Giugno 30th, 2016 Riccardo Fucile
ACCERCHIATA DAL DIRETTORIO LA SINDACO SI RIMANGIA LA NOMINA
I 5Stelle vanno in tilt sulla nomina di Raffaele Marra vicecapo di gabinetto del sindaco. Accerchiata dal mini-direttorio, che deve preventivamente approvare le proposte di nomina, Virginia Raggi prova a mettere una toppa: “È un incarico temporaneo, che durerà solo qualche settimana”, spiega il suo staff.
Ma fonti ben informate parlano invece di un incarico che avrebbe la durata di tre anni. O almeno così sarebbe stato scritto nell’ordinanza del sindaco, che tuttavia sul sito di Roma Capitale ancora non compare.
A confermare che l’ordinanza esiste ed è stata firmata è anche lo stesso Marra in un’intervista al Messaggero: “Ormai sono stato già nominato vicecapo di gabinetto vicario con un’ordinanza. Certo, il sindaco potrebbe fare un’ordinanza di revoca, ma io ci rimarrei malissimo, significa che anche loro, i grillini, fanno la stessa politica di chi ho combattuto in questi anni. Sarebbe allucinante”.
Parole che i 5Stelle non hanno gradito, anzi preferirebbero evitare i rapporti con la stampa.
La nomina è stata molto discussa, e anche contrastata dall’interno, si racconta che anche Beppe Grillo non l’avrebbe presa bene, poichè Marra viene definito un uomo “trasversale”: è stato in Campidoglio come direttore delle Politiche abitative con Gianni Alemanno, poi in Regione con Renata Polverini e infine di nuovo a Palazzo Senatorio con Ignazio Marino.
Quindi con un profilo che non sarebbe adatto ai 5Stelle che sono entrati in Campidoglio con lo slogan “cambiamo tutto”.
Tra Raggi e Marra, prima della nomina, c’è stato un colloquio nella stanza del sindaco e anche Roberta Lombardi, colei che ha il compito di “vigilare” sul sindaco insieme agli altri componenti del Direttorio, ha parlato con il neo vicecapo di gabinetto: “Ho conosciuto il dott. Marra, ho letto anche io di questi suoi incarichi precedenti. Ora — dice Lombardi – capiremo se è stata una nomina ponderata, ci sarà un approfondimento. Abbiamo anche l’umiltà di dire che, se facciamo dei piccoli errori, li rimediamo subito”.
Nel frattempo infuria la polemica e a distanza di poche ore l’entourage della Raggi fa sapere che quella di Marra è una nomina temporanea.
Dalle parole della Lombardi si capisce e si deduce la marcia indietro imposta dallo staff a Virginia Raggi che, con ogni probabilità , sarà costretta a revocare la nomina del vicecapo di gabinetto tra qualche settimana.
Sembra infatti che il direttorio del Movimento abbia richiamato Raggi invitandola al rispetto del contratto, anche perchè il compito del vicecapo di gabinetto non è da poco: avrà il potere di firma sui documenti e sugli atti di spesa che spettano al gabinetto poichè Daniele Frongia sarà un capo di gabinetto con poteri dimezzati a causa della legge Severino che gli impedisce di prendere un incarico pieno.
Intanto, sotto gli occhi attenti dello staff, Raggi prova a comporre la Giunta.
Fra nomi sussurrati e poi smentiti, anticipazioni e passi indietro, la squadra della neosindaca stenta a prendere forma mentre si avvicina a passi da gigante il 7 luglio, data del primo consiglio comunale dell’era a Cinque Stelle, scelta proprio da Raggi per la presentazione ufficiale della Giunta.
Anche se l’annuncio potrebbe slittare al 12.
(da “Huffingtonpost“)
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Giugno 30th, 2016 Riccardo Fucile
LA CONCESSIONE APRE PERO’ INTERROGATIVI SULL’EMERGENZA SISTEMICA DELLE BANCHE ITALIANE, MPS IN TESTA
A un giorno dallo schiaffo di Angela Merkel, arriva per Matteo Renzi e per l’Italia la vittoria sulle banche.
Oggi pomeriggio la commissione europea ha annunciato di aver concesso all’Italia la possibilità di attivare una garanzia pubblica sui debiti delle banche per sostenerle, qualora ce ne fosse la necessità . Un super scudo che potrà arrivare fino a 150 miliardi di euro, da attivare all’evenienza.
Da qui il dolce e l’amaro di questa vittoria. Perchè da una parte il via libera della commissione viene letta da fonti di governo come un “successo politico”, un segnale forte, per i mercati certo, ma anche per testare il peso del nostro Paese nell’Unione. Dall’altra parte però la velocità nell’aver concesso all’Italia questa deroga sulle norme europee, e la concessione stessa, apre un fronte di incertezza sulla salute del nostro sistema bancario.
Perchè presuppone che il problema banche post-Brexit, in Italia, ci sia. E sebbene fonti governative sostengano che lo scudo sia preventivo e che non necessariamente ci sarà la necessità di attivarlo, le stesse fonti continuano a confermare che il problema che preoccupa di più si chiama Monte dei Paschi di Siena.
Che dall’inizio dell’anno ha perso il 67% del suo valore e che anche oggi chiude in Borsa a -2,4%, nonostante il rimbalzo di fine giornata dopo l’annuncio dell’accordo con l’Ue.
Ma di vittoria, prima di tutto politica, comunque si tratta.
Soprattutto se si pensa che le parole della cancelliera tedesca Angela Merkel, quello schiaffo al gusto di “le regole sulle banche non si cambiano ogni due anni”, sembrava aver messo un macigno sulle aspirazioni dell’Italia e sulla trattativa stessa.
E invece, a 24 ore, arriva la notizia che il nostro Paese ha ottenuto ciò che voleva, ovvero una deroga eccezionale di sei mesi, perchè lo Stato possa fare da garante per banche in difficoltà , ad esempio attraverso il prestito obbligazionario.
Il ministero dell’Economia spiega che lo schema proposto dall’Italia e autorizzato dalla Commissione fino al 31 dicembre 2016 prevede che lo Stato, attraverso il Tesoro, possa prestare la propria garanzia sul debito di banche solvibili, ovvero su bond senior di nuova emissione.
Questa flessibilità che ci è stata concessa è consentita in casi specifici di deroga alla normativa sulla Brrd ed è compatibile con la comunicazione della Commissione sugli aiuti di Stato nel settore bancario.
Si tratta di uno schema in vigore anche in altri paesi partner dell’Ue e dall’esplosione della crisi finanziaria per il crac Lehman Brothers, Bruxelles ha approvato numerosi programmi di supporto per il sistema finanziario.
Attualmente sono in vigore schemi di garanzia statale per le banche autorizzati dalla Ue in Grecia, Cipro, Polonia e Portogallo. Ovvero tutti Paesi che certo non brillano in Europa per stabilità .
“Si tratta — spiegano comunque fonti del Mef – di uno schema che mette il Governo in condizioni di intervenire in caso di scenari avversi. Davanti alle turbolenze dei mercati finanziari dei giorni scorsi, il Governo ha ritenuto opportuno ipotizzare tutti gli scenari, anche i più improbabili, per essere pronto a intervenire a tutela dei risparmiatori. Come indicato dal Presidente del Consiglio lo scorso venerdì 24, per ragioni di cautela il Governo attrezza tutte le misure necessarie ad affrontare qualsiasi scenario, nonostante al momento non si ravvisino le condizioni perchè tali scenari possano realizzarsi”.
Anche la portavoce della commissione europea ha sottolineato che l’Italia ha chiesto la misura “per ragioni precauzionali” e “che non c’è l’aspettativa che emerga la necessità ” di usare lo scudo.
Il solo fatto di averlo concesso, però, solleva il dubbio che il pericolo di una emergenza sistemica delle banche in Italia ci sia, e che il governo voglia avere in mano tutti gli strumenti necessari per farvi fronte.
Su quali saranno questi strumenti, molte le ipotesi in campo a cui stanno lavorando i tecnici del Tesoro: si va dalla garanzia attraverso una sorta di fidejussione bancaria all’utilizzo per la Cdp per l’acquisto di bond di una banca con garanzia del Tesoro. Allo stesso tempo, viene spiegato, l’accordo con l’Ue potrebbe essere usato anche nella creazione del fondo Atlante 2, dedicato a smaltire i crediti deteriorati delle banche, con una garanzia pubblica, per tranquillizzare gli operatori.
(da “Huffingtonpost)
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Giugno 30th, 2016 Riccardo Fucile
CONFALONIERI, ALFANO, VERDINI SI POSIZIONANO
Nel Palazzo i naviganti più esperti già sentono i rumori della tempesta. E preparano scialuppe e piani di salvataggio, che nel centrodestra si chiamano “grande coalizione”. Per il dopo-Renzi e senza Renzi.
Ecco Fabrizio Cicchitto, che ha assistito prima al crollo di Craxi poi a quello di Berlusconi: “Guarda che l’intervista di Confalonieri non è banale. Perchè non c’è solo la suggestione di un Nazareno oggi, che conosciamo. Dice molto di più. Confalonieri, avendo la responsabilità di Mediaset, si pone questo problema: che facciamo se a ottobre salta tutto? E lui dice facciamo una grande coalizione”.
Il passaggio cruciale dell’intervista alla Stampa è questo: “Credo che in questa fase si debba sostenere il governo. Il Cavaliere non la pensa così ma io sarei favorevole a qualcosa che assomigli al Nazareno. Per affrontare i grandi problemi ci vuole una base ampia. Non mi spingo a evocare la Grosse Koalition alla tedesca, ma guardiamo quel che accade in Spagna. Per uscire dalla paralisi i due partiti tradizionali dovranno lavorare insieme, è l’unica strada”.
La notizia non è tanto l’atteggiamento filo-governativo oggi, che Mediaset non ha mai abbandonato (basta vedere i tg) per tutelare i propri interessi, dai tetti pubblicitari da non liberalizzare, alla complessa partita dei diritti tv sul calcio (in mano a Luca Lotti), rilevante in sè, vitale nel momento in cui Premium è stata venduta a Vivendi.
La notizia è soprattutto il programma politico per il domani segno che, nel cuore dell’Impero, l’eventualità che il governo salti a ottobre non è considerata remota.
Un ex ministro del Pdl la dice così: “Confalonieri ha schierato il partito azienda sulla grande coalizione. Nell’ottobre del 2011 lui, Doris e Letta, in piena tempesta finanziaria lo schierarono su Monti, nel 2013 su Letta, passando per la rielezione di Napolitano. Ora se Renzi salta, non importa con chi ma ripropongono lo stesso schema”.
Il “se Renzi salta”, impensabile prima delle amministrative, all’ordine del giorno dopo la batosta del Pd, è diventato tema di urgente attualità dopo il vertice con la Merkel: “Il referendum sarà celebrato a ottobre, ovvero a legge di stabilità aperta. È evidente che se vince il no si fa un altro governo”.
Eventualità di cui si discute anche dentro il partito di Alfano. Proprio per questa mattina alle 12 era prevista una riunione di gruppo, che si annunciava come uno sfogatoio, con Formigoni che avrebbe chiesto l’appoggio esterno e mezzo gruppo che avrebbe chiesto le dimissioni di Alfano.
E’ stata spostata a lunedì, quando, tradizionalmente, la partecipazione è bassa: “Angelino — sussurra una fonte maliziosa — deve capire come sopravvivere. Per ora avanti con Renzi, ma se intravede che la stabilità si ottiene con un governo Franceschini, diventa il primo supporter di Franceschini”.
Un dato di fondo accomuna il centrodestra che fu.
Il rifiuto delle urne perchè col consenso attuale è difficile far tornare in Parlamento la pletora di deputati e senatori che ci sono ora.
La novità , in questa sorta di unità ritrovata all’insegna della grande coalizione, è il nuovo corso di Forza Italia, al momento meno esposta agli umori grillini di Silvio Berlusconi.
Fatto fuori il cerchio magico, sostituita la Rossi nel ruolo di tesoriere del partito con l’uomo Mediaset Alfredo Messina, la prossima tappa dell’aziendalizzazione sarà la nomina di consiglieri regionali, scuola Fininvest e senza velleità politiche.
E Verdini? È convinto che Matteo possa ancora farcela. I suoi, che innamorati del premier non sono mai stati, sono pronti, quando sarà , a diventare alfieri del solito “bene del paese” da tutelare con un nuovo governo e con la “stabilità prima di tutto”. Guardate come cambia rapidamente il clima.
I verdiani da un po’ sono scomparsi dai radar. Poche interviste, niente elogi o difese a spada tratta, profilo basso sul referendum.
Già pronti a osannare un nuovo leader che prolunghi la legislatura, con lo stesso entusiasmo con cui hanno vissuto l’era renziana e prima ancora quella di Berlusconi, che li portò in Parlamento con i suoi voti.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 30th, 2016 Riccardo Fucile
IL RITOCCO CHIRURGICO VEDREBBE CONTRARI SOLO I CINQUESTELLE
A sera, nella diretta Facebook, fa capire che se fosse per lui non toccherebbe nulla della sua creatura. «Mi scrivono: “Non si provi a cambiare l’Italicum…”. A me lo dite?».
Un modo per provare a stoppare un tormentone che tiene banco e per contenere le aspettative.
Tanto che da ore i suoi vanno ripetendo la parola magica «chirurgico»: questo deve essere l’aggettivo caratterizzante del ritocco all’Italicum che il premier potrebbe esser disposto a concedere.
Spostare il premio di maggioranza dalla lista alla coalizione è l’unico cambio ipotizzabile prima di testare la legge alle urne.
RIVOLUZIONE COPERNICANA
Un cambio che sarebbe in sè una rivoluzione copernicana del sistema, perchè i puristi della vocazione maggioritaria del Pd già storcono il naso, «coalizione significa che il premio si divide tra più partiti e i piccoli hanno il potere di veto».
Dunque per Renzi e i suoi un prezzo alto da pagare casomai solo sull’altare di una battaglia più alta, quella del referendum costituzionale, nella speranza che un’apertura possa smontare le ragioni del no.
Ma se si prova a riaprire il cantiere dell’Italicum salta tutto, è l’avvertimento consegnato ai suoi diplom atici dal leader Pd.
Alla Camera già si respira la tensione innescata dalla notizia del voto che Sel è riuscita a far mettere in calendario in settembre: su una mozione con oggetto i possibili profili di incostituzionalità della legge elettorale.
Ma l’Italicum è un totem che Renzi non vuole sradicare, lo ha detto in tutte le salse ai suoi vari interlocutori: siccome i punti criticati sono diversi, come quelli delle preferenze o dei cento capilista bloccati, non è pensabile che si possa rivedere tutto e ricominciare daccapo.
Questa è la ferma convinzione del premier, informato dai suoi che sul «ritocco chirurgico» del premio alla coalizione ci sarebbero i voti – o il placet non belligerante – di tutti, tranne che dei grillini.
Da Ncd a Forza Italia ad Ala di Verdini, fino a Sinistra Italiana.
Gli attachè diplomatici hanno già preso contatti pure con i leghisti che contano, traendone la convinzione che Salvini non farà barricate.
Quindi si può profilare una modifica largamente condivisa. Ma mai su proposta del Pd, «perchè noi apriamo uno spiraglio solo se qualcuno propone una modifica», dicono i big renziani.
BALLOTTAGGIO A RISCHIO
I più esperti sul tema introducono una variante: che invece del premio di coalizione possa essere introdotto il sì all’apparentamento: che lascia mani libere al primo turno e consente di decidere al secondo se dividere o no i seggi con gli alleati.
Mentre negli altri gruppi, specie a sinistra, si fa strada la richiesta più esplosiva: quella di abolire il ballottaggio, «perchè il vero punto è quello», spiega un big della Sinistra.
Le idee fioccano, il primo a depositare un testo è Pino Pisicchio, capogruppo del Misto, forte di una sessantina di deputati.
Che per smontare un possibile rilievo della Consulta farebbe scattare il premio di maggioranza solo se al ballottaggio si raggiunge un quorum del 50% più uno, per evitare che col 25% un partito possa avere il premio.
Bersani chiede il doppio turno di collegio e il ritorno al Mattarellum propugnato già da Gotor, «che però con il tripolarismo non garantisce affatto la governabilità » ribattono i renziani.
La legge sarà giudicata dalla Consulta in ottobre, forse prima del voto sul referendum che «non slitta», la vera partita cui è legata la sorte dell’Italicum.
Partita che il premier continua a giocarsi gettando tutta la posta sul tavolo, «non sono un pollo da batteria che se perde fa finta di niente».
Dunque «se perdo ne trarrò le conseguenze», dice. Consapevole però che facendo passare il messaggio di un possibile ritocco all’Italicum il fronte del no può indebolirsi.
«Un’apertura renderebbe più semplice il percorso referendario», sentenzia Gianni Cuperlo.
Carlo Bertini
(da “La Stampa”)
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Giugno 30th, 2016 Riccardo Fucile
“BLOCCATE GARE IN CORSO DI PUBBLICAZIONE”
“Indebite e gravi ingerenze politiche“, “un clima di terrore“, il presunto tentativo di licenziare un lavoratore perchè “sentito al supermercato parlare male dell’amministrazione”.
A parlare è il direttore generale del Comune di Livorno, Sandra Maltinti.
Lo fa in una commissione consiliare, portando alla luce del sole lo scontro ormai totale tra il sindaco Filippo Nogarin (M5s) e il “capo” della macchina amministrativa, nominato proprio da Nogarin pochi mesi dopo la vittoria dei Cinquestelle nella città toscana.
Il sindaco si dice “sbalordito” per queste “accuse gravissime”.
Soltanto un mese fa, Nogarin e Maltinti si erano scambiati accuse e querele su una presunta lettera di dimissioni in bianco.
Nella relazione sul personale di Palazzo civico, preparata dalla Maltinti e letta in commissione, si parla di “indebite ingerenze” di “alcuni assessori e consiglieri comunali” nei confronti degli “impiegati più accondiscendenti” per realizzare “le loro personali iniziative“, di “gravi ingerenze della politica” ad esempio “in gare in corso di pubblicazione bloccate dopo la loro emanazione” e di un clima lavorativo in alcuni casi improntato “dal terrore di esprimere le proprie opinioni”.
Parole “sconvolgenti e agghiaccianti” per le opposizioni.
Un mese fa Maltinti aveva depositato un esposto alla polizia municipale per accendere i riflettori su alcune questioni affrontate dall’amministrazione e nei giorni scorsi è stata sentita in Procura.
“Ingerenze, improvvisazione, scollamento”
Scrive la Maltinti: “Sindaco e assessori tendono a prendere decisioni operative e pretendere che i dirigenti appongano a valle delle loro scelte il loro parere, sovrapponendosi di fatto all’azione dirigenziale: questo è contrario alla legge“.
Nel mirino inoltre “alcuni assessori e consiglieri comunali” che “per realizzare le loro personali iniziative pongono in essere indebite ingerenze, rivolgendosi direttamente agli impiegati più accondiscendenti che molto spesso non riferiscono ai dirigenti, con conseguenti sovrapposizioni, malintesi e disservizi”.
Il direttore generale parla inoltre di “improvvisazione“, di “atti dirigenziali importanti portati all’ultimo minuto impedendo di fatto un’istruttoria” e di “scollamento tra struttura amministrativa e organo di direzione politica”.
Maltinti sostiene che un’addetta alle pulizie di Palazzo civico sia stata “allontanata dal primo piano, perchè sentita al supermercato parlare male dell’amministrazione”.
Contro tale persona in un primo momento sarebbe stato anche richiesto “il licenziamento in tronco, come del resto per altri dipendenti”.
David Evangelisti
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 30th, 2016 Riccardo Fucile
IL PALADINO DELLA BREXIT NON MOLLA LA POLTRONA, IL SUO GRUPPO PRENDE DALLA UE 16 MILIONI DI EURO L’ANNO
“Avete dato battaglia per l’uscita e il popolo britannico ha votato per uscire. Dunque perchè siete ancora qui?”.
La domanda che il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, ha rivolto martedì scorso a un deputato dell’Ukip durante la sessione straordinaria del Parlamento sul Brexit, resterà negli annali della storia europea e, con ogni probabilità , senza conseguenze politiche.
Del resto, il leader dell’Ukip, Nigel Farage, che 17 anni fa si insedio sui seggi di Strasburgo lanciando tra le risate dei colleghi la sfida dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, ha già chiarito che nè lui, nè gli altri deputati del suo partito lasceranno i propri posti.
Il motivo politico? Vigilare sulle lunghe trattative tra Bruxelles e Londra per concretizzare il Brexit (che potrebbero durare due anni).
Ma c’è chi, malignamente, sottolinea un’altra ragione, meno nobile magari, ma di sicuro molto convincente: i 16 milioni di euro che ogni anno l’Ukip, il partito antieuropeista per eccellenza, riceve dai contribuenti dell’Unione europea.
Per avere un’idea del paradosso, da quando i cittadini britannici hanno sancito che il Regno Unito non è più un paese membro dell’Ue, il gruppo di Farage ha visto arrivare alle proprie casse ben 300mila euro, circa 43mila al giorno.
Fondi assegnati per pagare stipendi, viaggi, campagne politiche e persino una fondazione e un partito “di stampo europeo” creati di recente dagli indipendentisti dell’Ukip.
Per giungere a questa cifra, basta sfogliare bilanci e grant del Parlamento europeo. Considerato il costo generale per stipendi, rimborsi viaggi e altri benefit degli eurodeputati (circa 190 milioni nel 2015), i 22 parlamentari guidati da Farage incassano 5,5 milioni annui.
E siccome ogni eurodeputato può spendere fino a 19.500 euro al mese per lo staff, ecco che l’Ukip può contare anche su un fondo ulteriore di circa 5,1 milioni annui per assistenti, portavoce e segretari.
Ma la “generosità ” dei contribuenti Ue non si esaurisce qui.
L’Ukip, infatti, è il principale partito del gruppo Efdd (composto in totale da 46 parlamentari tra cui i 17 del Movimento 5 Stelle), che, stando agli ultimi dati disponibili, riceve circa 3,2 milioni all’anno per le sue attività .
È vero che si tratta di denari da dividere con gli altri membri, ma è anche vero che, senza l’Ukip, il gruppo non avrebbe i numeri per costituirsi, perdendo di fatto l’intero finanziamento.
A chiudere le voci del bilancio “europeo” del partito più britannico del Regno ci sono poi due finanziamenti quantomeno particolari, non tanto per logica del fondo, quanto piuttosto per gli enti che li ricevono: già , perchè in questi anni l’Ukip, tra un’invettiva e l’altra contro l’Unione europea e i suoi sprechi, ha costituito un partito politico di “stampo europeo” con tanto di fondazione collegata.
Partito e fondazione ci chiamano Alliance for Direct Democracy in Europe, hanno due sedi distinte (non nella City ma entrambe a due passi dal Parlamento Ue a Bruxelles) e nel 2015 hanno ricevuto nel complesso uno stanziamento di 2 milioni di euro.
Per quale ragione un partito indipendentista abbia costituito degli enti che ricevono fondi destinati alla promozione della causa dell’Unione europea resta un mistero. Almeno da un punto di vista politico.
D’altro canto, lo stesso mistero aleggia intorno all’Enf, il gruppo di cui fanno parte il Front National di Marine Le Pen, la Lega Nord di Matteo Salvini e l’olandese Party for Freedom di Geert Wilders (che subito dopo il Brexit ha proposto un referendum simile per il suo paese).
Nonostante l’euroscetticismo (e in alcuni casi l’antieuropeismo), all’Enf fanno riferimento ben 2 partiti europei (l’European Alliance for Freedom di olandesi e maltesi) e il Mouvement pour une Europe des Nations et des Libertès (di Le Pen e Salvini), con tanto di rispettiva fondazione.
Nel 2015, queste associazioni hanno ricevuto nel complesso stanziamenti dal Parlamento europeo per 3 milioni.
Ma restando in terra britannica, o meglio nel campo di chi alza il vessillo del Brexit nel cuore dell’Europa, come non guardare nelle tasche dell’Ecr, il gruppo dei conservatori, che a Bruxelles e Strasburgo è stato guidato negli ultimi anni da Syed Kamall, sodale di Johnson nella lotta tutta interna al partito contro Cameron e i colleghi pro-Europa.
Anche loro, tra un attacco e l’altro all’Unione europea, hanno costituito partito e fondazione Ue, ricevendo solo nel 2015 ben 3,2 milioni.
Altri 5 milioni li incassano come gruppo, senza dimenticare che i 20 conservatori britannici possono contare di base su 9,5 milioni annui per stipendi, benefit e staff.
Per intenderci, per ogni giorno di permanenza in più al Parlamento europeo, Kamall e colleghi costano ai contribuenti Ue circa 50mila euro, ben 350 da quando hanno alzato i calici al cielo per festeggiare la vittoria del fronte del Brexit.
(da “Huffingtonpost“)
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Giugno 30th, 2016 Riccardo Fucile
350 MILIONI DI STERLINE A SETTIMANA PER LA SANITA? NON CI SARANNO… LIMITI AGLI INGRESSI DAI PAESI UE? “MAI DETTO”… DA “NESSUNA CONSEGUENZA PER L’ECONOMIA” A “RESTEREMO NEL MERCATO UNICO”: TUTTI I DIETROFRONT DEI FAUTORI DELL’USCITA DALLA UE
Cominciano a sgretolarsi, una dopo l’altra.
La trattativa tra Londra e Bruxelles non è neanche cominciata, e non avrà inizio fino a quando la prima non invocherà l’ormai celebre articolo 50 del Trattato di Lisbona, ma su alcune tra le più roboanti promesse su cui aveva fondato la campagna referendaria il fronte del Leave ha già fatto dietrofront.
“Con la Brexit 350 milioni a settimana al Nhs”. Non è vero
I primi a cadere sono stati i 350 milioni di sterline a settimana che, secondo la campagna del fronte euroscettico, in caso di Brexit non avrebbero mai più preso la via di Bruxelles e sarebbero finiti nelle casse del National Health Service, il servizio sanitario nazionale. Sarebbero stati sufficienti a “costruire un nuovo ospedale con relativo staff sanitario ogni settimana”.
E’ toccato a Nigel Farage l’arduo compito del dietrofront.
Intervistato durante il programma Good Morning Britain su Itv, il leader dell’Ukip (United Kingdom Independence Party) ha dovuto ammettere che non ci sarà alcun trasferimento: “È stato fatto un errore. Non posso garantire che tanto denaro andrà al servizio sanitario pubblico, è una cosa che mai sosterrei”, ha dichiarato con virgineo candore. “Era solo propaganda?“, ha chiesto la conduttrice. “Non era un mio slogan“, ha ribattuto imperturbabile il leader.
Dimenticando che sui bus della campagna la promessa ha campeggiato per settimane. Persino la cifra era errata: secondo l’Institute for Fiscal Studies, il contributo settimanale del Regno Unito al budget comunitario sarebbe di 150 milioni di pound.
Gove: “Limiteremo numero degli immigrati”. Ora si moltiplicano i dubbi
Con 330mila ingressi nell’ultimo anno, è stata l’immigrazione la pietra angolare della campagna per il “sì” alla Brexit.
“Punto di rottura“, era la scritta che ha campeggiato per mesi sui manifesti dell’Ukip che ritraevano una lunghissima fila di migranti: “Dobbiamo liberarci dall’Ue e riprendere il controllo dei nostri confini”.
Tutto il fronte euroscettico ha intonato per mesi il coro unanime secondo cui sarebbe stato impossibile per il governo limitare gli ingressi se il Paese fosse rimasto nel novero del 28. Con l’addio a Bruxelles, sottolineava il segretario alla Giustizia Michael Gove, sarebbe stato possibile “abbassarne il numero” entro il 2020.
Venerdì è stato Daniel Hannan, europarlamentare tra i più autorevoli esponenti del fronte del “sì”, a ridimensionare le prospettive: “Francamente — ha spiegato alle telecamere di Bbc News — se la gente che ci sta guardando pensa che ora l’immigrazione dai Paesi Ue sarà ridotta a zero, rimarrà delusa“.
Fronte Leave: “Stop ingressi dei cittadini Ue”. Poi Johnson: “Loro diritti saranno garantiti”
Un sistema a punti simile a quello utilizzato in Australia per consentire l’ingresso solo ai cosiddetti higly skilled migrants, gli immigrati qualificati.
Era stato uno dei pilastri delineati per il Regno Unito una volta uscito dall’Ue. Pilastro ridimensionato da quel Boris Johnson che ha cavalcato da leader del fronte Leave l’ondata euroscettica per costruirsi un futuro da leader dei Tory: “I cittadini britannici potranno continuare a viaggiare, studiare, vivere, stabilirsi e lavorare nell’Ue”, scrive il 26 giugno (due giorni dopo il referendum) l’ex sindaco di Londra nella rubrica che tiene sul quotidiano The Telegraph.
Dimenticandosi di sottolineare che si tratta di un diritto che difficilmente Bruxelles continuerà a garantire senza qualche forma di reciprocità .
“I cittadini dell’Unione Europea che vivono in questo Paese vedranno i loro diritti garantiti appieno”, arriva ad assicurare l’ex sindaco di Londra dopo che la campagna degli euroscettici ha battuto per mesi sul tasto del taglio dell’assistenza sociale e sanitaria agli immigrati.
Johnson: “Resteremo nel mercato unico”. Merkel: “No, senza libera circolazione dei cittadini”
Le trattative non sono ancora iniziate, ma Angela Merkel mette i primi paletti a un’altra delle promesse chiave firmate dal fronte del Leave: quella secondo cui Londra manterrà con l’Unione europea i vincoli commerciali (tra le due sponde della Manica “il libero commercio continuerà ad esistere, così come l’accesso al mercato unico“, scrive Johnson nella sua rubrica), restringendo però l’accesso dei cittadini comunitari al territorio britannico.
Parlando il 28 giugno al Bundestag, la cancelliera ha sottolineato che per mantenere il “privilegio“, Londra dovrà permettere la libera circolazione dei cittadini comunitari: “L’accesso libero al mercato comune lo ottiene chi accetta le quattro libertà fondamentali europee: quella delle persone, dei beni, dei servizi e del capitale”, ha sottolineato la cancelliera, spiegando che “deve esserci e ci sarà una differenza palpabile tra essere e non essere parte della famiglia europea. Chi se ne vuole andare da questa famiglia non può sperare che gli obblighi spariscano e che si mantengano i privilegi”.
Un concetto ribadito al termine della riunione informale del Consiglio Ue di mercoledì dai presidenti della Commissione e del Consiglio Ue, Jean-Claude Juncker e Donald Tusk.
“Nessun cambiamento improvviso sconvolgerà l’economia”. Poi il crollo di sterlina e titoli bancari
“Quando parlate con le persone — scrivono in un messaggio ai sostenitori della campagna per il Leave Boris Johnson e Michael Gove il 22 giugno, giorno prima del voto — assicurate loro che dopo aver votato ‘sì’ nessun cambiamento improvviso sconvolgerà l’economia”. Invece il 24 giugno, a risultato ormai consolidato, la sterlina crolla: la moneta inglese arriva a perdere oltre il 10% sul dollaro, raggiungendo quota 1,33 dollari, il livello più basso dal 1985, e perdendo il 6% nei confronti dell’euro.
Conseguenze ipotizzabili sul breve periodo, ma gli effetti nefasti del voto si sono fatti sentire alla Borsa di Londra anche su banche, compagnie aeree e titoli immobiliari. E le previsioni di crescita per l’economia britannica sono state riviste al ribasso.
Fox: “Sono state dette diverse cose che meriterebbero di essere ripensate”
La fotografia della situazione la scatta Liam Fox, ex ministro, notabile Tory tra i più autorevoli e attivi esponenti del fronte del Leave: “Prima di questo referendum sono state dette molte cose alle quali sarebbe meglio ripensare“, ha ammesso alla Bbc l’ex ministro conservatore.
Marco Pasciuti
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 30th, 2016 Riccardo Fucile
VERGOGNOSO REGALO DELLA CASTA, SPESSO LA CASSAZIONE ANNULLA LE DECISIONI
Privilegi economici, ma non solo. A rendere meno dura la vita degli onorevoli non ci sono soltanto i benefit come i viaggi gratis o l’assistenza sanitaria integrativa.
Grazie alle generose auto-assoluzioni che la Casta si regala, sembra infatti essere contemplata anche una certa “libertà ” di offesa che sfiora l’impunità .
Qualche esempio? «La Kyenge ha le sembianze di un orango», «i pm del pool di Mani pulite sono degli assassini», «Napolitano è indegno del suo ruolo», «il tricolore lo uso solo per pulirmi il culo», «Di Pietro mi fa orrore»: tutte queste espressioni sono state ritenute assolutamente legittime e non processabili, anche quando i diretti interessati si erano rivolti a un tribunale per vedersi riconosciuta giustizia.
Un abuso non così raro, stando alle sentenze con cui la Consulta ha invalidato queste decisioni: su 666 delibere di insindacabilità votate nella Seconda Repubblica, ha ricostruito “l’Espresso”, ne sono state annullate 88, quasi una su sette.
Affinchè l’incarico possa essere esercitato il più liberamente possibile, la Costituzione stabilisce che «i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni».
Per questa ragione, se viene querelato o citato in giudizio, un deputato o senatore può chiedere l’immunità : il giudice trasmette le carte alla Camera di appartenenza, che stabilisce se c’è un nesso effettivo fra le frasi pronunciate fuori dal Palazzo e il mandato parlamentare. Se è così, il processo si estingue.
Peccato che questa fondamentale garanzia democratica si sia spesso trasformata in un espediente per insultare senza pagare le conseguenze.
PRIMATE E PRIMATI
L’ultimo caso riguarda Roberto Calderoli, che in un comizio nel 2013 paragonò Cècile Kyenge a un orango. Diffamazione con l’aggravante dell’istigazione all’odio razziale, per la Procura di Bergamo; diffamazione semplice, secondo l’Aula del Senato, che non ha trovato alcunchè di discriminatorio nell’accostamento fra un primate e il ministro di origine congolese: soltanto «un’espressione forte, fatta esclusivamente come battuta ad effetto».
Con questo escamotage l’esponente leghista si è salvato: la Kyenge non aveva sporto querela e il processo si reggeva unicamente sull’accusa di razzismo, per il quale si procede d’ufficio. Quindi niente razzismo, niente processo. Ma per Calderoli rischia di essere una vittoria di Pirro: ritenendola un’invasione di campo, il tribunale orobico ha fatto ricorso, sostenendo che la qualificazione giuridica di un fatto spetta alla magistratura, non al Parlamento.
La Consulta ha ammesso l’istanza e ora, se annullerà la delibera, il procedimento penale ripartirà .
Esattamente come accaduto a Francesco Storace, che nel 2007 sul suo sito definì Giorgio Napolitano «indegno di una carica usurpata a maggioranza» per «disdicevole storia personale», «palese e nepotistica condizione familiare» ed «evidente faziosità istituzionale»: solo «una forte critica politica, discutibile sul piano dello stile ma priva di rilevanza giuridica» a detta del Senato.
Non però per la Corte costituzionale, che anche in questa circostanza ha ritenuto illegittimo il verdetto (come chiedeva il tribunale di Roma) e tolto l’immunità all’ex governatore. Condannato a sei mesi in primo grado per vilipendio, Storace è stato appena assolto in appello.
Nulla rispetto a un recordman come Vittorio Sgarbi, capace di collezionare oltre 150 denunce, quasi sempre finite nel nulla per effetto dello scudo che i colleghi di Montecitorio gli hanno concesso.
Fin troppo generosamente per la Corte costituzionale, che in 27 casi gliel’ha tolta.
Fra questi, l’accusa a Massimo D’Alema di aver intascato mazzette, a Ilda Boccassini di essere responsabile della morte del procuratore Coiro, a Giancarlo Caselli di aver «liberato mafiosi e arrestato innocenti» e ai pm del pool di Mani pulite di essere «assassini»: tutte vicende per cui Sgarbi, senza più immunità , è stato poi condannato in via definitiva.
TOGHE ROTTE
Proprio i magistrati sono stati d’altronde fra i principali bersagli. Silvio Berlusconi, che le aule di giustizia le ha frequentate non poco, sarebbe stato ancora più assiduo se il Parlamento non avesse stoppato dieci cause per diffamazione intentate nei suoi confronti, per lo più da giudici e pm.
Nel 2015, dopo il ricorso sollevato dai giudici di Viterbo e Roma davanti alla Consulta, anche l’ex premier ha però dovuto mettere mano al portafogli: per risarcire Antonio Di Pietro. «Mi fa orrore, è il peggio del peggio, ha mandato italiani in galera senza prove» disse di lui durante la campagna elettorale del 2008. Il leader dell’Idv non gradì e querelò.
Ma per i deputati di Pdl e Lega (che pochi mesi dopo avrebbero sostenuto pure la tesi secondo cui Berlusconi era davvero convinto che Ruby fosse la nipote di Mubarak) non c’era oltraggio: si trattava solo di «opinioni politiche allo scopo di distrarre i cittadini dall’orientare il proprio consenso».
Maurizio Gasparri, invece, ha ricevuto 20 assoluzioni dai colleghi e fra le quattro annullate dalla Corte costituzionale ci sono anche quelle che gli sono costate una condanna per aver definito il pm Woodcock «un giudice irresponsabile» e «un personaggio boccaccesco» che «spara accuse a vanvera».
Come successo a Giulio Andreotti per le offese rivolte al giudice Mario Almerighi («un pazzo», «un falso testimone») dopo la sua deposizione al processo di Palermo.
DI TUTT’ALTRA LEGA
Che questo sistema si presti ad abusi lo ha chiarito anche la Corte di europea dei diritti dell’uomo, che in varie occasioni, davanti ai ricorsi dei diffamati impossibilitati ad avere giustizia, ha condannato l’Italia sostenendo che «l’immunità non può estendersi oltre l’attività parlamentare».
Come dire: cari onorevoli, non nascondetevi dietro i privilegi quando non vi spettano e affrontate i processi come normali cittadini. Impunità a parte, le argomentazioni utilizzate sono comunque degne di nota.
L’ex Ds Fabio Mussi, parlando ad alta voce alla buvette con un forzista, diede dello “stronzo” a Cesare Previti e fu citato in giudizio perchè un cronista aveva riportato le sue parole.
Per Montecitorio era però un pensiero reso nell’esercizio delle funzioni parlamentari: «Lo scambio di opinioni su questioni di rilievo politico può contenere giudizi anche crudi».
In passato anche il ruvido Carroccio del periodo celodurista è stato graziato a più riprese dal centrosinistra dopo la rottura con Berlusconi.
Come quando assolse Mario Borghezio, imputato per diffamazione e minaccia per aver definito il segretario comunale di Novara «il solito terronaccio paracadutato dal governo di Roma»: nessun oltraggio ma semplicemente «una coerente difesa degli interessi del partito».
Va ascritto al centrodestra, invece, il salvataggio per le celebri e non proprio affettuose parole di Umberto Bossi verso la bandiera italiana: «Il tricolore lo uso soltanto per pulirmi il culo».
Condannato a un anno e quattro mesi, in appello il Senatùr giocò il jolly: chiese l’immunità e la ottenne.
Motivazione: la sua era una «opinione politica» perchè il verde, bianco e rosso «rappresentava il simbolo dello Stato centralista ed oppressore delle formazioni locali»
Paolo Fantauzzi
(da “L’Espresso”)
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Giugno 30th, 2016 Riccardo Fucile
LA NEO ASSESSORA FEDERICA PATTI MENTI’ E FU CONDANNATA DAL GIUDICE DI PACE: NON DICHIARO’ LA CONVIVENZA PER USUFRUIRE DI UNA RETTA PIU’ BASSA… LEGALITA’ E ONESTA’ PASSANO IN SECONDO PIANO?
Se Virginia Raggi deve vedersela con i casi Frongia e Marra, Chiara Appendino, neo sindaco di Torino, deve affrontare il caso di Federica Patti,assessora in pectore all’Istruzione della sua giunta.
Come riporta il Corriere della Sera la polemica è legata al fatto che “nel 2012 Federica Patti era stata condannata dal giudice di pace a pagare la differenza delle rette per il nido dei figli, perchè al momento dell’iscrizione non aveva dichiarato la convivenza con il proprio compagno.
A causa di un’errata compilazione del modello Isee, l’architetto Patti, presidente del Cogeen (il coordinamento dei genitori), ha potuto trarre beneficio dall’applicazione di una tariffa sulla base di un nucleo famigliare non corrispondente a quello reale”.
Insomma, il futuro assessore, secondo le opposizioni, non sarebbe in linea con le parole “legalità e onestà di cui i grillini si sono riempiti la bocca in campagna elettorale” attacca Stefano Esposito del Pd.
In risposta il portavoce del sindaco Luca Pasquaretta ha detto che “si tratta di una multa e di una storia vecchia che risale al 2012. Non si possono rovinare le persone per una multa, per giunta regolarmente pagata”.
“Era un periodo difficile della mia vita, ho provato a spiegare in tutte le sedi le mie ragioni. Mi hanno dato torto e ho pagato” ricorda la stessa Patti.
A tentare di mettere fine alla polemica ci pensa poi oggi la stessa Appendino: “Non c’è alcuna polemica, Federica Patti fa parte della giunta e sono orgogliosa di lei come assessore, oggi sarà nella squadra”.
(da “Huffingtonpost“)
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