Maggio 28th, 2016 Riccardo Fucile
“NON SONO GASTONE, RESTO PAPERINO. E IL PARTITO DELLA NAZIONE NON MI VA GIU’
“E alla fine mi son detta: ma non sarà il caso di provare a votare questa ragazzetta esile, dalla faccia pulita, che fa per nome Virginia Raggi? Per la prima volta disobbedisco: non mi va giù questo partito della Nazione” .
Lo dice Sabrina Ferilli intervistata da ‘Il Fatto quotidiano’, in merito alle prossime Comunali a Roma, a cui è candidata come sindaco anche la 5 Stelle Virginia Raggi.
“I romani – dice l’attrice – hanno votato il marino scienziato, e abbiamo visto”.
“E prima di lui Alemanno lo screanzato, e ‘nun ne parlamo’. Perchè devo ritenere irresponsabile dare un voto all’unico movimento che cerca ancora la piazza come luogo di ritrovo, che chiede alla gente di interessarsi di politica, di prendere parte alle decisioni? Perchè lo sberleffo a sta ragazza e ai suoi compagni e tanti salamelecchi ai fetentoni che hanno ridotto la mia Roma a una fogna?”.
“E’ la prima volta che disobbedisco agli ordini discuderia. Mi domanderò: ma come, proprio adesso che al governo c’è il centrosinistra?. Non sono Gastone, resto Paperino. Non mi va giù questa forma di meticciato politico, questo partito della Nazione che raccoglie l’alto, il basso, il rosso, il nero, il buono e il cattivo”.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 28th, 2016 Riccardo Fucile
UNO SPIRITO LIBERO, MAGNETICO, INQUIETO, CREATIVO, CAMALEONTICO
Per tutta la vita, Giorgio Albertazzi — scomparso oggi all’età di novantadue anni — ha dovuto fare i conti con quella fama di essere un po’ come il protagonista di uno dei romanzi più amati e conosciuti di Stevenson – Lo strano caso del Dottor Jekyll e Mister Hyde – tra l’altro, uno dei primi spettacoli da lui interpretati e trasmessi negli anni Sessanta dall’allora neonata Rai.
Del resto, quella pozione creata dallo scienziato dello scrittore scozzese, capace di separare le due nature dell’animo umano, è quella che da sempre dovrebbe bere un bravo attore prima di interpretare un ruolo, sia esso di teatro come di cinema.
Ci sarà , così, da un lato l’uomo e dall’altro l’attore e il nascere di una personalità scissa in due metà speculari e che, alternativamente, prendono possesso del suo corpo riuscendone a trasfigurarne anche l’aspetto.
Albertazzi ha applicato da sempre questa regola alla sua vita, nel pubblico e, a volte, anche nel privato.
Rispettabile e pulito, educato a principi morali, bastava poco —se così si può dire — per vederlo calcare i palcoscenici italiani e non solo (resta indimenticabile, tra le tante, il suo Amleto all’Old Vic Theatre di Londra diretto da Zeffirelli) interpretando personaggi malvagi e ben lontani dal rispetto delle regole civili e da quell’immagine di ‘bravo ragazzo’ che si era costruita nel tempo (“sarà sempre per me un bravo ragazzo”, ci disse Gigi Proietti lo scorso anno alla conferenza stampa del Globe Theatre di Roma, nel presentare un suo spettacolo).
Questa sorta di ‘contraddizione professionale’, giusta e frequente, l’applicò a volte anche nella sua vita, quella stessa che amava come la sua professione, esercitata fino alla fine sempre con grande passione e spirito d’inventiva e d’avventura.
Inquieto, creativo, camaleontico e difficilmente catalogabile in un genere preciso, Albertazzi si portò dietro il ‘marchio’ di essere stato legato al fascismo in gioventù, cosa da lui mai rinnegata.
Andò a Salò come tanti ragazzi dell’epoca, si arruolò nell’esercito grigioverde della Repubblica Sociale convinto che lì si combattesse per l’Italia, “ma non fui mai di destra”, come dichiarò più volte.
Scelse la parte dei perdenti e lo fece più per un istinto anarchico che non per convinzione, ma per tutta la vita, quell’episodio rimase sempre un triste dramma personale.
Dopo Salò e dopo due anni passati in un carcere militare, capì di non essere fascista, tanto da dire un secco ‘no’ ad Almirante (che quando divenne un attore famoso lo ammirava molto) che lo voleva nell’ MSI.
Anni dopo, il suo avvicinamento ai Radicali e a Pannella, da poco scomparso, con cui manifestò per l’aborto, il divorzio e per Welby, ma l’eutanasia non riuscì mai a metterla in pratica con Anna Proclemer, la sua prima, amatissima, moglie.
Anni dopo, frequentò anche Berlusconi (“ma non diventammo amici”) e subito dopo Valter Weltroni, che ufficializzò le sue seconde nozze con Maria Pia Tolomei e che fu tra i suoi più grandi sostenitori per nominarlo direttore del Teatro Argentina di Roma. Nel frattempo, la giunta del centro destra della Regione Calabria, gli conferì la carica di direttore artistico del ‘Magna Grecia Teatro Festival’, e lui accettò di buon grado. Ancora politica, ancora un cambiamento: nel 2013 votò Grillo senza mai nasconderlo: “Gli voglio bene a prescindere, ma non so se lo voterei ancora. Ha perso quello smalto iniziale”, disse ai microfoni di Radio Due.
“La politica è così, quando entri là dentro è come buttarsi in una vasca, inevitabilmente ti bagni. Lui portava lo spirito radicale, non nel senso pannelliano del termine, mi è piaciuta molto la sua operazione. Ma alla fine si è bagnato anche lui”.
Non a caso, poi, votò per Renzi (“è la prima volta che voto e che vinco”) e il premier, proprio questa mattina, all’inaugurazione della Biennale di Venezia, lo ha ricordato come “un grande artista italiano, classico e controcorrente”.
Proprio nella città lagunare, Shakespeare decise di ambientare una delle sue più celebri commedie (Il mercante di Venezia) e Shylock, il personaggio protagonista, è stato più volte interpretato da Albertazzi a teatro.
Come lui, era testardo ed entusiasta della vita, era magnetico, irresistibile e perfettamente padrone di ogni avventura e sventura.
Amava molto anche l’Imperatore Adriano e lo spettacolo tratto dal libro della Yourcenar e diretto dall’amico Maurizio Scaparro (suo testimone di nozze) fu il suo cavallo di battaglia per più di venti anni (“sento, come lui, la fine della bellezza che si consuma”).
Intellettuale impegnato da un lato, tifoso incallito della Fiorentina dall’altro, assiduo frequentatore dei migliori salotti italiani come di quelli televisivi ultra pop, spesso trash, della D’Urso e di Costanzo, fino al cinema di Aldo, Giovenni e Giacomo (lo citano in un loro film, ‘Chiedimi se sono felice’) per poi tornare a L’Aquila, distrutta dal terremoto del 2009, per recitare, magnificamente, la Divina Commedia tra le macerie.
Era un convinto sostenitore dell’impegno in tutti i suoi aspetti, ma anche della leggerezza, ovvero “la caratteristica alla base della letteratura per il nuovo millennio, che quando la scopri ti sembra che tutto il resto diventi di pietra”, come scrisse Italo Calvino nelle sue Lezioni Americane (che Albertazzi portò a teatro), “quella libertà del pensiero da stereotipi e convenzioni, il flusso cogitante senza ingombri e costrizioni”.
Amava ripetere spesso una frase non sua (“Per diventare giovani, veramente giovani, ci vogliono molti anni”) e non a caso, negli ultimi tempi, nel 2007, sposò, come già ricordato, una donna di trentasei anni più giovane, Maria Pia Tolomei (parente dell’omonima ava descritta da Dante nel quinto canto del Purgatorio), tenendo ben presente un’altra frase da lui spesso ripetuta: “si ringiovanisce sempre, si invecchia di colpo”.
Le donne fecero sempre parte della sua vita, ma anche gli uomini: non nascose mai la sua avventura omosessuale con Luchino Visconti (“una volta ci scambiammo un lungo bacio, un’altra mi disse esplicitamente: “E se io ti chiedessi qualcosa di più di un’amicizia?”, raccontò a L’Espresso) a cui rimproverò sempre di non avergli dato la parte ne Lo straniero di Camus (data poi a Mastroianni) e in Senso (a Farley Granger). Al sesso, preferiva l’eros, tenendo ben presente che le donne hanno l’intelligenza del corpo, “una dote assente negli uomini”.
La morte fa parte della vita, disse più volte e amava scherzare facendo notare che in realtà , molti andavano ad applaudirlo teatro solo perchè quella poteva essere l’ultima volta che lo avrebbero visto vivo.
Non ci saranno funerali per celebrarlo, ma solo un incontro/funzione con i suoi amici più cari.
Niente ‘addio’, dunque, perchè lui in Dio non credeva, ma non lo negava, perchè “negarlo, è sbagliato, ma affermare che esiste, è gratuito”.
Ci mancherà .
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 28th, 2016 Riccardo Fucile
L’ORIZZONTE IGNOTO E MAGICO SUPERA E TRAVOLGE LA TRISTEZZA
Il tempo passa inesorabile. Consuma le sue storie. Scandisce i suoi “perchè”…
Un “metronomo” rigido ed inflessibile. Un “incedere” incessante…
Se “ne stanno andando via” i più grandi.
Una settimana fa, Marco Pannella. Oggi, Giorgio Albertazzi.
Persone che hanno lasciato il segno. Che hanno vissuto il sogno. Che non hanno mai trasmesso la paura “di cadere”.
Troppo “presi”, troppo innamorati di ciò che facevano, delle cose che amavano e di quelle in cui credevano.
Ognuno ha i propri riferimenti ed ama cose specifiche. Le sfumature fanno parte di un unico, grande spettacolo.
E’ proprio “questo” che rende affascinante il mistero dell’oggi ma anche (e soprattutto) quello del domani.
A chi ha contribuito a quel fascino, dire grazie, è quasi scontato.
Proprio come (scontato) è quel senso di vuoto che te ne deriva.
Un “vuoto ricco”, però, perchè chi è stato davvero grande, lascia una scia.
Lascia una “mappa”. Ti consegna, per sempre, indelebile, un sentiero.
“L’orizzonte” è sempre là . Un “incedere incessante”…
Ignoto. Magico.
Stimolante ed irrefrenabile.
Supera e travolge la tristezza…
Porgi un saluto. Anche alla malinconia…
Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale
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Maggio 28th, 2016 Riccardo Fucile
DATO PER SPACCIATO, IN 48 ORE IL SICILIANO TORNA A VOLARE ED ENTRA NELLA LEGGENDA DEL CICLISMO
La differenza sostanziale è un’altra. E’ la biologia, è il passaporto, è la fatica.
Il momento magico che accade solo ad un certo punto e dura davvero un momento. La differenza la fa lo sguardo, l’occhiata fugace che calcola in un secondo millenni di storia della tecnica e della tecnologia.
Il rapporto, il cielo e l’asfalto che adesso si squaglia e adesso si gela. Il dettaglio, l’audacia, il senso stretto delle cose.
Tirare in salita, volare in discesa, spingere aria nei polmoni e sospirare per sospirare, come in un amplesso. Vivere e morire quando i due termini prendono lo stesso significato, dolce e amaro, cadere, rialzarsi per costringersi ad esistere.
La letteratura è un capriccio sdraiato in terra sul ritmo del ciclismo.
Ce l’eravamo scordata questa cosa, sospirata malamente nelle spine della memoria, piano piano, come una metafora maldestra che si recita davanti al mare all’innamorata. Oggi un uomo, definitosi tale da se stesso nel momento della caduta, ce l’ha ricordata. C’è un uomo nel mare che vale più di mille lire.
Un uomo che ha la faccia del colore della maglia che indossa.
Un meridionale, uno che ha aggiustato l’accento in Toscana, ma che ha i geni siciliani, quindi africani, un uomo che sa volare, e che è ciò che l’Italia è, un pezzo di Mediterraneo che unisce e non divide.
Perchè oggi Vincenzo Nibali ha vinto un Giro d’Italia con una prestazione epica, degna della migliore tradizione letteraria di scuola greca. Iliade, Odissea, e mettiamoci anche El Cid e Don Chisciotte.
Dato per spacciato da tutti, e per tutti si intende tutti, ha saputo pungere e piegare la storia al suo volere, al volere suo e di un altro uomo che ne ha viste di tutti i colori, Michele Scarponi, il Sancho Panza che chiunque vorrebbe avere al proprio fianco nella vita e nello sport, che in questo caso è la stessa cosa.
La metafora comincia a prendere corpo, si ingrossa come il fegato dei tifosi cosiddetti “CanNibali”, Come Quando Fuori Piange un uomo.
Chi non segue il ciclismo, perchè lo trova noioso, statico, individuale, privo di emozioni non ha il senso della terra sotto ai suoi piedi, non è ancora, e dico ancora perchè c’è tempo per tutti, in grado di interpretare la vita, poichè ha fretta, non ha ancora capito come interpretare i dettagli.
Dettagli che in sole quarantott’ore si sono dipanati in questo Giro d’Italia.
Tre giorni fa Nibali era un perdente, forse a fine carriera, spacciato e derelitto. Poi fa l’impresa, dai quasi cinque minuti che perdeva nella classifica generale riesce a rimontare, a Risul, e, nella tappa di montagna che avrebbe dovuto consacrare in rosa un olandese o un colombiano, le dà a tutti.
Ancora, cos’è il ciclismo? Uno sport che ha fatto della lotta al doping una missione, con regole che nemmeno il nazismo avrebbe saputo imporre, ed è per questo che i dopati escono fuori, ad impararla questa lezione.
Uno sport di letteratura; magiche sono le pagine di grandi scrittori che si ispirano alle fatiche dei ciclisti.
Ancora, il ciclismo fa la storia, ce lo siamo scordati Bartali che vince un Tour de France praticamente compromesso, dopo la disperata telefonata di Togliatti dal letto di ospedale per evitare la guerra civile in Italia?
E sempre lo stesso “Ginettaccio” che nascondeva i documenti falsi nella canna sotto il sellino per gli ebrei che cercavano una via di fuga?
I gesti. Michele Scarponi si immola per il suo capitano facendo una fatica da operaio vero, da lavoratore, come nemmeno Stachanov avrebbe potuto fare.
Il vincitore che non fa in tempo a posare gli scarpini rigidi sul bitume che va ad abbracciare i genitori di colui contro il quale ha appena vinto, Chaves.
Lo stesso uomo che, il giorno prima, piangeva come un bambino dopo l’impresa che lo ha coronato il più grande ciclista italiano di tutti i tempi e, per noi amanti di Pantani, non è facile ammetterlo, ma il Pirata è senza meno d’accordo.
Abbiamo vissuto un piccolo pezzo di storia oggi, e quando la storia la vivi in prima persona ha un sapore diverso. Puoi anche chiamarla presente.
Mi ha chiamato tanta gente oggi, forse perchè fra “i miei” ero l’unico inossidabile a credere nel miracolo laico di Nibali; la cosa più bella me l’ha detta Luigi, un calciofilo, il quale mi ha salutato dicendomi: “hai ragione tu, il ciclismo è lo sport più bello del mondo”.
Vincenzo Libonati
(da “Huffingtonpost“)
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Maggio 28th, 2016 Riccardo Fucile
FA L’IMPRESA DELLA VITA: SI SCATENA IN SALITA, VOLA IN DISCESA E CONQUISTA LA MAGLIA ROSA… SUPERATO IL COLOMBIANO CHAVES, 20.000 TIFOSI IN DELIRIO
Chi per vincere, chi semplicemente per sopravvivere.
Il Giro d’Italia è di Vincenzo Nibali dopo una penultima tappa che resterà nelle memoria, un interminabile duello da film western, di quelli in cui gli uomini vanno a cercare l’ultimo filo di speranza a cui aggrapparsi.
Uomini con le pistole praticamente scariche: uno, al massimo due proiettili, se li usi e non uccidi, non ti resta che attendere un destino amaro.
Vincenzo Nibali lo sa, l’inferno lo ha già visto da pochi giorni e gli è bastato: usa la cartuccia della vita quando mancano 2 km al Colle della Lombarda. Chaves per un po’ lo tiene, poi inizia il tormento.
I sogni del piccolo colombiano evaporano mentre lo Squalo vive l’estasi della carriera. Affronta una discesa da far paura planando come un condor, poi nella salita finale quasi non avrebbe più bisogno di spingere: basterebbe l’urlo del pubblico assiepato verso Sant’Anna di Vinadio.
Gente che sembra attendere lì da 15 anni, da quella tappa cancellata nel momento forse peggiore (robaccia doping) della storia del Giro. Ed è trionfo vero.
Da dicembre tutti dicevano che la maglia rosa per lui sarebbe stata una formalità , poi i demoni della crisi lo avevano attanagliato e per prendere quella rosa ha dovuto mettere in piedi lo spettacolo più fascinoso.
Forse più che al Giro di tre anni fa, quello dell’impresa nella bufera alle Tre Cime di Lavaredo.
Forse più del Tour di due anni fa: lì fu dominio, quasi tirannia, qui è lotta, sofferenza, rinascita.
Luigi Panella
(da “La Repubblica”)
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Maggio 28th, 2016 Riccardo Fucile
“CHI SGARRA PAGA: DA ‘NOI CON SALVINI’ SIAMO ORMAI A ‘NOI A CORLEONE'”… E QUESTI SONO I CIALTRONI CHE DOVREBBERO GOVERNARE ROMA SE VINCESSE LA MELONI ?
Ci scusiamo coi lettori, ma per aver fatto il nostro lavoro (abbiamo pubblicato notizie scomode e politicamente imbarazzanti sulla Lega che evidentemente qualcuno voleva tenere riservate) non possiamo più darvi conto del pensiero diretto di Matteo Salvini, che come gli stessi lettori sanno proprio Il Tempo sdoganò quando nessuno a Roma – come dicono nella Capitale – se lo filava.
Facemmo una scelta lungimirante anche se da molti, nel centrodestra, contestata.
Ma per motivi (non solo) a noi facilmente comprensibili da qualche tempo è calata una vera e propria saracinesca che sa di censura, non sappiamo se dovuta a ordini superiori o a istruzioni di livello inferiore riconducibili alla brava e simpatica addetta stampa, la leghista de noantri – come la chiamano gli stessi leghisti romani che nonostante i divieti continuano a passarci incessantemente notizie – che da addetta stampa volle farsi politico.
Non sappiamo inoltre se sia vero quanto rimbalza da Roma a Milano, e cioè nulla si muove che lei non voglia. Non crediamo. Fatto sta che i ponti si sono interrotti e chissà quanta acqua dovrà passare ancora prima di rivedere Salvini intervistato su Il Tempo o qualche altro leghista di peso prendere coraggio e metterci la faccia sul giornale di Roma e dei romani senza timore di incorrere in sanzioni e ritorsioni.
Per un partito che cerca di sfondare nella Capitale, la strategia mediatica di non farsi notare sull’unico giornale di centrodestra romano è curiosa, autolesionista, insomma incomprensibile.
Salvini dovrebbe farsi leggere le chat interne dei suoi luogotenenti romani: ad ogni articolo de Il Tempo sulle beghe interne o autogol (come gli impresentabili messi in lista) volano giudizi offensivi, da querela (noi conserviamo tutto) reprimende per gli «infami» che violano la consegna al silenzio e ci chiamano ad ogni ora del giorno e della notte.
L’ordine è uno e non contestabile: con Il Tempo non si devono avere rapporti. Museruola e bavaglio per tutti.
E chi sgarra, paga. Più che Noi con Salvini, per dirla con un leghista calato al Sud, ormai «stiamo a Noi a Corleone».
Daniele Di Mario
(da “il Tempo”)
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Maggio 28th, 2016 Riccardo Fucile
L’INTERVISTA AL “FATTO” UN ANNO FA: “ANDAI COME TANTI RAGAZZI, CONVINTO CHE SI COMBATTESSE PER L’ITALIA, MISI IN SALVO 19 EBREI”
Riduttivo chiamarlo col suo nome e cognome, Giorgio Albertazzi, con tutto quello che comporta essere nati a Fiesole, sulle colline del Rinascimento.
Meglio maestro, perchè è quello che è sempre stato.
E a 93 anni è più lucido di sempre, uno dei più grandi intellettuali che l’Italia ha avuto, anche se l’adesione alla Repubblica sociale certi ambienti della sinistra non gliel’ha mai perdonata.
“Neanche io, se è per questo, me la sono mai perdonata. Ma scelsi la parte dei perdenti, quella della Rsi, e lo feci più che per un istinto anarchico che non per convinzione. Fu un mio dramma personale, ma senza rinnegarlo o cercare scorciatoie. Poi a me il pentitismo non piace”.
Lui non l’ha mai ammesso, ma gli viene imputato di aver partecipato a fucilazioni, anche se nel 1989 venne assolto perchè “costretto, ma non estraneo ai fatti”.
Attore, regista, scrittore. Grande seduttore. È tutto Albertazzi.
Seduce solo a sentirlo parlare, anche attraverso quella distanza che un telefono non può colmare. Seduce perchè l’uomo è vero, senza fronzoli. Non ne ha tempo.
È il teatro che, a differenza del cinema, fronzoli non ne permette. Seduce la voce, seduce tutte le sere che si apre il sipario.
E l’età è un problema accessorio, per chi come lui sul palcoscenico è nato.
Lo chiamiamo per sapere di piazzale Loreto. Del luogo come epilogo di una guerra civile che andava a finire un ventennio di fascismo. Albertazzi non era a piazzale Loreto, ma aderì alla Rsi, gli ultimi fascisti. Come lui Dario Fo, ma anche Ugo Tognazzi, Raimondo Vianello, Marco Ferreri e molti altri.
Maestro, per lei cosa fu piazzale Loreto? Era l’epilogo naturale di una rivoluzione?
Piazzale Loreto fu solo macelleria messicana. Niente altro. Fu uno schifo, per chi l’ha voluto e chi l’ha portato a termine quel disegno. Ma non poteva essere evitato, non nel senso politico del termine, ma perchè l’uomo è quella cosa lì.
Un animale?
Il peggiore degli animali. E quello che accadde a piazzale Loreto mi ripugna, mi angoscia e mi fa rabbrividire ancora il ricordo. Peserà come una macchia indelebile. E tutti gli altri piazzali Loreto che abbiamo dimenticato e che ci sono ancora oggi, in mondo apparentemente lontani come la Siria, la Libia, l’Iraq.
Lei aderì alla Repubblica sociale. Ma era a piazzale Loreto la notte che venne portato il cadavere di Mussolini?
Non ero in Italia. Io ero a combattere. Paradossalmente contro i tedeschi che erano i nostri alleati. Ma nella confusione di quei giorni ci trovammo a sparare ai tedeschi, in Austria, tra le montagne innevate. Senza più niente.
E cosa dice a quelli che a Milano c’erano alle 3 di notte?
Dovevano portare il peso della vergogna per quello che fecero, come lo fecero. Come io ho portato la vergogna di essermi schierato coi fascisti.
Abbiamo capito il concetto. Ma l’uomo è migliorato o è sempre quello?
Siamo all’età del ferro. Siamo regrediti, peggiorati. L’uomo è barbaro. Ha ucciso nel nome di Dio, e continua a farlo. Quale aberrazione è ? Ma non credo ci sia profonda differenza tra le crociate dei cristiani e quelli che ammazzano nel nome di Allah. Tutte le guerre hanno sempre trovato una miccia religiosa. La pretesa di sostenere che il mio Dio è migliore del tuo.
Le sue parole, maestro, sono quelle di chi ha perso la speranza.
No, io non ho perso nessuna speranza, sono sempre convinto che l’amore e la leggerezza ci salveranno, alla fine. Quando la discesa al degrado un giorno si fermerà . Perchè dovrà fermarsi. Purtroppo abbiamo vissuto in tempi irrespirabili. Ma la bontà dell’amore quella non può togliercela nessuno, è come l’equazione di Einstein applicata alla leggerezza.
Lei è un uomo di destra?
Non lo sono stato a vent’anni, figuriamoci se posso esserlo oggi.
Però aderì alla Repubblica di Salò, la domanda è lecita.
La fama di fascista non me la sono mai scrollata di dosso. Andai a Salò come tanti ragazzi, convinto che lì si combattesse per l’Italia, ma con altro spirito, e soprattutto consapevole che in quel momento stavo dalla parte di chi già aveva perso. Come dissi in un’intervista all’Espresso nella sentenza del Tribunale militare che mi ha assolto in istruttoria dopo due anni di carcere preventivo, c’è scritto che ho messo in salvo 19 ebrei. Ma non l’ho mai raccontata questa cosa. Non mi andava. le mie responsabilità , seppur di ventenne, me le prendo tutte. Senza vittimismo o pentitismo. Ma ripeto che quello che avvenne a piazzale Loreto fu un teatro dell’orrore, inutile, anche per l’epilogo della rivoluzione civile.
Oggi cosa vede?
Vedo quello che non vorrei, la violenza che come diceva Shakespeare, manda l’uomo fuori dai cardini. Gli toglie l’intelligenza, il ragionamento. È tutto molto violento, la vita quotidiana è violenta. Lo siamo noi, uomini, e tutto quello che poi creiamo, a eccezione della poesia, è di una violenza inaudita.
L’ultima battaglia politica è quella contro i rom.
Questo siamo. Inaudito, per questo le dicevo in apertura che siamo all’età del ferro senza nessuna possibilità di svoltare. Fare tesoro degli errori senza farsi il segno della croce e così sia.
E la salvezza dove va cercata?
Nella leggerezza, nel sorriso, come diceva Calvino.
E il maestro Albertazzi la salvezza dove l’ha trovata?
Nella poesia. Invocherei la morte se non ci fosse la poesia, l’amore. Il teatro.
Emiliano Liuzzi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 28th, 2016 Riccardo Fucile
IL PASSATO NELLA RSI, IL CARCERE, LA VITA SUL PALCO… LA PASSIONE PER SHAKESPEARE, MILLER E YOURCENAR PORTATI SUI PALCOSCENICI DI MEZZO MONDO
Giorgio Albertazzi, il “perdente di successo”, è morto la scorsa notte a 92 anni. Faceva l’attore Albertazzi, in un’accezione così ampia del termine che forse nessuno mai in Italia è riuscito.
Recitava Albertazzi, recitava ogni opera, ogni autore, ogni cambio di scena. Si chiama “arte del palcoscenico”. Significa essere nati per vivere sopra un palco.
L’architetto Albertazzi, la tesi su Frank Llyod Wright, “gli occhi di Burt Lancaster”, due anni di galera per aver combattuto tra i repubblichini.
Episodio mai negato (“ho pure salvato 19 ebrei”), ma nemmeno mai schifato, il ragazzo di Fiesole, classe ’23, depone nelle retrovie fez, pugnale e moschetto e diventa attore.
“E’ mancato un grande italiano — ha detto Matteo Renzi durante la cerimonia di inaugurazione della 15/ma Biennale Architettura — che ha fatto la storia del teatro e parzialmente del cinema, Giorgio Albertazzi. Vorrei che arrivasse un messaggio di affetto a questo artista che è stato contemporaneamente classico e controcorrente”. Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha commentato la scomparsa dell’attore, “uno dei massimi interpreti del teatro e del cinema italiano contemporaneo. Attore versatile e innovativo — prosegue il Capo dello Stato -, ha saputo unire nella sua lunga carriera tradizione e modernità . Le sue interpretazioni dei grandi classici restano una pietra miliare nella storia dello spettacolo. Albertazzi, che ha dedicato al teatro l’intera esistenza, è stato punto di riferimento e maestro per generazioni di attori e registi”.
Per Albertazzi — come per molti altri — è sempre il caso a determinare le traiettorie della vita. Un bus, un incontro fortuito, le belle forme di un’amica teatrante, il provino per un teatrino di Settignano.
La battuta: “Signora marchesa, c’è l’ambasciatore del Perù che vorrebbe essere ricevuto”. “La recitai da doppiatore e senza accento fiorentino”, spiegò all’epoca l’attore. Tracciato il solco si cominciano a gettare le sementi.
Shakespeare, Sofocle, Arthur Miller. Le rappresentazioni in oltre 50 anni di carriera non si riescono più a contare da quante sono diventate.
Albertazzi è divo fin da subito. Star in bianco e nero che imposta morbidamente la voce e ne modula timbro e ritmo come forse soltanto due sobri ed eleganti animali da palcoscenico come Vittorio Gassman ed Enrico Maria Salerno.
Fateci comunque caso, anche chi tra gli under 40, o addirittura gli under 30, non è mai stato a teatro ad ascoltare Albertazzi, ne riconosce la voce, il canto, la modulata sinfonia di pause, accelerazioni e sottolineature.
A differenza di Gassman e Salerno, però, Albertazzi non devia deciso per la strada del cinema. Percorso e palco che avrebbe voluto seguire, si sa.
L’amico Zeffirelli che lo presenta a Visconti, i brividi erotici e le scintille tra i due, con Luchino che lo insegue con eleganza aristocratica e lui che si lascia sedurre e poi rifiuta.
L’ha sempre dichiarato Albertazzi che le parti di Farley Granger in Senso e di Mastroianni in Vaghe stelle dell’orsa dovevano essere sue.
Eppure qualcosa non va nel libertino Giorgio. La scuderia viscontiana non fa per l’amatore dannunziano che mise in fila muse, mogli, amanti e fan, tra petali di rosa e notte infuocate con le strofe del Vate. Bianca Maria Toccafondi, Elisabetta Pozzi, Mariangela D’Abbraccio.
Discorsi a parte per il sodalizio affettivo e professionale con Anna Proclemer e con la nobildonna Pia de Tolomei sposata nel 2007 con rito civile, più di trent’anni di differenza tra i due.
Nel 1959 è il principe Myskin in tv ne L’idiota di Dostoevskij diretto da Giacomo Vaccari. La faccia diventa popolare oltre la voce.
Alain Resnais, o meglio Alain Robbe-Grillet che scrisse la sceneggiatura, lo vogliono come protagonista de L’anno scorso a Marienbad (1961). Film chiave per comprendere tanti sperimentalismi anni sessanta, ma anche notevole insuccesso di pubblico che decretò subito la parabola discendente cinematografica dell’attore fiorentino.
Una piccola parte in Eva di Joseph Losey (1962) e il ritorno definitivo al teatro e al teatro sceneggiato per la tv: la regia di Jekyll nel 1969 tratto in modo originalissimo e anticonvenzionale da Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Robert Louis Stevenson; di nuovo sul palco per la consacrazione internazionale al Royal National Theatre di Londra; ancora sul primo canale La vita di Dante.
Instancabile, irrefrenabile, Albertazzi non hai mai fatto pause di riflessione dal palcoscenico.
Nessuno anno sabbatico ma l’anelito divertito della morte in scena (“come Moliere”). Destra o sinistra, un po’ più di centrodestra a dire il vero come quando si candidò al Parlamento perdendo nel ’96 a Tradate per il Polo delle Libertà , ma sempre un teatro, un teatrino, quattro assi di palco da salvare.
Veltroni o Alemanno, nessuna differenza. C’era da tenere in vita l’arte.
E in questo si spese sempre, comunque, senza indietreggiare di fronte a nessuno.
Poi chissà , forse per un afflato di vanità , a quasi 90 anni saltella e danza a Ballando sotto le stelle. Alla terza puntata abbandona per i troppi impegni teatrali. Già previsti, disse la Carlucci.
“Avrei vinto io”, spiegò lui.
Perdente di successo, Giorgio Albertazzi.
Davide Turrini
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 28th, 2016 Riccardo Fucile
RISCHIA DA SEI A DIECI ANNI DI CARCERE, MA STRANAMENTE NON E’ STATO SPICCATO IL MANDATO DI ARRESTO… TERREMOTO IN REGIONE: TOTI PAGA LE SCELTE SUICIDE
Quello spettro della Legge Severino deve aver spaventato non poco Francesco Bruzzone, notte e giorno.
Il presidente del Consiglio Regionale, già rinviato a processo per le “spese pazze”, teme una condanna, quindi le immediate dimissioni da ogni incarico istituzionale.
E questa potrebbe essere la ragione che lo ha indotto a chiedere ad una dirigente della Regione di intercedere, attraverso il marito magistrato, affinchè questo potesse “ammorbidire” il gip Roberta Bossi a non usare la mano pesante nel rinvio a giudizio. Bruzzone respinge ogni accusa, dice che “è tutto inventato”.
E però quel cognome Bossi non porta fortuna a Bruzzone, ex segretario federale della Lega Nord in Liguria, adesso indagato anche per “induzione alla concussione”.
L’ipotesi di reato è molto grave – prevista dall’articolo 319-quater – per “il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità …”.
In caso di condanna rischia dai sei ai dieci anni di carcere.
Oltre la decadenza dai pubblici uffici, prevista appunto dalla “Severino”. Destino già toccato agli ex consiglieri regionali Maruska Piredda (Idv) e Stefano Quaini (Sel).
Bruzzone, facendo leva sulla sua posizione dominante, avrebbe fatto pressioni per commettere un illecito. Un reato. Anche se lui ripete che “non è vero niente”.
E però con lui è indagata anche la sua segretaria, Anna Cavallini. Avrebbe fatto da tramite per contattare Afra Serini, capo di gabinetto dell’Ufficio di Presidenza.
Serini, arrivata in Regione (trasferita dall’ex Provincia) quando presidente era Rosario Monteleone (Udc), è la moglie del pm Alberto Lari.
A quanto pare le avrebbero palesato possibili ripercussioni sull’incarico in fase di rinnovo. Bruzzone, infatti, al momento non ha nominato alcun dirigente.E però la famiglia Lari ha denunciato tutto, e il pm Massimo Terrile ha aperto l’inchiesta, tant’è che Bruzzone ha ricevuto un invito a comparire: lunedì sarà interrogato alla presenza del suo avvocato, Giuseppe Sciacchitano.
La vicenda è un terremoto politico, a meno di una settimana dalle elezioni. Che imbarazza il centrodestra.
Sopratutto perchè Bruzzone, il cacciatore di Pegli che vive a Stella Santa Giustina, ha costruito la sua carriera urlando “Roma ladrona”.
Qualcuno adesso dirà che quest’inchiesta è ad orologeria. A sei giorni dal voto. La vicenda è invece maturata nello scorso febbraio, quando il pm Francesco Pinto ha chiesto il rinvio a giudizio di Bruzzone, Edoardo Rixi (attuale assessore allo Sviluppo Economico e vice segretario nazionale di Matteo Salvini) e dell’ex consigliere Maurizio Torterolo.
I tre leghisti, insieme ad altri 23 attuali ed ex consiglieri regionali, a vario titolo sono accusati di peculato e falso.
Tra il 2010 e il 2012 avrebbero speso i soldi pubblici per scopi personale e non per fini istituzionali e di funzionamento del gruppo.
Bruzzone risulta aver percorso centinaia di chilometri al giorno sulle autostrade liguri, francesi, lombarde e piemontesi, tra il 2 e il 3 settembre 2010, come attestano le ricevute del Telepass
Nei giorni in cui c’è la richiesta di rinvio a giudizio, però, accade quello che il presidente del Consiglio Regionale non si aspetta: Torterolo in sede di udienza preliminare patteggia due anni di carcere. Non è una confessione di colpa, ma rappresenta una sorta di ammissione di responsabilità , che potrebbe segnare il destino di un processo.
(da “La Repubblica”)
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