Marzo 31st, 2016 Riccardo Fucile
OGGI LA MEDIA E’ DI 200 L’ANNO CONTRO I 500 DEL PERIODO 1975-1995… IN EUROPA OGGI 198 ATTENTATI CONTRO I 13.595 NEL MONDO
Le bombe di Bruxelles, e prima ancora gli attacchi di Parigi, hanno minato il nostro senso di sicurezza.
Lo spettro della paura è stato ingigantito dalla globalizzazione che accorcia le distanze. Ma anche dai mass media e dalle loro dirette, che alimentano il mostro dell’angoscia di ora in ora.
Eppure, se riuscissimo ad astrarci e a guardare le cose da un’angolazione diversa, scopriremmo che l’Europa non è precipitata nell’abisso.
Tra gli Anni 70 e 90 gli attacchi terroristici erano più frequenti. E le vittime più numerose.
La strage alla stazione di Bologna, le Olimpiadi di Monaco, il volo Pan Am 103 caduto su Lockerbie: sul suolo europeo gli attentati non sono mancati.
Il gruppo più letale dal 1970 a oggi non ha nulla a che vedere con l’Isis o con l’Islam, ma è l’Ira separatista, con 1069 morti.
Mentre negli ultimi cinque anni gli attentati si aggirano infatti una media di 200 l’anno, dal 1975 al 1995 il numero era intorno ai 500 l’anno con punte di 953 del 1975, di 703 nel 1997, di 712 nel 1993.
Questo per quel che riguarda gli atti di terrorismo in Europa.
Se allarghiamo lo sguardo sul mondo possiamo capire molto di più.
Nel 2014 si è registrato un boom di attentati e di vittime a livello mondiale, ma quelli europei sono molto minoritari rispetto al resto del pianeta: 198 contro 13.595
Raphaà«l Zanotti
(da “La Stampa”)
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Marzo 31st, 2016 Riccardo Fucile
L’EX PREMIER PROVA A CONVINCERE I BERSANIANI A MOLLARE SPERANZA
«Marino è un mio collaboratore che si è preso la libertà di candidarsi alla segreteria del Pd, naturalmente io l’ho sconsigliato perchè non mi pare abbia la preparazione professionale per affrontare questa sfida».
Correva l’anno 2009 e a «sconsigliare» pubblicamente a Marino la corsa a segretario contro Bersani e Franceschini era Massimo D’Alema, che aveva preso il chirurgo sotto la sua ala protettiva alla Fondazione Italianieuropei.
Molta acqua è passata sotto i ponti e sei anni dopo quella constatazione d’incompetenza «professionale», D’Alema sembra ci abbia ripensato. Tanto da aver offerto proprio a Marino la chance di vendicarsi contro Renzi presentandosi come il campione della minoranza dem al prossimo congresso. Ma andiamo con ordine.
Il colloquio tra l’ex presidente del Consiglio e l’ex sindaco di Roma risalirebbe a prima di Pasqua, dopo la rinuncia ufficiale a candidarsi di Massimo Bray (anche lui della scuola Italianieuropei), prima scelta di D’Alema.
La proposta sarebbe stata articolata in due tappe. La prima prevede, appunto, la discesa in campo di Marino a Roma contro Roberto Giachetti. Per drenare voti dal bacino di centrosinistra e provare a superare il candidato renziano.
Un sogno? I sondaggi in questi ultimissimi giorni danno Giachetti in leggero sorpasso rispetto alla grillina Raggi, ma Marino ha appena iniziato il suo bombardamento contro la casa madre. Ed è convinto di potersela giocare davvero.
O quantomeno di poter fare molto male al Pd. «Del governo Renzi io penso tutto il male possibile – ha dichiarato ieri – perchè quelli che come me hanno votato nel 2013 volevano un governo di centrosinistra. Non volevano cacciare Veltroni o D’Alema per avere Verdini».
Un riferimento non casuale, quello alla rottamazione dei due padri nobili del Pd, che suona come un messaggio chiaro ai nostalgici del vecchio partito e dell’Ulivo.
I fuochi d’artificio di ieri sarebbero insomma soltanto l’antipasto di una campagna di duro martellamento contro il suo ex partito, reo di avergli voltato le spalle a tradimento.
I renziani lo temono, prova ne sia il tentativo di silenziare le accuse formulate ieri davanti alla stampa estera e poi in diverse ospitate nei salotti tv.
Se lo scopo di Marino è quello di arrivare al ballottaggio a Roma, D’Alema pensa ancora più in grande. E si arriva così al secondo stadio del missile puntato contro Renzi.
L’idea del leader Maximo (legatissimo all’ex sindaco anche per un aiuto medico importante ricevuto a favore di un familiare) sarebbe infatti quella di sfruttare il bottino elettorale di Marino a Roma come trampolino di lancio per una sua candidatura nazionale al Congresso del Pd.
Per farne insomma lo sfidante ufficiale al segretario-premier nel dicembre del prossimo anno.
Il presidente di Italianieuropei ritiene infatti quella di Roberto Speranza una candidatura troppo debole.
E avrebbe provato a convincere anche Pierluigi Bersani a convergere con le sue truppe sul chirurgo genovese. Lo spauracchio che agita per indurre la minoranza a mollare Speranza è quello di Michele Emiliano.
Il carismatico governatore della Puglia che appare lanciatissimo, deciso a sfruttare la campagna per il referendum contro le trivelle per puntellare la sua corsa alla segreteria nazionale.
E se le primarie fossero una sfida a tre – Renzi, Speranza, Emiliano – a fare la fine del vaso di coccio potrebbe essere proprio il giovane ex capogruppo.
I bersaniani tuttavia non hanno abboccato. «D’Alema la volta scorsa ci ha imposto Cuperlo — ragiona uno di loro — e ci ha mandato a sbattere contro un muro. Nessuno di noi è disposto a fare il kamikaze per lui».
Anche Marino, del resto, non ha ancora sciolto la sua riserva riguardo a Roma.
La moglie dell’ex sindaco è contrarissima a una sua discesa in campo. L’ex sindaco attende poi, prima di decidere, una presa di posizione pubblica del Pontefice.
Che gli avrebbe promesso di chiarire una volta per tutte l’incidente di Filadelfia e quel glaciale «non l’ho invitato io» che simbolicamente fu l’inizio della fine per il marziano di Roma.
Francesco Bei
(da “La Stampa”)
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Marzo 31st, 2016 Riccardo Fucile
L’ESPRESSO MOSTRA LE LETTERE CHE LO INCHIODANO: NON ERA ALL’OSCURO
Il Vaticano ha aperto un’inchiesta sull’attico di Tarcisio Bertone, e ha già iscritto nel registro degli indagati due persone: Giuseppe Profiti, ex presidente del Bambin Gesù e manager vicinissimo al cardinale, e l’ex tesoriere Massimo Spina.
L’istruttoria penale è scaturita dalle rivelazioni del saggio “Avarizia”, pubblicato da chi scrive , e ora rischia di sconvolgere nuovamente gli assetti della curia romana: i giudici di papa Francesco ipotizzano infatti reati gravissimi («peculato, appropriazione e uso illecito di denaro», si legge nelle carte d’accusa) e hanno già trovato i riscontri documentali che dimostrano che i lavori di ristrutturazione dell’appartamento sono stati pagati dalla Fondazione dell’ospedale pediatrico “Bambin Gesù”.
Lavori costati in totale ben 422 mila euro (“Avarizia” sottostimava la cifra a 200 mila euro), che sono stati fatturati nel 2014 non alla società italiana che ha materialmente effettuato il restauro (La Castelli Re, fallita a luglio del 2015), ma a una holding britannica con sede a Londra, la LG Concractor Ltd.
Controllata sempre da Gianantonio Bandera, titolare della Castelli Re e amico personale di Bertone.
I soldi destinati ai bambini malati sono stati, in pratica, utilizzati per la ristrutturazione, e poi girati a Londra.
Oltre alle sette fatture pagate al costruttore attraverso i conti Ior e Apsa della Fondazione, però, i magistrati di papa Francesco hanno in mano anche lettere firmate che inchiodano l’ex segretario di Stato di Benedetto XVI alle sue responsabilità : Bertone, che ha finora sostenuto di essere all’oscuro di eventuali finanziamenti di terzi, è invece sempre stato a conoscenza che i soldi del restauro del suo appartamento venivano (anche?) dall’ente di beneficenza dell’ospedale vaticano.
“L’Espresso”, in un’inchiesta nel numero in edicola domani è in grado di raccontare l’intera vicenda, e mostrare tutte le carte segrete.
Tra cui la corrispondenza tra Profiti e Bertone. Dove si evince che il manager, in una lettera firmata del 7 novembre 2013, ha davvero offerto al cardinale di pagare (tramite la onlus dedicata ai bambini malati) i lavori dell’attico di residenza in cambio di ospitare «incontri istituzionali» nella casa, e che Bertone – il giorno dopo – lo ha ringraziato accettando l’offerta, allegandogli persino una lista di “desiderata”.
La lettera di Profiti, presidente della Fondazione Bambin Gesù, mandata a Bertone il 7 novembre 2013, in cui il manager si offre di pagare i lavori di ristrutturazione della casa del cardinale:
«Egregio Professore, la ringrazio per la lettera del 7 novembre, che mi ha inviato a nome della Fondazione Bambino Gesù» scrive Bertone.
«Al riguardo, come già riferito nelle vie più brevi, tengo a confermare che sarà mia cura fare in modo che la copertura economica occorrente alla realizzazione degli interventi proposti nella documentazione che allego, venga messa a disposizione della Fondazione a cura di terzi, affinchè nulla resti a carico di codesta Istituzione».
Il cardinale si era sempre difeso affermando che tutto era avvenuto a sua insaputa.
«È una calunnia» s’era giustificato: «Ho pagato 300 mila euro, di tasca mia, secondo le fatture che mi aveva mandato il Governatorato, proprietario dell’immobile. I 200 mila euro versati dalla Fondazione? Io non ho visto nulla. Ed escludo in modo assoluto di aver mai dato indicazioni o autorizzato la Fondazione ad alcun pagamento».
Ora sappiamo che, almeno sul punto, mentiva.
La lettera di risposta di Bertone a Profiti, mandata l’8 novembre 2013: il cardinale ringrazia e accetta l’offerta, allegando anche la documentazione con alcuni interventi da realizzare
Come detto, sul registro degli indagati del promotore di Giustizia sono finiti per ora in due: Profiti, da sempre manager di fiducia di Bertone e all’epoca dei fatti presidente sia del Bambin Gesù che della Fondazione, e l’ex tesoriere Spina.
Il Vaticano considera entrambi «pubblici ufficiali» vaticani, e li accusa di concorso in peculato perchè «si sono appropriati» si legge nel capo d’accusa «e comunque hanno utilizzato in modo illecito» fondi dell’ospedale «per pagare lavori di ristrutturazione edilizia di un immobile di terzi sito all’interno della Città del Vaticano, sul quale nessuna competenza e nessun interesse poteva vantare la predetta Fondazione».
Nel documento dei pm non viene citato il nome di Bertone, ma difficilmente la Santa Sede potrà evitare un suo coinvolgimento diretto nello scandalo.
Se Bertone fosse incriminato non sarebbe comunque giudicato dal tribunale ordinario che sta indagando su Profiti e il tesoriere, ma dalla Corte di Cassazione della Città del Vaticano: secondo la giurisdizione d’Oltretevere è quello l’unico organo che ha il potere di aprire un’istruttoria sui peccati dei cardinali di Santa Romana Chiesa. Sarebbe il primo caso della storia.
Ma la documentazione contabile in mano al promotore di giustizia apre anche nuovi, preoccupanti scenari: quelli di un doppio pagamento.
Bertone ha infatti spiegato di possedere la documentazione che dimostrerebbe come sia stato anche lui a saldare il conto. Attraverso un pagamento di 300 mila euro. «Mentre avanzavano i lavori e alla Ragioneria arrivavano le fatture da pagare, fui invitato dal Governatorato, il proprietario dell’immobile, a saldare. E come risulta da una precisa documentazione, ho versato al Governatorato la somma», ha confermato in un’intervista.
Tralasciando la sorpresa di scoprire che un uomo di Chiesa ha un conto in banca capace di coprire spese per quasi mezzo milione di euro (tra lavori e successiva donazione), il pagamento a cui fa riferimento il prelato non è mai stato smentito dal Governatorato, un organismo presieduto dal cardinale Giuseppe Bertello.
Dal momento che finora è certo che la Fondazione ha girato al costruttore Bandera 422mila euro per gli stessi lavori, delle due l’una: o Bertone mente di nuovo – ed è coperto dagli uffici del Governatorato – e in realtà non ha mai versato un euro, oppure il costruttore ha ottenuto per la medesima ristrutturazione non solo i denari della Fondazione, ma anche i 300 mila euro di Bertone fatturati dagli uffici della Santa Sede.
Entrambe le versioni imbarazzano non poco il Vaticano. Che ha aperto – con coraggio – un vaso di Pandora in cui rischiano di finire altri, insospettabili protagonisti.
Emiliano Fittipaldi
(da “L’Espresso”)
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Marzo 31st, 2016 Riccardo Fucile
LA DECISIONE PER DIRIMERE UNA CONTESA TRA GENITORI SEPARATI: “GLI ISTITUTI PRIVATI POSSONO CONDIZIONARE L’EDUCAZIONE, QUELLI STATALI GARANTISCONO LA NEUTRALITA'”
La scuola pubblica rappresenta una scelta neutra, mentre la privata potrebbe “orientare il minore verso determinate scelte educative o culturali in genere”.
Con questa motivazione, il Tribunale di Milano ha deciso che i figli di una coppia separata debbano frequentare un istituto statale, come chiesto dal padre, e non uno cattolico paritario, indicato invece dalla madre.
La sentenza, firmata lo scorso 18 marzo dal giudice Giuseppe Buffone della nona Sezione civile, conclude che “non si possa affatto dire che la scuola privata risponda “al preminente interesse del minore”, poichè vorrebbe dire che le istituzioni di carattere privato sono migliori di quelle pubbliche “.
Pertanto, conclude il giudice, “la decisione dell’Ufficio giudiziario non può che essere a favore dell’istruzione pubblica”.
Il caso su cui il Tribunale si è trovato a decidere riguarda due ragazzini di 12 e 9 anni. Quando la famiglia era unita, frequentavano scuole paritarie cattoliche.
Dopo la separazione, nonostante la difficile situazione economica che i genitori si sono trovati ad affrontare, la madre ha insistito perchè fosse garantita ai bambini “un’istruzione in continuità con quanto fatto fino a quel momento “.
Il giudice della nona Sezione civile, presieduta da Paola Ortolan, ha rimarcato come “pretendere che i figli continuino a godere del medesimo benessere che prima poteva essere garantito costituisce l’espressione di un ‘diritto immaginario’ che non trova tutela nell’ordinamento giuridico “.
E ha concluso che “laddove sussista conflitto dei genitori separati sulla frequenza dei figli tra scuola privata e pubblica”, in mancanza di “evidenti controindicazioni”, allora “la decisione dell’Ufficio giudiziario non può che essere a favore dell’istruzione pubblica”.
Secondo la statistica del Tribunale, le decisioni riguardanti la scuola sono l’argomento di lite più frequente nelle coppie riguardo ai figli, insieme a quelle sulla residenza.
Laura Cossar, avvocato di diritto di famiglia e membro dell’ufficio di presidenza dell’Ordine degli avvocati di Milano, dice: “La sentenza, che condivido in pieno, mette ordine in una questione che genera diatribe. Capita che la scuola privata risponda a un bisogno identitario del minore, come gli istituti ebraici per i figli di ebrei ortodossi, o gli istituti “nazionali” a cui gli stranieri iscrivono i figli. Ma sono eccezioni. Spesso uno dei genitori fa della scuola privata una questione di appartenenza a un’èlite o un capriccio”. Per l’avvocato Cinzia Calabrese, presidente Aiaf Lombardia, “più in generale, nel momento in cui i genitori non sono in grado di fare una scelta per il figlio e devono rivolgersi a un giudice, significa che non stanno tutelando il suo interesse”.
Franco Vanni
(da “La Repubblica”)
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