Marzo 29th, 2016 Riccardo Fucile “NO A LEGGI SPECIALI, COOPERAZIONE GIUDIZIARIA INTERNAZIONALE”
Nella lotta al terrorismo c’è un’impostazione errata che oggi sembra cara all’Europa: volere privilegiare l’attività di intelligence, trascurando invece la questione della cooperazione giudiziaria».
Il procuratore della Repubblica di Torino Armando Spataro è uno dei pochissimi magistrati ad avere affrontato tutte le sfide criminali più pericolose: gli Anni di piombo, le mafie e quindi il terrorismo «cosiddetto islamico », secondo quella che reputa «l’unica definizione idonea a evitare ogni impropria, se non offensiva, generalizzazione».
Ha condotto in prima persona la più importante indagine in Europa sulla degenerazione della guerra globale scatenata dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre, facendo condannare gli agenti della Cia che rapirono Abu Omar e i loro complici italiani.
E anche per questo fa subito una premessa: «Credo fortemente alla funzione delle agenzie di informazione in ogni democrazia. Ma ho più volte affermato che va potenziata la sinergia tra le tutte le istituzioni e le forze in campo, non il mero rafforzamento delle attività di intelligence. Bisogna anche operare per rendere effettiva la cooperazione giudiziaria internazionale, di cui sono protagonisti la magistratura e le forze di polizia tradizionali».
Su questo punto l’Europa sembra all’anno zero.
«Le difficoltà dipendono dalla differenze di ordinamento. Molti paesi dell’Unione europea non accettano che siano i pubblici ministeri a dirigere le indagini della polizia giudiziaria, con la conseguente sottrazione delle inchieste alle scelte politiche. E allo stesso modo nella maggioranza degli stati non esiste il principio – per noi irrinunciabile – di assoluta indipendenza del pubblico ministero rispetto al potere esecutivo».
Quando la lotta al terrorismo viene affidata agli 007 c’è il rischio che venga a cadere ogni possibilità di controllo democratico?
«Se si opera principalmente attraverso i servizi di intelligence è chiaro che la guida non potrà che essere politica. Di qui le scelte prevalenti in favore dei servizi care ai governi europei, anche a scapito dell’efficienza operativa e della qualità dei risultati. Inoltre le regole secondo le quali operano i servizi non possono che essere, per definizione, segrete, dunque diverse tra loro ed incontrollabili, tali da alimentare spesso metodi d’azione a dir poco criticabili».
Ma i problemi sono solo di natura costituzionale?
«Non solo. Spesso si manifestano enormi resistenze nel mettere in comune, a fini investigativi, le notizie e i dati davvero utili. Le banche dati esistono ma non comunicano. Evidentemente molti si ritengono proprietari esclusivi delle notizie importanti. In questi anni ho riscontrato alcune difficoltà nella collaborazione con le autorità francesi e britanniche, mentre la cooperazione ha funzionato egregiamente nei rapporti tra Italia, Germania e Spagna. Non a caso sono paesi che hanno rispettivamente conosciuto il terrorismo interno delle Brigate Rosse, della Raf e dell’Eta, riuscendo a sviluppare anticorpi efficaci – dall’analisi delle strategie e del “pensiero” di quei gruppi, alla specializzazione investigativa ed allo scambio immediato delle notizie utili – che ancora oggi servono».
Lei ritiene che l’esperienza maturata negli Anni di piombo sia ancora utile?
«La sintesi del mio pensiero sta in quella famosa frase del presidente Pertini: “Abbiamo sconfitto il terrorismo nelle aule di giustizia e non negli stadi”. Un’affermazione che allude alla correttezza dell’azione istituzionale ed alla centralità dell’azione giudiziaria».
Molti sostengono che oggi la portata della minaccia sia tale da imporre leggi speciali, paragonando la situazione creata dagli attentati di Parigi e Bruxelles a una vera guerra, da combattere con ogni mezzo.
«La nostra democrazia non può tornare indietro di un solo passo e non possono esistere, come qualcuno teorizza, zone grigie nell’affrontare il terrorismo. Non si torna indietro neppure di un millimetro, per la semplice ragione che sui diritti non si tratta. È ovvio che ci troviamo di fronte a fenomeni nuovi, che comportano l’esistenza di scenari di guerra. Ma l’Italia ha saputo dire no a misure straordinarie come quelle introdotte dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna e dalla Francia. Dal 2005 il nostro paese ha varato tre decreti per rispondere alla minaccia del terrorismo, tutti convertiti in legge con grandissima maggioranza parlamentare ».
Ci sono diversi esponenti politici, non solo di destra, che ritengono insufficienti le misure adottate in Italia e accusano la magistratura di eccessivo garantismo contro il terrorismo.
«Anche grazie a questi provvedimenti abbiamo conseguito eccellenti risultati nel contrasto del terrorismo internazionale, tanto che, comparando i dati dei processi celebrati in Europa, gli esiti in Italia sono tra i migliori, se consideriamo i numeri delle condanne definitive. Ciò è sicuramente frutto della grande professionalità della nostra polizia giudiziaria, ma non si deve escludere la ricaduta positiva di un sistema di leggi, che si è dimostrato efficace e rispettoso dei diritti delle persone indagate».
Un’altra delle richieste che vengono avanzate riguarda la raccolta di massa di dati sensibili, come quella sui viaggi aerei, e lo scambio nella Ue.
«A chi sostiene che sia legale e utile nella lotta al terrorismo raccogliere milioni di dati, così controllando e classificando mezza umanità , si deve rispondere ripetendo che la concentrazione di miriadi di dati indistintamente raccolti – è provato – non è mai servita a nulla. Questa raccolta, esattamente come renditions, torture e prigioni illegali, rischia solo di fornire ai terroristi storie ed immagini da usare a scopi di proselitismo: così è avvenuto con quella delle tute arancioni indossate dai prigionieri di Guantanamo, immagine sfruttata per la tragica scenografia dei crudeli “sgozzamenti” dell’Is».
Gianluca Di Feo
(da “La Repubblica”)
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Marzo 29th, 2016 Riccardo Fucile DAL CAPITALISMO AL SADOMASOCHISMO
Per Marcel Fratzscher, un economista tedesco non allineato al pensiero unico, quando una minoranza
di persone si arricchisce ai danni di tutte le altre, il prodotto interno lordo dell’intero Paese peggiora.
A prima vista sembra una banalità : se pochi ricchi rastrellano il rastrellabile e la maggioranza dei consumatori ha sempre meno soldi in tasca e tantissima paura di spenderli, chi può ancora permettersi di comprare frigoriferi, maglioni e telefonini, alimentando la fantomatica Crescita? Invece gli economisti tedeschi di sistema si sono scagliati contro il tapino, sostenendo che i suoi dati (peraltro desunti dall’Ocse, non da Disneyland) sono sbagliati e le sue conclusioni abborracciate.
Perchè è vero che anche in Germania i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri più poveri, ed è verissimo che il risanamento dei conti pubblici lo hanno pagato il ceto medio immiserito e i giovani disoccupati o sottopagati.
Ma lungi dal mortificarla, l’aumento della disuguaglianza e dell’infelicità collettiva ha fatto bene alla signorina Crescita.
Infatti il reddito pro capite è in salita, seppure a scapito di tre tedeschi su quattro, che come nella storia dei polli di Trilussa si ritrovano abbondantemente sotto la media.
Mi guardo bene dall’entrare in queste dispute tra scienziati.
Ma se anche i rivali di Fratzscher avessero ragione, un sistema economico che cresce sulla pelle di tre quarti della popolazione e trova degli economisti disposti a menarne vanto senza proporre uno straccio di alternativa, sancisce il passaggio definitivo dal capitalismo al sadomasochismo.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Marzo 29th, 2016 Riccardo Fucile PER ORA SONO 1.712 I GRANDI ELETTORI DELLA CLINTON E 1.004 QUELLI DI SANDERS
Bernie Sanders non molla la presa e incassa una serie di vittorie che galvanizzano il suo elettorato pronto a sostenerlo sino alla convention democratica di Filadelfia del prossimo luglio.
E nonostante il distacco che lo separa dalla front runner Hillary Clinton in termini di delegati, il senatore social-democratico punta a mettere a segno nuovi successi e annuncia battaglia dura anche alle primarie di New York.
È nell’estremo Ovest che Sanders mette a segno vittorie con largo margine: Stato di Washington, Alaska e Hawaii, dove nei caucus distacca la rivale Clinton.
Una delle giornate migliori per il senatore del Vermont convinto di poter replicare in Wisconsin, dove si vota il 5 aprile.
«Abbiamo un sentiero di vittoria – dice – nessuno può negare che la nostra campagna stia vivendo un momento favorevole». Poi si rivolge ai giovani, la base forte del suo consenso: «Stiamo vincendo grazie al vostro straordinario contributo, e continueremo a farlo per rendere migliore il futuro dell’America».
E secondo quanto riportato dai media americani per le prossime tappe elettorali Sanders ha messo a punto una strategia, ovvero andare all’attacco con un «tour» serratissimo e una tattica simile a quello applicato in Michigan, dove nelle scorse settimane il senatore liberal ha messo a segno un sorpasso inaspettato.
Puntando tutto sulla sfida con la rivale proprio nello Stato tra quelli a lei più favorevoli, New York, di cui è stata senatrice, e che vota per le primarie democratiche il prossimo 19 aprile.
E anzichè giocare in difesa Sanders passa all’attacco tornandone a criticare le iniziative elitarie. Come la cena del 15 aprile con Hillary Clinton, George e Amal Clooney nella Bay Area, in California, dove due posti al tavolo principale costeranno oltre 350 mila dollari, il 400% del reddito medio annuo per un cittadino di San Francisco.
«Una oscenità », avverte il senatore, che chiarisce di essere un fan di Clooney come attore e che la sua «non è una critica a lui, ma al sistema corrotto di finanziamento della campagna elettorale».
«Un sistema – prosegue – dove i grandi finanziatori hanno un peso sproporzionato sul processo politico».
Dopo quella di gala, il 16 aprile si terrà un’altra cena di raccolta fondi per l’ex First lady nella villa dei Clooney in California e parteciparvi costerà 33 mila dollari a testa.
Il Golden State voterà per le primarie il 7 giugno, e in palio ci sono 475 delegati.
Ad oggi il conto dei delegati vede Hillary in testa con 1.712 grandi elettori a fronte dei 1.004 di Sanders, ma al netto dei superdelegati, che danno il sostegno indipendentemente delle votazioni il bilancio è di 1.243.
Ne servono 2.383 per ottenere la nomination democratica e allo stato attuale il confronto rischia rendere ancora più profonda la spaccatura tra l’elettorato della Clinton e quello di Sanders.
Col rischio di un alienamento di quest’ultimo e, in caso di vittoria di Hillary, di un’ondata di astensionismo al voto di novembre dando un vantaggio trasversale al candidato repubblicano, Trump o Cruz.
Francesco Semprini
(da “La Stampa”)
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Marzo 29th, 2016 Riccardo Fucile RICHIESTE “MISURE PROVVISORIE” A TUTELA DEI MARO’… LA FINE DELL’ARBITRATO PREVISTO NON PRIMA DEL 2018
L’Italia vuole che Salvatore Girone rientri in patria e che vi resti fino alla fine del procedimento
arbitrale che la vede opposta all’India sulla vicenda dei due marò. E lo ribadirà il mercoledì e giovedì nell’udienza davanti al Tribunale arbitrale internazionale, istituito presso la Corte permanente di arbitrato dell’Aja e incaricato di dirimere la questione sulla giurisdizione del caso, contesa tra Roma e Delhi.
“Con il ricorso all’arbitrato internazionale, il caso non è più una questione bilaterale”, ha dichiarato oggi il direttore generale per l’Europa occidentale del ministero degli Esteri indiano, K. Nandini Singla, alla vigilia – il 30 marzo – dell’atteso vertice a Bruxelles tra l’Unione europea e l’India, più volte rinviato anche a causa della crisi diplomatica con l’Italia.
“Abbiamo sempre desiderato avere relazioni forti con l’Italia che – ha sottolineato ancora Nandini – vediamo come un partner chiave all’interno dell’Unione europea”.
“L’Italia ha portato la questione al tribunale dell’Aja e l’India si è unita a questo processo, partecipando già a un’udienza ad Amburgo e con l’idea di continuare a partecipare”, ha proseguito il responsabile indiano, senza tuttavia entrare nel merito dell’udienza di domani e giovedì.
L’Ue potrebbe dunque sollevare al vertice la questione dei marò con il premier Narendra Modi, in cerca di un Accordo di libero scambio per accrescere il ruolo dell’India sulla scena globale.
Il giorno dopo Modi volerà anche a Washington per il Summit sulla sicurezza nucleare, dove auspica di superare le resistenze degli Stati Uniti all’ingresso indiano al Nuclear Suppliers Group e di aprire così una via preferenziale verso l’adesione al Missile Technology Control Regime (Mtcr), su cui l’Italia ha invece posto il veto proprio per aumentare la pressione su Delhi.
La richiesta di “misure provvisorie” a tutela del Fuciliere di Marina, da quattro anni residente nell’ambasciata italiana nella capitale indiana dove vive in libertà vigilata, era stata avanzata lo scorso 11 dicembre dal governo italiano.
Richiesta resa ancor più urgente anche alla luce dei tempi lunghi previsti per la fine dell’arbitrato – non prima dell’estate del 2018 – che dovrà decidere se spetti alla magistratura italiana o a quella indiana occuparsi del caso dei due militari in servizio antipirateria accusati di aver ucciso due pescatori indiani il 15 febbraio 2012 al largo del Kerala.
Massimiliano Latorre si trova già a Taranto su permesso della Corte Suprema indiana per motivi di salute concesso dopo l’ictus che lo colpì nell’estate del 2014 e da allora più volte reiterato. L’ultimo permesso scadrà il 30 aprile e una nuova udienza dell’Alta corte indiana è prevista il 13 aprile.
Dal canto suo, l’Italia ha già fatto sapere che Latorre, tuttora alle prese con la difficile riabilitazione dalla malattia, resterà a casa fino alla fine dell’arbitrato, forte della sentenza con cui lo scorso agosto il Tribunale del mare di Amburgo (Itlos) impose a Italia e India di congelare ogni procedimento giudiziario nei confronti dei due militari.
(da agenzie)
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Marzo 29th, 2016 Riccardo Fucile IN CRISI L’EDILIZIA, CRESCONO I SETTORI LEGATI ALLA CURA DELLA PERSONA
Giardinieri, parrucchieri, estetiste, ma anche tassisti privati, take away, fornai.
Gli anni di crisi hanno trasformato il volto dell’artigianato italiano, come emerge dai dati di Unioncamere e InfoCamere sulla base delle iscrizione al registro delle imprese. Tra il 2009 e il 2015 oltre 117mila unità in meno (-8 per cento), un saldo che racconta una vera rivoluzione nelle scelte lavorative degli italiani (ma anche degli immigrati che decidono di lavorare qui).
Un’emorragia di muratori (35.800), carpentieri (-6100). Idraulici (-3500), falegnami (-3450), imbianchini (-2600), serramentisti (-2000). Mentre aumentano imprese di pulizia, manutentori di paesaggi, e figure dedicate alla cura della persona come estetiste e parrucchieri. Ed esplodono i take away (+3240).
MALE IL MATTONE
Una fotografia dell’Italia (e non solo) che cambia, che si adatta al nuovo tenore di vita e modifica le abitudini.
Le professioni legate all’edilizia versano in crisi profonda da anni e fino a che la casa non tornerà ad essere un investimento remunerativo la gente sarà sempre meno disposta ad investirci. Questione di logica.
E così tutti quelli che in qualche modo legano il proprio mestiere al mattone sono penalizzati e in molti decidono di mollare. Magari migrando verso altri lavori.
Il più redditizio di tutti? Sembra essere il take away, cibo su ordinazione, un modo rapido di risolvere il problema «fame» ma anche un nuovo costume di vita.
Sempre più donne lavorano e la sera c’è meno tempo di fare la spesa ma anche di preparare una cena. Più semplice una chiamata e avere dopo un quarto d’ora pizza, hamburger, insalata, cibo etnico a domicilio. Stesso discorso per le imprese di pulizia:facile e con meno impicci burocratici da sbrigare rispetto all’assunzione di un dipendente.
Crescono anche gli NCC (noleggio con conducente) in perenne e ferrea lotta con i tassisti. Il loro successo è dovuto alle tariffe concorrenziali, ma anche al servizio su misura che offrono al cliente.
350MILA IMPRESE STRANIERE
In questa mappa delle professioni artigiane che cambiano occorre tenere presente il fenomeno degli stranieri che scelgono di venire in Italia e che qui investono nella loro vita privata e professionale.
L’anno scorso le imprese individuali aperte da cittadini nati fuori dall’Unione Europea sono state 23mila in più. In totale sono più di 350mila e rappresentano il 10,9% delle imprese individuali che operano in Italia. E i piccoli imprenditori sono per circa un terzo artigiani. Gran parte di loro si dedicano ai servizi alle imprese e al commercio.
Quasi due titolari su 10 delle imprese extra-Ue arrivano dal Marocco e quasi uno e mezzo dalla Cina.
La maggior presenza è in Lombardia, Liguria, Toscana, Lazio dove le piccole imprese di immigrati superano il 15 per cento del totale delle imprese presenti nella regione. Ed è Prato la città «simbolo» di questa invasione di stranieri nel tessuto economico. Ed è sempre qui che esplodono le contraddizioni di un fenomeno che se da un lato, e per alcuni, è il segno di una maggior integrazione dei cittadini stranieri, dall’altro, e per altri, è il sintomo di uno squilibrio e non una ricchezza per la nostra economia quando i profitti di queste professione vengono poi portati all’estero, nei paesi di origine di questi imprenditori.
Secondo il presidente di Unioncamere Ivan Lo Bello «i dati dimostrano che gli artigiani hanno messo in campo nuovi modelli di sviluppo per reagire alla crisi, ma è necessario preservare quelle tradizioni e quelle competenze che sono l’espressione più elevata del nostro saper fare e che rendono i nostri prodotti unici e riconoscibili nel mondo».
“LA MIA VITA DI COLF 2.0: DECIDO IO ZONE E ORARI”
Colf 2.0 alla riscossa. Se fosse un film, sarebbe questo il titolo della nuova leva delle pulizie domestiche. L’ennesimo mondo facilitato da una startup innovativa.
Questa si chiama Helpling ed è la migliore piattaforma per trovare online un aiuto qualificato per le faccende di casa. L’Uber delle colf, che ha da poco lanciato una crociata contro il mercato nero. E da quasi un anno ha cambiato la vita di Tiziana Clemente, una delle prime iscritte: «Prima di me ha iniziato a collaborare con Helpling il mio compagno. Io avevo sempre lavorato con anziani e disabili. Poi ho visto che lui lavorava tanto e ho deciso di seguirlo». La richiesta, in un mercato da 19 miliardi l’anno, non manca. E ora c’è anche una piattaforma sul web. «A me – dice Tiziana – è bastato creare un profilo, e scegliere giorni, orari e zona. Gestisco io tutto, è la cosa più importante».
“NON C’È TEMPO DI CUCINARE, COSàŒ LA MIA PIZZA VA A RUBA”
Giuseppe ha 40 anni, viene dalla Calabria e ha aperto un take away in una zona centrale di Roma, Pizza style.
È felice di aver trasformato in professione la sua passione, la cucina, ma anche di avere centrato il settore dove investire.
«Il take away è in espansione perchè c’è tanta gente che non ha il tempo di fare da mangiare, a pranzo o quando torna a casa la sera. I nostri clienti hanno tutte le età , perchè ormai sono cambiate le abitudini degli italiani e bisogna essere in grado di intercettare i nuovi bisogni».
Ma la cosa di cui va fiero è quella di avere dato lavoro a sette persone. «Le ho assunte prima e dopo il jobs act». Ma anche qui le grane non mancano: «Il problema è che ci sono tante persone che si improvvisano e invece occorre formazione e serietà ». C’è anche molta concorrenza. «Ho deciso da poco di fare pagare la consegna, per avere la possibilità di assumere altre persone, ma sono in tanti a tenere i prezzi all’osso e rovinano il mercato. Anche se poi la gente capisce l’importanza di un servizio di qualità ».
“CONSEGNO A DOMICILIO CIBI SELEZIONATI DI QUALITà€”
Filosofia e bicicletta. Libri e piatti gourmet. La vita di Stefano Lanzi, 21 anni, è come quella di tanti studenti. Divisa tra studio e lavoro. Ma in più c’è il gusto di lavorare in un campo emergente, giovane, di gran moda: quello del «food delivery».
Non più solo la pizza: grazie ai tanti nuovi servizi nati sul web, le scelte per il cibo a domicilio si sono moltiplicate. E Stefano, a Milano, fa il fattorino ciclabile per Foodora: la startup tedesca specializzata in menu selezionati e di qualità . «È un mondo che ho conosciuto grazie ad amici – spiega – e ho deciso di provare. Ho fatto domanda per diventare “rider” ed eccomi: ora ho un contratto part-time».
Ed è un lavoro che ammicca anche a un certo tipo di stile di vita.
Ecologico, senza corse in motorino, tutto da pedalare. «Tra noi rider si è creata una community: ci fermiamo a chiacchierare nel giardino di Foodora, in via Morone, e spesso si esce insieme».
Maria Corbi, Stefano Rizzato
(da “La Stampa”)
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