Marzo 22nd, 2016 Riccardo Fucile DAI RIMBORSI ALTI AI MUTUI RINEGOZIATI ALLA CAMERA: STORIA DI UNA OMOLOGAZIONE ANNUNCIATA
Beppe Grillo voleva il politometro: un algoritmo per paragonare redditi e patrimonio dei politici al
momento in cui entravano in politica, con redditi e politici durante e dopo l’attività politica.
Se lo applicassimo adesso vedremmo per esempio che nel 2013 (non un secolo fa) Luigi Di Maio dichiarava zero euro, e nell’ultimo anno ha dichiarato 98.471 euro.
Gianroberto Casaleggio ricordava che l’ispirazione del Movimento – quanto a stili di vita – doveva essere Francesco d’Assisi, «noi nasciamo nello stesso giorno del santo», diceva. Nello Tsunami tour Grillo arringava le folle, «i nostri parlamentari prenderanno 2500 euro al mese e restituiranno il resto» (poi alzò la cifra a tremila, sostenendo che «per la vita che si fa a Roma 2500 euro sono pochi»).
Un’analisi delle loro buste paga – che abbiamo infine potuto compiere con una certa precisione – testimonia una realtà completamente diversa.
Nulla di illegale, sia chiaro: ma la prova inoppugnabile che il grosso dei parlamentari cinque stelle, con alcune eccezioni virtuose (valgano qui due esempi per tutti: Ivan Della Valle e Massimiliano Bernini, che restituiscono davvero tanta roba, e prendono pochi rimborsi), vive ormai una vita distante da quella dei cittadini, e identica a quella dei politici degli altri partiti.
Mario Giarrusso, parlamentare catanese, è un personaggio esuberante e vulcanico. Nella busta paga di novembre 2015 ha incassato 3362 euro di quota fissa di indennità (restituendo una parte di 1662 euro), più una quota di rimborsi e spese varie sbalorditiva: 10.066,07 euro.
Un «cittadino» normale potrebbe mai spendere una cifra simile? E come sono giustificati tutti questi soldi ricevuti come rimborso?
Alloggio, 1880 euro; 1182 euro di trasporti (spesa curiosa, considerando le varie agevolazioni dei parlamentari sui trasporti pubblici); vitto, 1149 euro; attività sul territorio, 713; collaboratori, 4678.
Nessuna di queste spese – e non solo da Giarrusso – viene ulteriormente dettagliata.
Non compare, neanche sul sito apposito, alcuna pezza documentale: solo voci genericissime.
È singolare che proprio questa sia stata, almeno formalmente, la ragione per le espulsioni di tanti: scarsa rendicontazione.
Carlo Sibilia a ottobre ha incassato 3245 euro di indennità , più rimborsi per 10.516 euro (con voci assai generali e poco incisive).
L’aspirante leader del direttorio, Luigi Di Maio, a ottobre ha incassato 3.246 euro, restituendo una parte di indennità di 1694; ma in più ha ricevuto 10.516 euro di rimborsi, e quali sono le pezze d’appoggio?
Il grosso (9710 euro) figura alla voce «attività ed eventi sul territorio». Non sappiamo nulla di più, non c’è altro documento.
Naturalmente, giova ripeterlo, spese varie e «eventi sul territorio» sono lecite eccome, per un parlamentare: ma non è una forma di finanziamento pubblico (sia pure indiretto) al Movimento, che diceva di non finanziarsi così?
Ad aprile 2015 fu obiettato a Di Battista che le sue note andavano dettagliate meglio: lui rispose che finanziava anche le attività dei meet up, e la cosa fece scalpore e girò molto, nel Movimento, perchè è pratica che si diceva di non fare.
Si potrebbero citare decine di esempi di uno stile di vita più rilassato, abiti assai più costosi, sedute quasi quotidiane di make up; il capo della comunicazione, l’ex del Grande Fratello Casalino, disse a Vincenzo Santangelo, un tempo capogruppo, che non andava in tv perchè era brutto.
Numerose storie come questa, tanto più proverbiali quanto più ridicole, certificano che lo staff di comunicazione voglia persone che sappiano stare in tv e abbiano gli abiti giusti e i capelli giusti, «non degli sfigati o dei fumati».
La Bedori perchè è stata silurata, e da chi?
Casalino inaugurò una tendenza, gli eletti dal dentista (peraltro, Dario Tamburrano, un europarlamentare M5S) a sbiancarsi i denti, le elette dal parrucchiere a lisciarsi i capelli. Il giorno dell’insediamento del direttorio disse che i 5 stelle dovevano essere dei personaggi, e curare la loro immagine da star.
Ma era questa roba, il Movimento francescano?
C’è chi s’è comprato la moto costosa.
Chi, mentre prima divideva casa con quattro colleghi, è andato a vivere dalle parti di piazza di Spagna, forse sognandosi sulle orme della Angiolillo.
Chi rinegozia mutui favorevolissimi utilizzando la banca della Camera.
Alla Casaleggio associati, ancora oggi, si pranza nel cucinino, con cose vegetariane, spendendo pochi euro.
Il vecchio maestro non è stato seguito dagli allievi.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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Marzo 22nd, 2016 Riccardo Fucile “E’ STATO UN NOSTRO ERRORE, IL SENATORE NON C’ENTRA”
Il capo dei rapporti social del senatore lascia l’incarico, assumendosi le responsabilità per l’errore blu che aveva scatenato i lazzi della rete.
Luca Ferlaino fa anche il nome della collaboratrice ‘colpevole’ e chiede scusa al parlamentare per il danno subìto.
Era stato lo strafalcione più commentato della settimana, ma quel “chiesimo” al posto di “chiedemmo”, che campeggiava in un tweet di Maurizio Gasparri, non era farina del sacco del senatore Pdl.
Il colpevole, si apprende, reo confesso, è lo staff social del parlamentare, il cui responsabile in seguito a quel frontale con la lingua italiana è stato costretto a dimettersi. “In riferimento alla vicenda del tweet comparso sul profilo ufficiale del sen. Maurizio Gasparri – scrive Luca Ferlaino, responsabile Social network di Gasparri – , contenente lo strafalcione ‘chiesimo’, in qualità di Staff Social precisiamo che la responsabilità dell’errore è interamente nostra”.
Il caso scoppiò lo scorso 17 marzo, quando sul profilo di Gasparri apparve il seguente tweet: “E’ vero che @GiorgiaMeloni è figlia della storia di destra e proprio per quello a suo tempo le chiesimo la disponibilità #agorarai”.
Ferlaino si cosparge dunque il capo di cenere e spiega: “Abbiamo provveduto noi, nell’ambito della collaborazione che abbiamo col senatore Gasparri, a realizzare la cosiddetta ‘diretta Twitter’, in quell’occasione relativa al programma Agorà , firmandoci come di consueto con la sigla ST in calce al tweet. Nello specifico – si legge ancora nella nota di Ferlaino – l’errore è stato di una nostra collaboratrice, di cui rispondo personalmente. Ci scusiamo ancora una volta con il sen. Gasparri che ha subìto un danno a causa nostra e ci auguriamo che chi dovesse tornare sul tema riferisca correttamente le circostanze di questa vicenda, il cui clamore è assolutamente sproporzionato alla rilevanza della stessa”
Ferlaino, che pur di scagionare completamente il potente suo ex datore di lavoro non esita a fare nome e cognome della povera collaboratrice responsabile dello strafalcione, conclude la nota aggiungendo che “in seguito alla suddetta vicenda la collaborazione con il sen. Gasparri è stata interrotta”.
D’altra parte, non era stato il primo scivolone di Gasparri su Twitter.
Qualche giorno prima, il suo account aveva scambiato Jim Morrison per un rapinatore slavo, ‘abboccando’ alla trappola di un sito satirico su Facebook.
(da agenzie)
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Marzo 22nd, 2016 Riccardo Fucile IL DELIRIO DELLA PSEUDO-DESTRA RAZZISTA: SALVINI E GASPARRI PARLANO DI “RIPULIRE LE CITTA'” DAGLI ISLAMICI…. LA SANTANCHE’ SCAMBIA UN CENTRO DI ACCOGLIENZA PER UNA CASERMA DELL’ISIS… UN FILM GIA’ VISTO PER RACCATTARE I SOLITI QUATTRO VOTI XENOFOBI
La drammatica conta delle vittime degli attentati a Bruxelles non si è ancora chiusa, ma gli esponenti del
centrodestra italiano non hanno perso tempo.
Sparate ad effetto, soluzioni lampo, dichiarazioni contro tutto e contro tutti, buone per raccogliere like sui social network e qualche titolo sui telegiornali.
Un format ben oliato e già sperimentato in diverse occasioni.
E, non a caso, i protagonisti di queste uscite sono sempre gli stessi
In prima fila nel lanciarsi sulla notizia è stato Matteo Salvini che, trovandosi a Bruxelles, è riuscito anche a farsi immortalare in diretta dalla trasmissione di Canale 5 Mattino 5, per cui ha realizzato un lungo collegamento dalla capitale belga.
Passate poche ore dall’ospitata in tv, il leader della Lega Nord ha lanciato l’iniziativa web, con tanto di cartello: “Ripuliamo le nostre città ” e l’hashtag #iononhopaura.
Sulla stessa linea di pensiero si muove il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri che sulla sua pagina Facebook mette insieme immigrati, clandestini e terroristi: “Uccidono in nome dell’Islam. In Europa, in Asia, in Africa. E intanto Renzi porta in Italia altri clandestini a migliaia. Mentre dovremmo espellere chi minaccia la nostra libertà . Dobbiamo ripulire i quartieri invasi da islamici. Prendono i nostri passaporti, lavorano nelle nostre città , come Salah e i suoi familiari a Bruxelles, e in cambio ci sterminano. Basta con la retorica dell’integrazione. Perquisizioni, arresti, espulsioni in Europa. Radere al suolo lo Stato islamico”.
Non manca all’appello neppure Daniela Santanchè, deputata di Forza Italia.
Attraverso il suo profilo twitter e a pochi secondi dalla notizia, lancia la domanda: “Terrorismo islamico?”. Una prudenza forse derivata dalla figuraccia fatta ai tempi della tragedia dell’aereo Germanwings , causata da un pilota tedesco di cui la “pitonessa” chiese su twitter “di che origini fosse”.
Più tardi Santanchè ha invece attaccato l’amministrazione di Milano per la scelta di allestire un centro di accoglienza nelle aree Expo, definendola “una caserma dell’Isis nel centro di Milano”.
Sempre pronto su Twitter anche l’esponente della Destra Francesco Storace, che sul suo profilo prima twitta una vecchia prima pagina di Libero col titolo “Bastardi Islamici”, e poi condivide i messaggi di tanti suoi follower. Tra questi: “Non esiste un islam moderato. O combattiamo o saremo sconfitti”.
Mauro Munafò
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Marzo 22nd, 2016 Riccardo Fucile LA SICUREZZA COLABRODO DEL BELGIO E LA NECESSITA’ DI UN CAMBIO DI PASSO TRA INTELLIGENCE… CHI FINANZIA IL TERRORISMO ?
Non un attentato qualunque. Nell’attacco a Bruxelles ci sono tre indicazioni che, se si vuole finalmente fare sul serio, l’Europa può usare per prendere un nuovo corso di azione contro il terrorismo.
1) Il Belgio si è confermato oggi, come del resto molti ripetono sottovoce da mesi, uno stato fallito. Proprio così viene detto nei giri diplomatici e di intelligence: fallito esattamente come si dice per la Siria o l’Iraq. Spiacevole dirlo, ma vero.
Nonostante gli aiuti di analisi e di logistica, di appoggi militari e di intelligence da parte di mezza Europa , Francia, Inghilterra, Germania, e Stati Uniti, il governo di Bruxelles non è stato in grado di identificare e ancor meno fermare la macchina terroristica saldamente piantata nelle sue visceri.
Una falla enfatizzata da una coincidenza (ma esistono le coincidenze in tali materie?): lunedì mattina, cioè 24 ore prima degli attacchi in Belgio, il New York Times ha pubblicato il rapporto di 55 pagine stilato dalla polizia francese sui fatti del Bataclan.
Un rapporto che ha fatto il giro del mondo e che, proprio nelle ore in cui il Belgio festeggiava con una certa precipitazione la cattura del primo pentito Isis, scoperchiava una realtà peggiore di quel che si sia fin qui saputo.
A partire dal numero – in quel rapporto si parla di ben 90 foreign fighters ritornati in Belgio, descrive una organizzazione che si appoggia a legami familiari vasti (cugine, amici, case ospitali) e a una rete operativa molto sofisticata.
C’è ad esempio il sofisticato uso di strumenti di comunicazione: dalle casse piene di telefonini ancora in buste di plastica ritrovati nei covi, alle informazioni con codice criptato che vengono passate e che non sono mai state intercettate.
Un sopravvissuto del Bataclan ha raccontato ad esempio di aver visto uno dei terroristi aprire il suo portatile e lavorare su uno schermo dove passavano solo righe di numeri.
E c’è il problema degli esplosivi, racconta il rapporto francese: vero che le bombe sono fatte con materiali in commercio, ma sono instabili e hanno bisogno di essere preparate e tenute in un ampio spazio.
Hanno bisogno insomma di esperti e di una logistica seria.
Come è possibile che una realtà così complessa non sia stata scoperta, nonostante l’impegno di tutte le intelligence europee?
I francesi senza tanto mascherarlo, puntano il dito sul Belgio, sulle sue lentezze e la sua mancanza di convinzione: una delle vicende segnalate è che una volta una indicazione sospetta è stata fatta cadere perchè in Belgio è illegale perquisire una abitazione privata dalle 21 alle 5 del mattino.
Furbizia, mancanza di attenzione, questa belga? Appare in verità solo una enorme sottovalutazione.
2) Il doppio giro di attentati messo in atto per modalità e tempistica rende evidente una preparazione militare di alto livello. Che punta all’esistenza di una organizzazione forte, con capacità logistiche serie, e con una regia che conosce molto bene tecniche e tattiche di guerra.
Ci troviamo di fronte a un gruppo che a 48 ore dalla cattura della sua primula rossa, cioè da quella che era stata subito venduta come una sconfitta della rete terrorista in Belgio, l’arresto di Abdelaslam, è stata in grado di attaccare su due fronti negli stessi chilometri quadrati che a parole erano stati messi in sicurezza.
È stata in grado cioè’ di mettere in campo subito un gruppo di combattenti, appoggi logistici, armi ed esplosivo per i nuovi attentati ed è stata in grado di piazzarli senza che venissero scoperti, nel pieno cuore di una città ‘ militarizzata.
Tutto questo punta all’esistenza di una regia, di una forte tattica, di una enorme preparazione, e, non ultima, di una grande agibilità sul territorio.
Altro che giovani mussulmani disaffezionati dalla vita di periferia, branco di giovani lupi allo sbando, gruppetti di amici.
Da tutto quello che si è visto a Bruxelles possiamo dire che in Europa opera un vero e proprio nuovo fronte militare.
3) Chi finanzia questo fronte? Operazioni quali quelle che abbiamo descritto, e che non sono appunto raccolte occasionali di estremisti, richiedono un finanziamento sostenuto nel tempo e nel volume.
O vogliamo davvero immaginare che questi terroristi di ritorno si mantengano con lavoretti o ospitalità di famiglie o la carità della beneficenza delle locali moschee? Macchine, armi, spazi in affitto, viaggi. Qualcuno paga.
Così come qualcuno paga la enorme rete dell’Isis nei territori che occupa: oppure davvero vogliamo credere che la gestione di parte di Iraq e Siria, l’organizzazione di spedizioni in Libia e di attentati in Europa, siano finanziati solo dal traffico illegale di petrolio, antichità ‘ e prostituzione? Qualcuno paga e sono finanziamenti che solo entità statali possono fornire.
Queste tre indicazioni possono darci a loro volta tre risposte sull’immediato fare.
1) Come è’ accaduto in Belgio, il nostro maggior rischio oggi è quello di sottovalutare la forza militare, politica e organizzativa del fronte che ci sta attaccando. È ora di fare una seria rimessa a punto delle nostre analisi e prendere le nuove misure.
Il fronte europeo è chiaramente, profondamente organico a quello che si muove in Siria o in Libia. Quando si dice siamo in guerra non è un modo di dire. Ma per l’Europa va chiarito se il circuito Belga è l’unico o se ce ne sono altri.
L’intelligence europea inclina per la seconda opzione
A Londra nelle scorse settimane è trapelato un allarme degli Interni secondo il quale gruppi terroristici potrebbero oggi essere in grado di mettere in atto fino a 10 attacchi contemporanei nella capitale Inglese mandando in tilt ogni apparato di sicurezza. E Parigi appare altrettanto allarmata.
2) Più uomini nelle strade è una risposta efficace?
Il caso del Belgio prova esattamente di no: Bruxelles è da mesi blindatissima ma i terroristi hanno continuato a proliferare.
Finora l’unica arma risultata efficace è l’intelligence, quella minuta, semplice,estesa fino alle conoscenze minime delle abitudini dei cittadini.
È’ arrivato il momento di far fare un salto al coordinamento di informazioni e operatività dei vari paesi europei. Costerà tanto i termini di libertà ‘ individuali di tutti. Ma è’ meglio di mobilitare apparati militari da noi come su altri fronti.
3) È ora che si indichi anche il vero nemico politico che ce’ dietro il terrorismo. Cioè’ che si facciano i nomi degli stati che finanziano questo progetto per i loro fini di dominio. Sappiamo chi sono.
Sono nostri alleati, ufficialmente. Ma questa ambiguità ‘ diplomatica va rotta.
Il costo è alto, e non solo in termini di affari. Il rischio di rotture internazionali interstatali acuisce il pericolo di una precipitazione globale ma se non si chiariscono gli schieramenti di questa guerra, non riusciremo certo a costruire strategie di difesa.
Certo, nulla di tutto questo è facile. È’ arrivato il momento di un cambio di passo.
Il prezzo è’ molto alto. Ma la politica dello struzzo non allontanerà il pericolo.
Lucia Annunziata
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 22nd, 2016 Riccardo Fucile L’ESPERTO: “MANCA COORDINAMENTO TRA INTELLIGENCE EUROPEE”… “L’ITALIA E’ DEBOLE SULLE FORZE DI INTERVENTO RAPIDO, FORTE SU CONTROLLO DEL TERRITORIO E COORDINAMENTO”
“L’attentato a Bruxelles per certi versi è peggio di quelli di Parigi. Dimostra quanto sia capace la rete dello
Stato Islamico in Europa. E’ una minaccia evoluta, è la dimostrazione di forza di una rete europea che in barba a tutti i controlli e tutte le indagini riescono a organizzare un attentato nel cuore dell’Europa e nel punto più presidiato di tutti: l’aeroporto”.
Parola di Gabriele Iacovino, coordinatore degli analisti del Centro Studi Internazionali (CeSi) che a caldo dopo gli attacchi ragiona della forza degli aggressori e della debolezza degli aggrediti, anche in Italia dove — dice l’esperto — “siamo molto deboli su alcune cose come le forze di intervento rapido ma forti su altre, come il controllo del territorio e il coordinamento delle intelligence”.
Perchè hanno colpito ora, una rappresaglia per l’arresto di Salah?
“Da un’analisi rapida e sommaria sulle poche notizie che abbiamo di fatto questo attentato dovrebbe essere stato organizzato da tempo perchè non si può improvvisare un attacco con esplosivi in una città come Bruxelles in pochi giorni. Quindi un attentato preparato da tempo, ma la tempistica dell’esecuzione è stata decisa dopo l’arresto di Salah, anche e forse perchè di fatto i terroristi hanno avuto il timore che potesse dare informazioni su questo attentato o chi lo stava per compiere. E quindi bruciare tutta la preparazione che questo attentato aveva richiesto”.
Cosa vogliono dimostrare?
“Destabilizzare, minare il nostro senso di sicurezza, certo. E per certi versi ci sono riusciti perchè questo attacco ci costringe a chiederci: come è possibile che in un periodo come questo, dove il Belgio dovrebbe essere sottosopra per cercare Salah, di fatto sia stato possibile organizzare un attentato del genere? Un attacco che è addirittura è un passo avanti di metodologia rispetto a Parigi? Qui non si parla nuovamente di attentatori che si mettono a sparare in mezzo alla strada con dei kalashnikov reperiti sul mercato nero. No, qui stiamo parlando di bombe, esplosivi. Ormai siamo abituarti a pensare alle bombe come qualcosa di semplice che si costruisce in casa guardando il bigino su Internet. Non è così, c’è bisogno di un’expertise, di una conoscenza, di una preparazione e capacità di gestire determinati materiali. E poi di trasportarli. Stiamo parlando di trasportare degli ordigni di martedì mattina nei punti nevralgici della capitale d’Europa”.
Come si fa a bucare la sicurezza al suo massimo livello?
“Di fatto è semplice perchè se io e lei abbiamo una valigia possiamo andarci ovunque, ma è quello che c’è nella valigia che è complicato. Quindi, da una parte expertise, dall’altra capacità di movimento, inoltre di mettere a sistema una rete per creare un attacco del genere, perchè stiamo di nuovo parlando di un attacco congiunto su vari posti anche lontani tra loro, perchè l’aeroporto è a 15 km dal centro di Bruxelles. Quindi di cellule coordinate con operativi, logistica, comunicazione e ospitalità perchè poi bisogna anche nascondersi, come ben dimostra lo stesso Salah. La cosa che in questo momento fa venire ancor di più i brividi è come questo sia possibile quando l’attenzione era massima perchè si cercava un terrorista. Quindi quando c’era più difficoltà negli spostamenti, perchè c’era sempre la polizia, c’era più difficoltà nelle comunicazioni perchè di fatto si stava in ascolto. Anche la rete, probabilmente, doveva essere ben protetta perchè di fatto si sono mossi quando le attenzioni delle forze dell’ordine erano altissime”.
Com’è possibile colpire addirittura l’aeroporto, cioè un punto sensibile per definizione?
“Il sistema di sicurezza occidentale degli aeroporti è focalizzato sulla sicurezza dei velivoli, è un retaggio degli anni Settanta. Infatti io e lei facciamo i controlli dopo, per andare agli imbarchi. Mentre se andiamo in altri paesi, più difficili come Algeria, lo stesso Pakistan ma anche in Ucraina di fatto si fanno controlli con il metal-detector all’ingresso dell’area del check-in, infatti a Bruxelles l’ordigno è esploso proprio lì dove di fatto non ci sono controlli per entrare. E questo significa esporre il fianco da parte nostra, da parte dei terroristi sfruttare la falla in un sistema di sicurezza. Il problema è che il terrorismo colpisce la nostra vita quotidiana. E inevitabilmente in quella ci sono delle falle nella sicurezza. Perchè sennò non potremmo fare nulla”.
Cosa ci dice allora questo attentato in aeroporto?
“Che bisogna portare la barriera “oltre”. Pensi ai treni che fanno della velocità la loro punta di diamante. Perchè se devo perdere tempo per accedere al treno, a questo punto prendo l’aereo che ci mette di meno. E’ lo stesso concetto: perchè non entrare in stazione con un ordigno? E’ veramente difficile fermare gli attentati una volta che sono stati posti in essere. Il punto fondamentale è cercare di prevenirli mettendo a sistema tutte le informazioni della rete di polizia e di intelligence, l’apparato di sicurezza di uno Stato o più Stati. E’ questa la vera sfida che di fatto in Europa, al pari della sfida politica, sta per essere persa: il coordinamento di tutte le intelligence europee è un punto fondamentale e non sta funzionando. Siamo lontanissimi. Se pensa che l’11 Settembre Cia ed Fbi non si sono mai parlati e sono dello stesso stato. Si figuri in Europa, è difficile”.
Ma sono i radicalizzati che sono troppi e difficili da controllare o le autorità belghe ancora una volta dimostrano di non essere in grado?
“Da una parte è un fenomeno difficile da controllare. Perchè di fatto stiamo parlando di cittadini europei, di trovare l’ago in un pagliaio. Ma è al difficoltà intrinseca del lavoro dell’agenzia di sicurezza. Di fatto però abbiamo visto da una parte, tra Parigi e Bruxelles che comunque chi organizza questi attentati ha degli spazi di manovra. E dove li trova? In quartieri dove le forze di polizia non entrano, se non sparando. Le banlieue parigine, le periferie di Bruxelles, dove per entrare di fatto devi sparare. Una situazione sui generis. In Italia, ad esempio, non ci troviamo di fronte a questi casi se non per altri fenomeni criminali. Nulla accade a caso: se c’è la possibilità di organizzare qualcosa, io vado dove è più facile organizzarlo. Quindi in quelle regioni”.
Cosa è cambiato rispetto ad Al Qaeda?
“E’ cambiato il messaggio, più patinato e potente, del Califfato, di Daesh e dello Stato Islamico. Il messaggio di radicalizzazione di Al Qaeda non era così forte. Quella di Bin Laden era un’agenzia di sevizi, finanziava, supportava, preparava. Lo Stato Islamico lavora anche sull’identità , sull’appartenenza e un messaggio molto più “accogliente” per coloro che intendono ingaggiare la guerra santa o non si sentono participi della società europea. E questo ha allargato e moltiplicato i recettori del messaggio che si fa più forte, suggestivo, pervasivo soprattutto nei giovani. Anche perchè raggiungere la Siria è molto più facile che andare in Afghanistan. Basta andare in Turchia, prendere l’auto e in un paio di giorni sei lì, dove c’è una palestra pronta per la radicalizzazione da mettere a frutto al rientro, perchè grazie al passaporto è facile andare come tornare”.
Italia. Come siamo messi?
“E’ vero che oggi siamo più esposti per un ritrovato impegno del nostro Paese in Libia. Ma è anche vero che sarebbe stato difficile starne fuori di fronte a una minaccia così totalizzante come il Daesh. Siamo tutti occidente ai loro occhi. E tuttavia l’Italia ha una forza nella sua rete di polizia che non ha eguali in Europa. Un po’ perchè siamo ridondanti e pletorici, per cui ci piace avere 5 numeri di emergenze. Ma a quei numeri rispondono varie autorità e il fatto stesso di avere polizia e carabinieri di permette di avere un controllo del territorio maggiore della gendarmeriè in Francia o la polizia belga. La rete urbana della polizia e quella extraurbana dei carabinieri è comunque una rete estesa che non ha pari in Europa. Quindi non è che siamo al sicuro grazie a questo. Però di fatto come facevamo prima distinguo sulla capacità di questi gruppi che trovano in alcuni quartieri lo spazio d’azione, dobbiamo anche dir e che di fatto in Italia abbiamo una situazione diversa. Non necessariamente migliore, ma diversa”.
Certo, la minaccia è così multiforme che di fatto è difficile dire che siamo sicuri…
“Però accanto a quel modello esteso di controllo de territorio, noi abbiamo uno strumento che di fatto in Europa non ha nessuno: il ‘Casa’, comitato di analisi strategica antiterrorisimo. E’ un comitato di cooperazione composto da tutti i servizi di intelligence italiani e tutte le forze di polizia che uno o due volte la settimana si mettono al tavolo e mettono a sistema tutte le informazioni. Detta così sembra banale, ma di fatto non succede altrove. Nel mondo dell’intelligence il problema spesso non è trovare l’informazione, ma condividerla e metterla a sistema. Se lei ha un pezzo e io un altro dell’informazione ma non vengono uniti, sono entrambe inutili. Da sole non significano nulla, insieme risolvono il problema. A questo serve il ‘Casa’”.
La grande minaccia per l’Italia?
“In questo momento arriva dalla radicalizzazione dei Balcani. Sono un territorio poco controllato, dove la radicalizzazione è forte ma anche la malavita con i mercato nero delle armi. E’ come se fosse la nostra banlieue separata da un mare che ci divide però se prendiamo un traghetto ad Ancora per andare a Spalato non ci controlla nessuno. E negli ultimi tempi diversi servizi giornalistici hanno documentato come intere cittadine abbiano offerto ospitalità ai radicalisti islamici”.
Che dobbiamo fare come Italia?
“Continuare con il lavoro finora svolto. Cercare di capire quali sono i buchi nella sicurezza. Noi ad esempio abbiamo un gap forte sulle forze di intervento rapido della polizia. Da una parte abbiamo i Nocs, i Gis dall’altra ma sono gruppi ristretti che non possono fare il lavoro su tutto il territorio italiano. Questo sulla fattispecie “Bataclan”, quindi sulla sparatoria. I discorso degli attentati terroristici è soprattutto un lavoro forte di coordinamento di intelligence. Perchè una volta che si è messo in moto l’attentato è difficilissimo fermarlo, anche se dispieghi soldati e polizia in forze. Ovviamente anche il nostro concetto di sicurezza negli aeroporti e nelle stazioni dovrà cambiare ed evolvere e in primis noi cittadini dobbiamo capire che per la nostra sicurezza dobbiamo fare una fila in più. Dobbiamo capire che anche al check-in dobbiamo fare controlli: siamo disposti?”.
Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 22nd, 2016 Riccardo Fucile DUE ERANO GIA’ FUGGITI NEL CORSO DELL’ARRESTO DEL SUPER-RICERCATO… I DUE NELLA FOTO POTREBBERO ESSERE I FRATELLI EL-BAKRAUOI
Caccia all’uomo senza sosta a Bruxelles, con le piste delle indagini post-Parigi e quelle degli attentati odierni nella capitale belga che si intrecciano, con nomi e volti che ritornano, identikit che si sommano, foto che circolano a velocità vertiginosa.
Cinque sono le persone sospettate dalla polizia di Bruxelles per le stragi all’aeroporto e del metrò. Due i fermi , ma di individui forse non coinvolti nell’attentato.
Sono stati bloccati a un paio di chilometri della stazione metro di Maelbeek, alla Gare du Nord della capitale belga.
Le indagini messe in campo dalle autorità belghe dopo lo sconvolgente risveglio di Bruxelles, devastata dalle esplosioni all’aeroporto di Zaventem e nella metropolitana, si sono concentrate su cinque individui.
E tutto parte dalle immagini delle telecamere di sorveglianza dell’aeroporto. La polizia ha diffuso un fermo immagine di tre presunti attentatori.
Il procuratore federale Van Leeuw in conferenza stampa ha affermato che due dei tre soggetti ritratti, vestiti con abiti scuri, sono presumibilmente morti facendosi saltare in aeroporto.
E’ invece attivamente ricercato il terzo uomo, che nel fermo immagine indossa una giacca chiara e un cappello.
Il procuratore Van Leeuw ha dichiarato che testimoni lo hanno visto allontanarsi precipitosamente dall’aeroporto.
La polizia belga chiede l’aiuto della rete (“Lo riconoscete?”), perchè evidentemente non è stato possibile identificarlo. Ma è in corso, riferiscono i media locali, un’operazione delle forze speciali belghe nel quartiere di Schaerbeek, nord-est di Bruxelles, avanzando l’ipotesi che l’obiettivo sia proprio il terzo sospetto.
Nelle perquisizioni a Schaerbeek sono stati trovati un ordigno esplosivo con chiodi, prodotti chimici e una bandiera dell’Is, annuncia la procura federale.
Oltre all’uomo con la giacca bianca, gli altri quattro potrebbero essere già ricercati in qualità di complici e fiancheggiatori di Salah Abdeslam.
Due dei quali, a giudicare dalla somiglianza, potrebbero essere proprio i due sospetti vestiti di nero ritratti dalle telecamere dell’aeroporto di Zaventem.
Quindi, come ha spiegato il procuratore, potrebbero essere i due kamikaze di Zaventem.Si tratta dei fratelli Khalid e Ibrahim el-Bakraoui. Conosciuti per il notevole curriculum criminale ben prima della loro affiliazione al terrorismo jihadista, condannati più volte per violenze a mano armata, sono ritenuti aver soggiornato in diversi alloggi trasformati in nascondigli dalla rete di contatti di Abdeslam Salah.
In particolare, nell’appartamento in rue de Dries nel quartiere Forest di Bruxelles dove le forze dell’ordine erano entrate tre giorni prima dell’operazione in rue des Quatre Vents a Molenbeek che ha portato alla cattura del più noto super-ricercato.
Le loro foto segnaletiche sono state diffuse dal sito marocchino Rue20.com. Il confronto con i soggetti ripresi all’aeroporto evidenzia, almeno in un caso, una notevole corrispondenza.
Per il procuratore Van Leeuw, “è presto per collegare gli attentati di Bruxelles a quelli di Parigi”. Sarà presto, ma tra i ricercati figurano certamente Mohamed Abrimi e Najim Laachraoui, i due complici di Salah sfuggiti alla serie di operazioni di polizia che la settimana scorsa hanno portato all’arresto dell’unico sopravvissuto del commando jihadista autore degli attentati di Parigi del 13 novembre.
La caccia a Abrimi e Laachraoui, che impegnava già le polizie di tutta Europa dopo l’arresto di Salah, si è intensificata dopo l’attacco a Bruxelles.
Nei confronti di Abrini la polizia belga aveva già emesso un mandato di cattura internazionale lo scorso novembre.
Di nazionalità belga e marocchina, il 31enne Abrini era stato ripreso in compagnia di Abdeslam dalle telecamere di una stazione di servizio a nord della Francia, la loro auto era la Renault Clio utilizzata per gli attentati di Parigi.
Quanto a Laachraoui, 24 anni, gli investigatori ritengono che, partito per la Siria nel 2013, abbia assunto la falsa identità di Soufiane Kayal per recarsi in Ungheria insieme ad Abdeslam lo scorso settembre.
Sempre a nome di Kayal vennero condotte altre attività legate agli attacchi di Parigi e, secondo quanto riferito dalla stampa, tracce del suo dna sono state rinvenute su almeno due delle cinture esplosive usate dai kamikaze in quegli attentati.
La polizia era da mesi a conoscenza del fatto che Laachraoui facesse ricorso al falso nome di Kayal, ma la sua vera identità è stata resa nota solo questa settimana.
Paolo Gallori
(da “La Repubblica”)
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Marzo 22nd, 2016 Riccardo Fucile I DATI AGCOM: NESSUN PREMIER DAL 2009 HA AVUTO TANTO SPAZIO NEI TG RAI… E NEGLI ULTIMI MESI E’ PURE AUMENTATO
Qualche giorno fa l’Agcom ha pubblicato le tabelle di febbraio sul monitoraggio del pluralismo sociale e
politico-istituzionale delle tv nazionali.
Se il nostro è un paese che in molti pensano “intossicato” dalla politica, ebbene, il primo dato è di conferma. Al peggio.
I tiggì Rai dedicano alla politica e ai politici uno spazio abnorme: nel mese di febbraio i tg pubblici hanno dedicato il 73% delle notizie (l’80% Mediaset!) alla politica, ai suoi vari livelli (locale, nazionale, istituzionale, europeo), e ai suoi esponenti.
Tutto il resto (dal sociale alla cronaca, dalla cultura allo spettacolo e allo sport) ha occupato un posto marginale.
Una vera e propria patologia, e grave, se solo si considera che una ricerca dell’Osservatorio di Pavia di qualche anno fa certificava che, nei principali tiggì europei, lo spazio della politica non superava il 20%.
E in Italia il dato, rispetto a quella ricerca del 2008, è ulteriormente peggiorato.
Se poi ci chiediamo come si ripartisce questa torta gigantesca e sproporzionata di politica, constatiamo che a febbraio, in Rai, oltre il 26,5% è andato ai partiti di maggioranza (con un incremento del 5% rispetto a gennaio); il 22% a quelli di opposizione (con un decremento del 3,5%); il 20% è andato al premier (+ 4% rispetto a gennaio); il 13,5% al governo (-4,5%); il 6,5% al Presidente della Repubblica (+1,5%).
Tra i partiti, poi, il Pd cresce al 20,3% (+ 5 rispetto a gennaio), poi, a distanza, c’è il M5S al 7 (- 2,5 rispetto a gennaio), la Lega al 6 (+ 2), l’ Ndc al 5,7 (+2,5) Forza Italia al 5 (-1,5), Sel al 3 (-1,1); tutti gli altri sono sotto l’1%.
Insomma alla iperpoliticizzazione malata nei telegiornali si somma il dato, altrettanto patologico, dello spazio concesso all’opposizione che è ridotto al 20% e poco più. Tutto il resto va a maggioranza, governo, presidente del Consiglio, nonchè (ma poco) ai Presidenti della Repubblica, del Senato e della Camera.
Leggendo questi numeri ci è venuta voglia di andare a curiosare meglio e più a fondo tra le cifre fornite dall’Authority nel corso del tempo, analizzando questa volta una singola voce: cioè lo spazio di parola concesso dai tiggì della Rai ai premier in carica negli ultimi anni, partendo dal dato più recente di febbraio, che a Renzi riserva il 20% del tempo “politico”.
Naturalmente la prima cosa che ci premeva verificare era vedere se sia sempre stato così, anche con i suoi predecessori, con Letta, con Monti, con Berlusconi.
Ed ecco cosa abbiamo scoperto.
Ora Renzi è un tipo ciarliero, si sa, ma lo spazio che i telegiornali Rai gli hanno offerto e gli offrono va aldilà della pur gioviale, e spesso stucchevole, parlantina del premier.
La notizia, però, è che un Presidente del Consiglio non ha mai avuto tanto spazio, secondo i dati storici dell’Agcom, almeno dal 2009 fino ad oggi, e che questo spazio è aumentato nel corso degli ultimi mesi.
Vediamo il dettaglio.
Il premier Berlusconi tra la metà del 2009 e la fine del suo governo (ottobre 2011) ottiene circa il 12% del tempo di parola (con una punta di 21 a luglio 2009); Monti fa molto meglio, con quasi il 18% di media (e una punta del 24% a maggio 2012): con lui il feeling dei tiggì è molto alto, e la cosa contribuirà non poco al successo del suo raggruppamento alle elezioni del 2013; meno visibile ed “amato” dai tg invece è Enrico Letta, che totalizza il 14,5 dello share informativo sui telegiornali.
Ma è con Renzi che il quadro viene sovvertito: egli amplifica il dato che già a Monti aveva garantito visibilità (e voti), e nei suoi due anni di governo si attesta su una media di oltre il 18%.
Sono, però, le punte stratosferiche raggiunte in alcuni mesi (30% marzo del 2014 — ci stava, effetto slides, luna di miele, etc.- ma 34% lo scorso dicembre!) ad apparire inedite, mentre è del tutto sconcertante il dato degli ultimi otto mesi, che vede il premier occupare il 21,24% di media del tempo di parola concesso ai politici nei telegiornali Rai.
Il fatto risulta nuovo e senza precedenti, almeno nella storia dei tiggì dell’azienda pubblica degli ultimi anni, che ai vari Presidenti del Consiglio aveva concesso il microfono molto meno.
Tutto ciò senza contare le ripetute comparse del premier sia nei programmi leggeri, che in quelli informativi extra tg.
Quando De Gaulle occupava la tv francese, l’opinione pubblica d’oltralpe reagì coniando il termine “telecrazia”.
Qui non pare che la reazione sia altrettanto forte. Anzi, il silenzio è grande. Tramontati i tempi dei girotondi e la stella dell’ex Cavaliere, dalle forze politiche di opposizione (ma Berlusconi si consola con le percentuali bulgare sui ‘suoi’ telegiornali), dal mondo della cultura impegnata, dalle istituzioni di vigilanza, dai media arrivano, quando giungono, flebili parole di circostanza.
A proposito: a cosa serve la commissione presieduta dal grillino Roberto Fico e a che serve la stessa Agcom, se poi le sue tabelle restano lettera morta?
E Maggioni, Campo dall’Orto e Verdelli cosa ne pensano?
Giandomenico Crapis
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Marzo 22nd, 2016 Riccardo Fucile LE COMICHE: ORA TUTTI NON SONO “MAI STATI FASCISTI”… DAL PASSO DELL’OCA A QUELLO DELLE OCHE
Una spina. Un prurito.Un’ossessione. Il lavacro di Fiuggi del ’95 non ha sradicato il passato in fondo al cuore.
Il peso di una storia mai smaltita che si fa sentire fino ad oggi.
«Io non sono mai stata fascista», dice di sè Giorgia Meloni rispondendo a Berlusconi che ha bollato con disprezzo usando l’epiteto (ancora?) infamante di «fascisti».
«Mai» è molto impegnativo.
Chissà perchè allora il Msi ha sentito il bisogno di non chiamarsi più così e di ribattezzarsi Alleanza Nazionale.
E perchè nelle tesi di Fiuggi si è addirittura scomodato l’antifascismo come momento storicamente necessario al ritorno della libertà in Italia.
E perchè Gianfranco Fini, con il parere entusiastico e unanime dei colonnelli che via via gli hanno voltato le spalle fino ad arrivare all’attuale irrilevanza collettiva, ha sentito il bisogno nel ’93 di andare in pellegrinaggio alle Fosse Ardeatine, e poi ad Auschwitz, e poi in visita commossa allo Yad Vashem di Gerusalemme, faccia a faccia con il «male assoluto» della Shoah, mentre in Italia borbottavano per quella kippah in testa.
Il fascismo è stata una storia grande e tragica. Con la fine della Prima Repubblica, fondata sull’antifascismo costituzionale, quella storia sembrava essersi esaurita. Hanno chiuso le insegne del comunismo e del fascismo.
Restano i fantasmi, i residui, i ricordi che stregano le idee e le teste. E lo psicodramma che non si spegne mai
Con lo spettro del fascismo il centrodestra berlusconiano ha duellato sin dall’inizio. Quando Berlusconi disse di optare per Fini come sindaco di Roma (la storia comincia nei pressi del Campidoglio e qui sta volgendo alla fine, potenza dei simboli e dei ricorsi), gli avversari gli misero un fez in testa: il Cavaliere nero.
Bossi, alleato riluttante di governo, si mise in marcia sotto il diluvio nel 25 aprile milanese che sembrava rinato dal nulla, dopo anni di celebrazioni ufficiali stanche e sfibrate. Disse anche, con la sua prosa trattenuta e moderata, che i fascisti sarebbero stati inseguiti «casa per casa» e che con i fascisti mai più da nessuna parte.
Poi invece il «da nessuna parte» diventò Palazzo Chigi.
La sinistra impazziva per il «regime» in agguato. Ogni manifestazione del centrodestra nella Capitale diventava la «marcia su Roma».
Berlusconi faceva finta di non sentire: scherzava addirittura sulle isole del confino fascista dipinte come ameni luoghi di vacanza.
I missini smisero di essere tali: divennero aennini. Sparirono saluti romani e labari. Anzi, riapparvero in qualche funerale (che Fini e i suoi dovevano abbandonare prima che risuonasse lo stentoreo «Presente!» con braccio teso) e quando un gruppo di ex fascisti, o postfascisti, o fascisti salutarono con entusiasmo Gianni Alemanno che aveva vinto le elezioni a Roma.
Sempre al Campidoglio: quando si dice la fissazione dei luoghi.
Non erano più fascisti, fuori e dentro? Alessandro Giuli, che dedicò al gruppo dirigente di An uno sferzante pamphlet, scrisse che il passo delle oche aveva sostituito il passo dell’oca.
Chi voleva restare fascista aveva a disposizione da Fiuggi in poi la Rifondazione nera capeggiata da Pino Rauti. Gli altri si adagiarono sulla strada dello sdoganamento e addirittura confluirono disciplinatamente nel Pdl nato dal predellino di Berlusconi. Tranne Francesco Storace, che con Daniela Santanchè mise su «La Destra», in rotta con il Fini che a Gerusalemme si era spinto troppo oltre.
Una storia grande e tragica, quella del fascismo e anche quella del neofascismo.
La scommessa di una destra che finalmente all’aria aperta, finalmente non più ghettizzata, finalmente non più confinata nel reparto dei reprobi della Repubblica, avrebbe potuto dimostrare tutte le sue potenzialità , è stata una scommessa persa.
Quando Fini osò alzare il capo con Berlusconi, i colonnelli che erano stati di An e che erano cresciuti insieme nella palestra missina per disegnare «il fascismo del Duemila» sfilarono sul palco per condannare il refrattario e per giurare fedeltà imperitura al Capo.
Questa parola, «fascismo», ristagnava sullo sfondo, chiusa in un armadio, con la naftalina perchè non esalasse cattivi odori.
Ma i conti con il passato non sono mai stati fatti.
«Fascista»? Giammai, sembra dire Giorgia Meloni avanzando le prove dell’anagrafe. Il rimosso non se ne va. Il passato non passa.
Sotto il tappeto è già tutto pieno.
Pierluigi Battista
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 22nd, 2016 Riccardo Fucile “LA MELONI HA RINNEGATO LE SUE ORIGINI, OGNUNO DOVREBBE AMMETTERE IL PROPRIO PERCORSO DI VITA”… “NELLA MIA LISTA CIVICA MAGISTRATI, PREFETTI E UFFICIALI DEI CARABINIERI PER RIPRISTINARE LA LEGALITA'”
«Se ogni tanto magari nelle settimane passate ho avuto qualche tentennamento l’ho dovuto
immediatamente fugare perchè mi rendevo conto che Berlusconi ha investito su di me e io non posso certo deluderlo. Io sono leale, a differenza di altri».
Dopo aver incassato, ieri, l’ennesimo atto di fiducia dell’ex premier che ha respinto la richiesta di Giorgia Meloni di sacrificarlo sull’altare dell’unità (perduta) del centrodestra, Guido Bertolaso attacca avversari e gli alleati dell’altro ieri.
«Tirino fuori un contenuto, se mi dimostrano che non sono in grado di risolvere i problemi dei romani lo faccio subito un passo indietro. Altrimenti si diano da fare per costruirsi un’agenda e parlino dei problemi concreti».
Intanto promette: con me sindaco da Roma i topi spariranno nel giro dell’estate.
Ha sentito la Meloni: Bertolaso, ha detto, non scalda i cuori.
«Ma che le devo dire, qui ogni giorno se ne inventano una nuova. Chi è che gliel’ha detto che non scaldo i cuori, ha misurato la temperatura dei romani? Non scalderò i cuori però 45.000 persone sono andate ai gazebo una settimana fa a dire che erano d’accordo con il mio programma e con la mia candidatura. Mi sono un po’ stufato delle chiacchiere, tutte le battute di queste settimane su Bertolaso che non è del centrodestra, che non va contro i rom, sono solo una serie di affermazioni campate in aria che servono a giustificare le capriole che hanno fatto».
Lei non pensa al passo indietro?
«Io adesso sono un manager, di fatto un civico, che si candida con l’appoggio di Forza Italia ma senza neanche essere un componente di Forza Italia, per quello che mi riguarda è la situazione ideale perchè con quello che è capitato forse mi sono anche liberato di qualche viso eccessivamente ingombrante. Mi viene da ridere leggendo che qualcuno dice che io sono uno che divide, chi lo dice mente sapendo di mentire»
Di ingombrante c’è anche il passato fascista della Meloni citato da Berlusconi?
«Vedo che la Meloni ha rinnegato quelle che sono le sue origini, non è neanche carino secondo me far finta di non guardarsi indietro e riconoscere la propria storia, perchè ognuno dovrebbe avere almeno la responsabilità di ammettere il proprio percorso politico oltre che quello di vita».
Parliamo di Roma. La procura ha appena aperto un’inchiesta sullo scandalo ratti, il prefetto Tronca ha appena divulgato i dati vergognosi sui mancati affitti incassati dal Comune per gli immobili del centro.
«Per eliminare i topi mi basta il periodo estivo, con procedure di gara trasparenti ma rapidissime si può fare anche con il codice degli appalti. Ci sono anche aziende private che hanno una competenza straordinaria, lavorano all’estero ma hanno la loro base operativa a Roma. Poi il problema lo risolveremo alla radice quando inizieremo a fare una vera raccolta differenziata. Togliendo i cassonetti elimineremo quelle scene apocalittiche che oggi si vedono in giro per Roma, con i topi e i gabbiani che lottano per spartirsi il boccone».
E sugli immobili?
«A Tronca e Gabrielli credo che dovremmo fare un monumento, perchè tengono in piedi una barca che sta affondando. Mentre il Pd che loda il commissario con Giachetti ha una coda di paglia lunga fino a Ostia. Comunque il lavoro di Tronca è una base straordinaria di partenza per chi arriverà in Campidoglio, per incominciare anche lì a fare pulizia».
Chi farà parte della sua squadra? Finalmente può farci qualche nome?
«Nella lista civica ci saranno personaggi illustri e competenti, che hanno lavorato soprattutto nella pubblica amministrazione. Mi riferisco a magistrati, prefetti e ufficiali dell’Arma, della polizia e della Finanza in modo che anche sotto il profilo della legalità possa essere garantita la massima trasparenza».
Martino Villosio
(da “il Tempo”)
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