Aprile 13th, 2016 Riccardo Fucile
MARCHINI CANDIDATO SINDACO E BERTOLASO CITY MANAGER CON SUPER-DELEGHE ALLE EMERGENZE DI ROMA… ENTRO MARTEDI’ L’ANNUNCIO DOPO GLI ULTIMI SONDAGGI
Sebbene le pubbliche dichiarazioni rilasciate dai due non facciano intendere che la stretta di mano sia
dietro l’angolo, i bookmaker della politica e registi occulti di questo scenario assicurano che la pace arriverà nel week-end, quando Silvio Berlusconi avrà analizzato gli ultimi sondaggi che gli verranno consegnati tra venerdì e sabato.
Gli esperti starebbero testando l’appeal di un ipotetico tandem Marchini-Bertolaso e il gradimento di quest’ultimo nei panni di city manager.
Se i risultati non dovessero deludere le aspettative, il Cav potrebbe presentare già da martedì i dettagli dell’accordo.
Chi ha modo di stargli vicino in questi giorni dice che l’unico modo per convincere il leader di Arcore a sacrificare il suo ex sottosegretario sarebbe prospettargli un nuovo schema di gioco in cui non verrebbe svilito il nome di Bertolaso ma anzi si esalterebbero le capacità di «uomo del fare».
Un abito che lo stesso ex capo della Protezione civile vedrebbe più adatto al suo profilo, avendo già dimostrato di non essere tagliato per vesti politiche.
Soluzione che andrebbe bene anche a Marchini che ieri ha dato segnali di apertura dichiarando ad Agorà : «Bertolaso è un uomo che ha la capacità di gestire operativamente, si esalta nell’operatività . Lo vedo bene come uno zar operativo, con una delega piena e forte nella riorganizzazione dell’area metropolitana, dove può mettere a frutto tutta l’esperienza che ha nel risolvere i problemi. Se potrò confrontarmi su delle soluzioni concrete con un uomo del fare, lo farò molto volentieri».
C’è un’altra ipotesi che circola ma meno accreditata della prima, che vorrebbe invece il passo indietro di Marchini a favore del candidato degli azzurri.
Non sarebbe previsto alcun logo di Forza Italia e Bertolaso guiderebbe una cordata di civiche. Una soluzione che, tuttavia, si affievolirebbe con il passare delle ore, tanto più se si analizzano le dichiarazioni di Bertolaso e Marchini.
Il primo ha più volte fatto intendere che per una vittoria del centrodestra sarebbe pronto a fare un passo indietro, il secondo invece ha sempre tirato dritto per la sua strada e su questo scenario, che Berlusconi continua a sognare, taglia secco: «La mia aspirazione di vita non è sostituire Mirko Coratti alla presidenza dell’Assemblea Capitolina – dice Marchini rispondendo indirettamente allo stesso Bertolaso che gli aveva chiesto di fare il suo presidente del Consiglio comunale – Il mio impegno per Roma non può smettere».
L’intesa sarà resa nota entro martedì e l’unica cosa certa è che Berlusconi chiuderà la partita su Roma con Marchini e non con gli alleati Lega e Fratelli d’Italia.
Giorgia Meloni si ritroverà con il cerino in mano e spetterà a lei decidere il da farsi: continuare in solitaria, oppure accodarsi al plotone Marchini-Bertolaso.
«Questa lezione, Giorgia, la ricorderà per molto tempo. Non si possono siglare coalizioni, scegliere i candidati e poi dare forfait e il ragionamento vale anche per Matteo Salvini» avrebbe confidato ai suoi Berlusconi.
(da “il Tempo”)
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Aprile 13th, 2016 Riccardo Fucile
IL PADRE AVEVA GIA’ PERSO PRIMA DI MORIRE: ERA CONTRARIO AL FATTO CHE I PARLAMENTARI SI METTESSERO IN TASCA 12.000 EURO AL MESE E FOSSERO SEMPRE IN TV
Ora tutto si gioca nella dinamica tra Davide, il figlio di Gianroberto Casaleggio, e Luigi Di Maio, il leader del direttorio dei Cinque Stelle.
I due per ora hanno un patto. Che è riassunto simbolicamente in un incontro cruciale avvenuto ieri.
Il giovane di Pomigliano d’Arco, salito tutto solo a Milano per recare visita in ospedale, s’è però intrattenuto – particolare decisivo – nel primo pomeriggio alla Casaleggio, a salutare Davide. Da soli. Nessun altro.
Il perchè proviamo a spiegarlo.
Gianroberto Casaleggio era stato di fatto scalato mentre era ancora in vita (in ospedale si era fatto registrare con un nomen omen: Gianni Isolato).
Aveva in parte provato a gestire e in parte subìto, complice la malattia e la crescente stanchezza, l’idea stessa di un direttorio nel Movimento cinque stelle.
Aveva certamente subìto – per debolezza e affievolimento delle forze – la metamorfosi di quei parlamentari che aveva creato, così in breve romanizzati e assimilati dal sistema, soprattutto su due punti cruciali delle regole che lui aveva dettato: non si va in tv, «una tv morta e di sistema», si prendono solo 2500 euro al mese e si restituisce tutto il resto; regole che di fatto non esistono più da tempo: oggi le webstar del Movimento ricevono quasi sempre sui dodicimila o tredicimila euro al mese tra indennità e rimborsi, e sono in tv dalla mattina alla sera.
Nulla di male, tanto meno di illegale, ma Gianroberto Casaleggio non voleva questo, e Grillo aveva promesso il contrario.
Se ciò è avvenuto è perchè Casaleggio aveva già perso ancor prima di morire: la politica romana l’aveva già sconfitto, inglobando e blandendo i ragazzi che lui – sia pure sotto il velo dell’«uno vale uno» – riteneva di controllare anche usando espulsioni, o il peso della sua autorevolezza, o semplicemente la paura che sapeva incutere.
Aveva dovuto mollare da tempo il controllo sui testi del blog – che ormai vengono composti spessissimo direttamente a Roma, da personaggi culturalmente elementari e rudimentali rispetto a lui.
Si era tenuto però due cose cruciali: la struttura dei server – cioè le chiavi materiali del blog, l’unico vero strumento politico unificante di quel magma che altrimenti sarebbe stato ed era il Movimento; e il sistema aziendale dei clic e dei siti satellite (con annessa pubblicità ).
Guarda caso, due prerogative aziendali che, alla Casaleggio, si devono – da quel che ci risulta – a Davide, il figlio avuto dalla prima moglie inglese. Gianroberto era l’uomo delle visioni, ma Davide era il braccio; da tempo e sempre di più.
Davide però non è un politico – anche il padre non lo era, nel senso della politica capace di mediare, di cambiare posizioni, la politica come una forma, anche nobile, di intelligenza relazionale, ma era un appassionato di politica e di visioni (spesso distopiche e apocalittiche).
Mentre Davide è sostanzialmente un manager, capace e freddo come manager, molto preparato, uscito dalla Bocconi, più abile del padre sul fronte dei soldi, ma non dotato dell’interesse politico comunque fortissimo che aveva il genitore.
La tenaglia che si delinea per quel partito-azienda che è il Movimento cinque stelle è, dunque, tutta qui: pensati come separati, il Movimento e l’azienda si sono fatalmente sovrapposti non fosse altro che per una ragione: sui server dell’azienda avvengono le tanto sbandierate elezioni online, credibili o meno che le giudichiate.
L’azienda detiene il blog di Grillo. Incassa sui video delle webstar parlamentari.
Può rinunciare il Movimento alla retorica delle elezioni on line?
O alla finzione che, dietro il blog, ci siano Grillo e Casaleggio e non, poniamo, Di Maio, la fidanzata Silvia Virgulti (o ancor meno l’ex del grande fratello Casalino)?
La partita si giocherà qui, è inesorabile.
Il direttorio deve mettere le mani anche formalmente su quei server, quel sito – e in prospettiva anche sull’associazione giuridica «MoVimento cinque stelle», al momento intestata a Beppe Grillo, Enrico Grillo, Enrico Maria Nadasi e Gianroberto Casaleggio.
Oppure deve tenersi ben caro l’appeasement con Davide, che da tempo fa tutto alla Casaleggio, e chiarissimamente è stato investito di una successione che abbiamo già raccontato: da tempo Gianroberto smistava tutto e tutti, anche delicate scelte politiche, al figlio, che le faceva pervenire a Di Maio.
Il patto tra i due, Davide e Di Maio, è stato per ora rinnovato. Di certo però alla Casaleggio hanno sempre visto Di Maio e Di Battista come «i nostri ragazzi»; fungibili.
E Davide li considerava fino a ieri come sottoposti al duo decisionale dell’azienda. Loro, dotati di enorme ambizione anche se non di carisma, lo accettavano a stento da Gianroberto, ma lo accetteranno dal figlio?
E d’altra parte, Davide saprà diventare un po’ «politico» per non finire scalato in breve tempo?
Se l’hanno fatto col padre, parrebbe ancor più possibile con lui.
Ma proprio un freddo – a differenza dell’emotivo Gianroberto – potrebbe rivelarsi un osso più duro per i due capipopolo napoletano e romano.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa“)
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Aprile 13th, 2016 Riccardo Fucile
ENTRO GIUGNO LA SCELTA ON LINE DEL LEADER….AL FIGLIO DI CASALEGGIO RESTA IL CONTROLLO DEL BLOG
«Presto non avrete più bisogno di parlare con me…», Gianroberto Casaleggio si rese subito conto che
quella battuta poteva prestarsi anche a interpretazioni non politiche. Appena uscito dal solito bar in via Morone, camminava a fatica, sottobraccio al fedele Pietro Dettori, storico impiegato della sua azienda.
«Scusate, oggi proprio non ce la faccio».
Era il primo pomeriggio di venerdì 11 marzo, e molto se non tutto era stato appena deciso, in una riunione mattutina alla quale erano presenti i cinque del direttorio, Beppe Grillo che a Milano stava trattando le nuove date del suo spettacolo, lui e suo figlio Davide. Nessun altro.
Quel giorno si parlò di ciò che sarebbe accaduto nel Movimento Cinque Stelle. Casaleggio verrà ricordato soprattutto per la sua teoria del web come arma di liberazione politica.
Ma nella vita quotidiana della sua creatura hanno sempre inciso di più le doti di pianificatore, il pragmatismo quadrato. Mai avrebbe consentito che la sua scomparsa potesse coincidere con l’anno zero. E quella riunione serviva a lasciare linee guida chiare, almeno nella loro enunciazione.
La prima, e la più importante, riguarda la ricerca di un nuovo leader, dotato di quei poteri riservati finora ai due cofondatori.
A farla breve, il candidato premier alle prossime elezioni politiche, giudicate imminenti. La scelta avverrà entro il prossimo giugno, naturalmente online, su questo Casaleggio non ha mai voluto sentire discussioni, nonostante i recenti pasticci.
Piaccia o non piaccia, all’interno del Movimento a molti non piace, ma ogni indizio porta all’incoronazione di Luigi Di Maio, non a caso etichettato da Grillo come un «Casaleggio senza capelli». Più di una battuta.
Il Casaleggio originale sapeva bene che il successo ottenuto alle elezioni politiche del 2013 aveva chiuso in modo definitivo la fase pioneristica del Movimento Cinque Stelle.
Il direttorio non gli venne imposto ma fu una sua scelta, necessaria per colmare il vuoto lasciato da Grillo, che dopo le Europee del 2014 aveva mollato la presa.
Anche se la malattia non l’avesse vinto in così poco tempo, era già stato deciso di assegnare maggior potere decisionale al gruppo dei cinque parlamentari che avranno voce in capitolo anche su selezione dei candidati ed espulsioni.
Il baricentro si sposterà sempre più a Roma.
Ma il cosidetto movimento-azienda non finisce certo con la morte del titolare della Casaleggio e associati.
Suo figlio Davide diventerà il titolare del sistema operativo che consente l’accesso al blog. I codici del Movimento Cinque Stelle restano così in famiglia, e non si tratta certo di una promozione.
Erano mesi ormai che Casaleggio junior faceva le veci del padre, spesso impossibilitato a svolgere il proprio lavoro.
La famosa scomunica di Federico Pizzarotti e degli altri sindaci 5 Stelle «in cerca di visibilità » apparsa sul sacro blog era firmata dal padre ma concepita e scritta dal figlio, così come la recente intemerata nei confronti di un giornalista della Stampa «reo» di aver parlato delle reali condizioni di salute del cofondatore milanese.
La successione dinastica avverrà anche sul piano legale e amministrativo.
Gianroberto Casaleggio era infatti uno dei quattro membri dell’associazione a cui fa capo il Movimento Cinque Stelle, titolare della proprietà del simbolo e del conseguente potere di revoca. La sua quota verrà rilevata da Davide.
A volerlo è stato soprattutto Grillo.
La scomparsa del suo alter ego avrà conseguenze anche per lui. Casaleggio aveva assecondato il passo indietro dell’amico, senza mai condividerlo fino in fondo.
Era consapevole del fatto che al momento non è dato un M5S senza Grillo. Le dichiarazioni pubbliche non andavano in tal senso, ma era una delle sue maggiori preoccupazioni.
L’ex comico, momentaneamente tornato a essere tale, ha promesso di rimettersi in gioco, non da subito.
Nei prossimi mesi la sua presenza si sentirà soprattutto sul blog. Quando verranno nuove elezioni politiche, l’impegno cambierà .
Grillo sarebbe pronto eventualmente a sobbarcarsi anche un altro «Tsunami tour», come nel fatidico 2013.
Casaleggio se n’è andato con la consapevolezza di lasciare dietro di sè equilibri incerti. Ma non era un uomo tenero. La vocazione autoritaria di M5S veniva da lui. L’ultimo lascito è una stretta sulle regole, con l’introduzione di un antico pallino, un ricorso maggiore alla pratica del «recall», ovvero l’avvio della procedura di espulsione di un eletto nel caso quest’ultimo riceva la sfiducia di almeno 500 iscritti del territorio di provenienza.
L’adesione alle regole non ha mai previsto deroghe , meno che mai adesso.
Con la sua scomparsa ci saranno possibili riposizionamenti interni, e altrettanti mal di pancia. La risposta sarà sempre la stessa.
Emanuele Buzzi e Marco Imarisio
(da “il Corriere della Sera“)
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Aprile 13th, 2016 Riccardo Fucile
“IL FIGLIO DAVIDE E IL DIRETTORIO CERCHERANNO UN COMPROMESSO, GRILLO RESTERA’ IN DISPARTE”
«Ora si apre la successione al potere. Da tempo nel M5S non si pensa ad altro».
Dalla notizia della morte di Gianroberto Casaleggio sono passate poche ore ma per Adriano Zaccagnini – deputato di Sinistra Italiana, tra i primi a lasciare il MoVimento 5 Stelle, nel giugno 2013 – è già il tempo di fare i conti con il dopo.
La sua frase sui social si attira le critiche dei vecchi compagni di viaggio, ma Zaccagnini non fa marcia indietro.
D’altronde già quello che disse all’indomani dell’addio mostrava quanto poco idilliaci fossero i suoi rapporti con la «governance» del MoVimento: «Non è Grillo il problema, ma l’approccio aziendalista del M5S, lo staff di cui si sta fidando».
Onorevole Zaccagnini, qual è stato il suo primo pensiero alla notizia della morte di Casaleggio?
«Ho provato grande sconforto. Se ne va un personaggio importante della politica, che io ho sempre considerato un avversario e mai un nemico».
Sui social, in realtà , ha scritto anche altro.
«E lo confermo. Le notizie sulla malattia di Casaleggio erano note e da settimane si rincorrono le indiscrezioni su chi sarà il delfino “politico” e chi invece erediterà la macchina organizzativa del MoVimento. Oggi questi temi sono ancora più d’attualità ».
Si riferisce a Davide Casaleggio e a Luigi Di Maio?
«A Davide, certo. E, in quanto ai parlamentari, a Di Maio ma non solo. Davanti al MoVimento 5 Stelle ora si aprono tre strade. Se prevarrà la tendenza dispotica si assisterà a una successione di tipo dinastico, con al timone di comando il figlio di Casaleggio e uno staff sul quale continua ad aleggiare il mistero. La seconda ipotesi è che gli esponenti del “Direttorio” trovino un compromesso con Davide per approfittare della situazione e conservare la visibilità finora ottenuta. A quel punto il resto dei parlamentari non potrebbe contare su leader in grado di condurre una battaglia contro questo epilogo. Infine l’ipotesi più democratica: la creazione di uno statuto e di processi di selezione della classe dirigente come quelli degli altri partiti. Lo scenario migliore, ma temo il più improbabile».
Che ricordo porterà con sè di Casaleggio?
«Quello di una persona colta e intelligente. Ma che ha utilizzato queste sue capacità non per innovare realmente la politica, bensì per creare un partito azienda che lui ha guidato da manager dispotico».
Si spieghi meglio.
«Ha governato il MoVimento con la logica del “divide et impera”. È stato lo stesso metodo attraverso è stata selezionata la prima classe dirigente dei Cinquestelle. Favorendo una conflittualità interna per vedere chi stava dalla propria parte e poi premiarlo. Si sono creati legami peggiori di quelli dell’odiata partitocrazia. Laddove contava il consenso, nel MoVimento 5 Stelle è subentrato il concetto di fedeltà al capo. Una sorta di setta in cui Casaleggio poteva decidere della vita e della morte mediatica dei suoi parlamentari. Credo che Gianroberto si sia reso protagonista di un arretramento democratico del MoVimento, coinciso con quel passaggio mai chiarito da “consulente tecnico” a cofondatore».
Crede che Grillo ritornerà in un ruolo di primo piano per accompagnare questa fase di «transizione»?
«No, continuerà a mettersi “di lato”. D’altronde lui è sempre stato l’attore politico, ma l’autore era un altro. Peraltro, se il MoVimento dovesse franare a causa delle faide interne che gli iscritti conoscono molto bene, Grillo verrebbe indicato come il capro espiatorio. Invece credo voglia lasciare quel ruolo ai cinque del Direttorio».
Carlantonio Solimene
(da “il Tempo”)
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Aprile 13th, 2016 Riccardo Fucile
“GLI ANIMALI DISLOCATI NEI PUNTI NEVRALGICI, HO GIA’ PRESO CONTATTI”
Può accadere tutto in questa campagna elettorale.
Anche che ci sia un graffio felino sulla scheda. Martedì il candidato Antonio Razzi ha tirato fuori un’idea notevole, «uno dei punti principali del mio programma da sindaco è liberare la città dai ratti. Non c’è piu tempo, più giorni passano e piu aumentano i topi che ormai hanno invaso Roma». E chi può liberare le strade dai topi? Ovviamente i gatti: elementare ed ecologico.
La ricetta di Razzi
Così il senatore di Forza Italia, che aspira al soglio capitolino, si è informato ed ha tirato fuori la soluzione.
«Ecco la mia ricetta per risolvere l’annoso problema che assilla i romani – racconta- , ho già preso contatti per far arrivare a Roma qualcosa come 500mila gatti asiatici che saranno poi dislocati nei punti nevralgici della città per una sorta di mega derattizzazione all’insegna dell’ambiente».
Il senatore ha pensato a tutto: « Ma non finisce qui- continua -, la cura dei gatti sarà affidata alle simpatiche gattare romane».
I topi avranno presto – se Razzi sarà premiato dagli elettori – il loro bel da fare con i gatti esotici.
La sterilizzazione di massa
Ma cosa diranno di questa novità i 300mila gattoni romani (180mila in casa e 120 in strada), simbolo della città , tanto da ispirare cartoni animati e film?
Romeo er mejo gatto del Colosseo cosà penserà quando vedrà i cugini orientali correre ai Fori dietro ai ratti.
Forse si domanderà perchè non abbiamo salvato qualche generazione di gatti romani, cancellate dalla sterilizzazione di massa a cui le amministrazioni comunali li hanno sottoposti negli ultimi anni?
I ratti romani li conoscono meglio loro.
Maria Rosaria Spadaccino
(da “il Corriere della Sera”)
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Aprile 13th, 2016 Riccardo Fucile
E PAIETTA QUATTRO ANNI DOPO SI RECO’ ALLA CAMERA ARDENTE DEL LEADER DEL MSI… IL SAPORE ANTICO E PERSO DI UNA POLITICA IN CUI C’ERA IL SENSO DEL RISPETTO
La versione più accreditata rivela che Giorgio Almirante arrivò a piazza Venezia accompagnato dal
fido Mario De Girolamo, l’autista di sempre. La Fiat 130 grigia si fermò sul lato della basilica di san Marco. Il segretario del Msi, sceso dall’auto, proseguì a piedi.
Un’altra campana sostiene che il segretario missino sia sgattaiolato dal suo nuovo (allora) ufficio di via della Scrofa senza dire nulla a nessuno. Neppure alla mitica signora Gila, la segretaria che pure tutto sapeva e tutto custodiva.
Comunque, in quella calda giornata di giugno, Almirante si incamminò spedito verso la vicina sede nazionale del Partito comunista italiano.
Enrico Berlinguer era deceduto dopo qualche giorno di agonia.
Davanti al palazzone di via Botteghe Oscure una folla commossa, crescente, si accalcava in silenzio. Attendeva paziente di poter rendere l’ultimo saluto al segretario del partito.
Per questo, probabilmente, pochi fecero caso a quello smilzo signore coi baffetti. Nessuno deve averlo riconosciuto subito.
Anche perchè nessuno avrebbe potuto immaginare quel che stava accadendo. Che cioè il nemico, il più distante e forse il più odiato avversario politico della sinistra comunista potesse trovarsi lì da solo.
Proprio in quel giorno così triste.
Quel che è certo è che Almirante riuscì a mettersi in fila. Posizionandosi in una delle code formate da tutti quei militanti che aspettavano mesti di varcare l’enorme portone del Bottegone.
Certo è che, improvvisamente, un brusio cominciò a levarsi. E che quegli uomini e quelle donne in attesa volsero lo sguardo verso lui, verso quell’uomo distinto e impassibile. Increduli molti. Stupiti.
Quel che accadde dopo è cronaca: l’efficiente servizio d’ordine del Pci di allora, individuato l’ospite inatteso ne diede subito notizia ai dirigenti del partito che stazionavano all’interno.
Qualche minuto e Giancarlo Pajetta fendendo la folla raggiuse Almirante e lo invitò a seguirlo.
Quattro anni dopo, proprio Pajetta guidò la delegazione del Pci che rese omaggio ai feretri di Almirante e Romualdi.
Quel giorno, quel 12 giugno del 1984, il leader del Movimento sociale italiano, il capo dei neofascisti, entrò per la prima ed unica volta nel palazzo della direzione del Pci e chinò la testa dinnanzi al feretro del segretario comunista morto a Padova.
Un gesto forte. Di stima. Verso un avversario giudicato irriducibile, ma leale.
Perchè leali, seppur su opposte barriccate, lo erano stati entrambi.
Come si poteva allora.
Come si poteva in un tempo macchiato da tanto sangue, da tanto dolore.
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Aprile 13th, 2016 Riccardo Fucile
MA SE RITENETE GIUSTO ANDARE FATE COME ALMIRANTE CON BERLINGUER, SENZA TANTE PALLE… CHI CONTESTA AI FUNERALI DIMOSTRA SOLO DI ESSERE UN IMBECILLE
Il dilemma riguarda qualcosa che va oltre la semplice questione di opportunità politica: “Mandiamo qualcuno ai funerali di Gianroberto Casaleggio?”.
È da ieri che i vertici dei partiti ne discutono.
Se lo chiede il Pd, se lo chiede Forza Italia, se lo chiede Sinistra italiana.
“Non abbiamo ancora deciso cosa fare. È un tema non ancora risolto che va valutato bene”, dice una delle persone più vicine a Matteo Renzi: “Quando il lato umano e quello politico si mescolano è sempre difficile sbrogliare la matassa, specialmente in questo caso, in cui non abbiamo a che fare con un partito tradizionale”.
Casaleggio non era propriamente il leader del Movimento 5 Stelle, ma era il suo fondatore.
Era soprattutto la guida politica del principale gruppo di opposizione, di tutti quei parlamentari arrivati alla Camera e al Senato per “aprire le Istituzioni come una scatoletta di tonno” e non mescolarsi mai con gli altri partiti.
Quindi, si osserva, “potremmo creare disturbo al funerale”. Come a dire “non essere graditi”.
Non è un caso se nel giorno della morte del proprio fondatore i 5Stelle abbiamo rifiutato che nelle Aule si osservasse un minuto di silenzio in suo ricordo: “Gianroberto non avrebbe voluto. A cosa serve qua commemoralo se loro lo hanno sempre insultato? La storia dirà quanto Casaleggio era una persona straordinaria”, dice Danilo Toninelli, addolorato e arrabbiato, prima della dichiarazione di voto sulle riforme costituzionali.
“Ecco, figuriamoci se ci vogliono al funerale di Casaleggio. Noi avremmo voluto ricordarlo anche alla Camera ma loro ci hanno risposto di no”, ricorda nel day after il capogruppo dem Ettore Rosato.
In mattinata un componente della segreteria dem va al nocciolo della questione: “Non vorremmo che il funerale di Casaleggio diventasse un’occasione per essere contestati”.
Perchè il pericolo c’è, dal momento che nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie ci saranno molti militanti grillini che andranno a porgere l’ultimo saluto a chi ha creato il Movimento.
Per questo qualcuno sta ragionando se mandare o meno secondo o terze file dei partiti. Persone cioè meno conosciute. Ci stanno pensando gli azzurri e ci sta pensando Sinistra italiana, che valuta l’ipotesi di mandare alcuni consiglieri di Milano.
Ma a Milano, ed è qui un altro dubbio amletico, c’è Matteo Renzi, arrivato da Teheran per visitare il Salone del Mobile.
A pochi chilometri di distanza da lui c’è la camera ardente allestita per Casaleggio. E lì davanti ci si chiede: “Ma il premier verrà o non verrà ?”.
Beppe Grillo e il Direttorio intanto sono andati via.
(da “Huffingtonpost“)
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Aprile 13th, 2016 Riccardo Fucile
LO SCANDALO HA DECAPITATO LA CLASSE POLITICA VENETA, OTTO GLI IMPUTATI: DALL’IMPRENDITORE ERASMO CINQUE ALL’EX PARLAMENTARE DI FORZA ITALIA LIA SARTORI
Tutti uniti contro il grande smemorato di Venezia, l’ingegnere Giovanni Mazzacurati, il padre del
Mose che, dopo aver pagato a destra e a manca, alla fine ha vuotato il sacco, mettendo nei guai decine di politici, imprenditori e faccendieri.
Da tempo emigrato negli Stati Uniti, malato, non trasportabile in Italia per deporre e incapace di ricordare, il padre-padrone del Consorzio Venezia Nuova è l’architrave del processo per corruzione che si apre giovedì 14 aprile nel Tribunale lagunare. Proprio per questo diventerà un bersaglio (sfuggente) da confutare nella sua credibilità , nonostante abbia superato innumerevoli volte il vaglio dei giudici in udienze preliminari, riti abbreviati e ricorsi contro le misure cautelari emesse a partire dal giugno 2013.
Quello che va ad incominciare è l’unico dibattimento pubblico per lo scandalo che ha decapitato la classe politica veneta e portato alla luce uno scialo senza precedenti di denaro pubblico, dietro la facciata dell’emergenza da acqua alta e della necessità di salvare con un sistema di dighe mobili la città fragilissima che sorge sull’acqua.
Gli imputati sono otto, residua pattuglia di un centinaio di indagati che hanno preferito definire con riti alternativi le rispettive posizioni (come l’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan).
Del gruppetto fanno parte, tra gli altri, Giorgio Orsoni, avvocato ed ex sindaco di Venezia, Lia Sartori, ex europarlamentare di Forza Italia, Altero Matteoli, già ministro delle infrastrutture e dei trasporti in un governo Berlusconi, Maria Giovanna Piva, ex presidente del Magistrato alle acque, e l’imprenditore romano Erasmo Cinque, amico di Matteoli.
Cercheranno di rendere inutilizzabili o di smantellare le centinaia di pagine di verbale firmate da Mazzacurati, che hanno permesso al procuratore aggiunto Carlo Nordio, ai sostituti procuratori Stefano Ancilotto e Stefano Buccini, di costruire un’inchiesta monumentale.
Sul fronte dell’attendibilità di Mazzacurati i difensori di Lia Sartori (accusata di un finanziamento illecito di 100 mila euro) sono pronti a giocare le carte più pesanti. Nella lista testi presentata dagli avvocati Pierantonio Zanettin e Alessandro Moscatelli figurano infatti alcuni medici, in particolare un neurologo, che sosterrebbero come il presidente del CVN avesse difficoltà di ricordare con precisione già nel 2011-12.
E’ il tentativo di dimostrare che, se non ha mentito intenzionalmente, può comunque aver confuso date, circostanze, dazioni di denaro e persone che ne avrebbero beneficiato.
Su questa strada si avvieranno anche gli altri difensori, a cominciare da Francesco Arata e Carlo Tremolada che assistono Orsoni, l’ex sindaco di Venezia eletto nel 2010 da una coalizione di centrosinistra.
E’ la posizione forse più controversa. Orsoni, accusato di aver percepito 400 mila euro da Mazzacurati per finanziarsi la campagna elettorale, finì ai domiciliari, ma nel giro di qualche giorno decise di collaborare.
Negò nella sostanza di aver saputo che il Consorzio aveva contribuito lautamente alle sue spese elettorali, ma diede ai Pm qualche conferma, sufficiente per farlo tornare in libertà , con un accordo di patteggiamento così basso da indurre però il gup a non accoglierlo.
Adesso Orsoni spergiura la propria innocenza, sostenendo che non si occupò di soldi e spese elettorali, ma che a farlo erano i maggiorenti del Pd veneziano, oltre al suo mandatario.
I rapporti con Mazzacurati, poi, non erano idilliaci. Il sindaco voleva che i finanziamenti della Legge Speciale andassero alla città di Venezia, l’ingegnere avrebbe voluto tutto per il Mose.
E’ per questo che Orsoni ha citato come testimoni due politici di primo piano, ma di diversa appartenenza, come Gianni Letta, ex sottosegretario di Palazzo Chigi all’epoca di Berlusconi, e dell’ex ministro Corrado Passera.
Dovrebbero confermare che Orsoni e e Mazzacurati non avevano alcun accordo sotterraneo, anzi erano rivali.
Per l’ex ministro Matteoli, infine, l’accusa di corruzione riguarda 550 mila euro asseritamente ricevuti per favorire l’assegnazione all’amico imprenditore Erasmo Cinque di lavori di bonifica a Marghera.
Inizialmente Matteoli era indagato per due distinte dazioni, ma a dicembre i Pm hanno riformulato l’accusa ritenendo che il denaro “faceva parte del medesimo disegno criminoso” e che Matteoli non sarebbe intervenuto su più fatti in base a più richieste, ma nella continuità di un accordo senza limiti di atti e di tempo.
Giuseppe Pietrobelli
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 13th, 2016 Riccardo Fucile
LA RICERCA ARAB YUOTH SURVEY: LE NUOVE GENERAZIONI INSEGUONO IL SOGNO DI UN LAVORO E LA STABILITA’
Non credono più nella rivoluzione innescata dalle ‘primavere arabe’, ma neanche nel progetto diabolico dell’Isis.
Leggono poco i giornali e molto Facebook, inseguono il sogno di un lavoro e della stabilità più che gli ideali della democrazia.
Sono le nuove generazioni di arabi, un esercito di 200 milioni di ragazzi tra i 15 e i 24 anni fotografati nell’Arab Youth Survey, ricerca annuale condotta dalla società di consulenza internazionale Burson-Marsteller.
Basato su 3.500 interviste individuali, il sondaggio rivela che per i giovani arabi l’Isis rappresenta il “più grande problema del Medio Oriente” e che il suo piano è destinato a fallire.
Nei 16 paesi dove è stata condotta la ricerca – Algeria, Bahrein, Egitto, Iraq, Giordania, Kuwait, Libano, Libia, Marocco, Oman, Autorità palestinese, Qatar, Arabia saudita, Tunisia, Emirati arabi e Yemen – i jihadisti raccolgono solo il 13% dei consensi tra i ragazzi, il 6% in meno di un anno fa.
Consensi che, comunque, sarebbero concessi solo “nel caso in cui l’Isis rinunciasse alla violenza”.
Non sembrano avere la vocazione per la guerra santa, dunque, la maggioranza dei giovani interpellati per i quali la disoccupazione e la mancanza di opportunità sono considerate le prime cause di radicalizzazione.
Un dato inquietante se si considera che, stando ai numeri dell’Organizzazione internazionale del lavoro, i giovani disoccupati nei paesi arabi potrebbero arrivare fino a 70 milioni.
Nella lista dei paesi coinvolti manca la Siria, ma sul conflitto che la sta insanguinando da oltre cinque anni i giovani intervistati hanno le idee chiare.
Il 39% è convinto che il conflitto sia una “guerra per procura” combattuta tra poteri regionali e mondiali; il 29% la considera una rivoluzione contro il regime di Bashar al Assad e solo per il 22% è una guerra civile tra siriani.
La ricerca traccia anche un interessante quadro sulla generazione post ‘primavere arabe’. Per un giovane arabo su cinque oggi la “stabilità ” è più importante della democrazia, mentre nel 2011 il sogno del 92% dei ragazzi arabi era “vivere in un paese democratico”. E solo il 36% pensa che il mondo arabo oggi si trovi in una condizione migliore rispetto al periodo precedente alle rivoluzioni (nel 2012 la percentuale era del 72%).
Detto questo, due terzi dei giovani arabi chiedono ai loro leader di fare di più sul fronte delle libertà individuali e dei diritti umani, soprattutto delle donne.
Aumentano anche i giovani arabi che si informano su internet (32%), il 29% guarda i notiziari in tv e solo il 6% compra il giornale.
Infine per un giovane su quattro (il 22%) gli Emirati arabi uniti sono considerati il “paese ideale in cui vivere” e un “paese modello” per il 23%.
Tuttavia, la società di consulenza autrice del sondaggio, che ha un ufficio anche a Dubai, non ha fatto domande specifiche sulle violazioni negli Emirati che quotidianamente vengono denunciate dalle organizzazioni per la tutela dei diritti umani.
(da agenzie)
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