Marzo 29th, 2016 Riccardo Fucile PD 31,4% (-0,2%) M5S 27,9% (+ 0,7%), LEGA 13,3% (-0,5%) FORZA ITALIA 12,8% (+ 0,1%), FDI 4,4% (-0,1%), SINISTRA ITALIANA 4,3% (-0.1%) NCD 3% (+0,2%)
Dopo una pausa di 15 giorni, tornano le intenzioni di voto di Tg La7: i sondaggi elettorali a cura di
EMG.
Chi sale di più è il M5S che arriva al 27,9% (+0,7%) mentre cala il PD AL 31,4% (-0,2).
A destra la rottura tra Forza Italia e Lega – Fdi premia Berlusconi che sale al 12,8% (+0,1%).
Crolla ancora pesantemente la Lega al 13,3% (-0,5%) e cala anche Fdi al 4,4% (-0,1%).
Segno evidente che gli elettori non hanno gradito il tradimento romano e politica sempre più estremista del duo Salvini-Meloni.
Tra l’altro a breve Salvini corre pure il rischio di venire sorpassato da Forza Italia che insegue ad appena uno 0,5% di differenza.
Al centro recupera lo 0,2% Ncd, attestandosi al 3%, mentre non convince Sinistra Italiana al 4,3%, in calo dello 0,1%.
In caso di ballottaggio il M5S batterebbe sia il Pd (51,9% a 48,1%) che il centrodestra unito (53,7% a 46,3%), mentre il Pd avrebbe la meglio sul centrodestra unito 52,3% a 47,7%.
A dimostrazione che questo centrodestra a trazione xenofoba potrebbe vincere solo la coppa del nonno.
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Marzo 29th, 2016 Riccardo Fucile ISOLATO TOTI, ORMAI AL SERVIZIO DI SALVINI PUR DI MANTENERE LA POLTRONA IN LIGURIA COI SUOI COMPAGNI DI MERENDA PADAGNI A PROCESSO PER PECULATO
Lo cambierà , probabilmente, ma non lo vorrebbe cambiare.
Da Forza Italia, il pressing su Silvio Berlusconi è incessante: “Presidente, scelga Alfio Marchini o Giorgia Meloni. Guido Bertolaso non funziona”.
Lui, l’ex premier, cerca ancora di resistere sulla candidatura dell’ex capo della protezione civile a sindaco di Roma ma si dà un orizzonte limitato per quanto riguarda la parola definitiva: “I sondaggi ancora non lo premiano, ma diamogli altri dieci giorni di tempo o anche due settimane per crescere”.
I forzisti che lo chiamano ad Arcore chiedono uno sconto: “Presidente, la campagna elettorale è già nel vivo. Decidiamo in una settimana”.
Berlusconi aspetta i report che dovrebbero arrivare sulla sua scrivania tra un paio di giorni e prende tempo.
I due personaggi molto attivi in questa partita sono Giovanni Toti e Antonio Tajani. Il primo è schierato con Meloni, il secondo propende per Alfio Marchini. Anche gli ex di Alleanza nazionale sono orientati verso Marchini, che viene da una famiglia comunista, ma pur di non appoggiare Meloni la quale appartiene al loro album di famiglia e che secondo loro ha fatto una giravolta, sarebbero disposti a qualsiasi candidato.
Tutti sono uniti su un punto: Berlusconi deve scegliere.
Per il resto, Bertolaso chiede a Marchini di fare un passo indietro e di lavorare con lui.
E Marchini, che non ci pensa proprio a rinunciare alla sua opzione civica in favore di qualsiasi altro candidato, sta alla finestra ad aspettare che il groviglio del centrodestra si risolva in suo favore.
E intanto continua la propria campagna elettorale. Marchini e Bertolaso si annusano.
Il candidato civico, ufficialmente, non apre le porte al candidato azzurro e non apre neanche alla possibilità di un ticket. Il suo slogan rimane: “Lontani dai partiti”.
Nessuno dei due alza i toni contro l’altro. Bertolaso dice che Marchini, insieme a lui, è l’unico a parlare dei problemi della città , per questo “possono esserci sinergie”. L’entourage di Marchini a sua volta, così riporta il Corriere della Sera, parla di Bertolaso come “un fuoriclasse assoluto. Uno così potrebbe fare qualcosa per la città “.
L’ipotesi di un ticket però viene smentita da entrambe le parte, almeno per ora, così come il passo indietro da parte di uno dei due ma, allo scadere del tempo che Berlusconi si è dato, si vedrà .
Da Arcore però Berlusconi manda un consiglio a Bertolaso, che è quello di andare avanti per la sua strada, ma di fare una vera e propria full immersion tra la gente in queste due settimane.
“Solo così possiamo capire quanta presa avrà sui cittadini”, avrebbe detto Berlusconi, rinviando a un secondo momento il giudizio sulla candidatura.
Solo dopo il ‘test popolare’, raccontano, quindi a metà aprile, dovrebbe essere commissionato un ultimo sondaggio sul ‘gradimento’ dell’ex capo della Protezione civile e sulla sua competitività rispetto ai ‘favoriti’ Giachetti-Raggi.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 29th, 2016 Riccardo Fucile CHIESTA L’AUTORIZZAZIONE AL MINISTRO ORLANDO… RISCHIA UNA MULTA RIDICOLA, DA 1000 A 5000 EURO
Matteo Salvini rischia di essere processato per vilipendio dell’ordine giudiziario. 
La procura di Torino ha chiesto infatti al ministro della Giustizia, Andrea Orlando, l’autorizzazione a procedere contro il segretario della Lega per aver definito, il 14 febbraio scorso, “una schifezza” la magistratura italiana.
Ad avanzare la richiesta è stato il procuratore capo Armando Spataro che dopo le affermazioni di Salvini al congresso del Carroccio piemontese a Collegno, aveva disposto l’avvio degli accertamenti per la sussistenza del reato.
Ora che gli accertamenti sono conclusi a Spataro non resta che il via libera di Orlando per procedere: secondo il codice penale infatti, visto la tipologia di reato, al procuratore della Repubblica di Torino serve l’autorizzazione del ministero per procedere.
Secondo l’articolo 290 c.p Salvini rischia una multa che va dai 1.000 ai 5.000 euro.
(da agenzie)
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Marzo 29th, 2016 Riccardo Fucile L’IMMAGINE DIVENTA PROVA DELLE BUGIE E DELLA CRUDELTA’ DEL REGIME: GRAZIE ALLA RETE AVREBBE UNA FORZA DEVASTANTE
Non è la prima volta che una madre piegata sul corpo del figlio si erge contro la morte, il dolore, l’ingiustizia.
Dalle Madri di Plaza de Mayo in Argentina, alle madri degli studenti massacrati dal cartello della droga in Messico, fino a, più vicino a noi, alle madri di Ilaria Alpi e di Stefano Cucchi.
Ma è forse la prima volta che il legame tra una madre e un figlio si inserisce nel luogo dove può cambiare se non la storia almeno la relazione fra due paesi.
A occhi asciutti durante una conferenza stampa affollatissima la madre di Giulio Regeni ha agitato la sua leva contro un intero sistema, un governo, un Generale che guida una grande potenza , cui si inchinano, per bisogno e interesse, tutti i paesi occidentali.
Una leva piccola, come tutte le leve: la foto del volto del figlio. Quel volto descritto da lei, sempre a occhi asciutti, “gli avevano fatto così tanto che era diventato piccolo, piccolo, piccolo. Io e il padre lo abbiamo riconosciuto solo dalla punta del naso”. Quella immagine che è la prova delle bugie, della crudeltà , la madre Regeni sa quanta forza contiene, “non obbligatemi a pubblicarla”, dice appunto al Generale.
Con questo gesto, la famiglia Regeni ha fatto qualcosa di nuovo.
Invece di limitarsi alla usuale speranza, al solito appello alla verità , ha sfidato le autorità di un altro paese: “Su mio figlio si è scaricato tanto male, tutto il male del mondo”, ha detto, a sottolineare la grandezza della partita.
“Non possiamo dire, come ha detto il governo egiziano, che è un caso isolato… Non questo. Giulio, cittadino italiano, è un cittadino del mondo. Quello che è successo a Giulio non è un caso isolato rispetto ad altri egiziani, e non solo. Per questo continuerò a dire per sempre verità per Giulio”, ha detto la madre.
Un discorso di attacco, senza una piega di autocommiserazione, alla luce di una analisi spietata: “E’ dal nazismo che non viviamo una morte sotto tortura”.
A parte l’emozione (nostra) e la forza (di questa famiglia), questa sfida fra una madre e un generale è anche un suggerimento a tutti noi per capire i tempi in cui viviamo, le condizioni nuove che rendono possibile l’impatto di una sola vittima, di una sola madre su un universo così più grande.
La storia della morte di Giulio non sarebbe oggi quel simbolo che è in un mondo senza la Rete, cioè senza la comunicazione vasta, immediata, semplice , emozionata, della comunicazione globale.
Figlio di un mondo senza confini, come l’ha descritto la madre, Regeni è andato a lavorare in Egitto, un paese dove proprio la Rete ha avviato il maggiore e più turbolento processo di rivolta contro le dittature arabe, e sulla Rete, simbolica nemesi, è poi corsa la resistenza ad ogni silenzio sul suo omicidio, la ricerca di testimonianze, la verifica fatto su fatto di ogni versione ufficiale.
È il “magico” del web questo unificare e riscattare ciascuno dalla massa amorfa, per dare a ciascuno dignità di cittadino, di persona, di voce udibile da tutti, e, nel nostro caso, voce di una madre portata su una platea globale.
Tanti, tantissimi uomini e donne, che nella Primavera di Piazza Tahir hanno creduto hanno trovato la loro voce sulla Rete e hanno perso quella voce oggi nelle galere o nei cimiteri egiziani, persi in una lotta religiosa e politica che non hanno mai voluto accettare come tale.
L’Egitto oggi è dove è, non solo perchè al Sisi ha riportato in voga (sono sempre stati usati) i metodi forti dei regimi militari di quel paese, ma anche perchè dall’altra parte vive la intolleranza e la violenza dell’islamismo del movimento dei Fratelli Musulmani che nei brevi mesi del loro governo hanno ampiamente dimostrato la loro volontà di schiacciare ogni voglia e ogni desiderio di un nuovo Egitto.
Per questa umanità presa in mezzo, schiacciata in uno scontro immenso fra forze nemiche, quale quello che viviamo, la Rete, pur con tutti i suoi lati oscuri e manipolatori, rimane l’unico filo da cui dipanare un pò di verità e di giustizia per chi non ne ha.
L’unico strumento che in questi turbolentissimi ultimi anni è stato l’onda su cui ha navigato fin a noi il terrorismo, ma è anche il filo su cui sono state comunicati al resto del mondo la resistenza a Raqqa, il dramma della fuga di milioni di migranti, la mobilitazione delle città europee contro le esplosioni.
Nel piccolissimo, è anche oggi l’onda su cui si muove la ribellione di una singola madre alla morte di un figlio .
Nelle mani della signora Regeni c’è quella leva, una foto, che sulla Rete può valere quanto uno scontro fra Stati.
E che fa oggi della famiglia Regeni, in attesa di “un segnale forte, ma molto forte da parte del nostro governo”, lo strumento più efficace che ha il nostro paese per riflettere sulle, e cambiare, le sue relazioni con un (ex?) grande alleato.
Lucia Annunziata
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 29th, 2016 Riccardo Fucile “QUANDO UNA SCELTA SOFFERTA DIVENTA INDISPENSABILE DI FRONTE ALLE MENZOGNE”
Un lutto è qualcosa di profondamente intimo.
L’elaborazione del lutto richiede del tempo: il tempo necessario per comprendere, fino ad arrivare al momento di capire dentro noi stessi che possiamo ‘lasciarlo andare’.
Richiede dei modi, magari viverlo nel calore dei propri affetti.
Lottare per la verità non consente quasi mai nulla di tutto ciò. La ricerca della verità non dà la possibilità di elaborare quel lutto. Battersi, giorno dopo giorno, per poter sapere significa rivivere in ogni singolo istante quello stesso identico dolore, senza mai completamente elaborarlo, quando ‘sapere’ è il solo modo per poter provare ad andare avanti con la propria vita.
Così capita che una famiglia viva un dramma che non avrebbe immaginato nemmeno nel peggiore degli incubi. E capita che quella famiglia si ritrovi improvvisamente da sola, contro tutto e tutti.
Da sola, a dover tentare di dimostrare qualcosa che appare evidente. E così quel dolore va messo da parte, va congelato, messo in stand by. Non c’è tempo di piangere. Bisogna darsi da fare. Bisogna poter ‘dimostrare’.
Così è capitato alla mia famiglia: dopo ore di riflessioni e discussioni siamo arrivati alla decisione sofferta di pubblicare le foto del corpo martoriato di mio fratello.
Mia madre continuava a ripetere che Stefano non avrebbe mai voluto che qualcuno lo vedesse in quella maniera, ma non c’era altra scelta mentre chi avrebbe dovuto fare qualcosa continuava a parlare di caduta dalle scale.
È stata, la nostra, una scelta tanto sofferta quanto indispensabile.
La mia speranza è che non debba servire mai più.
La mia speranza è che per Giulio la giustizia possa seguire il suo percorso dovuto e regolare e che la sua famiglia non sia sottoposta ad un’ulteriore violenza.
Mi rasserena il fatto che, almeno in questo caso, nel nostro Paese non ci sarà un medico legale pronto a sostenere le tesi più bizzarre pur di affermare che tutto sommato non è successo niente, ma viceversa ci sarà una persona onesta che ha a cuore solo la verità . Senza se e senza ma.
Mi rasserena la certezza che la Procura di Roma non abbandonerà la famiglia Regeni.
Che i colpevoli paghino per la morte di quel ragazzo bello, positivo e che aveva tutta la vita da vivere.
Che la sua famiglia non sia costretta a mostrare le foto di Giulio.
Ilaria Cucchi
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 29th, 2016 Riccardo Fucile “DUE NEGLI STESSI GIORNI DELL’ASSASSINIO DI GIULIO”
Trascorsi oltre due mesi dalla scomparsa di Giulio Regeni al Cairo, una costante emerge dalle ricostruzioni sin qui fornite dalle autorità egiziane: il tentativo di esonerare le istituzioni da ogni responsabilità per la tortura e l’uccisione del giovane ricercatore italiano (un’azione contro le buone relazioni tra Italia ed Egitto, un incidente stradale, una festa terminata male, una rissa per motivi personali fino alla banda di criminali xenofobi), col corredo di offese e dileggio nei confronti della vittima.
Per questo, all’indomani della prima conferenza stampa dei suoi genitori, è necessario continuare a collocare l’omicidio di Giulio Regeni nel contesto della negazione sistematica dei diritti umani in Egitto.
I dati forniti dal Centro El Nadeem per la riabilitazione delle vittime della violenza e della tortura, una delle più autorevoli organizzazioni per i diritti umani egiziane, attiva dal 1993 e di cui il ministero della Salute ha ordinato recentemente la chiusura, ci dicono che l’omicidio di Giulio Regeni non è affatto un caso isolato.
Secondo El Nadeem, nel 2015 vi sono stati 464 casi di sparizione forzata e 1176 casi di tortura, quasi 500 dei quali con esito mortale.
Quest’anno, nel solo mese di febbraio, i casi di tortura sono stati 88, otto dei quali con esito mortale.
Le circostanze e la data della scomparsa (il quinto anniversario della “rivoluzione del 25 gennaio” 2011, coi precedenti segnati da militarizzazione e repressione), i metodi di tortura cui è stato sottoposto (gli stessi usati così spesso dagli apparati di sicurezza), l’indisponibilità a collaborare nella ricerca della verità , l’assegnazione iniziale delle indagini a un funzionario di polizia condannato nel 2003 per un caso di tortura mortale e in seguito accusato di aver torturato, incriminato per false accuse e ucciso manifestanti nel 2011: tutto questo ci dice che vi è la possibilità concreta che le forze di sicurezza egiziane siano responsabili dell’omicidio di Giulio Regeni.
Ultima circostanza sospetta.
In Italia non si è appreso, ma i media indipendenti arabi ne hanno parlato molto: nei giorni in cui Giulio Regeni scompariva, due attivisti egiziani andavano incontro, sempre al Cairo, allo stesso destino: Mohamed Hemdan, arrestato il 18 gennaio sul posto di lavoro e ritrovato morto in un obitorio il 25 gennaio, e Ahmed Galal, arrestato il 19 gennaio a un posto di blocco e ritrovato a sua volta morto in un obitorio il 3 febbraio.
Secondo il ministro dell’Interno Magdy Abdel Ghaffar (proveniente dall’intelligence e sotto il cui dicastero, dal marzo 2015, i casi di tortura sono aumentati esponenzialmente), Hemdan e Galal sono ufficialmente morti durante uno scontro a fuoco con le forze di sicurezza.
Chissà perchè, il primo aveva le unghie strappate e ferite da arma da taglio, il secondo un foro di proiettile in testa e lividi su tutto il corpo.
Riccardo Noury
Portavoce di Amnesty International Italia
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Marzo 29th, 2016 Riccardo Fucile DURISSIMA PRESA DI POSIZIONE: “SE ENTRO IL 5 APRILE NON ESCE FUORI LA VERITA’ CHIEDIAMO AL GOVERNO LA ROTTURA DELLE RELAZIONI DIPLOMATICHE CON L’EGITTO”… “IL SUO VISO ERA RICONOSCIBILE SOLO DAL NASO”… ANCHE IL MONDO DEL CALCIO SI MOBILITA, SOLO LA PSEUDO-DESTRA DELLA VERGOGNA TACE
Al Senato, in sala Nassiryia, la conferenza stampa dei genitori di Giulio Regeni, il ricercatore
scomparso al Cairo il 25 gennaio e ritrovato senza vita, ucciso in circostanze che restano tutte da chiarire, il 3 febbraio scorso.
Partecipano il presidente della Commissione per i diritti umani Luigi Manconi, gli avvocati Alessandra Ballerini e Gianluca Vitale e il portavoce di Amnesty international Italia Riccardo Noury.
L’incontro al Senato giunge in un momento particolarmente delicato, dell’inchiesta e dei rapporti tra Italia ed Egitto.
Perchè i nuovi dettagli emersi sul caso Regeni non fugano i dubbi sulla versione fornita dalla polizia egiziana sull’omicidio. Nonostante la cautela espressa dal ministero dell’Interno e dalla procura di Giza, la polizia del distretto di Shobra al Khaima continua a sostenere apertamente il coinvolgimento della banda criminale locale nel rapimento, nella tortura e nell’omicidio di Giulio Regeni.
A questo balletto i genitori di Giulio Regeni non ci stanno.
E aspettando l’arrivo in Italia degli investigatori egiziani, il 5 aprile, affrontano una prova “vera”, come spiega il senatore Manconi, incontrando la stampa al Senato. Stampa che senza dirlo forse si aspetta l’esibizione delle foto, mai mostrate, de cadavere di loro figlio.
Invece, non è ancora quel momento. E la speranza è che non arrivi mai, perchè vorrà dire che sarà stata accertata la verità .
Ma quel momento potrebbe dolorosamente avvenire.
E’ Il direttore di Repubblica, Mario Calabresi, a rivolgere ai signori Regeni la domanda diretta: “Avete scelto di non mostrare quella immagine di vostro figlio dopo le torture. Lo ritenere l’estremo atto da fare per smuovere l’attenzione in un momento in cui fosse davvero necessario?
Risponde mamma Paola: “Se il 5 aprile sarà una giornata vuota, confidiamo in una risposta forte del nostro governo. Attendiamo una risposta su Giulio. Speriamo di non dovere arrivare a mostrare quella immagine”.
Manconi: “La profezia dei genitori di Giulio”.
“Per i genitori di Giulio essere qui è una vera prova. Chiedo a tutti attenzione, rispetto e discrezione. Il 16 marzo scorso i genitori di Giulio parteciparono a un incontro con la Commissione dei diritti umani del Senato. In quella sede, assieme al loro avvocato, in qualche misura fecero una drammatica previsione: temevano che l’esito di questa vicenda potesse vedere a un certo punto del suo iter il fatto che si trovassero copevoli qualsiasi. Andarono oltre, dissero: è possibile che magari il martirio venga attribuito a poliziotti o ex poliziotti. Non si poteva immaginare che meno di 10 giorni dopo, tra 24 e 25 marzo, il ministero dell’Interno egiziano emanasse un comunicato in cui quella previsione veniva presentata come la versione definitiva e risolutiva della vicenda. Con quel particolare, appunto, che dà alla ricostruzione quel tratto di grottesco. Dicono i funzionari egiziani che i 5 criminali infallibilmente morti e incapaci ormai di dire una parola amavano travestirsi da poliziotti. Tutto si è avverato. Questo è il motivo che ha indotto Paola e Claudio Regeni a essere qui, di fronte a quella menzogna. Era necessario che si sentisse la loro voce. Una voce che finora è stata discreta e riservata, chiusa su un dolore, come disse Paola, che è necessario rinnovare. Rendendolo pubblico, per impegnari alla verità “.
Paola Regeni: “Il dolore necessario per arrivare alla verità “.
“Sono la mamma di Giulio, non è facile essere qui. E’ il dolore necessario, ce lo diciamo ogni giorno a casa, ma ora dobbiamo dircelo tutti insieme. Perchè non è un caso isolato, come dicono gli egiziani. Questo caso “isolato” lo analizzerei da due prospettive. Se pensiamo a quello che è successo a un cittadino italiano, forse è un caso isolato. Ripenso a un amico e a una professoressa con cui ho discusso: è dal nazifascismo che non viviamo una morte sotto tortura, ma noi non siamo in guerra. Giulio faceva ricerca, era un ragazzo di oggi. E’ morto sotto tortura. Poi mi riferisco a quanto hanno detto gli egiziani, la parte amica degli egiziani: lo hanno ucciso come un egiziano. Noi abbiamo educato i nostri figli ad aprirsi al mondo. E adesso siamo qui. Ma volevo dirvi delle cose di Giulio. Non era un giornalista, non era una spia, era un ragazzo del futuro, perchè se non è stato capito è del futuro, non di oggi. Voi avete le visto le sue foto. Que bel viso, sempre sorridente, sguardo aperto, postura aperta. L’ultima foto, 15 gennaio, compiva 28 anni, e il 25 è sparito. In quella foto, una foto felice, era con gli amici al Cairo, mangiavano pesce. Si divertiva. Amici di tutto il mondo. A quella immagine sovrapponiamo un’altra immagine. Quella del suo volto come ci è stato restituito dall’Egitto. Era diventato piccolo piccolo. Non vi dico cosa hanno fatto a quel viso. Vi ho visto non solo tutto il male del mondo. L’unica cosa che vi ho ritrovato era la punta del suo naso. Lo abbiamo rivisto a Roma, in Egitto ci consigliarono di non vederlo. A Roma trovammo il coraggio. Nella sala dell’obitorio, l’ho riconosciuto dalla punta del naso. Non era più il nostro Giulio. Non possiamo dire: è un caso isolato: Giulio poteva aiutare l’Egitto, il Medio Oriente, studiava il sindacato, l’emarginazione. Un italiano che poteva fare tanto e non avremo più. Ma credo che sia accaduto anche ad altri, egiziani e non solo. E io continuerò a dire: verità per Giulio. ll 5 aprile aspettiamo gli egiziani: che cosa porteranno?”
L’avvocato Ballerini: “E’ l’ennesimo depistaggio.
Ad eccezione dei documenti d’identità , gli altri documenti fatti ritrovare non appartengono a Giulio. Abbiamo un dubbio solo sul portafogli. Stiamo nominando degli avvocati al Cairo e chiediamo la consegna degli stessi elementi. Vedremo chi verrà dall’Egitto il 5 aprile. Saranno investigatori che incontreranno i nostri vertici di polizia. Dovrebbero portare gli elementi ancora mancanti: tabulati, eventuali video, verbali. Manca tanto. Abbiamo acquisito il referto dell’autopsia del Cairo ma non sappiamo neanche come fosse vestito. Non sappiamo cosa porteranno e quale sarà il loro atteggiamento, non ci aspettiamo l’ultima parola per il 5 aprile. Per questo chiediamo che l’attenzione resti altissima. Che la mobilitazione del Paese non smetta mai, altrimenti domani ci venderanno un’altra verità . Di certo Giulio non era una spia: lo dice il conto corrente bancario, Giulio indossava i vestiti del padre per risparmiare”.
Il senatore Manconi esprime “fiducia nel procuratore Pignatone, una risorsa fondamentale.
Ma – insiste – si deve anche operare con una determinazione maggiore di quella sin qui adottata. Credo si debba porre in tempi urgenti la questione del richiamo in Italia del nostro ambasciatore in Egitto “per consultazioni”, formula che sintetizza un gesto non solo simbolico per far comprendere come il Nostro Paese segua il caso considerandolo elemento discriminante per le relazioni future tra Italia ed Egitto. Ritengo anche necessario rivedere le relazioni diplomatico-consolari. Sapendo che non spetta a me indicare la data, spetta a me sottolineare, come presididente di questa commissione, la ineludibilità di atti concreti, come quello che porterebbe l’Unità di Crisi della Farnesina a dichiarare l’Egitto Paese non sicuro. Sulla scorta del caso Regeni e di quel rosario di persone sottoposte a torture e violazioni quotidiane. Un tale provedimento avrebbe sicuramente effetti non insignificanti sui flussi turistici dall’Italia all’Egitto. I rapporti non devono essere rotti, ma sottoposti a revisione particolarmentre approfndita. Tra due Stati la questione della tutela dei diritti fondamentali non è accessorio secondario”.
Perchè non viene detta la verità ? Qual è il peso di questa verità ?
L’avvocato Ballerini: “E’ una verità in ogni caso scomoda. Sono riusciti a far sparire un italiano e a farlo ritrovare in quelle condizioni, in un luogo tra l’altro molto controllato. Qualunque sia la verità è molto scomoda per quel regime”.
L’ultima parola alla signora Paola “Cosa proviamo? Io e mio marito siamo diversi, viviamo il dolore in modo diverso. Proviamo un gran dispiacere, che cambia la vita non solo nostra, anche quella della sorella di Giulio, dei nostri vicini, dei nostri amici, di tutto il paese di Fiumicello. Giulio – ribadisce la signora Paola – poteva dare una mano al mondo. Ma faccio io una domanda: Egitto Paese sicuro?”.
Durante il suo intervento, il portavoce di Amnesty international Italia Riccardo Noury ha chiesto espressamente al mondo del calcio di impegnarsi nella vicenda Regeni.
Immediata risposta dalla Serie B: il presidente di Lega Andrea Abodi ha annunciato: “Il 23 e 24 aprile noi saremo al fianco della famiglia Regeni e i nostri calciatori indosseranno la maglietta con la scritta ‘Verità per Giulio'”. Quasi certo che la Serie A faccia altrettanto.
(da “la Repubblica“)
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Marzo 29th, 2016 Riccardo Fucile “VOTERO’ SI’ AL REFERENDUM SUL SENATO”
L’ atelier di Renzo Piano è a un passo dal Beaubourg, l’opera che quarant’anni fa lo impose al mondo.
Cento ragazzi da 18 Paesi diversi lavorano a un ospedale in Uganda, alla biblioteca di Atene, al museo archeologico di Beirut, al campus della Columbia a Harlem, a un centro culturale alla periferia di Mumbai.
Qui si pensano le nuove città contro la barbarie.
È vuoto il tavolo di Raphael, tedesco ucciso al Petit Cambodge il 13 novembre scorso: era con altri otto colleghi, Emilie si è presa una pallottola nella spalla; nessuno è scappato, tutti si sono aiutati l’un l’altro.
Un altro giovane di studio, americano, era al Bataclan, è sopravvissuto.
Renzo Piano sulla scrivania tiene le bozze del libro in uscita per il Corriere. In tre ore di conversazione, Piano ricostruisce il suo percorso e racconta i suoi progetti per questo tempo terribile e grandioso che ci è dato in sorte.
Il giovane Renzo
«A scuola ero un asino. Non che mi passasse in testa chissà che cosa; un asino autentico. Non sapevo studiare. In compenso suonavo la tromba. Gino Paoli è un mio amico d’infanzia: io ero lupetto, lui nei giovani esploratori. Siamo “figli di un temporale”, come diceva un altro di noi, Fabrizio De Andrè: venuti fuori dalla guerra, cresciuti con la convinzione che ogni giorno ci allontanava da quella tragedia, che tutto – le strade, il cibo, il sorriso della mamma – sarebbe migliorato con il tempo. Per questo, a 78 anni, credo ancora all’idea folle per cui il tempo che passa migliora le cose: lasci perdere quel che non va, prendi quel che va. C’è una cosa che non condivido con il mio amico Beppe Grillo: la paura del futuro, che è l’unico posto dove possiamo andare».
Il Beaubourg
«Il modo più feroce, più esplicito di ribellarsi all’idea del centro culturale come mausoleo intimidente era fare una fabbrica. Una macchina come quelle pensate da Jules Verne. Ma anche un villaggio medievale in verticale, con le piazze sovrapposte. Una macchina urbana, aperta, trasparente, flessibile: tutto quello che ingombra l’abbiamo portato fuori, comprese le scale mobili, che svelano Parigi poco a poco. Il Beaubourg ogni sabato ha 30 mila abitanti, in 40 anni l’hanno visitato 250 milioni di persone. Al concorso partecipammo in 681. Il Sessantotto era finito da poco, Rogers e io vivevamo a Londra. Non pensammo di vincere per un solo attimo».
L’importanza della musica
A fargli notare che le opere successive sono molto diverse dal Beaubourg, Piano risponde di badare alla coerenza, non allo stile: «L’importante è svicolare dall’accademia, ribellarsi alle tendenze, andare alla fonte delle cose. Respirare la realtà , farla cantare. Il cinema neorealista è stato molto importante per me. Come lo è stata la musica. Con il tempo da trombettista sono diventato liutaio: l’auditorium di Roma è una cassa armonica. A Parigi collaborai con Pierre Boulez, che mi fece incontrare John Cage, Karlheinz Stockhausen e due artisti che sarebbero diventati amici della vita: Luciano Berio e Luigi Nono. Come gli architetti, i musicisti lavorano sulla materia, che per loro è il suono; per Boulez, il rumore. La vibrazione della corda per gli archi, l’aria per i fiati. Una solida base d’ordine cui ti diverti a disobbedire. Come in architettura, appunto».
I grattacieli
«Non ho mai fatto grattacieli arroganti, ma macchine urbane». Lo Shard di Londra è la torre più alta d’Europa. «Non mi interessa. Presto sarà superata. Ma è una torre che non finisce, le schegge di vetro si perdono nel cielo, esprimono uno slancio, un’aspirazione, al centro di un quartiere risorto. Nel cantiere avevamo operai di 70 nazionalità diverse. A Osaka avevamo 5 mila lavoratori: tutti giapponesi. Un cantiere è un’avventura dello spirito e anche fisica: in Nuova Caledonia abbiamo avuto quattro uragani con vento a 220 chilometri; in Giappone in 36 mesi contammo 35 terremoti. Sul cantiere del Beaubourg venivano Umberto Eco, Michelangelo Antonioni, Marco Ferreri, Roberto Rossellini, Italo Calvino, che dava suggerimenti su come pulire le pareti di vetro. Venne il signor Honda e disse: “Mi piace, sembra una motocicletta”. Sul cantiere di Postdamer Platz a Berlino ho conosciuto Mario Vargas Llosa. Anche lì c’erano 5 mila operai, tra cui cento palombari ucraini, per piantare le fondamenta sott’acqua. Trovarono sei bombe della seconda guerra mondiale, inesplose: “Sono russe, quindi non esplodono” dissero con un sorriso. Ora qui nella banlieue di Parigi stiamo costruendo il Palazzo di Giustizia: trasparente, come la verità ; deve ispirare fiducia, non mettere soggezione». Come trova i nuovi grattacieli di Milano? «Sono un segno di vitalità , che è sempre una buona cosa. Ma la mia Milano è quella delle periferie. Quando studiavo al Politecnico abitavo a Lambrate, andavo a sentire il jazz in un locale in fondo ai Navigli, che si chiamava non a caso Capolinea».
La scommessa delle periferie
«Le periferie sono sempre associate ad aggettivi negativi. Sono considerate desolanti, alienanti, degradate, brutte. Proviamo invece a guardarle con occhio positivo, a cercare quel che c’è di sano. Le periferie sono ricchissime di una bellezza umana e spesso anche di una bellezza fisica, che è nascosta, che emerge qua e là . Come scrive Italo Calvino nella postfazione delle Città invisibili, anche le più drammatiche e le più infelici tra le città hanno sempre qualcosa di buono. Questo approccio alla periferia è come andare a caccia di perle, di scintille. Viene da lontano, dal mio essere genovese, uno che non butta via niente: Braudel l’aveva capito, Genova stretta tra il mare e la montagna è stata educata a non sprecare nulla. Così, quando Napolitano mi fece senatore a vita, mi è venuto naturale pensare che il mio impegno politico sarebbe stato far lavorare giovani architetti nelle periferie italiane. Quest’estate porteremo i progetti alla Biennale dell’architettura»
Il Giambellino
I progetti sono a Torino, Catania, Roma e Milano. Si tratta di «dare forza e ossigeno a mille cose che già c’erano». Basta casette a perdita d’occhio: «L’idea della città che cresce diluendosi si è rivelata insostenibile. Come porti i bambini a scuola, come organizzi il trasporto pubblico, come medichi la solitudine? Le città sono luoghi di incontro, di scambio, in cui si sta insieme, si costruisce la tolleranza, l’idea che le diversità non sono per forza un problema, sono una ricchezza. La città ora cresce per implosione, riempiendo i buchi neri. Al Giambellino vivono 6 mila persone, 18 etnie. C’è la signora che d’estate invita la gente a scendere in cortile con la sedia e fa il cinema. L’elettricista egiziano che aggiusta gratis i citofoni rotti dai vandali. Abbiamo abbattuto il muro tra il parco e il mercato. Lavoriamo con la gente del quartiere per costruire una biblioteca. Servono tanti cantieri piccoli, microinvestimenti, microimprese: lavoro per le nuove generazioni. Dobbiamo fertilizzare le periferie con edifici civici. Non solo musei; librerie, ospedali, palazzi pubblici, stazioni della metropolitana, posti dove la gente si ritrova. Allo scorso esame di maturità uno dei temi era il rammendo delle periferie: sono stati scritti 60 mila compiti; tutti ragazzi nati in periferia».
Il ruolo della politica
«Sono lungi dal disprezzare la politica. In Senato ho provato ad andarci, ci andrò ancora, ma sono più utile nel mio ufficio a Palazzo Giustiniani. Comunque, ogni volta che metto piede nell’Aula sono davvero onorato, fiero. È una grande istituzione. Al referendum di ottobre sulla riforma costituzionale voterò sì. Se il Senato diventa più piccolo, meno ridondante, se costa meno, è cosa buona. Non vorrei perdesse il suo ruolo di guida morale del Paese: l’abbiamo inventato noi italiani, l’abbiamo esportato ovunque. Deve rimanere il luogo in cui si discutono i grandi temi della società ».
«L’architetto è un mestiere politico. La ricerca estetizzante della bellezza, quando è fine a se stessa, è inutile. Ma Sengor, con cui lavorai in Senegal, mi ha insegnato che il bello, quando è autentico, non è mai disgiunto dal buono. È l’idea dei greci: kalos kagathos , bello e buono. È un’idea che ho ritrovato in Libano. È il principio della civiltà mediterranea, oggi messa così a dura prova». Farebbe il Ponte sullo Stretto? «Un vero costruttore è sempre favorevole a gettare ponti, è sempre contrario ad alzare muri». E qual è il costruttore della storia che ammira di più? «Brunelleschi. Il primo a curvare la cupola, dopo secoli che l’uomo non ne era più capace; e dimostra che è possibile costruendo un modellino di legno. Da giovane faceva l’orologiaio: un artigiano diventato artista. Il percorso contrario è molto più difficile. Fondere arte e tecnica: qui è la grandezza».
Aldo Cazzullo
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 29th, 2016 Riccardo Fucile “SU REGENI SIAMO STATI TROPPO TIMIDI, DOBBIAMO CONTROBATTERE ALLE SGANGHERATE VERSIONI EGIZIANI”
Chiamatela idealista, ma per la radicale Emma Bonino la soluzione resta gli Stati Uniti d’Europa. Sul
terrorismo, sulla Libia, sui migranti, perfino sui rapporti tra Italia ed Egitto ai ferri corti per il caso Regeni trasformatosi in un caso internazionale: «Senza politica estera comune non c’è intelligence», dice l’ex ministro degli esteri.
E senza un’intelligence comune dell’Unione contrastare i nuovi jihadisti è pura teoria.
I terroristi di Bruxelles sono passati indisturbati dall’Italia: cosa facevano i nostri servizi?
«Posto che perfino la sicurezza americana fu beffata nel 2001, se i terroristi di Bruxelles non erano segnalati come potevamo intercettarli? L’Europa fa grandi sforzi di coordinamento ma l’intelligence non è questione di coordinare 28 paesi bensì di politica estera, di sicurezza e di difesa comune: se non c’è, non c’è intelligence comune. Nell’integrazione dell’UE la sicurezza è rimasta competenza nazionale: per rimediare bisognerebbe rivedere i trattati e invece i paesi pensano a rivedere le proprie Costituzioni illudendosi che chiudere le frontiere risolva il problema».
Cosa risolve invece?
«Tenere la barra dritta sugli Stati Uniti d’Europa e da lì costruire una politica estera comune e un’intelligence comune tipo Fbi europea. L’Italia, al di là delle polemiche, è il paese che si sta spendendo di più per una maggiore integrazione. Dico le polemiche perchè mi dispiace sentire i nostri leader che parlano dell’Europa come un’entità ostile: siamo tra i fondatori dell’UE e se non funziona non è per via dei burocrati di Bruxelles ma perchè così l’hanno voluta i paesi membri, Italia compresa».
Ha l’impressione che l’Italia mantenga un basso profilo sui diversi dossier internazionali?
«Non credo nell’illusione dell’influenza nazionale, non ci aiuta a governare i fenomeni. L’Italia a volte ha preso delle iniziative, come Mare Nostrum. Ma anche lì la mia proposta di farne un intervento europeo incrociò il fuoco di sbarramento di Bruxelles. Davanti ai rifugiati in Grecia penso che abbiamo appaltato i confini europei alla Turchia e mi dico che questa Europa – 500 milioni di abitanti, il continente più ricco del mondo – tra il 2008 e il 2014, durante la peggiore crisi economica, ha concesso 2,5 milioni di visti l’anno mostrandosi così consapevole del proprio invecchiamento e del bisogno di manodopera. E non sappiamo gestire i rifugiati?»
L’Italia è esposta al terrorismo come Francia e Belgio?
«Oltre all’Europa c’è il Pakistan, che piange oggi 70 morti, il Mali, l’Iraq, la Costa d’Avorio. Il punto non è prevedere il prossimo paese target ma ammettere la difficoltà di capire l’agenda di questi terroristi. Detto ciò non so da dove vengano certe convinzioni e non credo affatto che l’Italia sia al riparo».
L’Italia si sta facendo prendere in giro dall’Egitto su Regeni?
«In questi casi la tenuta e la durata sono la forza delle cose. Io impiegai 6 mesi per riportare in Italia la Shalabayeva. Credo che su Regeni l’Italia debba insistere e controbattere alle versioni sgangherate del Cairo. L’Egitto vorrebbe chiudere perchè la vicenda di un singolo sta facendo il giro del mondo».
Crede che dovremmo richiamare il nostro ambasciatore?
«No, la nostra presenza in Egitto in questa fase è fondamentale. L’asset dell’Italia è non mollare. L’Egitto è un partner importante per noi ma vale anche il contrario. Sono pragmatica: non è che si debba rompere con tutti i regimi autoritari ma serve misura, nè fare il baciamano a Gheddafi, nè coprire le statue davanti agli iraniani, nè affrettarsi a riconoscere Morsi, Sisi o chi per loro. La sorte di Regeni è un’incognita, magari c’è dietro la lotta tra i vari gruppi del mukabarat, il servizio segreto egiziano. Ma l’Italia deve tenere duro anche perchè oggi l’Egitto teme che il caso finisca per squarciare il velo sulla repressione in corso e su migliaia di cosiddetti Fratelli Musulmani in cella senza processo nè capo d’accusa».
Intervenire o no: come legge le incertezze italiane sulla Libia?
«Credo che l’accordo Kobler sia stato precipitoso e che non ci siano basi perchè quel governo entri a Tripoli. Ho l’impressione che finora abbia prevalso la pressione di Usa, Regno Unito e Francia per accelerare i tempi temendo il precipitare degli eventi, ma è un accordo con troppi esclusi e non può funzionare. Dovremmo anche capire cosa significa che a Tripoli ci sono gli islamisti: sono gli stessi di Tobruck, i primi di rito Fratelli Musulmani e gli altri di rito wahabita. L’Italia, come tutti, vuole installare a forza questo governo inviso a Tripoli come a Tobruck. Ma i nostri interessi non sono quelli francesi e l’Europa non ha una politica estera comune: quando sento parlare di operazioni militari mi chiedo contro chi? Per chi? Chi fa il controllo del territorio dopo? Non vedo nessuna strada militare per la Libia a meno di volerla rioccupare, e non mi pare sia in discussione. Bisogna considerare anche che oggi l’esodo dei migranti sembra un po’ ridotto per via dei controlli di Frontex ma i disperati continuano ad arrivare dal Sahel e la Libia resta un serbatoio di profughi e altro: se si chiude la rotta balcanica riesploderà ».
Francesca Paci
(da “La Stampa”)
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