debito (tra 1,4 e 1,6 miliardi di euro), il servizio peggiore d’Europa?
«Gli autisti sono seimila, non è colpa loro, gli autobus sono rotti e restano in deposito. Bisogna tagliare gli sprechi, le consulenze, parentopoli», concede la candidata.
Lo stadio della Roma, oggetto del desiderio della grande speculazione?
«Sono favorevole, ma non a Tor di Valle».
E le Olimpiadi?
«Se vinco io non si faranno».
Una massiccia dose di tranquillante per il corpaccione della Capitale stressato da inchieste, sindaci marziani, commissariamenti.
Senza mettere paletti, nessuna fetta di elettorato è preclusa: «A me fa piacere vedere nei miei confronti apprezzamenti trasversali, da sinistra e da destra», riconosce. E già  si rivolge al premier: «Se sarò eletta voglio avere con lui un rapporto franco. Matteo Renzi si auto-proclama presidente del Consiglio di tutti gli italiani, che gli piaccia o meno dovrà  parlare con il sindaco di Roma».
I sondaggi ora danno in testa lei.

Marco Damilano
(da “l’Espresso”)

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