Aprile 10th, 2016 Riccardo Fucile SAWIRIS SI SCHIERA CON ROMA
Naguib Sawirism, uno dei più importanti uomini d’affari e influencer egiziani, lo dice apertamente: «Ha ragione l’Italia».
Balle e reticenze sul caso Regeni stanno causando un caos diplomatico ed anche dal Cairo c’è chi prende posizione contro il governo Al Sisi e le forze di sicurezza ad esso collegate.
«Dobbiamo assolutamente arrivare alla verità su quello che è accaduto. E se la verità non è ancora uscita, significa che non abbiamo fatto finora tutto quello che avremmo potuto e dovuto fare. Va fatto tutto il possibile affinchè la verità emerga senza se e senza ma», attacca Naguib Sawiris, proprietario e amministratore del gruppo Orascom, il più importante uomo d’affari egiziano.
«Non posso dire che sono felice per ciò che è stato fatto finora, le autorità italiane hanno ragione al 100 per cento. Ripeto, al 100 per cento», chiosa Sawiris.
«Sono molto vicino alla famiglia, anche il popolo egiziano vuole sapere la verità ».
(da agenzie)
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Aprile 10th, 2016 Riccardo Fucile INFATTI OGGI A MILANO LA LEGA APPOGGIA, CON PASSERA E ALFANO, IL CANDIDATO PARISI
Tweet del 14 marzo 2015.
“Oggi sono in Veneto a sostenere il nostro Luca Zaia. Vedo che adesso sono tutti contro Zaia, un bel segno, vuol dire che Zaia ha fatto bene, che Zaia vince”, ha detto Matteo Salvini, dopo l’ufficializzazione della candidatura del sindaco di Verona Flavio Tosi a governatore del Veneto.
Il segretario del Carroccio lancia poi un messaggio a Tosi: “Chi sceglie di andare avanti con Alfano e Passera evidentemente non può scegliere la Lega”.
E’ passato un anno e che accade a Milano, in vista delle prossime elezioni amministrative?
Che il centrodestra candida Parisi con l’appoggio del partito di Alfano, con cui peraltro Maroni già governa in Regione Lombardia.
Non solo, ieri anche Corrado Passera si unisce alla compagnia di Forza Italia, Lega, Fdi e Ncd.
Evidentemente quello che valeva per Tosi non vale per Salvini: dopo aver “criminalizzato” Passera un anno fa, ora lo accetta ben volentieri come alleato dopo essersi detto di tutto fino a pochi giorni fa.
Coerenza padagna.
(da agenzie)
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Aprile 10th, 2016 Riccardo Fucile DAL CASILINO 900 ALLA LAUREA IN GIURISPRUDENZA… ANINA CINCIU: “SI PUO’ FARE TUTTO, BISOGNA FARSI VALERE”
Dalla baraccopoli romana di Casilino 900, uno dei più affollati campi rom d’Europa, alle aule universitarie della Sorbona di Parigi il passo non è breve.
E nella storia di Anina Ciuciu, quel passo ha guadagnato deciso metro dopo metro al ritmo della determinazione, dell’ostinazione e della volontà di riscatto.
Anina ha 26 anni, è nata in Romania ed è rom.
Sulla sua immaginaria carta d’identità vanta tre cittadinanze: la rumena, la rom e la francese. Sono queste le tre anime che la compongono e che, con in mano una laurea magistrale in giurisprudenza presso il prestigioso ateneo parigino, alimentano il suo sogno: sconfiggere le ingiustizie, i pregiudizi, la discriminazione istituzionale che condanna la comunità rom e tutti gli ultimi.
Per questo Anina dirige il polo giuridico dell’Associazione 16 Maggio, in prima linea nella lotta contro la separazione cui sono condannati gli abitanti delle bidonville francesi. E per questo ha continuato gli studi fino alla laurea, convinta che l’istruzione sia lo strumento migliore per lasciarsi alle spalle il fango, le lamiere, gli stracci dei campi rom e raggiungere quella vita dignitosa che – da bambina rom rumena costretta a vivere con la famiglia nella baraccopoli romana — le si spalancava davanti come un miraggio.
Nei sei mesi del Casilino 900 — che lei non vuole chiamare “campo rom” ma “bidonville”, perchè “campo rom” — ci spiega – è un termine razzista legato a una concezione discriminatoria della comunità gitana — quel sogno di una paziente normalità le era stato tolto, assieme al lavoro dei suoi genitori, licenziati in Romania perchè rom e costretti a trasferirsi nel nostro Paese.
Quel sogno, però, le è rimasto accanto, ostinatamente, anche durante l’anno e mezzo di continui spostamenti da una ex caserma a una casa occupata, da un hotel a un rifugio trovato per fortuna, appena varcata la frontiera tra Italia e Francia.
E ora che la normalità Alina sembra stringerla tra le mani – da ragazza matura, da studentessa ormai laureata, da quasi avvocato e da piena attivista per i diritti dei discriminati — lei in quel campo ci è tornata.
Lì dove un tempo erano parcheggiate, le une sulle altre, le loro baracche, ora c’è un prato — e dei ragazzini che giocano poco distante.
A Pierluigi De Donno, regista del docufilm “Gitanistan — Lo stato immaginario delle famiglie Rom-Salentine” che ha conosciuto la sua storia l’ha riportata nel luogo della sua infanzia, Anina confessa che è stato emozionante varcare di nuovo quel cancello.
L’ha pervasa una speranza ostinata, che le fa augurare a sè stessa che tutti i bambini che hanno condiviso con lei la triste permanenza a Casilino 900 si siano lasciati alla spalle la vita da bidonville.
Molto è cambiato dai sei mesi che, poco più che bambina, Alina aveva trascorso lì.
Tra quella parentesi e la passeggiata da ragazza 26enne ci sono i giorni difficili a scuola — quando i suoi compagni di classe francesi la escludevano; ci sono i ricordi, le ferite aperte, i traguardi, l’ostinazione, le cicatrici ormai asciutte, i volti delle persone — come quello dell’istitutrice che, trovando lavoro ai suoi genitori, ha permesso ad Alina e alle sue sorelle di vivere dignitosamente e andare a scuola.
Ci sono tanti tasselli di un mosaico a tinte forti.
Ma il colore più importante rimane sempre quello della dignità e del rispetto.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 10th, 2016 Riccardo Fucile “I SONDAGGI REALI MI DANNO ALLA PARI CON LA MELONI, VADO AVANTI COME UN TRENO”… UNICA ALLEANZA POSSIBILE CON MARCHINI… “GIACHETTI E MELONI SI DIMETTANO DAL PARLAMENTO E CORRANO SENZA PARACADUTE SE HANNO CORAGGIO, COMODO MANTENERE LO STIPENDIO”
Guido Bertolaso tende la mano ad Alfio Marchini per conquistare Roma. 
Un’operazione politica che guarda più al centro che alla destra per il candidato sindaco di Forza Italia, che prova nel corso di In Mezz’Ora, su Raitre, a raffreddare le voci sull’imminente ritiro della sua candidatura, frutto della divisione interna al partito che lo sostiene, e rilancia la corsa al Campidoglio proponendo un ticket a Marchini.
E Alfio replica su Twitter, limitandosi ad affermare che le parole di Bertolaso confermano la bontà del progetto per Roma della Lista Marchini .
Appare da escludere invece un raccordo fra Guido Bertolaso con Giorgia Meloni, dal momento che l’ex numero uno della Protezione civile riserva parole molto critiche alla leader di Fratelli d’Italia, accusandola di utilizzare la sua gravidanza per fare campagna elettorale e raccogliere maggiori consensi.
Bertolaso ripercorre le tappe che hanno portato alla sua candidatura.
“Per poche ore sono stato il candidato unitario del centrodestra. Berlusconi mi chiamò l’8 gennaio insieme a Meloni e Salvini, sono venuti tutti e tre per dirmi di candidarmi, perchè sono un uomo del fare e vogliamo tutti che Roma torni ad essere la città che merita di essere. Poco dopo la mia dichiarazione sui rom, Salvini ha avuto il mal di pancia e ha cambiato idea” spiega Bertolaso, con riferimento alle sue parole contrarie alle ruspe per i rom, da lui definiti “vessati”.
“Sono una categoria vessata dalla storia, questo è un dato di fatto – ribadisce Bertolaso – Oggi sono i romani che sono vessati, anche dal problema dei rom, a loro volta vittime di una disorganizzazione totale della città di Roma. Le ruspe le hanno già usate contro i rom, li hanno sfollati e loro hanno preso armi e bagagli e si sono spostati da un’altra parte della città . Ma serve più intelligenza. Il mio programma è tolleranza Zero contro l’impressionante degrado. E nel degrado ci sono anche i rom”.
A seguito della rottura con Salvini, prosegue poi Bertolaso, si sono tenute le “gazebarie” a cui hanno partecipato 47 mila romani.
“Con il clima di antipolitica che c’è oggi – sottolinea – è stato non dico un plebiscito, ma un risultato incredibile”.
Eppure “il giorno dopo la Meloni ha deciso di candidarsi. Io volevo essere un candidato unitario, ma non sono io divisivo, ma sono loro che si sono divisi”.
D’altra parte, prosegue Bertolaso, “io non guardo in faccia nessuno, non accetterei un vice presidente per l’equilibrio fra i partiti, nè un presidente dell’Acea nominato solo sulla base di una tessera politica”.
Bertolaso sente ancora il sostegno di Forza Italia e definisce “bizzarra” l’ipotesi di un benservito da Silvio Berlusconi.
“Ieri abbiamo fatto una riunione e mi hanno ribadito il loro appoggio” spiega l’ex numero uno della Protezione Civile, che esclude quindi un ritiro della sua candidatura. “Sarei un’ipocrita se dicessi che non c’è problema. Ci sono quelle situazioni di attenzione e piccoli mal di pancia tipici della definizione delle liste elettorali”.
Bertolaso rilancia quindi e propone una soluzione politica come quella trovata a Milano fra Stefano Parisi e Corrado Passera.
“È una bella operazione che mi risulta abbia fatto il presidente Berlusconi. Può essere che lui sia capace di trovare un punto di incontro anche su Roma. Può essere – afferma Bertolaso – che Alfio Marchini, che è un candidato simile a me, possa benissimo venire con noi. Un binomio Bertolaso-Marchini in cui io faccio il sindaco e lui fa il presidente del Consiglio Comunale, visto che ha esperienza di questo, sarebbe formidabile. Non c’è una trattativa, magari ci sarà nei prossimi giorni anche alla luce del caso Passera. Marchini è un valore aggiunto di questa città . Se Bertolaso si mette al cruscotto della macchina per farla funzionare bene e Marchini, che è anche lui indipendente ma ha esperienza di Consiglio Comunale e lo gestisce, che è determinante per il sindaco…”.
Quanto ai sondaggi, Bertolaso riferisce di essere “dentro una forchetta tra il 16 e il 18 per cento. Se non sono davanti alla Meloni, sicuramente siamo pari. Io dico che vado avanti secondo quello che è il mio programma. Se si spacca il centrodestra, non sono io a farlo, sono loro a dividersi. Io mi sento candidato dei romani e sono ottimista, non mi sono candidato per partecipare. Qui abbiamo davanti il dramma di Roma. Io sono abituato a vincere”.
Non manca una replica velenosa a Giorgia Meloni, che oggi ha parlato della sua candidatura da donna incinta come “battaglia simbolica sulle donne e il diritto al lavoro sempre”. “Questa è strepitosa” risponde Bertolaso, già fortemente criticato per aver detto che la Meloni non poteva candidarsi in quanto donna incinta.
“Quando ho detto che Giorgia doveva fare la mamma, mi sono limitato a ripetere quello che disse al Family Day. Disse di non potersi candidare perchè era incinta. Ho solo ribadito quello che aveva detto lei un mese prima. Se invece ora vuole sfruttare questa bellissima vicenda per portare un po’ di voti dalla sua parte e fare campagna elettorale…”
Che Bertolaso guardi più al centro che alla destra lo si capisce anche dalle forte critiche che ha rivolto alla Giunta guidata da Gianni Alemanno.
“Roma è terremotata dalla politica degli ultimi anni e non assolvo nessuno da questa affermazione. Non possiamo buttare la croce solo su Marino per questo, Marino è stato imbarazzante ma anche la Giunta Alemanno ha le sue responsabilità . Qualcuno parlerà di una mia nuova gaffe. Ma ritengo sia cosi'”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 10th, 2016 Riccardo Fucile “NON VUOLE LE FRONTIERE, E’ UN VENDUTO”… MA IL PRESIDENTE PARLAVA DI EXPORT DEL VINO, NON DI PROFUGHI: FATE IL TEST TASSO ALCOLEMICO AL SISTEMAMOGLI !
Il segretario della Lega Nord attacca il presidente della Repubblica sul tema dei migranti e delle frontiere.
La polemica, però, nasce da un clamoroso autogol di Salvini.
Sergio Mattarella, aprendo Vinitaly a Verona, ha detto: “Da prodotto antico a chiave di modernità , il vino italiano, col suo successo nell’export, conferma come il destino dell’Italia sia legato al superamento delle frontiere e non al loro ripristino”, riferendosi all’export dei prodotti.
Matteo Salvini come al solito ha analizzato o letto solo una parte della frase, riferendola ai migranti e, su Facebook, risponde: “È come dire avanti tutti, in Italia può entrare chiunque… Se lo ha detto da sobrio, un solo commento: complice e venduto”.
Il problema è che evidentemente quello non sobrio non era Mattarella.
Le reazioni.
“Quelle di Salvini su Mattarella sono parole di un eversore che detesta l’Europa e non ama l’Italia”, ha commentato il presidente dei senatori del Pd Luigi Zanda, mentre Matteo Colaninno giudica le offese rivolte da Salvini al presidente della Repubblica inaccettabili: “Vanno condannate con fermezza: non si possono utilizzare espressioni che si configurano come vilipendio – ha scritto in una nota -. Se Salvini è ossessionato dalle sue idee xenofobe in materia di immigrazione se le tenga per sè e non si permetta di scrivere insulti e falsità . Il capo dello Stato, che anche oggi ha fatto un’analisi lucida e responsabile sul tema dei migranti, ha la totale fiducia degli italiani e merita rispetto”.
A distanza di ore, Salvini pare ancora in preda a crisi etilica, anche se cerca in parte di evitare una denuncia: : “La mia non è una frase contro Mattarella. Il presidente non può invitare i clandestini di tutto il mondo a venire in Italia”.
Poi finisce in bellezza: “Ci sono stato anche io a Vinitaly, si beve tanto e bene”.
Tipico caso di ubriachezza molesta.
(da agenzie)
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Aprile 10th, 2016 Riccardo Fucile IL NEO PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE MAGISTRATI: “LA LEGGE PER REGOLARE LE INTERCETTAZIONI C’E’ GIA’, RENZI SU DI NOI HA DETTO BUGIE”
«Far intendere che i magistrati lavorano poco, e da questo dipende il disastro della giustizia è
una bugia».
La replica di Piercamillo Davigo, neopresidente dell’Associazione magistrati, al premier Matteo Renzi arriva dritta e immediata.
Per il passato, quando il capo del governo intervenne sulle ferie troppo lunghe dei giudici, e forse per il presente, visto che ripete a ogni piè sospinto che le sentenze tardano troppo ad arrivare.
«Noi lavoriamo tanto, e lavoriamo bene», insiste Davigo, riscuotendo l’applauso delle toghe che hanno deciso di eleggerlo a loro rappresentante anche per fronteggiare meglio la nuova tensione che s’è creata con il potere esecutivo.
E riferendosi al «Brrrr… che paura» con cui il presidente del Consiglio ribattè alla protesta dell’Anm sul taglio unilaterale delle vacanze, un anno e mezzo fa, dice: «Non mi è piaciuto per niente».
Poi spiega: «Noi rivendichiamo meriti e invochiamo rispetto da parte di tutti. Prima di fare il magistrato ho lavorato in Confindustria e mi occupavo di relazioni sindacali; non ho mai visto un datore di lavoro che decide la riduzione delle ferie senza consultare la controparte».
Ma da allora le questioni sul tavolo sono aumentate, con nuove emergenze. Dopo l’inchiesta di Potenza si ricomincia a parlare di riforma delle intercettazioni: «Siamo alle solite, si pensa di curare la malattia cambiando il termometro. Non mi pare un buon sistema…».
Stavolta, però, il mirino non pare puntato sull’uso delle microspie da parte della magistratura, bensì sulla pubblicazione delle colloqui registrati sui giornali.
Risposta del nuovo leader dell’Anm: «Se nelle intercettazioni pubblicate non c’è attinenza con i reati, o i fatti riportati non sono veri, c’è già la legge sulla diffamazione che si può applicare, quindi non vedo dove sia il problema. Certo però che se i fatti sono attinenti e di interesse pubblico, come i personaggi coinvolti, allora è un altro discorso. Come si può pretendere che non se ne parli?».
L’indagine di Potenza ha portato alla ribalta il reato di «traffico d’influenze», varato nel 2012, e c’è già chi lo contesta.
Ma per Davigo quella riforma è stata fatta tardi e male: «Sarebbe bastato aggiungere al millantato credito, punito con una pena fino a 5 anni di carcere, il “vantato credito”, seguendo le indicazioni della giurisprudenza. Invece che hanno fatto? Hanno introdotto il nuovo reato per chi non millanta ma favorisce realmente qualcuno in cambio di utilità , punendolo con la pena fino a 3 anni, cioè meno di chi millanta. Dov’è la logica?».
Nelle sue reazioni il premier Renzi ha difeso l’autonomia del Parlamento nel fare le leggi, mettendosi a disposizione dei magistrati per rivendicare gli emendamenti governativi finiti negli accertamenti dei pubblici ministeri lucani.
Anche questa, per Davigo, è una forzatura: «Nessuno si è mai sognato di mettere in discussione il potere legislativo. Il problema è se emergono elementi che fanno sospettare qualcosa di illecito nell’ iter di formazione di certe leggi».
In quei casi, per Davigo, è giusto indagare. Ma pure su questo c’è chi ha da ridire: non piacciono i magistrati alla ricerca dei reati.
Il neo-presidente delle toghe risponde con una battuta: «Se i reati spuntassero come le margherite nei prati il nostro lavoro sarebbe molto più semplice…».
Insomma, l’antifona è chiara: l’ex pm di Mani Pulite è pronto a rispondere colpo su colpo. E sulla comunicazione confida molto, esplicitando una filosofia quasi renziana: «È essenziale farsi capire. Dicono che dovremmo parlare solo con le sentenze, che spesso sono illeggibili per necessità tecniche. Invece noi dobbiamo essere chiari, con frasi brevi e semplici, per spiegare ciò che altrimenti resterebbe incomprensibile».
Nè sembra impressionato da una nuova stagione di scontro tra politica e magistratura: «Una volta, in una trasmissione televisiva, mi fu chiesto come si poteva fare per mettere fine al conflitto tra politica e giustizia. Risposi che la soluzione si troverebbe facilmente se i politici smettessero di rubare».
E davanti ai suoi colleghi, quasi a illustrazione del programma che intende perseguire nell’anno in cui guiderà l’Anm, afferma: «Non esistono governi amici nè governi nemici. Noi dobbiamo tutelare la giurisdizione. Che ci siano dialettica e anche momenti di tensione è pressochè inevitabile. Del resto, come disse Lord Byron (poeta e politico inglese di inizio 800, ndr ) esistono i Paesi in cui le decisioni della magistratura incontrano i favori dei governi, ma non sono i Paesi in cui si vorrebbe vivere».
Giovanni Bianconi
(da “Il Corriere della Sera”)
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Aprile 10th, 2016 Riccardo Fucile LA FARNESINA STUDIA LE PRIME AZIONI DOPO LA ROTTURA CON L’EGITTO
Uno «sconsiglio» formale a recarsi per turismo in Egitto e la sospensione di alcuni accordi bilaterali, compresi quelli tra università .
Ma anche la richiesta a organismi internazionali come l’Onu o la Banca Mondiale affinchè stigmatizzino l’atteggiamento del Cairo riguardo al rispetto dei diritti umani. Sono queste le «prossime mosse» che saranno esaminate dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni nel corso delle «consultazioni» con l’ambasciatore italiano Maurizio Massari.
È la strada tracciata alla Farnesina dopo il fallimento del vertice tra magistrati e investigatori che doveva portare a una collaborazione reale per sapere chi ha rapito, catturato e ucciso Giulio Regeni. In attesa che l’Egitto fornisca un segnale concreto sulla volontà di riprendere la cooperazione.
Ambasciata vuota
La “misura” che dà maggiormente il senso di quanto forte sia la frattura tra i due Paesi è comunque quella visibile dell’ambasciata vuota.
La decisione di richiamare a Roma il rappresentante diplomatico non comporta infatti la chiusura della sede, ma il fatto che il responsabile sia assente perchè deve decidere con il suo governo quali scelte compiere per «tenere alta la nostra dignità » – come aveva detto nei giorni scorsi Gentiloni e poi ha ribadito il presidente del Consiglio Matteo Renzi – è un messaggio che le autorità del Cairo certamente hanno colto. E probabilmente non gradito.
Anche perchè è presumibile che la missione di Massari possa durare una settimana o addirittura di più, comunque fino a che non ci sarà un segnale dal Cairo, per marcare ulteriormente l’irritazione dell’Italia per un atteggiamento del regime guidato dal generale Abdel Fattah al Sisi ritenuto “ostile”.
Le «consultazioni»
Le «consultazioni» cominceranno martedì mattina, al ritorno di Gentiloni dal G7 in Giappone. E serviranno a valutare tutti i provvedimenti possibili e attuabili in tempi brevi per reagire in maniera efficace alla situazione di grave crisi che si è creata dopo il rifiuto degli inquirenti egiziani a fornire ai colleghi italiani i documenti originali del fascicolo d’inchiesta, primi fra tutti i tabulati telefonici relativi alle persone coinvolte nell’indagine, ma anche quelli che hanno “impegnato” le celle della zona dove Giulio Regeni è stato sequestrato e di quella dove è stato ritrovato il suo cadavere martoriato. Proprio per scoprire se ci fossero appartenenti agli apparati di sicurezza o comunque utenze presenti in entrambi i luoghi.
Gli accordi economici
Ci si muove su due tavoli. L’Italia tiene al momento separata l’azione diplomatica da quella strettamente economica, consapevole del rischio altissimo che numerose aziende possano essere danneggiate da una rottura definitiva dei rapporti commerciali. Ma l’intenzione – almeno a leggere le parole che il ministro pronuncia mentre è in missione in Giappone per il G7 – è quella di mantenere una linea dura, di onorare l’impegno preso con la famiglia del ricercatore catturato il 25 gennaio scorso e ritrovato cadavere in un fossato il 3 febbraio.
E di evidenziare il mancato rispetto da parte delle autorità egiziane delle istituzioni italiane, visto che il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone aveva accettato di recarsi al Cairo con il sostituto Sergio Colaiocco per incontrare il procuratore generale Nabil Ahmed Sadek e in quella sede aveva ricevuto assicurazioni sulla volontà di fornire massima cooperazione, mentre due giorni fa c’è stata una clamorosa retromarcia.
L’Onu e la Ue
Ecco perchè ci si rivolgerà all’Onu, ma anche all’Unione Europea affinchè affianchino l’Italia nella denuncia della violazione sistematica dei diritti umani degli stranieri da parte degli appartenenti al regime.
E perchè si sospenderanno le intese nei settori della cultura, dell’università , del turismo. Sperando che questo serva ad ottenere un risultato nella ricerca della verità .
Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera”)
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Aprile 10th, 2016 Riccardo Fucile PIU’ DI 15 MILIONI DI PAGINE IN ARABO RIANIMANO LA PROTESTA
«Kulluna Giulio Regeni», siamo tutti Giulio Regeni. 
Lo slogan con cui 5 anni fa milioni di egiziani e tunisini si identificarono rispettivamente con i «martiri» Mohamed Bouazizi e Khaled Said per sfidare tirannie fino ad allora inossidabili sta tornando oggi associato al ricercatore friulano massacrato al Cairo, come se la richiesta di verità per una morte esemplare ma simile a migliaia potesse dare una seconda chance alle ammaccate primavere del 2011, a quella egiziana ma anche alle altre.
Se cercando Giulio Regeni su Google si ottengono 423 mila risultati, lo stesso nome digitato in arabo ne produce 15 milioni (venerdì sera erano 13 milioni).
«Non molleremo finchè i responsabili non pagheranno, per Giulio, per la sua famiglia e per tutti noi che abbiamo visto fratelli e compagni dare la vita per una rivoluzione scippataci due volte» dice al telefono l’architetto 34enne Ahraf (ormai quasi nessuno al Cairo concede a cuor leggero il proprio cognome ai media).
Non conosceva personalmente il nostro connazionale, ma conosce almeno due persone che sono state arrestate alla vigilia del 25 gennaio – giorno della sua scomparsa e anniversario di piazza Tahrir – e fortunatamente rilasciate seppure dopo una «pesante lezione preventiva».
La storia di Giulio Regeni sembra curare in qualche modo la depressione ormai cronica degli attivisti egiziani, i veri protagonisti della prima spallata al Faraone che si sono ritrovati schiacciati tra i due moloch nazionali, le caserme e le moschee.
Ma a navigare tra i social network in arabo si scopre che il desiderio di rivincita nel nome del «martire» italiano non interessa solo i giovani sudditi di al Sisi ma anche gli altri, i sopravvissuti di piazza della Perla a Manama, le suffragette al volante di Riad, gli algerini e i marocchini bloccati prima ancora di protestare, perfino un reduce del 17 febbraio di Bengasi come l’informatico Hassan Bujnah: tutti ugualmente convinti di aver perso per strada molto di quanto sognato nel 2011 e di ritrovarlo chiedendo verità per Regeni (e avendo maggiore supporto internazionale).
Sentite una tunisina laica come l’universitaria Nishrin Zani che detesta convivere con gli islamisti: «Regeni è un monito a non abbassare la guardia perchè i regimi sono duri a morire e noi, con gli jihadisti che produciamo, siamo tutt’altro che immuni dai colpi di coda del mukabarat».
L’impunità che ha ucciso il ricercatore italiano potrebbe riaccendere braci tutt’altro che spente? Difficile da dire.
Ma il regime di al Sisi lo teme, prova ne sia la foga con cui reagiscono i suoi paladini. E non c’è solo il fratello di uno dei 5 egiziani freddati in quanto presunti carnefici di Regeni, che dopo aver raccontato in video l’innocenza del congiunto è stato arrestato venerdì.
E non c’è solo la nuova rigidità con cui perfino giornali indipendenti come «al Tahrir» rifiutano ora gli articoli di attivisti fino a ieri collaboratori.
Il parlamentare Mostafa Bakry minaccia da giorni in tv la madre di Khaled Said rea di aver inviato un messaggio a Paola Regeni e per questo accusata di «fare il gioco dell’Italia» e di fomentare gli animi per coprire «l’altro figlio ebreo che vive in Usa». Può darsi che Giulio Regeni vivo non fosse così pericoloso come devono aver creduto i suoi killer, ma ora che è morto il suo nome in arabo fa paura.
Francesca Paci
(da “La Stampa”)
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Aprile 10th, 2016 Riccardo Fucile AL NOSTRO TEAM INVIATO AL CAIRO IMPEDITO DI ASCOLTARE TESTIMONI DA UN REGIME DI ASSASSINI CHE PIACE TANTO AI “SOVRANISTI” DELLA PSEUDO DESTRA ITALIANA
Il regime militare che oppone il segreto e l’inviolabilità “costituzionale” della privacy delle comunicazioni per non consegnare traffici di cella e tabulati telefonici cruciali nell’indagine sugli assassini di Giulio Regeni, per otto settimane, tra il 5 febbraio e il 30 marzo, giorno e notte, ha monitorato ogni mossa, ogni spostamento e comunicazione del nostro team investigativo al Cairo.
Ha costretto a pratiche carbonare il nostro personale diplomatico.
Ne è stata testimone diretta Repubblica, nella seconda settimana di marzo al Cairo.Ne hanno avuto prova i tre uomini dello Sco della polizia e i tre del Ros dei carabinieri dopo pochi giorni dal loro arrivo al Cairo, alla metà di febbraio.
LA FONTE ASCOLTATA.
L’indagine, in quel momento, è alle sue primissime battute e la retorica della “cooperazione” con gli organi di polizia egiziana è al suo acme.
Ci si illude che, pur nel rispetto di un accordo politico bilaterale e del diritto internazionale che impediscono al nostro team di svolgere qualsiasi attività autonoma di indagine al Cairo, ai sei uomini di Sco e Ros sia quantomeno lasciato un margine per poter informalmente coltivare colloqui con fonti o testimoni in grado di orientare la ricerca della verità che, si dice allora come oggi, “è un comune obiettivo dei due Paesi”.
È, appunto, un’illusione.
Il nostro team – come, a marzo, riferirà a Repubblica una qualificata fonte investigativa – individua e raggiunge telefonicamente una persona ritenuta di un qualche interesse per le indagini.
Ha un’utenza cellulare egiziana e si dice disponibile a un incontro. Che non ci sarà . Dopo qualche ora dal contatto telefonico con il nostro team investigativo quella stessa persona viene convocata d’urgenza in una caserma della polizia egiziana, dove viene interrogata e le viene chiesto conto di cosa diavolo sappia e, soprattutto, di cosa diavolo vogliano sapere da lei quei ficcanaso di italiani.
È un segnale chiaro come il sole.
È l’incipit truce di una cooperazione che non comincia nè in quei primi giorni di febbraio, nè tantomeno nelle settimane che seguono.
E che costringe di fatto i sei investigatori del team agli “arresti domiciliari” nella palazzina liberty che ospita la nostra ambasciata a Garden City, quartiere residenziale sulla riva destra del Nilo.
“NIENTE MAIL Nà‰ CELLULARI”.
A Roma si prendono delle contromisure. Mentre Palazzo Chigi scommette sulla possibilità che il Regime si convinca dell’opportunità di consegnare la “verità “, i nostri apparati investigativi sono costretti a definire routine operative rigidissime, da guerra di spie.
Al team al Cairo viene vietato di utilizzare le mail, di agganciarsi a qualunque sorgente Wi-fi, in luoghi privati o aperti al pubblico, nonchè il servizio di messaggistica tradizionale da smartphone e l’applicazione WhatsApp (in quel momento ancora priva di crittografia automatica dei testi).
Le comunicazioni con Roma viaggiano solo attraverso “Signal”, l’applicazione correntemente utilizzata in Egitto per evitare di essere intercettati.
È interrotta, come misura precauzionale, ogni eventuale comunicazione diretta tra il team e la Procura della Repubblica di Roma, che, non a caso, incontrerà e avrà modo di confrontarsi con i sei uomini del Cairo solo al momento del loro ritorno a Roma. Per le chiamate in voce vengono esclusi i cellulari e consentite solo quelle attraverso alcune linee fisse dell’Ambasciata. Che, per altro, è in una condizione di fortezza assediata e spiata.
IL “LATO OVEST”.
Già , l’Ambasciata di un “Paese amico” dovrebbe essere terreno franco, perchè sovrano. Ma, nella prima metà di marzo, come Repubblica constata direttamente, è un luogo dove si è costretti a contromisure particolari.
E non tanto e non solo, evidentemente, per il pericolo di attentati (di cui è prova “fisica” la gimcana di jersey in cemento armato che ne rende impossibile l’accesso alle auto).
Sulla riva destra del Nilo, il villino liberty voluto da Vittorio Emanuele III nel 1927, che ospita gli uffici della nostra rappresentanza diplomatica ed è residenza del nostro ambasciatore Maurizio Massari, è, nei fatti, diviso da una linea immaginaria che sconsiglia conversazioni sul lato est dell’edificio.
Quello contiguo ai palazzi del quartiere, e in particolare da un appartamento che, in linea d’aria dista meno di un centinaio di metri, dunque nel raggio di microfoni direzionali, le cui luci sono costantemente e singolarmente spente ogni volta che cala il sole e le tende tirate ogni volta che si alza.
Su quel lato est della nostra ambasciata, se proprio si deve parlare, è meglio raccontarsi banalità . Altrimenti, dopo aver lasciato i cellulari a una qualche distanza, si trasloca sul lato Ovest.
Quello che affaccia sul lungo Nilo e la strada a scorrimento veloce che lo percorre, il cui rumore di traffico perenne è in grado di impastare e rendere meno decifrabili all’ascolto abusivo le conversazioni.
LA SORVEGLIANZA.
In quelle otto settimane, non va meglio una volta in strada. La nostra diplomazia lavora coraggiosamente sul caso Regeni in condizioni impossibili. Mentre il nostro il team, quando evade dalla sua “prigione”, limita all’essenziale i propri spostamenti, a piedi o in macchina, perchè regolarmente monitorati dagli apparati della sicurezza egiziana che, per altro, non provano neppure a dissimulare il “servizio”.
Gli incontri, quali che siano, sono fissati con preavviso minimo.
Un gioco tanto sfiancante quanto inutile, che ha il suo naturale esito nel catastrofico vertice di Roma, quando il bluff viene finalmente “visto”.
Carlo Bonini e Giuliano Foschini
(da “La Repubblica”)
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