Destra di Popolo.net

I LEADERINI CHE A CASA LORO NON PRENDONO NEANCHE IL 20%

Aprile 16th, 2016 Riccardo Fucile

NELLA CAPITALE DELLA PADANIA LA LEGA NON VA OLTRE IL 17% NEL SONDAGGIO PIU’ FAVOREVOLE, AL 12% IN QUELLO PEGGIORE…E NELLA ROMA DOVE IL CENTRODESTRA VALEVA IL 50% LA MELONI RESTA SOTTO QUOTA 20%…. CHI RAPPRESENTANO?

In attesa che i nodi vengano al pettine, leggi candidature ufficiali e inizio della campagna elettorale, le vicende interne al centrodestra meritano una riflessione da una angolatura particolare, quella del carisma leaderistico dei presunti vertici della presunta destra nostrana.
Quanti voti prendono nelle loro roccaforti Salvini e la Meloni?
Iniziamo da Salvini che non a caso, di fronte alla proposta di candidarsi a sindaco di Milano, è scappato a una velocità  persino maggiore di quando a Bologna ha intravisto a 200 metri i suoi ex amici dei centri sociali.
Eppure un leader, nella capitale della sua Padania, non dovrebbe temere l’esito elettorale.
In realtà  la Lega a Milano non conta una cippa, le sue quotazioni variano dall’11,5% al 17%, a seconda dei sondaggisti, poco sotto Forza Italia.
Tradotto: da sola non va da nessuna parte.
E Salvini infatti si è ben guardato dal rischiare la brutta figura che vorrebbe facesse invece la Meloni a Roma.
A Roma la somma tra Fdi e Lega è data tra il 17% e il 20%: anche qui con queste percentuali può vincere solo la coppa del nonno.
Eppure notoriamente Roma è una città  dove il centrodestra rappresenta almeno il 50% dei cittadini, se avessero motivo di andare a votare.
Giova ricordare che i leader del centrodestra negli ultimi 20 anni, da Berlusconi a Fini, nelle loro roccaforti raggiunsero consensi di partito a livelli ben più alti, come peraltro accade all’estero (vedi Marine Le Pen in Francia).
Per non parlare del misero 13,5% e 4% nazionale di cui sono accreditati Lega e Fdi, percentuali ormai vicine a quelle della Lega di Bossi da un lato e appena un terzo dei consensi che raccoglieva AN dall’altro.
E allora le Tv non erano impestate quotidiamente dalla presenza di Bossi e/o Fini e non si doveva assistere a repentini cambi di felpe o ad annunci di gravidanze programmate.
E il fenomeno profughi su cui speculare non si era manifestato con tale virulenza.
Insomma, nelle condizioni di campo migliori, questi due presunti bomber sollevano più zolle dal campo che ovazioni del pubblico pagante.
Prima rientrano negli spogliatoi meglio è per lo spettacolo.

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IRAQ, ELICOTTERI ITALIANI IN PRIMA LINEA CONTRO IL CALIFFATO

Aprile 16th, 2016 Riccardo Fucile

OTTO VELIVOLI OPERATIVI NELLA ZONA DI MOSUL: PER PROTEGGERE LA DIGA E AIUTARE I CURDI… E ARRIVERANNO ANCHE 450 SOLDATI

Missioni in «condizioni non permissive»: un eufemismo formidabile che mimetizza l’ingresso dell’Italia nella prima linea della guerra contro lo Stato Islamico.
Nel 1999 i bombardamenti in Kosovo vennero chiamati «difesa integrata», oggi invece in Iraq comincia «l’attività  di personnel recovery in condizioni non permissive».
Cosa significa? Otto elicotteri italiani interverranno per soccorrere feriti e recuperare soldati accerchiati.
Se necessario, lo faranno anche sotto il fuoco nemico, combattendo e atterrando alle porte di Mosul, la capitale del Califfato.
Per questo a Erbil è cominciato lo schieramento della brigata Friuli, la nostra “cavalleria dell’aria” che traduce in tattiche moderne le azioni congiunte di elicotteri e fanti rese celebri dal film “Apocalypse now”.
I primi quattro velivoli sono già  arrivati nel Kurdistan iracheno, il resto dello squadrone li raggiungerà  entro fine mese.
La stampa locale li ha accolti con entusiasmo: i peshmerga non hanno mai avuto un sostegno così potente
I nuovi soldati saranno solo 130, tutti veterani e specialisti in questo genere di operazioni ad alto rischio.
Ma grazie agli italiani adesso i battaglioni curdi possono contare notte e giorno su quattro elicotteri NH90, uno dei mezzi migliori esistenti al mondo, con dotazioni d’avanguardia: hanno cabine blindate, apparati per evitare i missili terra-aria, mitragliere a canne rotanti.
Ognuno trasporta due squadre di incursori con i loro equipaggiamenti oppure tre barelle con la strumentazione medica per la prima assistenza.
Ma a incoraggiare i peshmerga è soprattutto l’imminente arrivo di quattro elicotteri da battaglia Mangusta, le cannoniere volanti che proteggono i nostri soldati in tutte le missioni estere.
Sono velivoli corazzati, armati con un pezzo a tiro rapido e missili a guida laser: in Afghanistan i Taliban fuggono al solo rumore dei loro rotori, perchè si sono dimostrati uno “strumento di deterrenza” – altro eufemismo militare – impressionante.
I documenti interni del Pentagono rivelati da Wiki-Leaks descrivono decine di raid condotti dai Mangusta, con un numero di vittime rimasto top secret.
La nuova spedizione in Iraq invece non è un segreto.
A febbraio il ministro Roberta Pinotti l’ha annunciata in tutte le sedi. Ma forse i nostri parlamentari, spesso disattenti alle questioni militari, ne hanno sottovalutato l’impatto operativo.
Perchè lo squadrone della Friuli entrerà  in azione a maggio, in contemporanea con l’attesa offensiva per liberare Mosul, la città  dove al Baghdadi ha proclamato il Califfato.
Non sarà  una passeggiata. Lo Stato Islamico è sicuramente in difficoltà  e si sta ritirando su tutti i fronti. Ha meno finanziamenti, meno volontari stranieri, meno rifugi sicuri ma resta comunque temibile.
I miliziani con la bandiera nera si stanno concentrando nelle città  più fedeli, trasformandole in roccaforti protette da ogni genere di trappola esplosiva: il centro di Ramadi, riconquistato due mesi fa, non è stato ancora bonificato dalle mine.
E, nonostante i colpi subiti, i battaglioni dello Stato Islamico non rimangono sulla difensiva.
Lanciano sortite continue, soprattutto contro le basi dell’esercito iracheno, nel tentativo di demoralizzarne i ranghi. Mandano kamikaze alla guida di camion imbottiti di tritolo e coperti di lastre d’acciaio, “rinoceronti” con cui sfondano i check point e fanno saltare in aria le caserme.
Il cuore degli scontri è la cittadina di Makhmour, il trampolino per l’assalto verso Mosul.
I generali occidentali credono che per espugnare la capitale del Califfato servano tra 24mila e 36mila soldati.
Finora però il governo di Bagdad è stato in grado di raccogliere meno di 5mila uomini, un’armata troppo piccola per l’assedio.
Gli americani cercano di sostenerla in tutti i modi. I marines hanno costruito una base d’artiglieria, che copre con i suoi cannoni a lungo raggio i movimenti delle colonne irachene. E ogni giorno gli aerei della Coalizione internazionale bombardano i fortini dello Stato islamico intorno a Mosul: solo giovedì ci sono stati 21 raid.
I piani per la grande offensiva però sono frenati dalla situazione politica di Bagdad, dove il primo ministro Abadi affronta da settimane una crisi che paralizza il parlamento e blocca le mobilitazione.
Una situazione che preoccupa pure le Nazioni Unite, che temono di vedere l’Iraq frantumarsi in tanti staterelli l’uno in conflitto con l’altro: «L’unico partito che trarrà  vantaggio da queste liti e dall’indebolimento delle istituzioni è il Daesh», hanno dichiarato ieri i rappresentanti dell’Onu
È in questo scenario confuso che atterrano a Erbil gli otto elicotteri italiani.
E che cominciano i sopralluoghi per una missione molto più complessa: i lavori della diga di Mosul, affidati alla Trevi di Cesena.
Sarà  un cantiere colossale – l’opera di cemento è alta 131 metri e lunga più di tre chilometri – e verrà  protetto da altri 450 fanti, con mezzi blindati e armi pesanti. Questa task force entro l’estate diventerà  il più importante contingente occidentale in Iraq: nessun paese straniero ha tanti soldati in una singola posizione.
Una base enorme da difendere, a venti chilometri dalle posizioni del Califfato.

Gianluca Di Feo
(da “La Repubblica”)

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PETROLIO, INDAGATO VICE DI CONFINDUSTRIA: “ASSOCIAZIONE A DELINQUERE PER PORTO DI AUGUSTA”

Aprile 16th, 2016 Riccardo Fucile

PER I PM DI POTENZA IVAN LO BELLO AVREBBE FATTO “LEVA PER OTTENERE NOMINE DI PUBBLICI AMMINISTRATORI COMPIACENTI” PER ASSICURARSI IL CONTROLLO DI UN PONTILE

Il vicepresidente di Confindustria Ivan Lo Bello è indagato dalla Procura di Potenza. La circostanza emerge dagli atti dell’inchiesta su petrolio e appalti che ha portato anche alle dimissioni dell’ex ministro Guidi che i pm definiscono “inconsapevole strumento del clan”.
Per assicurarsi il controllo di un pontile nel porto di Augusta, secondo i pm, fu costituita un’associazione per delinquere composta da Gianluca Gemelli, Nicola Colicchi, Paolo Quinto e lo stesso Lo Bello.
A Colicchi e Gemelli è attribuito il ruolo di “promotori, ideatori ed organizzatori”; a Quinto e Lo Bello quello di “partecipanti”.
Scopo del sodalizio, tra l’altro, fare del porto di Augusta (Siracusa), città  natale di Gemelli, uno dei principali poli di stoccaggio di petrolio nel Mediterraneo. Un affare da 20 milioni di euro l’anno.
Scoppiata l’inchiesta Lo Bello aveva cercato di chiamarsi fuori, dicendosi “deluso” e   “tradito” dall’amico Gemelli, scaricando di fatto il fidanzato dell’ex ministro Guidi. Sostenne anche che Gemelli non gli parlò mai di un interesse per il pontile nel porto di Augusta.
E invece le contestazioni all’associazione partono proprio dal pontile nel porto di Augusta per estendersi anche ad altri progetti di impianti energetici e permessi di ricerca e i “Sistemi di difesa e sicurezza del territorio” da attuare in Campania.
Per gli inquirenti l’organizzazione faceva “leva, soprattutto al fine di ottenere nomine di pubblici amministratori compiacenti o corruttibili, sul contributo di conoscenze ed entrature politico-istituzionali acquisite in anni di militanza politica da Quinto e Colicchi”.
Gli inquirenti citano l’esempio di Alberto Cozzo, commissario straordinario del porto di Augusta, che è indagato e che ottenne la riconferma nell’incarico.
Quinto è indicato negli atti dell’inchiesta come capo della segreteria della senatrice Anna Finocchiaro (Pd), Colicchi come componente dell’esecutivo nazionale della Compagnia delle Opere e con un ruolo nella Camera di Commercio di Roma.
L’organizzazione viene definita “rudimentale” dagli inquirenti, secondo i quali però “il gruppo di indagati ha mostrato di essere permanentemente impegnato in attività  che, seppure connotate da finalità  lecite, vengono perseguite attraverso condotte illecite, quali il traffico di influenze illecite e l’abuso d’ufficio”.
Riferendosi in particolare al pontile nel porto di Augusta, Quinto, in un’intercettazione del 16 gennaio 2015, dice a Gemelli: “Se noi vogliamo fare una cosa intelligente, ti conviene prendere il pontile così condizioni l’uso di esso”.
“Ho appreso dalle agenzie di stampa di essere indagato dalla magistratura di Potenza” è il commento di Lo Bello. Che conclude: “Ho sempre avuto piena fiducia nell’operato dei magistrati. Chiederò alla procura di Potenza di poter essere sentito quanto prima per chiarire ogni cosa”.
Nelle carte si legge anche che l’ex Ministra dello Sviluppo economico, Federica Guidi, era diventata “inconsapevole strumento di quello che lei stessa non aveva mancato di individuare quale vero e proprio ‘clan’” che aveva tra i componenti il suo compagno, Gianluca Gemelli (indagato).
La Guidi, che non è indagata ma “parte offesa”, si è dimessa lo scorso 31 marzo dopo gli arresti eseguiti nell’ambito dell’inchiesta sul petrolio in Basilicata.

(da “il Fatto Quotidiano“)

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COME FUNZIONA ROUSSEAU, IL NUOVO SISTEMA OPERATIVO DEL M5S

Aprile 16th, 2016 Riccardo Fucile

ON LINE DAL GIORNO SUCCESSIVO ALLA MORTE DI CASALEGGIO, CONSENTIRA’ LO SCAMBIO DI INFORMAZIONI TRA MOVIMENTO, MEETUP E ATTIVISTI

«Rousseau è stato messo online in onore di Gianroberto. Ci ha lavorato fino agli ultimi giorni», racconta al Corriere della Sera Massimo Bugani, candidato sindaco a Bologna per il Movimento 5 Stelle e uno dei primi a esser coinvolti nel progetto.
È il «sistema operativo» del non-partito di Beppe Grillo e vive sul web dal 13 aprile, il giorno successivo alla scomparsa del guru Casaleggio.
Rousseau era il suo sogno: uno strumento per la democrazia diretta, sviluppato interamente dalla sua società , la Casaleggio Associati.
Ed è il frutto di più di due anni di lavoro.
È una piattaforma digitale che permette la discussione delle leggi e la condivisione di tutta la vita politica dei 5 Stelle.
Bugani è il responsabile della sezione «sharing» e ci racconta in cosa consiste: «Se produco qualcosa di buono nella mia città , grazie al nostro sistema operativo, tutta la documentazione sarà  immediatamente disponibile a Bari e in qualunque altro luogo. Così ogni eletto nelle nostre liste non dovrà  ricominciare da zero».
Insomma è qualcosa che permette di attivare l’«intelligenza collettiva» della Rete. «Sharing» è una delle aree che, si legge sulla homepage del sito, saranno attivate «in futuro».
«È un periodo complesso per noi, ma andiamo avanti. Contiamo di rilasciare questa funzione a giugno, dopo le elezioni amministrative».
Solo per gli iscritti di lunga data
Per ora il Rousseau comunica molto poco molto a chi non è iscritto. All’esterno si vede una sola pagina: il logo in alto a destra e una breve spiegazione.
E, per chi non ha gli accessi, non ci sono ancora possibilità  d’interazione. E non va meglio se proviamo a registrarci. Veniamo rimandati al blog di Beppe Grillo ma, anche dopo aver inserito i nostri personali (dal numero di cellulare, fino a quello della carta d’identità ), rimaniamo fuori.
Hanno diritto a entrare solo gli aderenti al Movimento «verificati» e iscritti al sito prima di gennaio 2015.
«È una misura per evitare troll, provocatori e per tener lontano chi vuol saltare sul nostro carro all’ultimo momento», spiega Bugani.
Ma, in realtà , questa precauzione non è stata pensata per esser così restrittiva.
«La data del 1° gennaio 2015 è stata fissata durante la fase beta, andata online a luglio dell’anno scorso. Allora avevamo deciso di dare accesso solo agli iscritti al Movimento da almeno sei mesi. È un termine che ci sembra ragionevole e presto lo ripristineremo».
Quindi, in futuro, Rousseau sarà  accessibile a un numero più ampio di persone.
Le notifiche geolocalizzate
Il sistema operativo dei 5 Stelle è geolocalizzato: ogni iscritto ha una sua homepage, che varia in base al territorio di residenza. Permetterà , per esempio, di votare per il candidato per le elezioni comunali di Milano o partecipare alla scrittura di una legge della Lombardia se si è residenti in questa regione e in questa città .
Rousseau ha un sistema di notifiche personalizzato. Quando sulla pagina del profilo si «accenderà » una stella, vorrà  dire che sono in corso votazioni locali che interessano l’utente. Oppure che è attiva la discussione su una legge del territorio.
Bugani racconta di aver già  pubblicato sulla piattaforma la futura giunta comunale. Così, se venisse eletto sindaco di Bologna, i militanti sapranno già  a quale squadra ha deciso di affidarsi.
Le funzioni già  attive
Sul sistema operativo per ora sono attive le funzioni «Lex nazionale», che permette di partecipare alla scrittura delle leggi nazionali proposte dai parlamentari 5 stelle, «Lex regionale», per quelle regionali, «Lex Europa», per quelle europee e «vota», che consente di scegliere i candidati per le liste elettorali o di pronunciarsi su un tema specifico.
Poi troviamo «fund raising», che dà  la possibilità  di fare donazioni spontanee al Movimento (è una funzionalità  in linea con l’ostilità  dei 5 Stelle a ogni tipo di finanziamento pubblico ai partiti) e, infine, c’è «Scudo della rete».
Forse è la voce più interessante: è una mappa che localizza gli avvocati disposti a dare supporto legale agli iscritti se, durante le loro attività , dovessero avere problemi.
E quelle future
E poi ci sono le funzioni annunciate ma non ancora integrate. Sono «Activism», un luogo di condivisione delle iniziative sia fisiche che digitali , «sharing», la sezione di cui è responsabile Bugani che, come abbiamo accennato, permette di condividere interrogazioni e leggi locali, per condividere con tutto il territorio il lavoro fatto da un eletto a livello comunale o regionale.
E poi ci saranno le sezioni «E-learning», che spiegherà  il funzionamento di una struttura nella quale è stato eletto un appartenente al Movimento, «Lex iscritti» nella quale ogni utente potrà  formulare una sua una proposta di legge che verrà  poi presentata da un rappresentante locale o nazionale e infine i «gruppi di lavoro», che riprendono il concetto dei MeetUp.
Sono stati la prima forma online di auto-organizzazione territoriale voluta da Beppe Grillo, prima che il Movimento 5 Stelle nascesse. E ora verranno integrati, in una nuova forma, dentro Rousseau.
«Dopo l’affermarsi di Facebook e dei social network, i MeetUp sono diventati meno efficaci. Erano diventati una specie di bar, difficili da gestire. Erano nate discussioni tra MeetUp concorrenti sullo stesso territorio e avevamo difficoltà  a capire chi stava lavorando in buona fede e chi invece voleva approfittarsene», spiega Bugani.
Non è una scelta open source
Nella visione di Casaleggio, Rousseau è il padre della democrazia diretta. Ed ecco perchè ha chiamato così il suo sistema operativo.
Ha scelto di creare qualcosa da zero perchè le piattaforme partecipative disponibili non lo soddisfacevano.
Liquid Feedback, per esempio, è la soluzione open source più famosa. È stata pensata per la condivisione di idee e progetti e per far funzionare «democrazia liquida».
Era usata dal Partito pirata tedesco, per certi versi vicino al Movimento 5 Stelle delle origini. Ma il suo sviluppo è rimasto fermo al 2014 e, secondo Bugani, è anche a causa dei limiti di questa piattaforma che il piratenpartei è entrato in crisi.
Rousseau invece è una soluzione proprietaria, chiusa e utilizzabile solo dai 5 Stelle.
Il codice non è mai stato condiviso e, a quanto sembra, ci sarà  una licenza «aperta» solo per i contenuti, che vengono pubblicati con licenza «Creative Commons», anche se non ne viene specificata la versione nè la tipologia, e ciò farà  storcere il naso ai sostenitori del diritto digitale.
A parte ciò, Rousseau è stato lanciato con una promessa: non verrà  abbandonato, continuerà  a esser sviluppato attivamente dal team della Casaleggio Associati.
«Senza Gianroberto è più difficile, ma ce la faremo», conclude Bugani.

Vincenzo Scagliarini
(da “il Corriere della Sera”)

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“IO SEGNALO”: MA SE SEGNALI I VIGILI SI INCAZZANO

Aprile 16th, 2016 Riccardo Fucile

“SIAMO POCHI E OBERATI DI LAVORO, LASCIA PERDERE”

Raramente un apologo riassume la disperante anomalia italiana come la storia affiorata ieri nella trasmissione «L’aria che tira» di La7.
Il Comune di Roma lancia l’applicazione per telefonini «Io segnalo», che nei piani dei suoi solerti ideatori permetterà  ai cittadini di indicare tutto quello che non va: buche, macchine in doppia fila e altri menefreghismi assortiti.
L’iniziativa è anche uno sfogatoio e ottiene un successo prevedibile.
Alcuni romani ci prendono gusto e cominciano a intasare di segnalazioni virtuose la polizia municipale del loro quartiere.
Uno di questi, un ragazzo di nome Andrea, abita al Pigneto. Ogni giorno gli basta uscire di casa per fare indigestione di parcheggi futuristi sulle strisce davanti a scuola, che lui immediatamente segnala ai vigili tramite l’applicazione.
Ma con suo grande dispiacere i vigili non intervengono mai.
Finchè una mattina lo chiamano, dandogli appuntamento sulla strada.
Si presentano in sei a bordo di tre auto e lo apostrofano con la risolutezza degli esasperati: «Siamo pochi e già  oberati di lavoro, ci mancavano pure tutte ‘ste segnalazioni. Lascia perdere»
Nello sgomento di Andrea ci rispecchiamo un po’ tutti.
Un ente locale ti chiede di aiutarlo, tu lo fai e lui ti risponde: lascia perdere.
Qualcuno eccepirà  che sono stati gli uffici del Comune a promuovere l’applicazione, non i vigili. Peccato che, agli occhi del cittadino, vigili e Comune siano organi dello stesso corpo.
Ma in Italia il servizio pubblico è una persona che con la mano ti fa cenno di avvicinarti, poi alza un piede e ti tira un calcio.

Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)

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QUALCUNO HA PAURA DEL QUORUM

Aprile 16th, 2016 Riccardo Fucile

UNA CAMPAGNA OSTACOLATA CON OGNI MEZZO DAL GOVERNO E DALLE LOBBY DEI PETROLIERI… MA IN PIAZZA A SOSTENERE IL SI’   CENTINAIA DI ORGANIZZAZIONI E MIGLIAIA DI VOLONTARI: AGRICOLTORI, PESCATORI E AMBIENTALISTI

«Matteo Renzi ha detto che “è più efficace non andare a votare”. Ma se i cittadini rimangono a casa, questo fa bene al Paese? Anche l’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano è sceso in campo per l’astensione. Evidentemente hanno paura del quorum…». Il messaggio parte da Piazza del Popolo, dove il comitato nazionale «Vota sì per fermare le trivelle» chiude la campagna referendaria, limitata al minimo di legge (59 giorni) e che è costata 360 milioni, che si sarebbero potuti risparmiare accorpando — ma il governo non l’ha voluto — la consultazione popolare alle amministrative di giugno.
«Abbiamo avuto pochissimo tempo per informare sulle ragioni del voto, ma subito dopo Pasqua è partita la mobilitazione spontanea in tutta Italia. Sono centinaia le organizzazioni e i gruppi sorti e migliaia i volontari che si sono attivati — dice Maria Maranò del comitato -. La posta in gioco è alta, dato che in ballo c’è il futuro dell’Italia e dei nostri figli. È stata una campagna ostacolata in modo poco leale, perchè non sono stati accettati l’accorpamento alle amministrative e il confronto pubblico».
Senza contare l’ostruzionismo sistematico del premier.
Nonostante ciò «abbiamo avuto già  due vittorie — viene sottolineato -: con lo Sblocca Italia sono state cancellate le norme che permettevano di estrarre idrocarburi sulle nostre coste indistintamente. Poi c’è stata una grande opera di sensibilizzazione, perchè devono essere i cittadini a poter decidere, non le lobby.
Manca la terza vittoria: cancellare, alle urne, il regalo fatto alle compagnie petrolifere. Ossia piattaforme a tempo indeterminato, lasciate ad arrugginire, senza pagare il costo dello smantellamento».
Dalla piazza un mare… di voci.
«Ci auguriamo tanti sì perchè la pesca è sul banco dei danneggiati — afferma Raffaella de Rosa, Alleanza Coop Italiane Pesca -. Le trivelle sottraggono spazio alla marineria, danneggiano i fondali, le onde d’urto allontanano gli stock e impediscono la riproduzione. Sono nocive per le risorse ittiche e per la pesca che conta 100 mila occupati e 300 milioni di fatturato all’anno. La pesca viene sottoposta a rigido controllo, mentre alle piattaforme petrolifere non è chiesta neanche la Vas, la Valutazione ambientale strategica (preventiva) e questo non è accettabile».
«Mare e turismo sono il vero patrimonio dell’Italia — evidenzia Tullio Galli, di Assoturismo -. Immaginate se ci fosse una fuoruscita di petrolio dagli impianti offshore. Solo in Emila Romagna ci sono 15mila imprese che operano nel turismo e 50mila addetti».
Il referendum è stato voluto da 10 Consigli regionali: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania, Molise e Abruzzo. Quest’ultima, nel mezzo dello scontro giudiziario e politico, ha battuto in ritirata.
Un’iniziativa richiesta in buona parte da governatori del Pd che, in sostanza, si oppongono alla strategia energetica del capo del governo e loro segretario di partito.
I cittadini dovranno decidere se i permessi per estrarre idrocarburi in mare, entro 12 miglia nautiche (22,224 chilometri), debbano durare fino all’esaurimento del giacimento, come avviene attualmente, grazie a una modifica ad hoc apportata dallo Sblocca Italia, oppure fino al termine della concessione.
Se il referendum dovesse passare le piattaforme piazzate attualmente a meno di 12 miglia dal litorale verranno smantellate una volta scaduta la concessione, senza poter sfruttare completamente il gas o il petrolio sotto i fondali.
Non cambierà  invece nulla per le perforazioni su terra e in mare oltre le 12 miglia, che proseguiranno, nè ci saranno variazioni per le nuove perforazioni entro le 12 miglia, già  vietate dalla legge.
«Siamo produttori di energia — dice in piazza il presidente di Assorinnovabili, Agostino Re Rebaudengo — ci occupiamo di idroelettrico, fotovoltaico e biomasse. E non approviamo l’automatica estensione illimitata delle concessioni per le aziende petrolifere».
«Tutti i Paesi del mondo hanno affermato a Parigi la grande emergenza dettata dai cambiamenti climatici e l’importanza di tenere le temperature sotto il grado e mezzo — dichiara Andrea Masullo di GreenAccord -. Entro il 2030 dobbiamo provvedere a una riduzione del 40% delle emissioni. Il punto è che l’Italia non ha un piano energetico: che ne sarà , ad esempio, dei lavoratori dell’Eni? La vera scelta è tra passato e futuro. Siamo al 18mo posto in Europa per modernità  e innovazione delle reti elettriche, retaggio del passato basato su fonti fossili e ostacolo per le rinnovabili».
Tra le forze produttive anche la Confederazione italiana agricoltori.
«Abbiamo aderito al sì anche perchè va nella direzione di quello che dice l’Unione Europea — sostiene Alessandro Mastrocinque -. Da sempre noi siamo per le rinnovabili anche perchè le tecniche di estrazione inquinano le produzioni che arrivano sulle nostre tavole».
Claudio Albonetti, presidente di Assoturismo Confesercenti ricorda che il «vero petrolio sta nei giacimenti culturali, artistici e ambientali dei nostri territori».
E così, col flash mob del dio Nettuno che, nel cuore di Roma, scaglia le trivelle fuori dalle acque optando per i pannelli solari, inizia il countdown.

Serena Giannico

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REATI COMMESSI DA STRANIERI IN DRASTICA DIMINUZIONE: I DATI UFFICIALI DEL VIMINALE SMENTISCONO I SEMINATORI DI ODIO

Aprile 16th, 2016 Riccardo Fucile

“CREERA’ PIU PROBLEMI LA CHIUSURA DEL BRENNERO CHE L’ARRIVO DEI PROFUGHI”

I dati ufficiali e non contestabili del Viminale indicano che i reati commessi dagli stranieri in Italia sono in drastica diminuzione e questo è vero in particolare per le etnie maggiormente rappresentate sui barconi diretti verso l’Italia, e cioè eritrei, nigeriani e sudanesi.
“Dobbiamo sfatare il mito dello straniero delinquente e terrorista”, dice all’HuffPost il segretario generale del sindacato di polizia Silp Daniele Tissoni.
“Se analizziamo l’andamento della delittuosità  delle persone sbarcate nel 2015 dobbiamo registrare un calo complessivo dei reati denunciati a loro carico, con punte anche del 40%. Il terrorismo non è nemmeno contemplato nell’elenco dei crimini commessi”.
I reati compiuti con più frequenza dai migranti che arrivano via mare e dai richiedenti asilo, aggiunge Tissoni, sono di tipo predatorio: furti e rapine “spesso motivati dalla fame e dall’estremo bisogno nel quale sono costretti a vivere” e questo riguarda le cinque prime nazionalità  degli sbarcati – eritrei, nigeriani, somali, sudanesi e gambiani.
“Sarebbe però sbagliato attribuire un pericolo di stampo terrorista o criminale a queste persone”, dice ancora il segretario generale Silp, “in Italia non abbiamo periferie-ghetto come in Francia e l’accoglienza è migliore”.
I dati scorporati del Viminale sui tassi di criminalità  degli stranieri tra il 2013 e il 2015 sono chiarissimi.
Gli eritrei, il gruppo più numeroso tra coloro che l’anno scorso hanno scelto di attraversare il Mediterraneo per approdare in Italia (oltre 39mila), presentano un carico di denunce più leggero del 58,9% rispetto al 2014, quando erano invece i siriani la nazionalità  più rappresentata con oltre 42 mila arrivi.
I nigeriani registrano un calo del 5,8% delle querele presentate nei loro confronti. Anche le persone che giungono dalla Siria, spesso sospettate di far parte dell’Isis, hanno visto scendere del 39,5% il numero di denunce a loro carico.
“I reati più frequenti sono legati alla povertà “, commenta Tissoni, “e non bisogna dimenticare che migliaia di richiedenti asilo vengono sfruttati dagli italiani come manodopera in nera al confine dello schiavismo”.
Il 2014 è stato l’anno con il maggior numero di sbarchi mai registrato: 170mila persone contro le 43mila dell’anno prima.
La guerra in Siria era già  esplosa e difatti la nazionalità  più rappresentata è stata quella siriana sia nel 2013 che nel 2014. Poi quei profughi hanno trovato più comoda e sicura la strada che passa dalla Turchia alla Grecia, perciò nel 2015 il numero di siriani sbarcati in Sicilia si è drasticamente rimpicciolito.
Cosa accadrà  nel 2016? Per Tissoni “c’è naturalmente preoccupazione ma siamo pronti come sempre ad accogliere i migranti”.
Le criticità  non mancano ma non riguardano il comportamento dei richiedenti asilo e dei migranti che mettono piede in Italia. “Ora che abbiamo aperto gli hotspot chiesti dall’Europa, rimane il fatto che per la stessa Costituzione non possiamo forzare queste persone all’identificazione. Ma questo è un problema che va risolto politicamente”.
La seconda preoccupazione riguarda la minaccia di chiusura del Brennero, che potrebbe mandare in tilt strade e le stazioni ferroviarie al confine con l’Austria.
La decisione di Vienna è per il Viminale una grana ben peggiore dei numeri di migranti pronti a sbarcare sulle nostre coste.

(da agenzie)

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GLI STRANIERI? DELINQUONO DI MENO E COMMETTONO REATI MENO GRAVI DEGLI ITALIANI

Aprile 16th, 2016 Riccardo Fucile

LE DENUNCE PENALI VERSO ITALIANI AUMENTATE DEL 28%, QUELLE A CARICO DI STRANIERI DIMINUITE DEL 6,2%… CALANO ANCHE I DETENUTI STRANIERI

In questi anni di crisi è crescente, secondo Eurostat, la preoccupazione che i cittadini, sia in Italia che negli altri Stati dell’Ue, nutrono nei confronti degli immigrati.
La preoccupazione è ancora maggiore nei confronti della loro criminalità . L’immigrazione, essendo anch’essa esposta alla devianza, ha indubbiamente introdotto delle modifiche nel panorama italiano della criminalità .
Ma, andando oltre questo rilievo inconfutabile, si è arrivati a ritenere che gli immigrati siano più delinquenti degli autoctoni, che i loro crimini siano più gravi, che i nuovi flussi incidano in maniera direttamente proporzionale sull’aumento delle denunce e che presenza irregolare e delinquenza siano legati da un rapporto di contiguit�
“Ricerche particolareggiate hanno mostrato l’inesistenza di un rapporto diretto tra l’aumento della popolazione immigrata e l’incremento delle denunce nei loro confronti”, afferma il Dossier statistico immigrazione Idos/Unar.
E a suffragare questa cosa, arrivano i numeri.
I dati sulla criminalità  degli immigrati in Italia.
Nel periodo 2004-2013 le denunce complessive sono passate da 3.215.842 a circa 3,5 milioni. Nel periodo 2004-2013 le denunce contro italiani, a fronte di una popolazione in leggera diminuzione, sono passate da 513.618 a 657.443 (+28,0%), mentre quelle contro stranieri, a fronte di una popolazione più che raddoppiata, sono diminuite da 255.304 a 239.701 (-6,2%). Nel frattempo l’incidenza percentuale delle denunce contro stranieri sul totale di quelle contro autore noto è scesa dal 32,5% del 2004 al 26,7% nel 2013, con una maggior incidenza nel Centro (32,5%) e nel Settentrione (Nord Est 36,3% e Nord Ovest 37,2%) rispetto alle Isole (12,0%) e anche al Sud (13,2%), dove però nel periodo 2004-2013 si riscontra un aumento più sostenuto rispetto alla media nazionale (+6,8%) e specialmente rispetto alle Isole (-16,6%). Questa evoluzione, pur lasciando margini a ulteriori progressi, nel suo complesso va commentata positivamente.
Detenuti stranieri.
Al 30 giugno 2015 i detenuti nelle 198 carceri italiane erano 52.754. Gli stranieri erano 17.207 ovvero il 32,6% del totale, quattro punti percentuali in meno rispetto a cinque anni prima: di fronte a una decrescita della popolazione detenuta, gli stranieri sono diminuiti in misura maggiore rispetto agli italiani.
Nonostante i numeri segnino un calo della presenza degli stranieri nelle carceri, il gap di tutela giuridica resta ancora ampio, così come evidenti sono le discriminazioni rispetto agli italiani.
Ad esempio, a parità  di reato gli stranieri subiscono molto più frequentemente degli italiani provvedimenti restrittivi di custodia cautelare.
Al 30 giugno 2015, secondo i dati del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, il 29,3% dei condannati in via definitiva, pari a 10.058 individui, era costituito da stranieri.
Come straniero era il 39,5% dei detenuti non ancora condannati ma in attesa di giudizio, pari a 7.051 persone, e addirittura il 40,7% di quelli in attesa di primo giudizio, ovvero 3.615 individui. “I detenuti stranieri commettono — o sono accusati di avere commesso — i reati meno gravi dal punto di vista dei beni o degli interessi costituzionalmente protetti. Ma nei loro confronti maggiormente opera l’azione di repressione di polizia: essi più facilmente vengono fermati o arrestati rispetto agli autoctoni, accusati di reati a più forte connotazione sociale, come quelli predatori o connessi alla legislazione sulle sostanze stupefacenti”, si legge.
Reati detenuti stranieri
E proprio in merito alla tipologia di reato, il 76,9 per cento dei detenuti stranieri è in carcere per reati legati alla prostituzione, il 34,7 per cento per violazione della legge sulle droghe, il 27 per cento per reati contro il patrimonio.
Al 30 giugno erano 7.961 i detenuti condannati a pene brevi, ovvero a meno di tre anni di carcere. Di questi 3.419 erano stranieri: una percentuale altissima, pari al 42,9%.
Di contro tra gli ergastolani gli stranieri erano solo 87 rispetto ai 1.603 totali: il 5,4%, una quota esigua rispetto agli italiani.
Ciò significa che gli stranieri in proporzione commettono reati meno gravi degli italiani stessi.
Ancora più evidente è l’esito discriminatorio circa le possibilità  per i detenuti di godere di benefici premiali e di scontare parte della pena all’esterno, attraverso la concessione di misure alternative.
Una buona parte di queste ultime sono concedibili a quei detenuti che devono scontare meno di tre anni di carcere.
Al 30 giugno 2015 gli stranieri costituivano il 36,5% di coloro che erano nelle condizioni di accedere alle misure alternative. Eppure alla stessa data gli stranieri che beneficiavano di una misura alternativa alla detenzione erano il 20,8% del totale, con uno scarto negativo del 15,7% rispetto agli italiani.
Infine, la nazionalità . Il 16,8 per cento dei detenuti stranieri è di nazionalità  romena, il 16,5 per cento marocchina, il 13,8 per cento albanese, il 10,8 per cento tunisina, il 4 per cento nigeriana.

(da agenzie)

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GERMANIA, VIA ALLA PRIMA LEGGE SULLA INTEGRAZIONE, CON DIRITTI E DOVERI

Aprile 16th, 2016 Riccardo Fucile

I TRE LEADER DELLA COALIZIONE SI SONO RICOMPATTATI ATTORNO ALLA RIFORMA… REGOLE VINCOLANTI E MISURE PER FACILITARE L’ACCESSO AL MONDO DEL LAVORO

Un progresso “storico”, “un primo passo verso una legge sull’immigrazione”.
Dopo mesi di scontri al calor bianco sui profughi che avevano fatto ballare persino il trono della cancelliera, i tre leader della Grande coalizione, Angela Merkel, Horst Seehofer e Sigmar Gabriel hanno ostentato ieri stanchi sorrisi e si sono ricompattati attorno alla prima legge sull’integrazione che la Germania si sia mai data.
Punti essenziali della riforma, discussa in una riunione maratona di sette ore, sono misure per facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro per i profughi, ma anche regole più vincolanti sull’integrazione, a partire dall’obbligo di imparare la lingua, e regole per evitare la ghettizzazione.
Il pacchetto sarà  discusso il 22 aprile con i governatori dei Land e sarà  approvato definitivamente dal governo il 24 maggio.
La legge sull’integrazione è stata presentata con uno slogan, “foerdern und fordern” (tradotto: incentivare e pretendere) che riassume efficacemente lo spirito da “bastone e carota” che la caratterizza e che è mutuata dall’Agenda 2010, dalla riforma della disoccupazione introdotta dal cancelliere Schroeder oltre un decennio fa, che fa decadere i sussidi per i disoccupati se non sono disponibili a riqualificarsi e a trovare un nuovo lavoro.
Appena arrivati in Germania, i profughi dovranno cominciare già  nelle strutture di prima accoglienza a partecipare a corsi di tedesco e di formazione che facilitino l’ingresso nel mondo del lavoro, ma avranno anche un (non meglio specificato, per ora) “obbligo a partecipare alle misure per l’integrazione”
Chi rifiuta, subirà  tagli ai sussidi.
Allo stesso tempo la legge elimina un ostacolo rilevante per l’ingresso nel mondo del lavoro dei richiedenti asilo: per tre anni cade l’obbligo di assumere prima i disoccupati tedeschi o europei e il divieto per 15 mesi di essere assunti in imprese part-time.
Il pacchetto prevede anche una norma importante, per le aziende che impiegano profughi come apprendisti: se la loro domanda di asilo dovesse essere respinta durante l’apprendistato, lo Stato non potrà  respingerli fino alla fine del periodo di formazione. Viceversa, se interromperanno la formazione o commetteranno un reato, la tutela decadrà  immediatamente.
Una misura che sta facendo già  discutere è quella che reintroduce i “lavori da un euro”, che deroga dunque dalla legge sul salario minimo da 8,50 euro all’ora, e che varrà  per sei mesi dopo l’accettazione della procedura d’asilo.
Il governo vuole creare 100mila posti di lavoro per profughi attraverso questa eccezione.
Per evitare che i profughi si isolino in ghetti, il loro luogo di residenza, finchè beneficiano dei sussidi, sarà  deciso dalle amministrazioni pubbliche.
Se si rifiuteranno di accettarlo, il pacchetto minaccia “conseguenze tangibili”. Sarà  la riunione del 22 aprile coi governatori regionali a decidere quali.

(da agenzie)

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