Destra di Popolo.net

SALVINI ORDINA UN “BOMBING” TELEFONICO CONTRO IL COMUNE DI BOLOGNA, MA SBAGLIA NUMERO

Giugno 2nd, 2016 Riccardo Fucile

INFURIATO PER LA MANCATA CONCESSIONE DI UNA PIAZZA, AVEVA INVITATO TUTTI A CHIAMARE AL CENTRALINO… IL SINDACO: “BISOGNA CHE STUDI”

Il “bombing” telefonico ordinato ieri pomeriggio da Matteo Salvini nei confronti del Comune di Bologna è fallito miseramente
Il leader della Lega, deciso a protestare in questo modo per il rifiuto del questore di concedere piazza Verdi per motivi di ordine pubblico, ha sbagliato a fornire via Facebook il numero corretto del centralino di Palazzo d’Accursio
Ed è proprio il sindaco Virginio Merola, in corsa per la rielezione, a sottolinearlo, tirando in ballo la sua rivale leghista Lucia Borgonzoni: “Bisogna che studi, perchè ha sbagliato il numero di telefono del Comune”.
A quello fornito ai simpatizzanti leghisti attraverso il profilo di Salvini, “manca un numero perchè si possa rispondere, ma non ha tempo Salvini di occuparsi di queste cose…”.
Per la cronaca, al numero sbagliato non risponde nessuno ( o forse il poveretto avrà  staccato il telefono…)

(da “La Repubblica“)

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AMMINISTRATIVE, TEST CHIAVE PER IL FUTURO DEI LEADER NAZIONALI

Giugno 2nd, 2016 Riccardo Fucile

I GRILLINI BENEFICIANO DELLE DIVISIONI DEL CENTRODESTRA E DEL CENTROSINISTRA, MA LA RAGGI SCONTA IL VINCOLO ALLE DECISIONI DEI VERTICI CINQUESTELLE

L’attenzione domenica notte sarà  concentrata tutta sul Campidoglio.
Da Roma arriverà  la prima risposta decisiva: la scelta dei candidati per il ballottaggio, che, contrariamente alle altre grandi città  chiamate al voto, nella Capitale è ancora fortemente incerta.
Una risposta che condizionerà  prepotentemente il dibattito politico e che potrebbe riflettersi ben oltre i confini della città  eterna.
Partecipare alla sfida finale del 19, giocarsi la poltrona della guida della Capitale al secondo turno, sarà  determinante non solo per Virginia Raggi, Roberto Giachetti, Giorgia Meloni, Alfio Marchini o Stefano Fassina.
Ma anche per Renzi, Grillo, Salvini e Berlusconi.
Le divisioni all’interno del centrosinistra e del centrodestra non consentono ai candidati dei due schieramenti facili previsioni, anche perchè il numero di chi è ancora indeciso, se e chi votare, è molto alto.
Una conferma della comprensibile disaffezione dei romani nei confronti di una classe politica che ha lasciato la città  alle prese con un debito spaventoso e prigioniera di interessi criminali.
A “beneficiarne” inevitabilmente è chi da questa mortifera stagione è rimasto fuori, ovvero il Movimento 5 Stelle, che con Virginia Raggi punta a conquistare la Capitale e ad affermarsi come forza alternativa di Governo non solo per il Campidoglio ma per Palazzo Chigi.
Lo conferma la cintura di protezione cucita dal direttorio grillino e dal leader in pectore, Luigi Di Maio, attorno alla Raggi.
Uno scudo che potrebbe rivelarsi controproducente però, se fosse interpretato dagli elettori come sintomo di debolezza e scarsa autonomia.
Due accuse che non a caso le hanno rivolto gli avversari mettendo l’accento anche sul “contratto” sottoscritto dalla Raggi secondo cui in caso venisse eletta sindaco, per le decisioni “giuridicamente complesse” dovrà  consultarsi con lo staff dei parlamentari pentastellati.
Di più: se dovesse smarcarsi dalla “linea” del direttorio rischia di dover pagare una penale di 150mila euro.
Si vedrà . Gli ultimi sondaggi pubblicati davano la candidata grillina ampiamente in testa. Anche per questo ha accuratamente evitato tutti i confronti con gli avversari, tranne quello andato in onda su Sky martedì.
A cercare i faccia a faccia sono sempre coloro che inseguono.
E a Roma a giocarsi la carta di competitor contro il candidato del M5S sono in tre: il dem Roberto Giachetti, la leader Fdi Giorgia Meloni e l’imprenditore Alfio Marchini nato indipendente e ora appoggiato da Berlusconi ma anche da Alfano.
Più indietro il candidato di Sinistra italiana Stefano Fassina che però ha già  detto che, qualora Giachetti arrivasse al ballottaggio, non avrà  il suo voto.
Del resto fin dall’inizio la campagna elettorale per Roma si è caratterizzata più che per gli scontri tra opposte fazioni, per il fuoco amico di alleati o ex compagni di partito. Alla fine nel centrodestra sono rimasti in due. Giorgia Meloni, appoggiata da Salvini, e Alfio Marchini, che era già  in campo con la sua lista “libera dai partiti”, e che nel frattempo ha ottenuto il sostegno di Berlusconi (quello dei centristi di Alfano lo aveva già ) e perfino di Storace.
Il Cavaliere ripete quotidianamente che la separazione nella capitale è solo frutto di un “capriccio” (della Meloni) e che il centrodestra continuerà  a marciare unito.
Ma c’e anche altro: la leadership e il futuro del centrodestra.
Se Meloni dovesse diventare sindaco, il principale beneficiario sarebbe Salvini e una destra di matrice lepenista. Al contrario, la sconfitta della Meloni confermerebbe la necessità  per il leader della Lega e la numero 1 di Fdi di dover ancora scendere a patti con il Cavaliere.
Vale anche per il centrosinistra. Giachetti gioca da solo.
La rottura con l’ala sinistra della coalizione guidata da Stefano Fassina mina fortemente le possibilità  di quello che i suoi avversari indicano come “il candidato di Renzi”.
Raggiungere il ballottaggio sarebbe già  una vittoria, in quanto dimostrerebbe che nonostante la pesante eredità  di Ignazio Marino e di mafia capitale, il candidato Pd è l’unico in grado di contrapporsi alla sfida populista.
Domenica notte i risultati daranno la risposta.

Barbara Fiammeri
(da “il Sole24Ore“)

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SALVINI ORDINA UN “BOMBING” TELEFONICO CONTRO IL COMUNE DI BOLOGNA, MA SBAGLIA NUMERO

Giugno 2nd, 2016 Riccardo Fucile

INFURIATO PER LA MANCATA CONCESSIONE DI UNA PIAZZA, AVEVA INVITATO TUTTI A CHIAMARE IL CENTRALINO… IL SINDACO: “BISOGNA CHE STUDI”

Il “bombing” telefonico ordinato ieri pomeriggio da Matteo Salvini nei confronti del Comune di Bologna è fallito miseramente
Il leader della Lega, deciso a protestare in questo modo per il rifiuto del questore di concedere piazza Verdi per motivi di ordine pubblico, ha sbagliato a fornire via Facebook il numero corretto del centralino di Palazzo d’Accursio
Ed è proprio il sindaco Virginio Merola, in corsa per la rielezione, a sottolinearlo, tirando in ballo la sua rivale leghista Lucia Borgonzoni: “Bisogna che studi, perchè ha sbagliato il numero di telefono del Comune”.
A quello fornito ai simpatizzanti leghisti attraverso il profilo di Salvini, “manca un numero perchè si possa rispondere, ma non ha tempo Salvini di occuparsi di queste cose…”.
Per la cronaca, al numero sbagliato non risponde nessuno.

(da “La Repubblica”)

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AMMINISTRATIVE, TEST CHIAVE PER IL FUTURO DEI LEADER NAZIONALI

Giugno 2nd, 2016 Riccardo Fucile

I GRILLINI BENEFICIANO DELLE DIVISIONI DEL CENTRODESTRA E DEL CENTROSINISTRA, MA LA RAGGI SCONTA IL VINCOLO ALLE DECISIONI DEI VERTICI CINQUESTELLE

L’attenzione domenica notte sarà  concentrata tutta sul Campidoglio.
Da Roma arriverà  la prima risposta decisiva: la scelta dei candidati per il ballottaggio, che, contrariamente alle altre grandi città  chiamate al voto, nella Capitale è ancora fortemente incerta.
Una risposta che condizionerà  prepotentemente il dibattito politico e che potrebbe riflettersi ben oltre i confini della città  eterna.
Partecipare alla sfida finale del 19, giocarsi la poltrona della guida della Capitale al secondo turno, sarà  determinante non solo per Virginia Raggi, Roberto Giachetti, Giorgia Meloni, Alfio Marchini o Stefano Fassina.
Ma anche per Renzi, Grillo, Salvini e Berlusconi.
Le divisioni all’interno del centrosinistra e del centrodestra non consentono ai candidati dei due schieramenti facili previsioni, anche perchè il numero di chi è ancora indeciso, se e chi votare, è molto alto.
Una conferma della comprensibile disaffezione dei romani nei confronti di una classe politica che ha lasciato la città  alle prese con un debito spaventoso e prigioniera di interessi criminali.
A “beneficiarne” inevitabilmente è chi da questa mortifera stagione è rimasto fuori, ovvero il Movimento 5 Stelle, che con Virginia Raggi punta a conquistare la Capitale e ad affermarsi come forza alternativa di Governo non solo per il Campidoglio ma per Palazzo Chigi.
Lo conferma la cintura di protezione cucita dal direttorio grillino e dal leader in pectore, Luigi Di Maio, attorno alla Raggi.
Uno scudo che potrebbe rivelarsi controproducente però, se fosse interpretato dagli elettori come sintomo di debolezza e scarsa autonomia.
Due accuse che non a caso le hanno rivolto gli avversari mettendo l’accento anche sul “contratto” sottoscritto dalla Raggi secondo cui in caso venisse eletta sindaco, per le decisioni “giuridicamente complesse” dovrà  consultarsi con lo staff dei parlamentari pentastellati.
Di più: se dovesse smarcarsi dalla “linea” del direttorio rischia di dover pagare una penale di 150mila euro.
Si vedrà . Gli ultimi sondaggi pubblicati davano la candidata grillina ampiamente in testa. Anche per questo ha accuratamente evitato tutti i confronti con gli avversari, tranne quello andato in onda su Sky martedì.
A cercare i faccia a faccia sono sempre coloro che inseguono.
E a Roma a giocarsi la carta di competitor contro il candidato del M5S sono in tre: il dem Roberto Giachetti, la leader Fdi Giorgia Meloni e l’imprenditore Alfio Marchini nato indipendente e ora appoggiato da Berlusconi ma anche da Alfano.
Più indietro il candidato di Sinistra italiana Stefano Fassina che però ha già  detto che, qualora Giachetti arrivasse al ballottaggio, non avrà  il suo voto.
Del resto fin dall’inizio la campagna elettorale per Roma si è caratterizzata più che per gli scontri tra opposte fazioni, per il fuoco amico di alleati o ex compagni di partito. Alla fine nel centrodestra sono rimasti in due. Giorgia Meloni, appoggiata da Salvini, e Alfio Marchini, che era già  in campo con la sua lista “libera dai partiti”, e che nel frattempo ha ottenuto il sostegno di Berlusconi (quello dei centristi di Alfano lo aveva già ) e perfino di Storace.
Il Cavaliere ripete quotidianamente che la separazione nella capitale è solo frutto di un “capriccio” (della Meloni) e che il centrodestra continuerà  a marciare unito.
Ma c’e anche altro: la leadership e il futuro del centrodestra.
Se Meloni dovesse diventare sindaco, il principale beneficiario sarebbe Salvini e una destra di matrice lepenista. Al contrario, la sconfitta della Meloni confermerebbe la necessità  per il leader della Lega e la numero 1 di Fdi di dover ancora scendere a patti con il Cavaliere.
Vale anche per il centrosinistra. Giachetti gioca da solo.
La rottura con l’ala sinistra della coalizione guidata da Stefano Fassina mina fortemente le possibilità  di quello che i suoi avversari indicano come “il candidato di Renzi”.
Raggiungere il ballottaggio sarebbe già  una vittoria, in quanto dimostrerebbe che nonostante la pesante eredità  di Ignazio Marino e di mafia capitale, il candidato Pd è l’unico in grado di contrapporsi alla sfida populista.
Domenica notte i risultati daranno la risposta.

Barbara Fiammeri
(da “il Sole24Ore”)

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LIGURIA, CRISI TRA LEGA E TOTI: E’ SCONTRO SULLE POLTRONE

Giugno 2nd, 2016 Riccardo Fucile

RIXI: “PRONTO A DIMETTERMI”: CHE FRETTA, ASPETTI ALMENO LA CONDANNA PER PECULATO

«Sono pronto a dimettermi dalla giunta. E a far dimettere gli altri assessori della Lega, se necessario»: è comico Edoardo Rixi, superassessore allo Sviluppo economico, e uomo di punta della giunta del governatore Giovanni Toti, quando ieri ha fatto finta di sbattere i pugni sul tavolo della riunione di maggioranza.
Ce li vedete voi dei soggetti che vivono di politica da anni che rinunciano a 10.000 euro al mese?
Il pretesto è un attacco ad Ncd che «sta un po’ di qua, in Liguria e un po’ di là  al governo e in molte liste di Comuni liguri al voto».
Come se non lo sapesse da tempo.
Rixi poi raggiunge l’apoteosi della farsa: «in queste condizioni, io il sindaco di Genova non lo faccio: non mi fido di questa maggioranza».
Ma chi l’ha mai investito?
E soprattutto: ma chi lo vota?
Poi il solito autogol del “grande stilista” (da non confondersi con statista): «Genova deve avere al più presto un presidente del porto, dicono che non ci siano nomi. Bene, alla Lega, nessuno ha chiesto di fare un nome. Chiedetecelo. Così come vogliamo essere la prima voce in capitolo per decidere chi guiderà  le tornate elettorali importanti, in Liguria, il prossimo anno. Genova, Spezia, Chiavari».
Insomma, si minaccia di rinunciare alla poltrona ad un unico scopo: moltiplicare le poltrone per il proprio partito.
Eccolo che insiste: «Io non sono mai stato attaccato alla poltrona, sono pronto a dimettermi.”
Ma non è lo stesso soggetto che è stato consigliere regionale per 5 anni a 10.000 euro al mese e ciò nonostante non ha mollato la carica di consigliere comunale a Genova che ne rendeva altri 1.000?
In ogni caso, visto che a breve inizierà  il processo che lo vede imputato per peculato per le spese pazze in Regione, a dimettere Rixi potrebbe pensarci la legge Severino che, in caso di condanna, prevede la sua decadenza dalla carica.
Le vie del Signore sono infinite, confidate in quelle…

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LA RAGGI HA PERSINO PAURA DI ANDARE AL GAY VILLAGE: “NON LA RICONOSCO PIU'”

Giugno 2nd, 2016 Riccardo Fucile

L’ACCUSA DI IMMA BATTAGLIA DOPO CHE LA GRILLINA NON HA ACCOLTO L’INVITO A PARTECIPARE A UN DIBATTITO: “TEME DI PERDERE I VOTI DI DESTRA”

Oggi al Gay Village Virginia Raggi non ci sarà .
La manifestazione estiva di cultura, spettacolo ed impegno omosessuale, inaugurata ieri, questa sera ospita i candidati sindaco Stefano Fassina (Si-Sel) e Roberto Giachetti (Pd) che partecipano ad un confronto all’americana, condotto da Vladimir Luxuria ed Imma Battaglia sui diritti civili.
«Non è voluta venire – racconta Luxuria, direttore artistico –. L’avevamo invitata insieme agli altri, ma ha risposto con un laconico “non posso per impegni municipali presi precedentemente”. E pensare che avevamo abbandonato l’idea del confronto a tre anche per metterla a suo agio, sappiamo che non li ama».
Un diniego che la comunità  omosessuale prende molto male. «Per noi è un’occasione persa, ma anche la certezza che non la voteremo», annuncia Battaglia, che con la Raggi ha condiviso gli scranni del consiglio comunale e sempre con lei ha firmato la delibera sul Registro delle unioni civili, istituito dalla giunta Marino.
Un rifiuto – quello di partecipare all’incontro – che si incrocia con un articolo pubblicato da Lettera 43 , dal titolo «Raggi cancella i diritti Lgbt dal programma», in cui Cristina Leo, componente dell’Osservatorio parlamentare Lgbt dei Cinque Stelle, spiega che c’erano due schede sul tavolo delle politiche sociali della Capitale per far diventare Roma gay friendly e per avviare una lotta alla transfobia sociale e lavorativa.
Temi di cui, accusa, non c’è alcuna traccia nel programma.
«I diritti ci sono – spiegano dallo staff della Raggi – e riguardano tutte le persone. E poi Raggi ha già  celebrato unioni gay, figuriamoci se non vuole tutelare i diritti della comunità  omosessuale».
Lei stessa tra l’altro l’ha confermato visitando la Casa delle Donne di Trastevere due giorni fa, quando alla domanda sulla sua disponibilità  a celebrare unioni tra persone dello stesso sesso ha risposto: «L’ho già  fatto in passato quando istituimmo il Registro delle unioni civili in Campidoglio, non avrei nessun problema a farlo di nuovo, come prevede la legge».
Ma il gran rifiuto all’incontro con la comunità  Lgbt brucia.
«Io questa persona non la riconosco più – dice Battaglia –. Quando la vedevo in consiglio comunale la ammiravo. È come una marionetta mossa da altri, ora Fassina e Giachetti sono i nostri unici interlocutori: parleremo con loro di unioni civili, omofobia, della nuova epidemia da Hiv».
Si lamenta anche la senatrice Monica Cirinnà  (Pd), promotrice della legge sulle unioni civili. «Raggi non dice una sola parola sui diritti civili. E nel programma sembra essere scomparso qualsiasi riferimento sui diritti della comunità  gay e transgender. Il suo è un silenzio imbarazzante».
Per Stefano Fassina «Raggi non si presenta al Gay Village perchè ha paura di perdere i voti della destra, così come non si è presentata, per lo stesso motivo, alla manifestazione dei lavoratori del pubblico impiego».

Maria Rosaria Spadaccino
(da “il Corriere della Sera”)

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BEFFA RESTITUZIONE 80 EURO PER CHI HA REDDITO BASSO

Giugno 2nd, 2016 Riccardo Fucile

“L’AZIENDA NON MI PAGA E IO SONO COSTRETTA A RESTITUIRE IL BONUS ALLO STATO”… SONO 341.000 GLI ITALIANI IL CUI REDDITO E’ FINITO SOTTO I 7.500 EURO

C’è chi si è visto trattenere la somma “indebitamente percepita” perchè ha un reddito troppo basso a causa della perdita del lavoro.
O addirittura chi l’ha dovuta restituire perchè la sua azienda non l’ha pagato e quindi ha perso il diritto al bonus perchè ha guadagnato troppo poco.
Sono almeno 341mila gli italiani che hanno dovuto restituire il bonus da 80 euro non perchè il loro reddito è cresciuto, ma perchè è crollato.
Come rivelato domenica da ilfattoquotidiano.it, nel 2015 si sono contati 1,4 milioni di contribuenti in questa situazione.
Il beneficio, infatti, è riservato a chi ha avuto un reddito compreso tra gli 8mila e i 26mila euro lordi. Se nel corso dell’anno si va al di sopra o al di sotto di queste soglie, si perde il diritto agli 80 euro.
E bisogna ridarli all’Agenzia delle Entrate, stavolta in un’unica soluzione. Ma secondo il presidente del Consiglio Matteo Renzi, è una falsità  dire che il governo ha “dato 80 euro per poi farseli restituire indietro”.
Semplicemente, ha detto, “chi ha guadagnato di più (oltre 26mila euro, ndr) deve restituire gli 80 euro perchè se non sei dentro le soglie previste per legge quei soldi non ti spettano”.
Dimenticandosi, però, che tra gli italiani costretti a ridare il bonus ci sono anche coloro che hanno guadagnato troppo poco.
In particolare, hanno dovuto ridare la somma 341mila persone con un reddito sotto i 7.500 euro.
Ecco le storie di quanti hanno scritto a ilfattoquotidiano.it.
Claudia: “L’azienda non mi pagava gli stipendi. E poi ho anche rimborsato il bonus”
In questo esercito di contribuenti beffati c’è Claudia di Pistoia, beffata prima dalla sua azienda e poi dal modulo 730.
“Nella dichiarazione redditi 2015 mi hanno chiesto indietro ben 640 euro relativi al famoso bonus. Il mio reddito risultava di 5.618 euro perchè la ditta dove lavoravo non mi ha pagato le ultime otto mensilità . Risultato: ho lavorato 12 mesi nel 2014, ne ho riscossi quattro ricavandone oltre al danno anche la beffa. Praticamente delle quattro mensilità  ricevute su 12, una è andata a coprire la restituzione del bonus. Lavorare 12 mesi, riscuoterne tre: grazie Stato“.
Alessandro: “Sono disoccupato, cornuto me mazziato”
Paradossale anche la situazione di Alessandro, 60 anni, senza un lavoro. “Non so se ridere o piangere — racconta — Sono andato al Caf per fare la dichiarazione dei redditi e, alla fine, il saldo è stato a mio favore per 221 euro: 355 euro sono stati trattenuti perchè indebitamente percepiti, riferendosi al bonus di 80 euro che non mi spetta perchè ho dichiarato un reddito inferiore agli 8mila euro”.
Conclusione: “Sembra quasi che far parte di quell’11,5 % di disoccupati sia una colpa perchè in giro il lavoro abbonda. Mi sono sentito, come plasticamente dicono a Napoli, cornuto e mazziato“.
Diana: “Mi hanno tagliato due stipendi, non capivo perchè”
Diana, invece, insegna in un istituto di Torino da circa sei mesi. “A gennaio ho ricevuto il mio primo stipendio normale, il mese successivo vedo che lo stipendio si è ridotto drasticamente — racconta la docente — Con ansia attendo lo stipendio successivo ossia quello di marzo e anche quello lo trovo ridotto, insomma in tutto su due mensilità  trovo che mancano 400 euro“.
La spiegazione? L’anno scorso ha lavorato come supplente, per periodi intermittenti, e le è stato riconosciuto il bonus anche se ha guadagnato meno di 8mila euro. Ora glielo stanno trattenendo dalla busta paga.
Aldo: “Sono invalido, mia moglie ha restituito 416 euro. E ne guadagna meno di 8mila”
“Ci siamo visti costretti a restituire il bonus ricevuto per un ammontare di 416 euro — spiega invece Aldo, invalido civile, con la moglie che lavora in un’impresa di pulizie e nel 2014 ha portato a casa meno di 8mila euro. — Ma questi ci sono o ci fanno? Però come sono bravi e capaci quando vanno in televisione“.
Antonella: “Mia figlia beffata. E’ immorale umiliare i giovani”
Anche tanti giovani sono stati vittime della beffa. Antonella racconta la storia di sua figlia: “Vedendo il suo 730 precompilato mi sono accorta che ha percepito nel 2015 euro 5.700 con un bonus pari a 652 euro che deve restituire entro il 16 giugno. Trovo immorale aver dato questi soldi a persone che cercano di affacciarsi nel mondo del lavoro, vengono pagati pochissimo, e si trovano di fronte a norme che li umiliano. Sarebbe opportuno modificare questa ingiusta norma o evitare di propagandarla come aiuto ai più deboli“.
Dino: “Mi sento come Fantozzi davanti a Robin Hood”
Dino, infine, ha perso il lavoro e si è trovato in mobilità , arrangiandosi con lavori saltuari. Al momento del 730 si aspetta un rimborso perchè, dice, “devo scalare un bel po’ di spese, diverse centinaia di euro”.
Ma poi scopre di avere un saldo di soli 15 euro.
“Trasecolo — racconta il signore — Come 15 euro? Ho un mutuo e delle spese fisse che ogni anno, quando lavoravo, mi venivano rimborsate in soldoni e ora che sono in mobilità  prendo solo 15 euro?”.
Insomma, “mi sembra quella scena di Superfantozzi, dove Paolo Villaggio si dispera perchè è povero. Viene Robin Hood e gli porta un sacchetto di soldi. E Fantozzi: ‘Pina, Pina, siamo ricchi!’. Immediatamente arriva Robin Hood che gli frega di nuovo i soldi: ‘Sono Robin Hood, rubo ai ricchi per dare ai poveri’”.
Stefano: “Ho superato il limite di 1 euro” – Ma a restituire il bonus non è stato solo chi è andato sotto la soglia minima. C’è anche chi ha superato i 26mila euro annui di reddito. Anche di pochissimo, come Stefano, insegnante di Verona. “Ho uno stipendio netto di 1.530 euro al mese — dice il professore — Devo restituire il bonus per avere superato i limiti del governo di un euro“.

Stefano De Agostini
(da “il Fatto Quotidiano”)

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SE LA PICCOLA SVIZZERA FA PIU’ EUROPA DELL’EUROPA

Giugno 2nd, 2016 Riccardo Fucile

GRANDI INFRASTRUTTURE: IL TUNNEL DEL SAN GOTTARDO, REALIZZATO DAGLI ELVETICI, HA RISPETTATO SIA TEMPI DI COSTRUZIONE CHE COSTI…   QUASI COME AVVIENE IN ITALIA

Potrebbe sembrare un non senso e anche una provocazione eppure, in questi tempi di multi-crisi, l’Europa dei 28 farebbe bene ad andare a lezione di Europa dagli altri invece che da se stessa.
Magari dal gigante e dal topolino, da Cina e Svizzera, due partner con cui non intrattiene rapporti idilliaci ma dai quali oggi avrebbe molto da apprendere, anche per ritrovare la spinta integrativa che pare aver perso per strada.
I 57,1 chilometri del tunnel ferroviario del Gottardo, il più lungo del mondo, accelerando collegamenti e trasporto merci tra nord e sud delle Alpi, creeranno nei fatti molto più mercato unico europeo di tante, a volte troppe direttive Ue.
Inaugurandolo ieri alla presenza del cancelliere tedesco Angela Merkel, del presidente francese Franà§ois Hollande, del premier Matteo Renzi ma stranamente non del presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, la Svizzera non solo ha battuto tutti sul tempo nel completamento del segmento chiave del corridoio europeo Genova-Rotterdam ma ancora una volta ha dato prova di precisione impeccabile: 17 anni di lavori come previsto, costo 11,1 miliardi di euro, come preventivato, su un totale di 16,3 per l’intera nuova rete ferroviaria transalpina che sarà  finita nel 2020.
Operativo dall’11 dicembre prossimo, il tunnel del Gottardo vedrà  salire il traffico dei treni-merci dai 180 attuali a 260 al giorno per un trasporto totale di 49 milioni di tonnellate all’anno (+20% entro il 2020). Accanto a 65 treni passeggeri al giorno. Tutto ad alta velocità . Più rotaia, meno gomma, trasporti più rapidi, efficienti e meno inquinamenti.
Parallelamente e molto speditamente sta diventando realtà  ormai quasi quotidiana il progetto Eurasia di Pechino, riedizione terrestre dell’antica via della seta per collegare Cina ed Europa, in primis Germania, attraverso ferrovie, progressivamente ad alta velocità , e autostrade.
Investimento 60 miliardi. Obiettivo, dimezzare i tempi del trasporto merci dai 45 giorni via nave a 15-18 in media, con viaggi da 11-13.000 km.
Inaugurata nel 2014, primi punti di arrivo Amburgo e Duisburg, la rotaia cinese si spinge ormai fino a Madrid e a Lione guardando a Venezia. Paradossalmente rischia così di realizzare, dribblando gli eterni temporeggiamenti e ritardi Ue e, soprattutto, gli investimenti con il contagocce, la grande rete di trasporto transeuropea lanciata dal vertice di Essen nel lontano 1994 ma 22 anni dopo ancora non ultimata.
Se messo a confronto con il dinamismo, la visione, il coraggio e la progettualità  strategica altrui, balza all’occhio il torpore dell’Unione e spiega la sua crescita stanca, che non ritrova ritmo e men che meno vigore e voglia di investire.
Ne spiega l’erezione di muri, gli istinti protezionistici e falsamente difensivi. Non che la Svizzera, che si è pagata il nuovo traforo sotto le Alpi, sia esente da egoismi anti-migratori, tutt’altro. Però riesce anche a vedere e a perseguire bene i propri interessi economici e commerciali.
Eppure c’è stato un tempo, era sempre il 1994, non un secolo fa, in cui l’Europa in soli 6 anni riuscì a realizzare un progetto ben più avveniristico e tecnologicamente avanzato del Gottardo: il tunnel sotto la Manica, 50,5 km ma 38 sotto il mare. Un pegno rivoluzionario di unità  tra un’isola e un continente, troppo spesso in competizione se non in rotta tra loro. Che presto potrebbe sparire nelle urne di Brexit.
La nuova Unione in perdita di smalto e di spirito di corpo è quella che discute della Torino-Lione e tunnel relativo da quello stesso ’94, ha finalmente deciso di costruirlo nel 2001 ma solo di recente ha concretamente avviato gli scavi.
Il traforo sarà  operativo intorno al 2025-30, lungo 57 km come il Gottardo, però costerà  24 miliardi salvo imprevisti.
Sono dati che parlano da soli ma raccontano solo una parte di tutta la storia. Negli ultimi 20 anni l’Europa ha sbriciolato molti monopoli nazionali, liberalizzato le telecomunicazioni, le poste, il trasporto aereo. L’apertura del mercato delle ferrovie ha arrancato con estrema fatica lasciando intatte molte barriere: fino a che non cadranno, la rete ferroviaria integrata resterà  una finzione transeuropea, anche qualora ne fossero sanati tutti i buchi strutturali.
A fine aprile dopo 7 mesi di trattative, ricorda David Sassoli, negoziatore della riforma per l’europarlamento, finalmente si è raggiunto l’accordo per estendere la liberalizzazione del traffico anche all’alta velocità , come dire che dal 2020 i Frecciarossa potranno fare concorrenza ai Thalys (e viceversa) in casa loro, cioè anche sulle tratte nazionali.
Un passo fondamentale per introdurre la concorrenza sul mercato del futuro. In verità  sulle tratte internazionali l’apertura sulla carta c’era già  dal 2010 ma i tentativi delle Fs di sfruttarla, per servire per esempio la Parigi-Bruxelles, sono stati regolarmente bloccati aggirando la normativa, con il protezionismo tecnologico, cioè il rifiuto di mettere a disposizione il software necessario a collegare i treni con la rete nazionale francese.
Tra 5, massimo 8 anni la nuova frontiera tecnologica passerà  per il treno automatico, senza pilota come l’auto.
Tuttora l’Unione ha ben 26 diversi sistemi di segnalamento: se non saranno standardizzati e al più presto, l’Europa si taglierà  fuori dalla prossima rivoluzione dei trasporti e relativi vantaggi competitivi.
Per creare un sistema europeo ci vorrebbero, sembra, 7 miliardi di euro, il grosso dei quali potrebbe arrivare da capitali privati, magari con un contributo del piano Juncker.
La Svizzera si è messa al passo dell’integrazione del mercato europeo.
La Cina appare sempre più vicina e attiva su quello stesso mercato che intende utilizzare al massimo per rafforzare la sua penetrazione commerciale.
Sarebbe ora che anche l’Europa si svegliasse dal suo lungo sonno e decidesse di sfruttare fino in fondo le sue strutture e le sue grandi potenzialità . Evitando di regalarle agli altri.

Adriana Cerretelli
(da “il Sole24Ore”)

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PIAZZE VUOTE E SENZA COMIZI

Giugno 2nd, 2016 Riccardo Fucile

A FINE CAMPAGNA ELETTORALE TUTTO E’ SOFT… A ROMA DIFFICILE ORGANIZZARE PERSINO UNA CENA… A MILANO CHIUSURE SOTTOTONO

Alla vigilia del voto amministrativo e in attesa del «ponte» più lungo che ci porterà  alle elezioni di domenica, anche Pietro Nenni sarebbe costretto a cambiare il suo slogan. Perchè a Roma, Milano, Napoli, Torino, siamo ben oltre il celebre «piazze piene, urne vuote»: il rischio vero, con l’astensionismo che galoppa, è che ci siano «piazze vuote e urne vuote».
Difficoltà  a Roma, a Milano, Napoli e Torino va un po’ meglio
I segnali ci sono tutti, specie sotto il Campidoglio, dove lo tsunami di Mafia Capitale, la traumatica fine dell’esperienza del «marziano» Ignazio Marino, gli scontri nel Pd, la spaccatura nel centrodestra (fino a poche settimane fa erano ancora quattro i candidati in campo) producono due effetti: non solo il possibile «vento» a Cinque Stelle che spingerebbe Virginia Raggi, ma anche la difficoltà  enorme – per tutti i partiti, ma soprattutto per i dem – di organizzare un evento, un comizio, persino una cena.
A Milano, Napoli e Torino va un po’ meglio, ma le piazze del 2011, la «rivoluzione arancione» di Giuliano Pisapia e di Luigi de Magistris, i 40 mila di piazza del Duomo o le adunate a piazza del Plebiscito, sono un ricordo.
Tutto è più soft, più circoscritto.
Beppe Grillo diserterà  piazza del Popolo dove chiude la Raggi (con Claudio Santamaria sul palco), Renzi si è «rinchiuso» ieri sera con Roberto Giachetti all’Auditorium della Conciliazione, Alfio Marchini si sposta sul litorale di Ostia, Giorgia Meloni e Stefano Fassina addirittura in periferia.
E, in queste settimane, trovare qualcuno disposto a partecipare ad eventi di vario tipo è stata un’impresa, prova ne sia che c’era molta più gente a piazza di Pietra alla presentazione del libro di Goffredo Bettini, vecchio «guru» del centrosinistra romano, che in certi comizi in giro per la citt�
«Non venire, non c’è nessuno»: e Giachetti non andò a Corviale
Dario Franceschini si è imbufalito per un appuntamento sulla cultura, in un cinema vicino al Parlamento, andato deserto.
Lo stesso Giachetti, in un’altra occasione, era già  in viaggio per Corviale (periferia estrema) quando lo hanno avvertito: «Non venire, non c’è nessuno».
Il deputato dem Umberto Marroni, su whatsapp, aveva creato un gruppo per pubblicizzare l’incontro dal titolo «Una stagione di riforme», il 31 maggio.
Risposta, una sfilza di «ha abbandonato il gruppo», di proteste («mi avete fatto attaccare i manifesti e non mi avete neppure trovato il posto di lavoro promesso»), di «non partecipo, non mi scrivete più».
E alla cena da Eataly, a «casa» di Oscar Farinetti, organizzata dalla civica di «Bobo», via mail era stato chiesto a tutti i candidati di portare «almeno venti persone»: i candidati, in tutto, sono circa 350, ma alla cena c’erano appena 150 persone.
Marchini, per evitare i flop, seleziona al massimo gli appuntamenti: poche (e mirate) manifestazioni, per il resto molto «porta a porta».
Vale anche per Giorgia Meloni, che dopo il «lancio» della sua campagna elettorale sulla terrazza del Pincio torna domani a Tor Bella Monaca.
Non va molto meglio a Milano con Sala e Parisi che hanno scelto chiusure «minimal»: Parisi sarà  a piazza Gae Aulenti, mentre Sala dalla Darsena dovrà  spostarsi «causa maltempo» in un luogo chiuso.
Ma anche qui conta il clima generale.
All’Alcatraz, per il concerto della «Sinistra per Milano» con Vecchioni, Morgan e Rocco Tanica c’erano 300 spettatori.
E l’8 maggio, quando Silvio Berlusconi era al Teatro Manzoni, dopo un po’ la gente ha cominciato ad andarsene: «C’è la festa della mamma».
Scena simile è capitata a Maria Elena Boschi, alla Stazione Marittima di Napoli: a causa dei ritardi sul programma, i due pullman organizzati sono andati via proprio quando la ministra stava iniziando il suo discorso, lasciando Boschi con la sala semivuota.
Un po’ meglio va a de Magistris, che tra cantanti (vedi Bennato ed altri), artisti, militanti, le sue uscite da capopolo (vedi quella su Renzi) riesce a «smuovere» un po’ di più le folle, ma anche a Napoli si tratta più di microeventi, qualche salotto buono, sale ristrette. E i Cinque Stelle?
Anche per loro l’aria pare un po’ cambiata rispetto al passato. A Torino, per Luigi Di Maio, complice la pioggia, non c’era il pienone.
Stessa cosa a Roma, quando la Raggi ha presentato i suoi candidati a Cinecittà , nella piazza del funerale di Vittorio Casamonica.
Anche per l’attesa dei risultati la scelta di Virginia è molto «privata»: dentro M5s circola voce che, domenica sera, ci sarà  una cena a casa di Di Maio oppure di Di Battista.
E poi tutti al comitato elettorale della favorita alle elezioni romane, in un semplicissimo ufficio in zona Ostiense.

(da “il Corriere della Sera“)

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