Marzo 28th, 2016 Riccardo Fucile RIMINI, NAPOLI, MILANO, LATINA E NON SOLO: TUTTI I LIMITI DEL MOVIMENTO
A Roma gira un sondaggio, commissionato dall’ Huffington post , secondo cui Roberto Giachetti
avrebbe raggiunto e anzi superato Virginia Raggi. Non è una buona notizia, ma dopo una settimana di polemica battente sul caso Acea è anche nelle cose ( in sintesi : Raggi ha promesso di metter mano alla dirigenza e ha criticato la presenza dei privati nella composizione societaria, il titolo è crollato in borsa e il Pd è partito all’attacco).
I 5 stelle comunque non se ne curano. Perchè sono convinti di essere in vantaggio, sì, e poi perchè certo non possono aprire un altro fronte sulle amministrative.
Roma, con Torino, è l’unica città dove tutto sembra andare per il verso giusto. La speranza è dunque che rimanga così, anche perchè altrove è invece un disastro.
Nota è la vicenda di Milano, con la candidata Patrizia Bedori che si è ritirata prima ancora che la campagna elettorale cominciasse ufficialmente.
Ha dato la colpa alla stampa, Bedori, ma ad attaccarla, anche per la sua fisicità , sono stati pezzi del Movimento, e molte perplessità sulla sua forza elettorale arrivavano proprio dalle stanze della Casaleggio associati.
«Ho fatto autoanalisi e ho deciso di ritirarmi», ha detto Bedori. E così il blog ha dovuto convocare una consultazione tra gli iscritti certificati per confermare che il candidato sindaco del Movimento sarà non la prima, non la seconda (che ha ritirato la disponibilità da tempo) ma la terza scelta, il terzo classificato nelle primarie fisiche che il Movimento ha scelto di organizzare a Milano (tra mille polemiche, ovviamente). Gianluca Corrado è così il candidato sindaco per i 5 stelle, indicato da 634 iscritti certificati, il 72 per cento degli 876 che hanno risposto al post del blog di Beppe Grillo.
Più grave è la situazione di Napoli.
Qui il ritardo nella costruzione della lista e nell’individuazione di un candidato («ci siamo concentrati sui tavoli tematici» spiegava all’Espresso Vincenzo Viglione, consigliere campano, quando Roma, Milano e Torino avevano da tempo un loro candidato o avevano almeno attivato la procedura partecipata per trovarlo) non si spiega solo con la presenza di Luigi de Magistris, sindaco uscente e candidato sostenuto da Sinistra Italiana, che da favorito ha un profilo che si sovrappone con molte delle istanze 5 stelle.
Ritardi e incertezze sono frutto delle ormai frequenti lotte intestine. Correnti, dissidenti, espulsioni. A Napoli si è arrivati addirittura a una lista alternativa, una Napoli a sei (!) stelle, dove la sesta sarebbe «la vera democrazia diretta», almeno a sentire i fondatori.
Il progetto nasce dal gruppo di espulsi, 35, cacciati dal Movimento, che in città è capitanato da Roberto Fico più che da Luigi Di Maio.
L’insoddisfazione per il candidato individuato dal Movimento è solo l’ultima delle molle: «Napoli», ha spiegato l’avvocato Luca Capriello, capofila del dissenso, «merita di più di un candidato brianzolo che tifa Juve».
Ma è spostandosi in provincia che il Movimento dà il meglio di sè.
A Rimini, ad esempio, i 5 stelle non si presenteranno, anche se alle europee del maggio 2014 avevano sfiorato il 24 per cento.
Il secondo partito della città non corre per le comunali. E malinconico è il commento dell’eurodeputato Marco Affronte, con Giulia Sarti voce critica del Movimento nella zona. «Giochiamo a armi pari», ha scritto su Facebook, appena appreso che il blog di Grillo non aveva concesso la certificazione alla lista: «Fatelo o il Movimento morirà di microcefalia. Un corpo da adulto con su una testa da bambino».
Destino simile tocca agli attivisti di Salerno e Caserta, per tornare in Campania, di Latina, per venire più vicino a Roma, in una terra dove tra tematiche ambientali e infiltrazioni i 5 stelle dovrebbero avere a disposizione una prateria, e a quelli di Ravenna, per risalire ancora a nord. A Latina è stato lo scontro tra i due meet up della città a produrre il vuoto.
Entrambi avevano individuato un proprio candidato, senza praticamente parlarsi. E tra Bernardo Bassoli e Francesco Ricci il blog ha scelto di saltare un giro.
E pazienza se il Movimento 5 stelle era sempre il secondo partito in città , alle europee, con il 24 per cento, appena 8 punti dietro al Pd.
Anche a Ravenna è stata la presentazione di due diverse liste a spingere Casaleggio e Grillo a dire che no, è proprio meglio saltare un giro. E a poco servirà la raccolta firme lanciata su change.org .
Si moltiplicano poi i ricorsi, contro le espulsioni, contro le diffide per l’uso del simbolo.
Ce ne saranno a Napoli, ancora, sempre ad opera del gruppo che ha dato vita alla nuova lista, e il 4 aprile ci sarà la prima udienza per le comunarie che hanno incoronato Raggi.
A fare ricorso sono stati Paolo Palleschi, Roberto Motta e Antonio Caracciolo, il ricercatore della Sapienza che era stato escluso per le sue dichiarazioni giudicate negazioniste.
È probabile che finisca con un nulla di fatto, con la constatazione che di faccende interne a un’associazione privata si tratta (seguendo ciò che Cantone dice anche delle primarie del Pd»). Ma sono sempre scocciature.
E sintomo di un Movimento che soffre sempre di più i limiti dei processi decisionali.
Luca Sappino
(da “L’Espresso”)
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Marzo 28th, 2016 Riccardo Fucile IN DUE ANNI, A FRONTE DI 865.000 ISCRITTI, APPENA 32.000 CONTRATTI… CIASCUNO E’ COSTATO BEN 36.000 EURO… IL BOOM DI FINTI TIROCINI
A quasi due anni dal lancio, il programma Garanzia Giovani, nato per aiutare gli under 30 a trovare un lavoro, si rivela un flop.
È quanto emerge da un report dell’Istituto per lo Sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (Isfol), ente pubblico di ricerca che dipende dal ministero del Lavoro.
Quasi un milione di giovani si sono iscritti al programma, ma solo 32 mila (il 3,7%) hanno trovato un lavoro vero.
Dunque ciascun contratto è costato oltre 36 mila euro. Gran parte dei soldi arrivati dall’Europa (1,5 miliardi) si disperde in sprechi e costi burocratici.
Progetto ambizioso
Il programma Garanzia Giovani nasce nel maggio 2014 per offrire opportunità di lavoro o formazione a ragazzi tra 15 e 29 anni, disoccupati o «neet» (coloro che non studiano, non lavorano e non si formano).
In Italia sono oltre due milioni, circa un giovane su quattro. Da Bruxelles arrivano 1,5 miliardi di euro distribuiti alle Regioni in base al tasso di disoccupati.
Oltre un milione di giovani si sono iscritti al piano, che garantiva una risposta in quattro mesi. Impegno in gran parte non rispettato.
Al netto delle cancellazioni (per mancanza di requisiti o perchè qualcuno nel frattempo trova lavoro) il totale di iscritti al 18 marzo è di 865 mila.
Se ne aggiungono 7/8 mila ogni settimana. Numeri record nel campo delle politiche del lavoro.
Gli uffici per l’impiego non riescono a gestirli. Dopo quasi due anni, un iscritto su quattro non ha ancora ricevuto risposta. Alcune regioni fanno ancora peggio.
In Lombardia, Campania, Calabria e Molise uno su tre è ancora in attesa. In Piemonte il record negativo: senza risposta il 47% dei partecipanti.
I 642 mila fortunati che hanno ricevuto una chiamata dai servizi per l’impiego risultano semplicemente «presi in carico» dal sistema: significa che effettuano un colloquio.
Ma non si può valutare il successo del piano sulla capacità di istituire una pratica.
Solo per 227 mila al colloquio ha fatto seguito una «misura concreta». In gran parte si tratta di tirocini.
Oltre 52 mila hanno seguito corsi di formazione. I «veri» contratti di lavoro sono stati appena 32 mila. Cinquemila ragazzi sono stati invece indirizzati verso il Servizio civile. Il ministro Poletti, interpellato, preferisce non commentare.
Lavori mascherati?
Come mai 139 mila tirocini, oltre quattro volte i contratti? Perchè i ragazzi sono pagati meno e le imprese risparmiano due volte: buona parte della retribuzione è infatti coperta dai fondi europei di Garanzia Giovani in versione «Pantalone».
La spesa per i tirocini ammonta a 404 milioni di euro. Niente di male, almeno finchè non si scorre l’elenco delle offerte sul sito del ministero del Lavoro: commesso, muratore, cameriera, aiuto pizzaiolo, assistente idraulico, badante, barista.
La verità è che il tirocinio è spesso lavoro mascherato con orari che a volte superano le 40 ore settimanali, ritardi nei pagamenti e nessun progetto formativo.
E così nella bacheca annunci online c’è perfino chi cerca un pescivendolo ambulante «con esperienza».
Il business dei corsi
Dove sono finiti gli 1,75 miliardi stanziati? Un euro su tre in tirocini. Il resto tra centri per l’impiego e bonus alle imprese. Ma anche in una miriade di corsi, convegni, seminari.
Nel bilancio del programma ci sono 240 milioni di euro sotto la voce «formazione».
Altri 120 sono destinati all’«accompagnamento al lavoro». Circa 75 milioni sono stati stanziati per affiancare i ragazzi che tentano di mettersi in proprio, mentre 61 milioni sono andati in accoglienza e orientamento.
Il timore è che una fetta non marginale della torta si sia persa nei gangli della burocrazia. Perchè i giovani senza lavoro, per tanti, sono un affare.
Gabriele Martini
(da “La Stampa”)
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Marzo 28th, 2016 Riccardo Fucile ARTIGIANI, IMPRENDITORI E PENSIONATI HANNO BRUCIATO I SOLDI DI UNA VITA… IL PARROCO CHE AIUTA A RESISTERE
Quando le hanno provate tutte e non sanno più dove sbattere la testa si rivolgono a don Enrico Torta. 
Il parroco di Dese vicino a Venezia che dopo essersi occupato di usura, a 78 anni guida gli azionisti e i correntisti della Popolare di Vicenza che hanno visto svaporare i risparmi. «Le telefonate sono continue. Li sento piangere, persone disperate che non hanno più nemmeno la forza di reagire».
I soci in difficoltà sono 119 mila. Il buco di bilancio del 2015 viaggia sul miliardo e 400 milioni di euro. Pure declinato nel rivolo di azionisti, una batosta spesso letale.
Patrizio Miatello, impresa di trasporti a Vedelago vicino a Treviso e braccio destro di don Torta, ai numeri della banca aggiunge le cifre del costo sociale del dissesto.
«Abbiamo salvato più di 100 persone che volevano suicidarsi a causa di questi “piccoli problemi”», denuncia alla tribuna dell’assemblea della Popolare.
L’ARTIGIANO
C’è un artigiano che di «piccoli problemi» ne ha due. Uno con la Popolare di Vicenza e uno con un’altra banca.
La sua officina meccanica è una di quelle che lavorando nell’indotto partecipa a tenere in piedi l’intera economia del Nord-Est. I risparmi di una vita di sacrifici – 40 anni in officina, sabato e domenica compresi, niente Natale o Pasqua – li aveva investiti tutti nella Popolare.
Quando ha scoperto che le sue azioni erano arrivate a valere lo 0 virgola niente, per non chiudere è andato a bussare a un’altra banca. Gli effetti lunghi della crisi, l’impossibilità di fornire solide garanzie se non il proprio lavoro, hanno fatto il resto.
«Quando gli hanno detto che se non rientrava subito gli avrebbero tolto la casa è crollato. L’ho sentito piangere: “Se questa è la vita che devo fare tanto vale uccidersi”. Si sentono annientati e soli. Abbandonati da politica e da istituzioni.
Aveva bisogno di 10 mila euro. Sembrano pochi ma sono tanti in certi casi. La Provvidenza lo ha fatto incontrare con una persona buona. Ma quanti finiscono nel giro degli usurai?», racconta don Torta del piccolo artigiano alle prese con le carte bollate per salvare vita e azienda.
IL MACELLAIO
Il suo negozio andava bene. Bastavano lui dietro al bancone e la moglie alla cassa, per tirare avanti più che dignitosamente. La figlia no. Per la figlia sognava un altro futuro, lontano da questo paesino del Nord-Est.
Adesso che finalmente si era laureata e si doveva sposare, aveva pensato di regalarle la casa. Una consuetudine tra queste famiglie con un alto valore della famiglia.
«Di fronti a dissesti come questi si guarda sempre ai conti economici. Poi ci sono i drammi umani. Le situazioni di disagio si contano a decine. Dove non ti nascondono ti aver pensato di farla finita», ammette l’avvocato Andrea Arman anche lui alla guida di un’associazione di azionisti della banca.
«Il macellaio aveva depositato 600 mila euro. Quando chiese di prelevarne 400 mila euro per costruire la casa della figlia si sentì fare una proposta che sembrava allettante. La banca gli avrebbe concesso un prestito di 400 mila euro. In cambio avrebbe sottoscritto azioni della Popolare per 600 mila euro. Ora si trova senza più il capitale e con un debito enorme con il rischio che gli tolgano casa e negozio».
LA PENSIONATA
I casi disperati sono tra gli anziani. Dopo una vita di lavoro da impiegata in una piccola fabbrica della zona era riuscita a mettere da parte 65 mila euro.
Nemmeno troppi, abbastanza per questa donna sola, senza marito o figli. La pensione da 900 euro è sufficiente se si sanno fare i giochi di equilibrio.
«Quella donna non ha più nulla. Nelle carte della banca risulta aver accettato i suggerimenti di chi sta dietro le sportello. Facile che abbia firmato, visto che questa donna sa zero di finanza. “La serenità della mia vecchiaia era in quel conto. Ho perso soldi e la serenità per andare avanti”. Cosa puoi dire a una donna così?», chiede a tutti don Torta.
MADRE E FIGLIO
L’avvocato Arman non cura la parte legale degli azionisti. «Questione di principio. Però in studio ne vedo arrivare a decine. L’ultimo pochi giorni fa. Un ragazzo rimasto orfano di padre da poco tempo. Con una parte dei risparmi della madre – stiamo parlando di 25 mila euro – volevano pagare il rito funebre. Ma in banca sono rimasti 130 euro. Tutto il resto se l’è mangiato la Popolare di Vicenza. Le azioni bloccate dalla banca erano state acquistate dalla donna che a 78 anni era indicata nel profilo Mifid come “diplomata con la propensione ad investimenti ad alto rischio”. Ma lei ha solo la licenza media, nemmeno un risparmio da parte e tutta la disperazione di chi non ha più niente».
Fabio Poletti
(da “la Stampa”)
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Marzo 28th, 2016 Riccardo Fucile DANNI MENO GRAVI DI QUANTO SI TEMESSE
Fortunatamente le splendide rovine romane di Palmira non sono andate completamente distrutte per mano dell’Isis.
Le prime immagini che provengono dalla città siriana patrimonio dell’Unesco, ora libera dai guerriglieri del Califfato, mostrano che le bellezze ci sono ancora.
Un fotografo che lavora per l’Afp stima che la distruzione riguarda soltanto il 20% dei templi e delle statue che fanno di Palmira un tesoro unico al mondo.
Maher Al Mounnes tramite il proprio profilo Twitter diffonde le prime immagini: “La condizione della città è oltre ogni aspettativa”.
Palmira, presa dall’Isis nei mesi scorsi, è stata liberata dall’esercito siriano il 27 marzo. Secondo le prime valutazioni degli esperti, ci vorranno 5 anni per restaurare i monumenti distrutti e fatti esplodere dai miliziani del Califfato.
L’esercito siriano sta disattivando le mine collocate dallo Stato islamico all’interno della città .
Nel frattempo, continuano gli scontri nella periferia nord-orientale, dove i jihadisti si sono nascosti.
E si registrano combattimenti tra lo Stato islamico e i soldati di Damasco anche vicino al villaggio di Al Qariatain, a sud-ovest di Palmira.
Secondo l’ong Osservatorio per i Diritti Umani, le forze armate siriane potrebbero aver riaperto l’aeroporto militare di Palmira ed elicotteri militari lo starebbero già utilizzando.
(da agenzie)
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Marzo 28th, 2016 Riccardo Fucile IL PICCOLO DI IDOMENI CHE FUGGE DALLA GUERRA E QUELLO DI BRUXELLES CHE VIVE IL TERRORISMO
Il giorno degli attentati di Bruxelles tutto il mondo si è mostrato vicino alle vittime, ai feriti e ai
sopravvissuti che avranno sempre nella mente le immagini legate agli attacchi dell’aeroporto e delle stazioni metropolitane.
In un giorno così tragico per la città belga, un piccolo migrante di Idomeni, che vive in un campo profughi al confine tra la Macedonia e la Grecia, aveva voluto far sentire tutta la sua sofferenza e tutto il suo cordoglio a chi quella giornata la stava passando tra ansie e paure.
Il suo messaggio, scritto su un foglio bianco e mostrato al cielo, ha fatto il giro del mondo.
E da Bruxelles la risposta al piccolo bambino non si è fatta attendere.
Un papà , mentre tiene la mano alla figlioletta, stringe un foglio con una scritta molto chiara: “Sorry for you too. From Brussels“.
“Mi dispiace anche per te” è il messaggio che un papà della capitale del Beglio ha voluto far recapitare al piccolo bambino, per fargli capire che ora, dopo che quello che è successo nella sua città , riesce a capire la tragedia di un bambino che ha conosciuto troppo presto le ingiustizie, il male e la guerra.
E la follia degli adulti.
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Marzo 28th, 2016 Riccardo Fucile DIETROFRONT, CHEFFOU TORNA A PIEDE LIBERO: E’ SERVITO PER 48 ORE A SPECULARE SU CHI DIFENDE I PROFUGHI
Ricominciano le indagini sul terzo uomo, quello “con il cappello”. 
Non era il reporter freelance Faysal Cheffou, tra gli arrestati giovedì scorso.
La caccia al terrorista continua: la Polizia belga ha postato sul proprio sito il video nel quale il terzo sospetto terrorista compare nelle foto degli attentatori di Zaventem.
Gli inquirenti hanno ri-postato quelle immagini chiedendo a tutti di informare nel caso in cui venga riconosciuto
“Gli indizi che avevano portato all’arresto del di Faysal Cheffou non sono stati confortati dall’evoluzione dell’inchiesta in corso”, ha dichiarato la procura in un comunicato. “Di conseguenza – ha continauto – l’interessato è stato rimesso in libertà dal magistrato istruttore”.
Chi è Cheffou. È un giornalista freelance che si occupa di diritti dei migranti.
Nei giorni scorsi, i media avevano identificato il “terzo uomo” del video con il giornalista. Me nel pomeriggio è giunta la notizia del rilascio del free lance.
Cheffou – finora unico incriminato nel dossier sugli attentati di Bruxelles – non aveva nè confessato, nè fornito il proprio dna per l’identificazione.
Il nuovo filmato.
Nel filmato diffuso sul sito della Polizia belga si vede l’uomo di sempre, che indossa un cappello e una giacca bianca, mentre spinge un carrello con un’enorme valigia attraverso la hall delle partenze, accanto ai terroristi che qualche minuto dopo si faranno saltare in aria, i kamikaze Ibrahim El Bakraoui e Najim Laachraoui, che però nel nuovo video sono ombrati.
“È un nuovo video che non era stato diffuso prima”, ha precisato un portavoce della procura.
(da agenzie)
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