Maggio 4th, 2016 Riccardo Fucile
I SONDAGGI IPR E TECNE’ CONFERMANO: MARCHINI HA UN TREND IN ASCESA, LA MELONI STA CALANDO
Roma Il tempo stringe e l’asse Meloni-Salvini affronta la delicata prova della presentazione delle liste e delle presidenze dei municipi.
Con sullo sfondo la preoccupazione per i sondaggi che raccontano di tre candidati racchiusi in un punto percentuale (tra il 19,5 e il 20,5%), con il rischio concreto per la Meloni – il cui trend è in negativo a differenza di quello di Marchini – di finire addirittura quarta. E con Salvini che continua a sparare su Berlusconi, non contribuendo certo a rassicurare l’elettorato moderato.
Nel frattempo Lega e Fdi non trovano neanche l’accordo tra di loro sui municipi: la Lega vorrebbe ottenere i candidati presidenti dei due municipi che più fanno gola a entrambi i partiti: il Primo e il Quindicesimo, ovvero il Centro della Capitale e Roma Nord. Fdi ovviamente non ci sta.
La riunione degli stati maggiori non è stata risolutiva e la questione resta aperta.
Una corsa, quella per il Campidoglio, che accende qualche preoccupazione nel polo lepenista visto che il vantaggio che le rilevazioni assegnavano alla Meloni su Guido Bertolaso sembra essersi azzerato con il passaggio di Fi e di Francesco Storace su Marchini.
Nella puntata di Porta a Porta di ieri è stato presentato un doppio sondaggio realizzato da Ipr e Tecnè.
La candidata dei M5S Virginia Raggi è in testa con il 25% (Ipr) e 28,5 (Tecnè).
Per Ipr Meloni e Marchini si attestano al 20%, con Giachetti quarto al 19,5%.
Per Tecnè Giachetti è al 20,5%, Meloni al 20 e Marchini al 19.5%.
Nei possibili ballottaggi Tecnè ipotizza sempre la vittoria della Raggi M5S con Giachetti 60 a 40, con Marchini 51,5 a 48,5 e con Meloni 53 a 47. Ipr in caso di ballottaggio tra Raggi e Marchini considera la vittoria di Marchini 52,5 a 47,5.
Storace non perde occasione per mettere all’angolo l’incorenza della Meloni: “O il partito o la città . Se scegli il partito non te ne frega nulla della città . Se scegli la città , non metti veti di partito a chi non sta nel tuo. Nella Capitale non possiamo rischiare la sconfitta per le beghe di quella parte della destra romana che non tollera altre presenze, compreso quelli con cui ha governato e ora disconosce.A Roma hanno governato destra (noi no e gli uomini della Meloni sì) e sinistra. Bisogna ricominciare daccapo, senza baccano ideologico”.
(da agenzie)
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Maggio 4th, 2016 Riccardo Fucile
I NOMI PROPOSTI SARANNO GIUDICATI DALLA RETE
Per governare ci vuole un governo e il M5S sta lavorando per presentare il suo ben prima delle
elezioni politiche.
Chiusa la fase di riorganizzazione interna seguita alla scomparsa di Casaleggio i vertici del Movimento si sono tuffati nella stesura di una lista di nomi da sottoporre alla rete in un procedimento simile a quello adottato nella scelta del candidato per il Quirinale.
Nessuna preclusione su esperienze politiche pregresse e nomi che garantiscano il dialogo con le imprese e con i partner europei; la necessità dei Cinquestelle è quella di separare il versante movimentista da quello di governo, senza far perdere forza all’uno e all’altro messaggio che costituiscono rispettivamente il core business e la nuova proposta nell’offerta politica del M5S.
Si va dal professor Maurizio Verna, ordinario di patologia clinica alla Sapienza di Roma che occuperebbe il dicastero ombra della Sanità , a Salvatore Settis.
L’attuale presidente del consiglio scientifico del Louvre è da sempre nel pantheon degli intellettuali del M5S e pare il nome perfetto per occuparsi dei beni e le attività culturali.
C’è Maurizio Dècina, professore del politecnico di Milano, al quale i Cinquestelle affiderebbero le telecomunicazioni.
Tra i vagliati per occuparsi dello sport ci sarebbe Sandro Donati, in prima linea nelle battaglie contro il doping nell’atletica leggera.
Tanti nomi per l’ambiente, ma quello della fisica Maria Rita d’Orsogna, impegnatissima nella causa del “sì” al referendum sulle trivellazioni sembra al momento il più gradito dai vertici M5S.
Ma le caselle più complicate da riempire, e infatti ancora vuote, sono quelle degli esteri e dell’economia.
Con quelle scelte il Movimento vuole trasmettere il senso di una proposta credibile e in qualche modo rassicurante.
Niente personale politico interno, spazio a due nomi, ancora tutti da individuare. In economia l’indentikit è quello di un candidato non anti-euro (quella battaglia è stata messa da parte definitivamente) ma neanche proveniente dalla nomenklatura bancaria europea.
I vertici ne parlano utilizzando la definizione di «difensore della centralità dell’economia italiana».
Ma di nomi non se ne fanno come anche per la Farnesina. Di tempo, d’altra parte, ce n’è: prima che venga sottoposta una lista ufficiale alla rete degli attivisti si aspetterà l’uscita dal doppio passaggio elettorale delle amministrative e del referendum.
Francesco Maesano
(da “La Stampa“)
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Maggio 4th, 2016 Riccardo Fucile
PIU’ FORTI DELLA CRISI, ORMAI SONO UNA AZIENDA SU DIECI…QUELLE ITALIANE CALANO DEL 2,6%… I SETTORI PIU’ BATTUTI SONO COMMERCIO, EDILIZIA E SERVIZI
Hai bisogno di un artigiano? Cercalo tra gli immigrati, avrai più possibilità di trovarlo. Sì, perchè la carica degli imprenditori stranieri non si arresta.
L’esercito delle aziende condotte da immigrati continua infatti a ingrossarsi: oggi sono oltre 550mila.
Negli ultimi quattro anni sono cresciute del 21,3%, mentre le imprese italiane sono diminuite del 2,6%. Con casi record: oggi in Toscana quasi il 20% delle imprese artigiane è a conduzione straniera.
A fotografare la vitalità imprenditoriale degli immigrati è uno studio della Fondazione Leone Moressa.
I risultati? Su circa 6 milioni di imprese operanti in Italia nel 2015, oltre 550mila sono condotte da persone nate all’estero, ovvero il 9,1% del totale.
Di queste, la stragrande maggioranza (94,2%) è di esclusiva conduzione straniera, “segno di una ancora scarsa interazione con soci italiani”.
Cosa fanno? Oltre un terzo delle imprese straniere si concentra nel settore del commercio (38,5%). Seguono l’edilizia (24,8%) e i servizi (17,6%).
Rispetto al 2011, le imprese di immigrati sono aumentate del 21,3%, contro una diminuzione delle imprese italiane del 2,6%.
Gli aumenti più significativi si registrano nella ristorazione (+37,3%) e nei servizi (+32,2%). A livello territoriale, quasi un quinto degli imprenditori stranieri opera in Lombardia (19,1%), seguita da Lazio (12,8%) e Toscana (9,5%).
La dinamicità degli immigrati emerge soprattutto dal saldo tra imprese nate e cessate nel 2015.
Mentre quello degli stranieri è in attivo di 24.795 unità , le imprese italiane mostrano un saldo negativo di 10mila.
E ancora: in Italia le 550mila imprese condotte da immigrati contribuiscono con 96 miliardi di euro al 6,7% della ricchezza complessiva.
A livello territoriale, oltre metà della loro ricchezza si concentra in Lombardia, Lazio ed Emilia-Romagna.
Guardando ai settori produttivi, le aziende straniere che concorrono alla creazione della ricchezza maggiore sono quelle dei servizi: si tratta di oltre 41 miliardi di euro.
Il commercio produce 20 miliardi e la manifattura 17.
Non è tutto: un terzo delle imprese straniere è costituito da aziende artigiane (180mila).
Per capire, oggi le aziende di immigrati rappresentano il 13,2% del totale delle imprese artigiane. La loro maggiore incidenza è in Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana.
In quest’ultima regione, in particolare, ben il 19,1% delle imprese artigiane è a conduzione straniera. Pochi invece gli immigrati nei settori emergenti: tre le Startup innovative, solo il 2,1% è guidato da stranieri.
“L’imprenditoria è uno degli ambiti in cui si manifesta maggiormente il contributo dell’immigrazione al sistema nazionale – scrivono i ricercatori della Moressa – i dati testimoniano la crescente importanza dell’imprenditoria straniera: una realtà in crescita in tutte le regioni e in tutti i settori che, se adeguatamente valorizzata, potrebbe aprire nuove opportunità di sviluppo in termini di occupazione, nascita di nuovi servizi, rapporti commerciali con i Paesi d’origine e indotto”.
Vladimiro Polchi
(da “La Repubblica”)
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Maggio 4th, 2016 Riccardo Fucile
DA DECENNI I SINDACI SI DIMENTICANO DI ABBATTERE CASE ABUSIVE: COME OSA LA MAGISTRATURA INTIMARE LORO DI APPLICARE LA LEGGE?
Con che diritto la magistratura agrigentina ha osato spingere le autorità comunali ad applicare la
legge?
È questo il senso dell’«esposto querelatorio» presentato alla Procura di Caltanissetta dall’Associazione «Periscopio, Osservatorio permanente sul rispetto della legalità » (sic…) contro la demolizione di alcune decine di case abusive decisa, Dio lo benedica, dal sindaco di Licata Angelo Cambiano.
Sindaco che, tra parentesi, butta giù edifici di proprietà municipale: le villette abusive (quasi tutte sul mare) erano state infatti automaticamente acquisite al patrimonio comunale vent’anni fa, dopo il rifiuto dei proprietari di procedere alla demolizione ordinata da sentenze definitive.
Solo che, spiegavamo l’altro giorno, l’equivoco era stato perpetuato per motivi di quieto vivere dalla complice indifferenza dei sindaci precedenti che avevano lasciato ai vecchi proprietari la possibilità di continuare a vivere nei villini da abbattere senza manco pagare l’affitto o le tasse…
Considerato che «la legge demanda al sindaco la vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia nell’ambito del territorio comunale» e che «occorre, quindi, individuare a chi spetta oggi demolire le opere abusive e come si coniugano tra loro il potere di intervento di comuni, prefetture e soprintendenza dopo le modifiche al sistema previgente apportate dalla legge sul terzo condono edilizio» e che «la legislazione urbanistica ha individuato sin dall’origine nell’autorità comunale il soggetto istituzionalmente competente a intervenire al fine di prevenire e reprimere gli abusi edilizi» ecc. ecc…
Insomma: cosa importa, alla magistratura, se poi sindaci e uffici urbanistici e vigili non applicano la legge?
Una tesi, a suo modo, strepitosa.
Perchè i lettori possano giudicare, ricordiamo le tre lettere inviate ad esempio dagli stessi giudici, il procuratore Renato Di Natale e il suo vice Ignazio Fonzo, al comune di Agrigento che da due decenni teneva accuratamente nel cassetto le ordinanze di demolizione da eseguire: o avviava le demolizioni o la Procura, decisa infine a far rispettare la legge, avrebbe denunciato tutti i responsabili, dal sindaco ai tecnici, per omissione d’atti d’ufficio.
Uffa, questi magistrati!
Parallelamente, manco a dirlo, qualche politico locale in cerca di voti torna alla carica, a Roma e a Palermo: chi lo ha accertato che una casa costruita violando la legge entro i 150 metri dal mare rovini il paesaggio?
Ma che Bel Paese…
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera”)
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Maggio 4th, 2016 Riccardo Fucile
RETTE RECORD E POSTI VUOTI: AL CENTRO-NORD ISCRIZIONI A PICCO… AL SUD POCHE STRUTTURE E LUNGHE LISTE DI ATTESA
Sono ancora i più belli del mondo, come li definì Newsweek negli anni Novanta. E non soltanto a Reggio Emilia. Ma in Toscana, in Umbria, in Veneto, in Lombardia. Architetture all’avanguardia, eco-capolavori, mini campus di giochi e scoperte dove crescere sembra un’avventura speciale.
Eppure gli asili nido italiani sono in crisi. Un’eccellenza che si va sgretolando.
Posti vuoti, rette altissime, Comuni in affanno, famiglie con i redditi dimezzati, madri disoccupate, e per la prima volta negli ambitissimi nidi del Centro-Nord le liste d’attesa non ci sono più. I bambini cioè restano a casa. O affollano i concorrenziali e spesso più economici asili privati.
Iscrizioni in calo del 4%, come aveva già segnalato l’Istat nel 2013: non era mai accaduto dal 1971, quando fu approvata la legge nazionale sui nidi d’infanzia, che li trasformò da luoghi assistenziali nel primo gradino della scala educativa.
Ma la discesa è continuata: nel 2015 a Roma le iscrizioni sono calate di 1.500 bambini, la “mitica” Reggio Emilia ha segnato una discesa del 4,3%, e lo stesso è accaduto a Venezia, Mantova, Trieste, Firenze.
Una conversione a U, in controtendenza con l’Europa, e contro tutti gli studi più recenti, che raccontano quanto frequentare un buon nido nei primi mille giorni di vita sia garanzia, poi, di maggiori capacità e relazioni nella crescita
«Un controsenso – commenta Daniela Del Boca, docente di Economia politica a Torino – negli ultimi vent’anni non abbiamo fatto altro che chiedere più nidi e oggi abbiamo i posti vuoti. E siamo ben lontani dall’obiettivo europeo del 33% dei bambini iscritti: in Italia la media è del 17%, ma la quasi totalità è nel Centro-Nord».
Se a Trento il 23% dei piccoli sotto i tre anni usufruisce di baby-servizi, in Calabria la percentuale è del 2,1%, la più bassa d’Italia.
E c’è voluta la mobilitazione di una ong come “Action Aid” per riuscire a far riaprire, nel settembre scorso, a Reggio Calabria, l’unico nido comunale presente in città , 190mila abitanti e 5mila bambini in lista d’attesa.
Una goccia nel mare. «Al Sud, purtroppo, i nidi non sono mai nati, con una grave deprivazioneper i più piccoli, mentre sono fioriti laddove (al Nord) l’occupazione delle donne è piena, al 60%,contro il 20% del Meridione ».(C’è da chiedersi allora dove siano stati deviati i tanti fondi arrivati al Sud in questi anni, proprio per la costruzione di nuovi asili).
Dietro la flessione delle iscrizioni ci sono, per Del Boca, più fenomeni: «L’aumento delle rette, determinato anche da una cattiva gestione dei fondi. L’impoverimento delle famiglie.
La mancanza di lavoro delle donne che quindi restano a casa con i figli, in particolare le immigrate. E infine il calo della natalità ».
Il costo medio di una retta è di circa 311 euro al mese per ogni bambino, secondo un recente dossier di “Cittadinanzattiva”, ma con punte che possono arrivare a 600 euro nel caso di Lecco, il Comune più caro d’Italia.
«Costi impossibili, così i nidi chiuderanno tutti», sottolinea Laura Branca, presidente dell’associazione “Bologna-Nidi”, e curatrice del corposo dossier “Mille nidi in mille giorni”, dallo slogan lanciato nel settembre 2014 dal premier Renzi, ma i cui risultati, venti mesi dopo, ancora non si vedono. Laura Branca è una delle mamme che parteciparono alla cosiddetta “rivolta dei passeggini” contro l’esternalizzazione dei nidi decisa dal Comune di Bologna.
«Quello che emerge dal nostro monitoraggio è un bollettino di guerra di chiusure e strutture cedute in appalto, e questo vuol dire, spesso, una caduta della qualità », spiega Branca.
«Le cooperative applicano contratti al ribasso, gli educatori vivono una condizione di precariato permanente, aumenta il numero di bambini per operatore, c’è un turn over altissimo e assai negativo per i piccoli. Per tagliare i costi sono scomparse le cucine, i bambini mangiano pasti precotti, ma è solo un esempio. Certo, ci sono ancora struttu- re d’eccellenza, ma le crepe sono ormai dappertutto».
Aldo Fortunati, direttore dell’area educativa dell’Istituto degli Innocenti di Firenze, approfondisce l’analisi.
«Non c’è una disaffezione culturale verso il nido, le famiglie semplicemente non se lo possono permettere. Anche chi ottiene il posto, o rinuncia in partenza (nel 15% dei casi) oppure, dopo pochi mesi, trasferisce il bimbo in una struttura privata più economica. O, ancora, semplicemente smette di pagare la retta: sono moltissimi i casi di morosità . E a ciò si aggiunge una giungla dei criteri di accesso, che si trasforma in una guerra tra poveri ».
In mancanza di riferimenti nazionali, ogni Comune decide per sè. Chi privilegia le madri che lavorano, chi quelle che non lavorano.
Dice Fortunati: «La nuova legge sul percorso 0-6, che collegherà i nidi alle scuole dell’infanzia, potrebbe rilanciare tutto il sistema. Perchè i numeri calano, ma la cultura del nido si è invece radicata, basta guardare le regioni del Centro-Nord. È come alla fine degli anni Sessanta: non era ovvio mandare i figli all’asilo, poi ci fu la riforma statale della scuola materna, e oggi il 99% dei bambini la frequenta».
Un progetto antico, quello 0-6, rilanciato dalla senatrice pd Francesca Puglisi nella legge delega della Buona Scuola.
Far uscire i nidi dalla dimensione di alta nursery e considerarli sempre più scuola, seppure facoltativa.
«I Comuni vivono una perenne incertezza sui fondi, che si riverbera sulle aperture e chiusure di nidi. Non condanno l’esternalizzazione, in molti casi le cooperative fanno un lavoro eccellente. Ma riorganizzare le risorse, con standard nazionali decisi dal Miur, come prevede la legge 0-6 – commenta Susanna Mantovani, docente di Psicologia alla Bicocca – può essere una buona strada. Immaginando nuove flessibilità di orari e servizi, e più formazione degli educatori. È una sfida, ma ai nidi non bisogna rinunciare: per i bambini sono esperienze straordinarie e formative».
Maria Novella De Luca
(da “La Repubblica“)
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Maggio 4th, 2016 Riccardo Fucile
SALVINI PENSA BENE DI NON FARSI VEDERE COSI’ EVITA LE DOMANDE SU BELSITO A PROCESSO… L’ELEZIONE PILOTATA DA CHI A PROCESSO PER PECULATO CI ANDRA’ A BREVE
Nelle vecchie armi da fuoco, il focone era un piccolo foro praticato nella culatta, attraverso il quale
il fuoco dell’innesco si comunicava alla carica di lancio.
Sarà stato forse un segno del destino che la Lega Nord di Genova abbia scelto proprio il “Focone”, una pizzeria di Sturla, come sede dell’elezione del nuovo segretario cittadino.
Perchè l’annuncio del lancio c’è stato, ma l’arma ha fatto cilecca.
La storia è questa: andava rinnovata la carica di segretario cittadino del partito e, tra molti malumori della base, il “candidato unico” è stato imposto dal segretario regionale Rixi, colui che a giugno dovrà rispondere di peculato di fronte al tribunale di Genova per le spese pazze in Regione (scontrini per oltre 80.000 euro di spese personali addebitate all’Ente).
Mentre una parte del partito era orientato per Alessio Piana (inviso a Rixi), è stato imposto Stefano Garassino “per acclamazione”.
Il problema nasce proprio dal fatto che “acclamazione” pare non ci sia stata.
Quando è iniziata la conta per fare la votazione erano presenti solo 51 dei 126 iscritti con diritto al voto. Mancava quindi il numero legale.
Telefonate struggenti con preghiera di raggiungere la pizzeria e alle 23 finalmente si è potuto votare.
Ma all’interno il malumore è rimasto. Nel partito dei (cosiddetti) duri e puri sono in tanti a chiedersi perchè il segretario Matteo Salvini ha ritirato la costituzione di parte civile nei confronti dell’ex tesoriere della Lega. L’ha mica fatto perchè ogni tanto Francesco Belsito minaccia di presentare un dossier alla magistratura? E chi avrebbe paura di questo dossier?
In molti speravano che Salvini fosse arrivato al “Focone” (come aveva promesso) per chiederglielo direttamente.
Ovviamente se ne è ben guardato.
A quel punto accade l’imponderabile: la metà più uno si dissolve perchè oltre venti iscritti escono e fanno mancare il numero legale, ma gli altri procedono lo stesso nella votazione.
Il neoeletto non fa in tempo a dire che “il voto unanime dimostra quanto la Lega Nord sia compatta nelle scelte importanti” che parte la lettera per via Bellerio in cui ben 25 esponenti della Lega ligure chiedono al segretario federale Matteo Salvini di annullare il congresso per mancanza del numero legale: “molti se n’erano già andati prima della votazione e non è stato fatto l’appello che avrebbe dimostrato che non era presente la metà degli aventi diritti più uno.”
Meno male che erano compatti…
Alla peggio Garassino potrà sempre tornare al Civ di piazza della Vittoria dove si era distinto per richiedere al Comune più cestini per i rifiuti.
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Maggio 4th, 2016 Riccardo Fucile
IL GIORNALISTA DI TELEJATO INCHIODATO DALLE INTERCETTAZIONI: SONO UNA POTENZA, MI CHIAMA PURE RENZI”
Il paladino dell’Antimafia inchiodato dalle intercettazioni. Pino Maniaci si definiva una “potenza”, si vantava del potere della sua tv, TeleJato, e prendeva in giro chi gli manifestava solidarietà per le presunti intimidazioni mafiose che riceveva.
Per dirla con le parole del procuratore di Palermo Francesco Lo Voi “ha più volte manifestato totale disprezzo per le autorità costituite, le forze dell’ordine e la magistratura. Ha utilizzato diversi epiteti, definendo ‘nucleo aperitivo’ la squadra dei carabinieri e offendendo anche il presidente del consiglio Matteo Renzi che poco prima lo aveva chiamato per esprimergli solidarietà “.
Maniaci è indagato per estorsione ai danni dei sindaci di Borgetto e Partinico e sottoposto al divieto di dimora nelle province di Palermo e Trapani.
L’indagine Kelevra che ha portato peraltro oggi all’arresto di esponenti della mafia del Palermitano, ha spiegato Lo Voi, “è partita tra il 2012 e il 2013 e solo dopo, nel 2014, ci si è imbattuti sul direttore di Telejato, coinvolto in altre vicende ed estranee al contesto mafioso. Di fatto, utilizzando il ruolo di direttore di una televisione – ha detto Lo Voi – ha sottoposto ad estorsione i sindaci di Borgetto e Partinico. Non solo per ottenere denaro ma anche l’assunzione di una persona a lui vicina”.
Si tratta dell’amante, sostengono gli inquirenti, per la quale aveva chiesto e ottenuto dal sindaco di Partinico Salvatore Lo Biundo un contratto a termine: “Tutto questo rispetto l’hai capito vero? Secondo te tutto questo rispetto da dove viene? Tu non l’hai capito. Questa è stata una minaccia mia!. Se si viene a sapere io è meglio che me ne vado dal paese”, le diceva Maniaci al telefono.
Secondo gli investigatori Maniaci in cambio di piccole somme – 200-300 euro – assicurava ai sindaci di non trasmettere quelli che definiva scoop che avrebbero potuto danneggiarli.
“Se non si fanno le cose che dico – diceva Maniaci non sapendo di essere intercettato – lo mando a casa”.
Non solo: dicono i pm che Maniaci “ha anche ricevuto una donazione gratuita per Telejato, un’auto, una Fiat Punto, da Andrea Impastato”, imprenditore del calcestruzzo originario di Cinisi, titolare di una cava finita sotto sequestro.
Gli inquirenti confermano che il direttore di Telejato avrebbe minacciato più volte inchieste e servizi televisivi per mettere in difficoltà gli amministratori.
“I sindaci – ha detto Lo Voi – hanno ammesso di avere dovuto sottostare a queste richieste estorsive”.
Il quadro su questa vicenda è inoltre arricchito dalla deliberata volontà di Maniaci di sfruttare il proprio status – di persona nota, autore di svariate presunte battaglie antimafia e vicino a soggetti politici, istituzionali magistrati ed ex – “per sostenere di avere subito minacce ed intimidazioni a causa della sua attività antimafia”.
Maniaci viene sentito per la prima volta intercettando il sindaco di Borgetto, nell’ambito di un’inchiesta di mafia. Da lì è apparso il vero profilo dell’uomo. Maniaci si sentiva un intoccabile: “Dopo questo premio nessuno mi può fare niente”, diceva secondo quanto riferisce il capo della Procura.
L’avvocato di Maniaci Ingroia: “Può spiegare tutto”.
“Sulla base di ciò che leggo la parte penalmente rilevante riguarda l’accusa di estorsione, secondo cui Maniaci avrebbe chiesto denaro in cambio di un ammorbidimento della sua linea editoriale. Le prove sono a disposizione di tutti, Maniaci non ha mai ammorbidito le sue denunce in questi anni”, ha detto all’Agi l’ex Pm antimafia, oggi avvocato, Antonio Ingroia, legale di Pino Maniaci.
“So che ci sono elementi derivanti da intercettazioni telefoniche ma prima di dare un giudizio -ribadisce- bisogna tener conto anche delle modalità espressive di Maniaci nel quotidiano.
Il suo è un linguaggio molto ‘ruvido’, è presumibile che siano state male interpretate le sue espressioni”. E poi aggiunge: “Assieme all’avvocato Bartolomeo Parrino avevamo presentato qualche giorno fa la richiesta di essere ascoltati dal procuratore. La Procura, evidentemente, ha deciso diversamente -conclude- pensiamo che si potesse evitare tutto questo perchè Maniaci era in grado, come lo è oggi, di fornire tutti gli elementi”.
Salvatore Borsellino: “Ferita che arma la macchina del fango”.
“Purtroppo mi erano giunte gia’ voci di questo tipo da un po’ di tempo -ha detto- un fatto che mi addolora e ne sono profondamente scosso. In questo mondo non ci si puo’ fidare di nessuno. Noi parenti delle vittime di mafia siamo avvicinate da tante persone e non possiamo indagare su ognuno. Con Pino Maniaci sono stato ospite piu’ di una volta in alcune trasmissioni e gli ho anche fornito dei video, contatti che ho abitualmente con tanti giornalisti. Mi rendevo conto che era un personaggio molto sopra le righe ma mai avrei immaginato che si sarebbe trovato al centro di queste vicende”.
Pur con tutta la prudenza del caso, Borsellino non riesce a trattenere la sua rabbia e delusione: “Anche il semplice sospetto deve servire a isolare certe persone che purtroppo fanno un danno grandissimo al movimento. Una ulteriore ferita che si aggiunge a quelle che gia’ abbiamo, che non si rimarginano. Il fatto che ci sia gente che sfrutta l’antimafia per i propri interessi personali, come sembra abbia fatto questo personaggio -ha concluso- ci colpisce e ci spinge quasi a non mescolarci e a gestire la memoria dei nostri familiari in privato piuttosto che davanti a tutti”.
Claudio Fava: “Io gli espressi solidarietà , ora deve spiegarmi”.
“Quando qualcuno gli ha impiccato i cani, ho preso un aereo e sono andato a Partinico per dargli solidarietà , conforto, amicizia. Adesso leggo, come voi, che Pino Maniaci avrebbe usato tutto questo (le amicizie, le solidarietà , gli attestati di stima) per gonfiarsi come un tacchino. Dei cento euro forse pretesi da un sindaco se ne occuperanno i giudici per dirci se fu estorsione, bravata o solo minchioneria. Ma di ciò che ci riferiscono le intercettazioni, la risposta non la voglio dai giudici ma da Maniaci. Non chiacchiere su complotti e vendette mafiose: risposte!”.
A scriverlo, sul suo profilo Fb, a proposito della vicenda che vede coinvolto il giornalista siciliano antimafia Pino Maniaci, indagato per estorsione, è il vicepresidente della Commissione Antimafia Claudio Fava (SI).
“Voglio che dica – a me e agli altri che in questi anni hanno messo la loro faccia accanto alla sua – se quelle trascrizioni sono manipolate o se è vero che all’amica del cuore raccontava ‘.. mi hanno invitato dall’altra parte del mondo per andare a prendere il premio internazionale del ca.. di eroe dei nostri tempi. Uno di quei premi del ca… era intitolato a Mario Francese, giornalista palermitano ammazzato dalla mafia. Glielo consegnarono sei anni fa. Ci dica Maniaci che è tutto falso, intercettazioni, verbali, parole sue e degli altri: tutto! Oppure quel premio lo restituisca subito”, prosegue Fava.
“Tra tutti i miserabili pennacchi che l’antimafia può mettersi sul cappello – osserva – la morte di un giornalista è il più osceno. Quando ai Siciliani ci ammazzarono il direttore non arrivarono scorte della polizia nè premi nè visite di cortesia nè telefonate dei presidenti del consiglio. Ma andammo avanti lo stesso, imparando a fare ogni mese, e per molti anni, un altro buco nella cintura. E quando a Catania un procuratore corrotto fece mettere sotto controllo i nostri telefoni, se ne tornò dai suoi padrini mafiosi con le corna basse: perchè nelle telefonate dei giornalisti dei Siciliani c’era solo il rigore delle parole, la limpidezza dei comportamenti”. “A noi resta il torto di una nostra colpevole ingenuità : esserci fidati in buona fede dei fumi d’incenso. Che con la lotta alle mafie non c’entrano mai nulla”, conclude Fava.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 4th, 2016 Riccardo Fucile
“ASSURDO MANDARE IN GALERA UN UOMO PER DEI WURSTEL, LA GIUSTIZIA DEVE ESSERE GIUSTA”
«La mia figura viene di solito equiparata a quella dell’accusatore di professione. Ma io ho fatto
l’opposto, stavolta, mi sembrava assurdo che venisse condannato il protagonista d’una storia del genere».
Antonio Lucisano è il magistrato che, nella veste di sostituto procuratore generale, ha chiesto alla Cassazione di assolvere Roman Ostriakov, l’ucraino che la Corte d’appello di Genova aveva condannato a sei mesi per furto.
Aveva prelevato senza pagare da un supermarket Ekom quattro «Wuber» e due pezzetti di formaggio.
Pur rappresentando la pubblica accusa, Lucisano è l’unico che ha presentato ricorso, innescando la sentenza di cui da ieri si discute un po’ ovunque: «Basta pensare al tipo di alimento che ha rubato: un pacchetto di wà¼rstel, dico, nemmeno un surgelato o qualcosa che devi cucinare. È chiaro che lo volesse aprire e mangiare subito…».
La giustizia perde tempo in processi che non si dovrebbero celebrare, o adesso si dà licenza di rubare in determinati casi?
«La giustizia deve fare cose giuste. Punto. E il magistrato è un uomo dello Stato, pagato e qualificato per stabilire se un furto è commesso da una persona che ha disperatamente bisogno, se è solo una sciocchezza o, appunto, un furto in tutto e per tutto. A me invece pareva che il verdetto su quest’uomo fosse stato un po’, come dire…».
Sbrigativo?
«Non vorrei attribuire aggettivi a caso, ma in poche righe si sosteneva che non fosse dimostrata “l’urgenza”, insomma la fame. Io invece penso che abbia rubato proprio per quello e la fame be’, è una necessità generale, a volte anche nei tribunali le cose sono più semplici di quel che sembrano. Poi, è vero che tutti i reati andrebbero perseguiti eccetera eccetera; ma pure a comportarsi in modo più burocratico, non esisterebbero i famosi criteri di priorità ? A chi sembra una priorità il processo di Roman Ostriakov per quattro wà¼rstel?».
Le era mai capitata una storia così?
«Due anni fa feci assolvere una persona che aveva rubato una lattina di birra da 60 centesimi, lo ritenevo troppo insignificante per meritare un processo. Non vuol dire che ogni piccola ruberia debba rimanere impunta: basta vagliare caso per caso, gli uomini ci stanno apposta».
Ha mai visto l’imputato, conosce la sua storia?
«Non so che faccia abbia, non si è mai presentato in tribunale ma non importa (Ostriakov era arrivato in Italia nel 2010 al seguito della madre, domestica rimasta senza lavoro, non era mai stato sorpreso a rubare prima del novembre 2011 e nei mesi successivi aveva inanellato un altro paio di denunce, avendo sottratto alimenti per un valore di qualche decina di euro. Non è mai stato arrestato, oggi non si trova a Genova ma di tanto in tanto vi ritorna, ndr)».
Perchè si è rivolto lei alla Cassazione e non l’avvocato difensore?
«L’imputato era indigente e aveva un legale d’ufficio (Maria Montemagno, che si battè fino all’Appello, perdendo per un periodo le tracce del suo cliente che un giorno le aveva detto: “Forse la cella sarebbe meglio, almeno lì si mangia”, ndr). All’epoca non era cassazionista e non poteva andare oltre, nonostante si fosse impegnata in un lavoro approfondito e appassionato. Ho pensato fosse giusto tentare con il terzo grado e la Cassazione alla fine ha condiviso la sua e la mia visione. Badiamo bene: non c’entrano le nuove leggi sulla “particolare tenuità ”, hanno scelto l’opzione più netta partendo dalla fame come bisogno supremo ed ecco perchè ha fatto così scalpore».
I poveri faticano di più a difendersi fino alla Suprema Corte?
«Eh…».
Ha sempre fatto il pubblico ministero?
«No, sono in Procura generale da sette anni, ma sono stato per molti anni giudice a Venezia, ai tempi del processo per il petrolchimico. Era rarissimo trovarsi davanti a casi del genere e quando toccava giudicare, mi pareva impossibile che fossero arrivati fin lì…».
Matteo Indice
(da “il Secolo XIX”)
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Maggio 4th, 2016 Riccardo Fucile
AL CENTRO DELL’INCHIESTA UN’EROGAZIONE DI 3 MILIONI DI EURO AL CONSORZIO CORTINA TURISMO
Indagato il sindaco di Cortina d’Ampezzo Andrea Franceschi, insieme ad altre dieci persone, tra le quali assessori ed ex consiglieri comunali.
Nella mattina del 4 maggio, la Guardia di finanza di Belluno ha operato un blitz nel comune di Cortina e nella sede del Consorzio Cortina Turismo su delega della Procura bellunese.
Al primo cittadino è contestato il reato di abuso d’ufficio: al centro dell’inchiesta un’erogazione fatta dal Comune al Consorzio di 3 milioni di euro, un importo superiore a quello previsto dall’Unione Europea per aiuti pubblici, in cui tetto è di 200mila euro in un triennio.
Secondo quanto si è appreso, sono indagati per abuso d’ufficio il sindaco di Cortina Andrea Franceschi, il vice sindaco Enrico Pampanin, gli assessori Stefano Verocaie Giovanna Martinolli, il consigliere comunale Stefano D’Andrea e altri quattro ex consiglieri, e l’ex segretario comunale Agostino Battaglia.
E’ inoltre indagato il presidente del Consorzio Cortina Turismo, Stefano Illing, per falso ideologico e indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato.
Sotto la lente della Guardia di Finanza di Belluno c’è tutta la documentazione dal 2012 al 2014: secondo la procura, in questo periodo è stato erogato un contributo di tre milioni di euro dal Comune di Cortina al Consorzio Cortina Turismo.
I militari delle Fiamme gialle, coordinati dal pm Roberta Gallega, hanno perquisito oltre il municipio anche la sede del Consorzio e le abitazioni delle persone coinvolte nelle indagini.
Secondo l’accusa, il contributo erogato dal Comune al Consorzio supera l’importo massimo degli aiuti pubblici che, nel triennio, possono essere concessi ad una società privata. Per gli inquirenti, inoltre, i consiglieri comunali si sono trovati in conflitto di interessi in quanto soci dello stesso Consorzio, non ultimo il fatto di essere amministratori o soci di strutture alberghiere o commerciali.
All’esame inoltre le dichiarazioni sostitutive presentate dal presidente del Consorzio Illing che, secondo la procura, ha omesso di dichiarare di aver percepito dal Comune tre milioni di euro in modo da poter accedere a contributi erogati dalla Regione Veneto per un importo di 200 mila euro.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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