Maggio 30th, 2016 Riccardo Fucile
“LO STATO ME LO HA CHIESTO INDIETRO PERCHE’ GUADAGNO POCO”…CHI E’ ANDATO SOTTO LA SOGLIA DEGLI 8.000 EURO O SOPRA I 26.000 DEVE RIDARE LA SOMMA IN UN’UNICA SOLUZIONE… NEL 2015 E’ SUCCESSO A 1,4 MILIONI DI ITALIANI
“E’ così che lo Stato italiano aiuta le persone che guadagnano poco? Regalando loro soldi quando riescono a lavorare e poi pretendendoli indietro perchè alla fine dell’anno non hanno guadagnato abbastanza? Dando oltretutto per scontato che ne abbiano la disponibilità ?”.
Eugenia Pages, 31 anni, è cuoca.
Nel 2015 si è vista riconoscere il bonus da 80 euro, salvo poi scoprire, quasi un anno dopo, che non ne aveva diritto. Perchè il suo reddito è stato troppo basso. E così deve restituire la somma all’Agenzia delle Entrate.
Ma se il bonus è stato erogato un poco alla volta in busta paga, 80 euro al mese appunto, ora la ragazza si trova costretta a restituire tutto in un’unica soluzione. Centinaia di euro in una botta sola. E non è certo l’unica.
Nel 2015 si sono contati 1,4 milioni di italiani obbligati a rinunciare al bonus, praticamente uno ogni otto beneficiari dello sgravio. Di questi 341mila avevano un reddito sotto i 7.500 euro all’anno. Un sacrificio, ma soprattutto una beffa.
“Trovo tutto questo ridicolo e vergognoso. Io in qualche modo la sfango, ma chi non lavora tutto inverno e deve pagare sull’unghia, come fa?”.
La scorsa estate Pages ha lavorato per tre mesi in un ristorante di Chiavari, in provincia di Genova, e per due mesi ha percepito l’indennità di disoccupazione.
Nei tre mesi di lavoro, la cuoca ha portato a casa poco più di 4mila euro. Il datore ha chiesto l’erogazione del bonus anche se non le spettava e di conseguenza anche l’Inps le ha concesso il beneficio sul sussidio di disoccupazione.
“Poi a maggio mi ha chiamato la commercialista — prosegue la signora — E mi ha detto che l’Agenzia delle Entrate mi chiedeva di restituire il bonus”.
“Punita per non aver trovato un lavoro in regola”
Nel 730 precompilato che si è trovata di fronte compare la scritta: “In sede di dichiarazione è stato recuperato il bonus Irpef non spettante erogato dal datore di lavoro per un importo pari a 410 euro”.
Insomma, la cuoca ora deve restituire in un colpo solo un decimo di quanto ha guadagnato a lavoro l’anno scorso.
“Quindi cosa dovrò fare quest’estate, quando finalmente lavorerò di nuovo perchè inizia la breve stagione turistica? — si chiede Eugenia — Tenere da parte 80 euro al mese perchè l’anno prossimo mi saranno richiesti indietro? Cioè, sarò punita come quest’anno perchè non sono stata in grado di trovare un altro lavoro decente, regolare, pagato a norma e non in nero o con i voucher?”.
“Operazione di portata storica”. Ma non a prova di errore
“Un’operazione che definirei di portata storica. I destinatari del nostro intervento non sono solo i ceti meno abbienti, ma anche un po’ di ceto medio”.
Il premier Matteo Renzi, il 12 marzo 2014, ha presentato così in conferenza stampa l’idea del bonus da 80 euro.
Ma paradossalmente tra i “meno abbienti” che l’intervento intendeva sostenere c’è anche chi ora si ritrova a subire un danno proprio a causa di quel credito Irpef.
Il beneficio, infatti, spetta a quanti hanno un reddito compreso tra gli 8mila — la soglia di incapienza, sotto cui non si pagano le tasse — e i 26mila euro.
La richiesta la presentano i datori di lavoro, che devono “determinare la spettanza del credito e il relativo importo sulla base dei dati reddituali a loro disposizione”, come dice la stessa Agenzia delle Entrate.
Ma può capitare che le imprese commettano un errore o che “i dati reddituali a loro disposizione” siano insufficienti per un calcolo preciso. E così il bonus è arrivato anche ai lavoratori sotto la soglia degli 8mila euro di reddito o sopra il limite dei 26mila euro.
Il 12,5% dei beneficiari ha dovuto restituire lo sgravio
I numeri del fenomeno sono tutt’altro che irrilevanti. Dai dati del dipartimento delle Finanze risulta che nel 2015 (anno d’imposta 2014) hanno dovuto rimborsare il bonus 1,4 milioni di contribuenti. In totale, i lavoratori hanno dovuto ridare all’Agenzia delle Entrate 320 milioni di euro, circa 220 euro a testa.
Cifre considerevoli, soprattutto se si pensa che le imprese hanno erogato il beneficio a 11,6 milioni di italiani, per un valore totale di circa 6 miliardi di euro. In pratica, ha restituito il bonus il 12,5% di quanti lo hanno percepito: un caso su otto.
55 milioni rimborsati da chi è troppo povero per pagare le tasse –
Spulciando i dati del dipartimento, si nota che il fenomeno ha interessato senza distinzioni ogni fascia di reddito, dalle più alte alle più basse.
Ma non è difficile immaginare che l’inconveniente avrà creato più problemi a chi ha guadagnato di meno: tra quanti hanno dovuto restituire il bonus, infatti, 341mila contribuenti avevano entrate inferiori ai 7.500 euro annui.
Sono i cosiddetti incapienti: guadagnano talmente poco che non pagano imposte perchè la detrazione fiscale per il reddito da lavoro dipendente supera l’ammontare di tasse che dovrebbero pagare. In totale, queste persone hanno sborsato 55 milioni di euro, circa 160 euro a testa.
Stefano De Agostini
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 30th, 2016 Riccardo Fucile
SPAZIO ALLA “RIQUALIFICAZIONE DELLE TERME ROMANE E ALLA UNIVERSITA’ DI CASSINO E ALLA VOCAZIONE DEL POPOLO CIOCIARO”: PECCATO CHE VICO EQUENSE SIA IN CAMPANIA
Le Terme Romane e il fiume Cosa si spostano dal Lazio a Vico Equense. E nella campagna elettorale del comune in provincia di Napoli, già piuttosto tormentata, ecco servito l’ennesimo scivolone.
Che riguarda il programma di Andrea Buonocore, assessore della maggioranza uscente di centrodestra e candidato sindaco della lista VICOinvolgiAMO.
Alcune parti sono state interamente copiate da quello presentato nel 2012 alle comunali di Frosinone dalla candidata Giuseppina Bonaviri.
Che voleva rilanciare i locali di un ex mattatoio in cui c’è la ‘Casa della cultura’ intitolata a Giuseppe Bonaviri, poeta, scrittore e padre della candidata stessa.
“Sarà la naturale Casa della cultura di Vico Equense” si promette ora nel programma elettorale, nel quale però nessuno ricorda che quella struttura si trova a Frosinone. Come è normale che sia. Un programma elettorale sparito nelle ultime ore dall’albo pretorio del Comune di Vico Equense e sostituito in tutta fretta dalla brochure distribuita da Buonocore durante i comizi di questi giorni.
Non si tratta della prima grana per la lista, prima non ammessa dalla commissione elettorale e dal Tar e poi di nuovo in corsa dopo la decisione del Consiglio di Stato. Niente da fare, invece, per gli apparentamenti con Partito democratico e movimento Forza Vico, le cui liste sono state escluse per documentazione insufficiente.
“Mi assumo tutta la responsabilità di quanto accaduto che, anche se grave, è frutto di una leggerezza” spiega a ilfattoquotidiano.it il candidato Buonocore.
IL PROGRAMMA ELETTORALE SOTTO ACCUSA
Il programma elettorale presentato ufficialmente dalla lista è in diverse parti identico a quello della candidata che, tra l’altro, non fu eletta e neppure entrò in consiglio comunale.
Ad accorgersene e segnalarlo anche sui social, alcuni sostenitori degli altri candidati in corsa per la poltrona di sindaco. Oltre al paradosso della Casa della cultura intitolata a Giuseppe Bonaviri, ci sono una serie di riferimenti a progetti che non potrebbero che riguardare Frosinone.
Come quello illustrato già al primo punto del programma della candidata Bonaviri nel paragrafo dedicato alla rete delle città virtuose.
Tra gli obiettivi “rilanciare il centro storico a partire dalla rinascita del vecchio Teatro Nestor e dei locali storici (ex-cinema Vittoria ed Excelsior)”.
Si prevedeva poi la salvaguardia di tutto il patrimonio artistico locale (vedi Terme Romane). Tutti luoghi e strutture di Frosinone che ricompaiono nel programma della lista di Vico Equense, nel quale si fa anche riferimento al coinvolgimento dell’Università di Cassino per istituire borse di studio e corsi di formazione per i giovani. Solo che si tratta dei giovani di Frosinone.
Chi ha scritto il programma di VICOinvolgiAMO, poi, ha ‘preso spunto’ anche dalla pianificazione urbanistica, anch’essa al primo punto del programma pensato per Frosinone, nel quale si faceva cenno alla “sistemazione del verde lungo il fiume Cosa” (che si trova nel Lazio).
E sulla stessa scia si propone di “riscoprire dell’agricoltura, antica vocazione del popolo ciociaro”. Ciociaro, appunto.
L’AMMISSIONE DEL CANDIDATO
“Mi assumo le mie colpe e non nego l’errore, ma voglio spiegare cosa è accaduto” dice a ilfattoquotidiano.it Buonocore.
Che racconta: “L’accordo della maggioranza sulla mia candidatura è stato raggiunto tra il 6 e il 7 maggio, prima di allora c’era un altro candidato che metteva insieme una serie di liste, tanto che nè io, nè i miei stretti collaboratori hanno partecipato alla stesura di quel programma”.
Che quindi è stato presentato (accompagnando però la candidatura di Buonocore) senza che gli fosse data neppure un’occhiata?
“Questa è stata una grave leggerezza — spiega ora l’amministratore — ma nella fretta dell’ultimo minuto, non ci siamo occupati di controllare il testo, anche perchè io stavo andando avanti già con un programma mio da aprile”.
Quello sintetizzato in una brochure che viene distribuita in questi giorni durante i comizi. E che nelle ultime ore ha preso anche il posto del programma ufficiale nel frattempo svanito dall’albo pretorio del Comune di Vico Equense e dalla pagina Facebook del candidato.
LA CAMPAGNA FRA TAR E CONSIGLIO DI STATO
Il programma copiato è solo l’ultimo colpo di scena di una campagna elettorale piuttosto animata.
Basti pensare che Buonocore ha già dovuto rinunciare agli apparentamenti con Partito democratico e movimento Forza Vico, le cui liste sono state escluse a causa della documentazione ritenuta insufficiente.
La stessa VICOinvolgiAMO è in corsa solo grazie alla decisione del Consiglio di Stato, dopo la non ammissione da parte della commissione elettorale mandamentale, sancita dal Tar Campania e poi riabilitata dal Consiglio di Stato.
E non è finita. L’inaspettato apparentamento tra lista in questione e il Pd (che prima appoggiava il candidato Maurizio Cinque insieme ad altre 4 liste civiche), deciso dalla segretaria territoriale Franca Rossi, ha spinto la segreteria provinciale del partito di Renzi a chiedere il commissariamento del circolo territoriale.
Una posizione condivisa anche dalla segreteria regionale, su cui dovrà ora esprimere un parere la commissione di garanzia.
Luisiana Gaita
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 30th, 2016 Riccardo Fucile
A GENOVA IL DOTTOR NICOLAS ESERCITA LA PROFESSIONE NEL CENTRO STORICO… MAGARI VENISSE UNA ILLUMINAZIONE A QUALCHE SEDICENTE “DESTRO SOCIALE”
Il dentista degli ultimi viene dall’isola di Icaro e lavora al quinto piano di un palazzo stretto tra il Porto Antico e la chiesa di San Torpete. Non è difficile da trovare.
Almeno quattro pazienti al giorno lo chiamano perchè hanno letto l’annuncio, un grande cartello in via San Giorgio: “Dentista sociale — Onorari secondo lo stato del bisogno a operai, pensionati, contadini, studenti, artigiani e artisti”.
Quando lo ha affisso, un anno fa, il dottor Nicolas Dessypris non ha chiesto il permesso a nessuno. E quando il Comune gli ha chiesto duemila euro, è scoppiato a ridere.
“Con tutte le persone che hanno bisogno, che cercano di mangiare con tre denti perchè non hanno i soldi per curarsi, duemila euro per un cartello?”.
Non vuole essere chiamato benefattore, questo signore che, come Icaro, vola alto ma non ha paura di cadere.
E cura i denti come una missione, anzi, come una filosofia: semplice e lampante come il suo annuncio abusivo: “Io penso che tutte le persone hanno il diritto di mangiare, hanno il diritto di avere dei denti. E se non possono permetterselo, qualcuno li deve aiutare. Ognuno, nel suo piccolo, deve fare la sua rivoluzione personale”.
La sua rivoluzione è in questo piccolo studio vicino al porto, aperto 26 anni fa. E, da sette, la definizione di dentista sociale: una figura che nasce in Italia nel 2009 in seguito a un accordo tra Ministero del Lavoro, delle politiche sociali e l’Associazione nazionale dentisti italiani.
E prevede un tariffario agevolato per chi ha problemi economici. Basta portare il proprio Cud, il 730 o il modello unico, precisa un altro cartello affisso nello studio.
Gli sconti saranno proporzionati al reddito: del 50 per cento per chi guadagna fino a 5000 euro all’anno, del 40 per chi è nella fascia da 5 a 10 mila, e via così.
Ma il dottor Dessypris, che ha quasi settant’anni eppure non lo diresti mai, dal lampo guizzante che gli accende lo sguardo, non è un uomo da calcolatrice alla mano.
Lo studio è invaso da un sottofondo di musica greca e dalle immagini della sua isola, Icaria, che ha lasciato più di quarant’anni fa per iscriversi a Medicina a Genova e che è dappertutto, nei depliant sul tavolo della sala d’aspetto e alle pareti.
“La prima visita e il preventivo li faccio gratis. Quando qualcuno ha un’urgenza, forte dolore, gli tolgo il male. E poi si vedrà . C’è un signore che viene da me da cinque anni, ha una malattia muscolare, all’inizio arrivava in studio con il bastone, poi con le stampelle, poi in ambulanza. Altre volte arriva qui un ragazzino autistico. Come faccio a chiedere dei soldi? Già hanno la loro disgrazia”.
Allo studio di Dessypris bussano per lo più italiani, “pensionati che prendono 300 euro al mese, famiglie numerose, genitori separati con figli a carico, operai in cassa integrazione, disoccupati, artigiani che hanno perso il lavoro. E poi qualche straniero, alcuni sono ambulanti che vendono al Porto Antico, altri me li manda un’associazione in via Prè che segue soprattutto i bambini. C’è tanto bisogno”.
Il dottore degli ultimi la conosce bene, questa parola.
A 22 anni ha lasciato la famiglia e i sette fratelli per venire a studiare medicina. A Genova.
“L’ho scelta per il mare — sorride — in Grecia, gli anni Settanta erano tempi durissimi. Per mantenermi agli studi ho lavorato in una ditta di forniture navali, ho fatto il corriere, il commesso nel negozio di un amico greco”.
A Icaria ci va ancora, tutti gli anni. “Per vedere i parenti, i nipoti. Quando andrò in pensione, tornerò a casa mia”.
La sua casa l’ha indicata sulla cartina, con un pallino rosso. Accanto alla mappa ha appeso anche un foglio tutto scritto in greco.
“Sono saggi delfici — spiega — ecco, qui dice: conosci te stesso, e non invidiare niente. L’unico modo per essere felici”.
(da “La Repubblica”)
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Maggio 30th, 2016 Riccardo Fucile
LA POLIZIA ALL’ALBA NON TROVA NESSUNO IN SPIAGGIA, L’ORDINANZA DI SGOMBERO DEL SINDACO RESTA CARTA STRACCIA… MA CHE BELLA SINISTRA QUELLA DI VENTIMIGLIA CHE PENSA DI RISOLVERE IL PROBLEMA CON LA FORZA
Quando le 15 camionette con decine e decine di uomini sono arrivate sulla spiaggia, dove da ieri si era trasferito il campo spontaneo dei migranti, hanno trovato il campo deserto.
Migranti e attivisti l’hanno abbandonato nella notte per sfuggire allo sgombero: e ad accoglierli è stata la chiesa di Papa Francesco.
Seguendo l’invito arrivato ieri sera dal vescovo di Ventimiglia Antonio Suetta, padre Francesco Marcoaldi ha aperto le porte del salone sotto la centralissima chiesa si San Nicola.
Così stamattina, mentre le forze dell’ordine arrivavano sole tra tende smontate e qualche materasso abbandonato, fuori dalla chiesa gli attivisti mostravano uno striscione in ricordo delle ultime vittime del mare.
E con il loro slogan: “open the Borders”. Chiedono infatti l’apertura delle frontiere, che qui a Ventimiglia, come al Brennero, sbarrano la strada ai migranti in fuga dall’Italia per continuare il loro viaggio.
Una ventina di migranti che dormivano per strada in varie parti della città sono stati fermati dalle forze dell’ordine e fatti salire su un bus.
Le forze dell’ordine – poliia, carabinieri, guardia di Finanza e un’imbarcazione della Capitaneria – stanno operando in rispetto dell’ordinanza di sgombero emessa venerdì scorso dal sindaco Enrico Ioculano per “motivi di igiene e sicurezza pubblica”.
Ma ora cosa può accadere ai profughi ospitati nella chiesa di San Francesco?
La vicenda ricorda quella dei cosiddetti “Sans Papiers”, altri profughi senza documenti che nei primi anni Duemila occuparono una chiesa nel centro di Parigi per un lungo periodo.
Il vescovo Suetta, titolare della diocesi di Sanremo-Ventimiglia, ringrazia padre Francesco e confeema che si sta attivando per concedere gli spazi del seminario di Bordighera per accogliere una tendopoli destinata ai migranti, come annunciato ieri sera.
E padre Francesco, che su affaccia dalla chiesa intorno alle 8, dice di averi accolti senza pensarci troppo . “Li terrò qui finchè ce ne sarà bisogno”.
Ai pasti penserà la Caritas.
(da “La Repubblica”)
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Maggio 30th, 2016 Riccardo Fucile
PIU’ COSTI MA SERVIZI INEFFICIENTI… NEGLI ULTIMI 5 ANNI E’ SCESO IL NUMERO DEI RIFIUTI PRODOTTI MA LE TARIFFE SONO AUMENTATE DEL 22,7%…LAZIO E LIGURIA LE REGIONI PIU’ CARE
Produciamo meno rifiuti ma paghiamo di più per la loro gestione. Ci dichiariamo insoddisfatti, eppure la risposta che arriva dagli enti locali e dalle società che si occupano di smaltimento è un incremento delle tariffe.
Il meccanismo messo in evidenza da un rapporto della Confartigianato è vizioso: i dati dicono di una diminuzione del 10,1% dei rifiuti prodotti negli ultimi cinque anni, “eppure le tariffe di raccolta continuano a galoppare, lievitate del 22,7% dal 2011”, denunciano gli artigiani.
Una presa di posizione che arriva proprio alla vigilia dello sciopero dei lavoratori dell’igiene ambientale, circa 100.000 su tutto il territorio nazionale, che incrociano le braccia lunedì 30 maggio a sostegno del rinnovo del contratto, scaduto da due anni e mezzo: Fp Cgil, Fit Cisl, UilTrasporti e Fiadel chiedono un aumento per il triennio 2016-18 di 100 euro.
Ma tornando al rapporto degli artigiani, lo scollamento tra costi e prestazioni è evidente nei numeri: l’igiene urbana è costata alle tasche di famiglie e imprenditori italiani nel 2014 in media 167,80 euro a testa, in totale 10,2 miliardi.
Eppure, se si guarda al livello di soddisfazione registrato nel Vecchio continente, gli italiani sono all’ultimo posto.
I rincari dell’ultimo quinquennio battono poi nettamente l’inflazione (di 15 punti percentuali) e la media degli aggravi sulle tariffe nell’Eurozona (di 9,6 punti).
Il rapporto mette in fila le Regioni più care: nel Lazio (Roma compresa) si arriva a un costo di 220,3 euro per abitante. Seguono Liguria con 212,7 euro, poi Toscana con 210,3 euro, Campania (196,7), Sardegna (192,1), e Umbria con 182,2 euro.
Va decisamente meglio agli abitanti del Molise, dove i cittadini pagano 116,2 pro capite, seguiti nella classifica dei virtuosi dal Trentino Alto Adige (130,6 euro) e quindi dal Friuli Venezia Giulia con 130,7 euro per abitante
Roma: cara e inefficiente.
La fotografia di Confartigianato unisce al danno, la beffa.
Infatti, sembra ci sia un legame perverso tra il costo delle tasse sui rifiuti e la qualità percepita del servizio.
E la Capitale italiana lo esemplifica al meglio: “Roma detiene il primato negativo dei costi più alti per l’igiene urbana e della maggiore insoddisfazione dei cittadini per questo servizio.
La raccolta di immondizia costa agli abitanti della Capitale 249,9 euro pro capite, il 50,9% in più rispetto alla media nazionale ed il 9,5% in più rispetto ai 225,15 euro rilevati nel 2010”.
Eppure, “solo il 9% dei cittadini romani è soddisfatto per la pulizia della capitale. Tra il 2011 e il 2015 la soddisfazione è calata del 17,7% e nel dettaglio, soltanto un quinto degli abitanti della capitale apprezza igiene e decoro dei cassonetti (22,6%), pulizia delle aree intorno ai cassonetti (21,7%) e pulizia nella propria zona (21,3%).
In Italia soltanto Palermo batte Roma, con appena il 7% dei cittadini soddisfatti per l’igiene urbana”. I risultati migliori della Penisola si trovano invece a Verona, Bologna e Torino.
(da “La Repubblica”)
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Maggio 30th, 2016 Riccardo Fucile
SI E’ DIMESSO IL SACERDOTE CHE AVEVA DETTO CHE AVREBBE DATO FUOCO ALLA CANONICA PIUTTOSTO CHE ACCOGLIERE I PROFUGHI
Quando è salito al pulpito durante la messa per il Corpus Domini, nella parrocchiale di Onzo, uno dei tre piccoli comuni di cui è parroco nella Valle Arroscia, nel savonese (gli altri sono Arnasco e Vendone) , don Angelo Chizzolini, il giovane e discusso sacerdote che la scorsa estate aveva minacciato di dar fuoco alla canonica piuttosto che accogliere migranti, e che nel gennaio scorso rifiutò di benedire la salma di Aicha, la donna musulmana tra le sette vittime del tragico crollo di una palazzina ad Arnasco, ha preso un foglio, avvertendo di dover dare un annuncio, e ha chiarito che, “in base agli articoli 538 e 541 del codice di diritto canonico”, dal 31 maggio non sarà più a capo della parrocchia.
Nessuna spiegazione se non di aver preso la decisione d’intesa con il vescovo di Albenga, monsignor Guglielmo Borghetti; poi basta. Un annuncio ripetuto più tardi nelle altre due comunità .
Don Chizzolini, dunque, se ne va. Ma perchè? L’articolo 538 parla della rimozione del parroco o delle sue dimissioni “per giusta causa”, mentre l’altro fa riferimento alla gestione della parrocchia nel periodo di “vacanza”.
Secondo le voci che si rincorrono, la vicenda, al di là delle polemiche su don Chizzolini e le sue prese di posizione anti-migranti e anti-islamici andrebbe letta nell’ambito della “guerra” nella Diocesi ingauna , tra il vescovo uscente monsignor Mario Oliveri, a cui recentemente papa Bergoglio aveva rivolto un caloroso invito a pensionarsi- ma che ancora ha dalla sua parte una pattuglia di fedelissimi, tra cui don Chizzolini — e la nuova guida vescovile, impegnata a chiudere con un periodo contestato e discusso.
Dopo la vicenda della benedizione rifiutata, infatti, don Chizzolini era stato richiamato dal vescovo, dopo le annunciate scuse del sacerdote (annunciate da monsignor Borghetti, ma non dal sacerdote).
Forse, al di là delle questioni diocesane, la presenza di don Angelo nelle vallate alle spalle di Albenga era ormai solo questione di tempo.
Il diritto canonico. L’articolo 538 citato da don Chizzolini durante la messa del Corpus Domini
Il parroco cessa dall’ufficio con la rimozione o il trasferimento deciso da parte del Vescovo diocesano a norma del diritto, con la rinuncia fatta dal parroco stesso per giusta causa, la quale, per essere valida, deve essere accettata dal Vescovo, e inoltre cessa allo scadere del tempo se fu costituito a tempo determinato, secondo le disposizioni del diritto particolare di cui al can. 522.
Resta da vedere quale sia la “giusta causa” a cui si fa riferimento.
Donatella Alfonso
(da “La Repubblica”)
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Maggio 29th, 2016 Riccardo Fucile
DAL RISARCIMENTO ALLE FAMIGLIE DELLE VITTIME ALLE TRASFERTE… L’ASSEGNO PIU’ GROSSO E’ PER GLI AVVOCATI: 6 MILIONI FINO AD OGGI… PERCHE’ NON PAGA CHI HA MANDATO I MILITARI ITALIANI A TUTELARE INTERESSI PRIVATI?
Dopo 1565 giorni, con il ritorno di Salvatore Girone da Nuova Delhi, finalmente tutti e due i marò sono in patria. Il caso è a una tappa fondamentale ed è tempo di bilanci. Volendo fare il «conto della serva» fino ad oggi, euro più euro meno, il caso marò è costato agli italiani che lavorano attorno agli otto milioni di euro, ma il conto, naturalmente, non è chiuso.
Tutto è iniziato il 15 febbraio 2012, il giorno dopo San Valentino: nel bel mezzo del Mare Arabico, in acque internazionali il mai chiarito incidente nel quale perirono due sfortunati pescatori.
L’Enrica Lexie, la petroliera su cui erano imbarcati in missione antipirateria, voluta dal ministro la Russa, i nostri marò, venne costretta ad attraccare in India, poi l’arresto.
Da quel momento sono iniziate le spese: le missioni diplomatiche in India per trattare con le autorità del posto, quelle di viaggio per i familiari della coppia, più naturalmente gli stipendi dei nostri due militari che sono finiti in questa trappola mentre facevano il loro dovere.
Tutto nell’ordine di molte decine di migliaia di euro all’anno.
La prima «botta» giunge il 20 aprile 2012 con il disastroso accordo extragiudiziale del governo Monti con le famiglie delle vittime in base al quale l’Italia sborsò dieci milioni di rupie (142.000 euro) per ognuna delle due vittime.
Una «donazione», per l’allora ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, un «risarcimento», secondo gli avvocati indiani, un’ammissione di colpa e un tentativo di aggirare la legge per i pubblici accusatori.
Trecentomila euro dei contribuenti che non solo non risolsero il caso, ma lo complicarono.
Poi c’è la cauzione di 800mila euro sborsata dalla Farnesina il 2 giugno 2013 per far rilasciare Girone e Latorre dal penitenziario di Trivandrum.
Ma questi soldi almeno sono rimborsabili.
Il capitolo delle spese legali è il più complesso: la vicenda si suddivide in due fasi, quella indiana e poi l’«internazionalizzazione».
Cinque milioni di dollari sono stati pagati dai governi Monti e Letta agli avvocati indiani. Prima lo studio Titus & Co di Nuova Delhi, che dichiarò di aver schierato ben 9 legali sul caso.
Il più noto alle cronache italiane è Harish Salve, che nel marzo 2013, quando sembrava che i fucilieri di Marina restassero in Italia dopo il permesso concesso dall’India, dichiarò con sdegno che lasciava l’incarico per protesta.
Da Roma venne ingaggiato anche l’avvocato Mukul Rohatgi, raffinato collezionista di auto, uno dei legali più pagati dell’India.
Si è battuto a spada tratta, senza ottenere nulla, tranne, naturalmente, la sua parcella.
In euro durante la «fase indiana» sono stati impegnati oltre 3 milioni e mezzo.
Il pagamento è stato effettuato nel 2013 in quattro tranches, la prima da circa 900mila euro, la seconda da 800 mila, la terza ancora da 900mila, più una ulteriore di circa 700mila.
Una piccola parte sono serviti per l’avvio della «fase due»: l’internazionalizzazione che, pur mantenendo l’attenzione in India, spostava la pressione legale su Amburgo (Tribunale internazionale del Mare) e L’Aja (Corte permanente di arbitrato).
È stato ingaggiato il principe internazionale del Foro Sir Daniel Behtlehem, che ha schierato tre avvocati sul caso.
Ma non solo: gli inglesi fanno parte di un team legale di 9 persone, cinque dei quali sono esperti italiani.
(da “il Tempo”)
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Maggio 29th, 2016 Riccardo Fucile
IL BUON SENSO CONSIGLIA DI TENERE IL PROFILO BASSO PER RAGIONI GIUDIZIARIE E ISTITUZIONALI: VANNO TUTELATI NELLE SEDI DESIGNATE
I due marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre non sfileranno alla parata della festa della Repubblica.
Ragioni giudiziarie e istituzionali consigliano di non dare ancora troppa enfasi a una vicenda ancora non del tutto conclusa.
Il caso diplomatico e anche politico inizia con un tweet un po’ avventato: “Diamo il benvenuto al marò Girone che sarà con noi il due giugno”, aveva scritto Matteo Renzi un paio di giorni fa nel comunicare che l’India aveva deciso di rilasciare il fuciliere di Marina.
Adesso Salvatore Girone è in Italia, nella sua Bari, e il centrodestra, proprio chi li hanno mandati a tutelare interessi privati di un armatore, chiede che i due marò, fermati in India quattro anni fa con l’accusa di aver ucciso due pescatori durante un’operazione anti pirateria, possano sfilare alla parata della festa della Repubblica:
Il premier, che per primo aveva vagliato questa ipotesi, dopo l’entusiasmo iniziale ha scelto una linea più cauta.
Il governo ha quindi deciso, forse anche su invito dell’India stessa, di mantenere un profilo basso in una fase così delicata dei rapporti internazionali.
Ragioni politiche, diplomatiche e giudiziarie infatti, viene spiegato da fonti autorevoli, sconsigliano la partecipazione dei due marò alla sfilata.
E ragioni di ordine istituzionale consigliano di lasciare le cose come stanno consentendo ai due marò di riposare e di non essere in posti sbagliati.
In fondo, viene fatto notare, i due fucilieri di marina sono ancora indagati. Ci sono ancora tante procedure in corso, ad esempio è ancora aperto il contenzioso con l’India su chi deve esercitare la competenza penale in attesa che il tribunale arbitrale internazionale – a cui si è rivolto l’Italia – dia una risposta sul caso.
Quindi la Corte suprema indiana ha dato l’ok al rientro, rendendo esecutivo l’ordine del tribunale arbitrale internazionale dell’Aja emesso il 3 maggio scorso, ma il braccio di ferro tra Italia e India sul caso, che va avanti da oltre quattro anni, è ancora lontano da soluzioni certe.
Lo stesso Renzi ha scelto, nel giorno dell’arrivo di Girone di non esporsi in prima persona.
Ad accogliere il marò all’aeroporto di Ciampino sono andati i ministri degli Esteri e della Difesa, Paolo Gentiloni e Roberta Pinotti. Il premier invece ha mantenuto i suoi impegni in agenda e da Reggio Calabria ha salutato l’arrivo dicendo che questo è un giorno “di immensa gioia”. I ministri hanno invece garantito che l’impegno proseguirà . Mentre Girone, dopo aver abbracciato la famiglia e senza rilasciare dichiarazioni, è volato a Bari.
Intanto il fuciliere di Marina, una volta a casa, ha ringraziato l’Italia dicendo che “siamo un bel popolo” ma anche a lui è stato consigliato di non esporsi troppo.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 29th, 2016 Riccardo Fucile
LA FRASE DELIRANTE DEL NUMERO DUE DEL PARTITO XENOFOBO AFD COSTRINGE LA PETRY A CHIEDERE SCUSA AL CALCIATORE DELLA NAZIONALE TEDESCA
«Boateng? I tedeschi lo ritengono un bravo calciatore, ma non lo vorrebbero come vicino di casa».
Polemica in Germania per la dichiarazione razzista rilasciata da Alexander Gauland, numero due del partito anti immigrazione di estrema destra Alternativa per la Germania (AfD).
L’imbarazzo del partito e la condanna del governo
Le parole sono state riportate in un’intervista fatta al politico tedesco nell’edizione domenicale del giornale «Frankfurter Allgemeine Zeitung» e imbarazzano non poco il partito e la presidente di Afd, Frauke Petry.
«Gauland non ricorda se ha fatto questi commenti – cerca di giustificarsi con la «Bild» – Comunque Vorrei scusarmi in ogni caso con Boateng per l’impressione che si è creata».
Condanna sull’accaduto da parte del ministro dell’Interno tedesco, Thomas de Maiziere, il quale ha dichiarato – sempre alla «Bild» – che «ogni tedesco dovrebbe essere felice di avere Boateng come compagno di squadra, concittadino e vicino di casa».
Mentre il ministro della giustizia, Heiko Mass, ha bollato come «inaccettabili» tali dichiarazioni e il presidente della Federazione calcio tedesca Reinhard Grindel ha parlato di Boateng come «di un giocatore eccezionale e una persona meravigliosa», sottolineando il cattivo gusto di usare la nazionale a scopi politici.
Il precedente
Jerome Boateng, nato a Berlino da padre del Ghana, è difensore nel Bayern Monaco e giocherà probabilmente nella formazione della Germania agli Europei che cominceranno in Francia il 10 giugno.
Con lui dovrebbero esserci anche Mesut à–zil, di origini turche, e altri giocatori di origini non unicamente tedesche.
Recentemente i giocatori sono stati coinvolti in un altra polemica a sfondo razzista da parte del partito tedesco Pegida dopo che la Ferrero ha messo le immagini dei due calciatori da piccoli sulle famose barrette di cioccolato Kinder.
I seguaci del partito di estrema destra hanno protestato per la scomparsa della «tradizionale» foto che ritraeva un bambino biondo per poi accorgersi della «gaffe».
Beatrice Montini
argomento: Razzismo | Commenta »