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RESA DEI CONTI RIMANDATO NEL CENTRODESTRA FANTOZZIANO

Giugno 6th, 2016 Riccardo Fucile

E BERLUSCONI COMINCIA A PENSARE AI CINQUESTELLE MA NON LI VOTERA’ AL BALLOTTAGGIO

Un tempo era Denis Verdini ad occuparsi di fare questi “miracoli”: prendere dei risultati elettori negativi e presentarsi in tv per trasformarli magicamente in un bicchiere mezzo pieno.
Questa volta nessuno nel partito di Silvio Berlusconi ci mette la faccia, l’analisi del voto amministrativo è affidata a una lunga nota.
Si parla sì di “luci ed ombre” ma si esprime comunque soddisfazione perchè Forza Italia “si conferma il primo partito della coalizione”.   Soprattutto grazie a Milano che non tradisce e regala a Maria Stella Gelmini il primato di preferenze (anche rispetto a Matteo Salvini) e al partito azzurro un consenso quasi doppio rispetto alla Lega.
La sfida della leadership della coalizione, però, era stata lanciata su Roma dove l’ex premier ha deciso di appoggiare Alfio Marchini. E certo lo scarso bottino non ha reso felice Berlusconi ma ad Arcore non hanno musi lunghi perchè la convinzione è quella di aver dato una “lezione” ai due “ragazzotti”.
Soprattutto al segretario della Lega che — ragionano — non solo non è riuscito a dare l’assalto finale ma, fermandosi al 2,7% di consensi nella Capitale, dimostra di non saper sfondare al Sud.
E, dunque, di non poter essere un candidato premier nazionale.
Il redde rationem resta momentaneamente in stand by anche perchè tra due settimane ci sono i ballottaggi e la coalizione, che al primo turno ha conquistato soltanto la guida della città  di Cosenza, se la gioca a Milano, Napoli e Bologna.
“Il centrodestra, ovunque è unito, è competitivo e in grado di vincere. Questo in modo omogeneo, da nord a sud”, è l’analisi di Forza Italia. Una frase tanto indiscutibile quanto di circostanza.
Perchè il clima resta teso e, soprattutto, restano gli strascichi dello strappo romano.   Forza Italia non appoggerà  nè l’uno nè l’altro candidato al ballottaggio.
Silvio Berlusconi però si recherà  a votare, optando per la scheda bianca. Una scelta — viene spiegato dal partito — fatta per rimarcare “l’importanza di esercitare sempre e comunque il diritto di voto” anche a fronte del “drammatico astensionismo”.
I più maliziosi sono convinti che sarà  esattamente questo il modo per “mascherare” il sostegno al candidato renziano perchè, alla fine, stabilità  del premier vuole dire stabilità  del governo e quindi anche delle aziende di casa Berlusconi.
L’ex presidente del Consiglio, tuttavia, ha notoriamente un grande senso pratico.
Ed ecco che, dopo mesi passati a demonizzare i grillini, arriva un’improvvisa mano tesa. “Dobbiamo prendere atto — si legge nella nota del partito azzurro – che il Movimento Cinque Stelle ha avuto una crescita politica e non solo numerica importante. Non è più solo un fenomeno di protesta occasionale, è una realtà  politica che merita rispetto e con la quale bisogna fare i conti”.
Il Cavaliere, insomma, comincia a ragionare sulla possibilità  che un domani davvero i pentastellati arrivino a conquistare palazzo Chigi e in quel caso sarebbe meglio non averli contro.
E comunque, se davvero sta montando una protesta anti-renziana che potrebbe portare alla bocciatura del referendum sulle riforme, tanto vale — dicono da Arcore – cominciare a fare fronte comune, magari nell’ottica di fare nascere quel governo di unità  nazionale di cui Berlusconi va parlando sempre più spesso.

(da “Huffingtonpost”)

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RAGGI E APPENDINO TESTIMONIAL PERFETTE CHE “L’UNO VALE UNO” E’ UNA BOIATA PAZZESCA

Giugno 6th, 2016 Riccardo Fucile

SE NON “FUNZIONI” COME CANDIDATO INTERCETTI SOLO LO ZOCCOLO DURO   DEGLI ELETTORI CINQUESTELLE E NON VINCERAI MAI

Il Movimento 5 stelle ha vinto il primo turno delle elezioni comunali del 2016.
Ci sono luci e ombre, la lettura del voto è stratificata e complessa, ma a livello globale ha vinto.
Un’affermazione conquistata dove c’era una trincea da conquistare, un campo da sminare. Ma soprattutto ottenuta asfaltando, spazzando via, uno dei capisaldi dell’armamentario di slogan a 5 stelle: quello del “Uno vale uno”.
I candidati stellati che hanno ottenuto buone, se non ottime affermazioni sono stati quelli che hanno funzionato come candidato.
Virginia Raggi e Chiara Appendino, ciascuna a suo modo, hanno bucato lo schermo, hanno anche rassicurato l’elettorato che volevano motivare, hanno toccato le corde dell’empatia e dell’immedesimazione di coloro a cui hanno chiesto il voto.
Nel suo modesto risultato, anche Massimo Bugani a Bologna ha elevato la modesta asticella riscontrata a livello nazionale, grazie ad un radicamento sul territorio e a un lavoro che hanno permesso l’identificabilità  del suo volto con una storia, un tessuto di connessioni.
Ovunque i 5 stelle abbiano optato per un frontman fiacco, inefficace, se non proprio per un carneade, si sono limitati a intercettare quel misto tra zoccolo duro e quel generico senso di protesta che ancora alberga in alcune fasce d’elettorato.
La cui somma non va comunque oltre un fisiologico 9-11%.
Non si confonda “L’uno vale uno” a 5 stelle con il sacrosanto principio di una testa un voto, riconosciuto come principio fondante della democrazia, a prescindere dal grado di disintermediazione del contesto.
Il principio stellato è quello per cui ognuno è intercambiabile nell’assolvimento di qualunque tipo di incarico e di funzione.
Perchè contano le idee e la rete solidale che ti sostiene, non il tuo livello di competenza e capacità  personale.
C’è un video del 2011 nel quale, alla presenza di Beppe Grillo, Filippo Pittarello, strettissimo collaboratore dei due co-fondatori e oggi gran tessitore del gruppo a Bruxelles, spiega la filosofia alla base del principio a 5 stelle.
L’eletto grillino deve avere “una faccia pulita e attitudini, più che competenze”.
Poi spiega quel che faceva Giovanni Favia (sappiamo tutti come è andata a finire) quando sedeva in consiglio comunale a Bologna:
“Prendeva il testo di legge, lo mandava ai ragazzi che erano in riunione, dove c’erano due o tre esperti che gli scrivevano in tempo reale l’intervento che doveva fare”. Quindi Pittarello passa ad elencare i criteri per la scelta del perfetto candidato: “Una faccia pulita, un’attitudine a muoversi con destrezza sulla rete, quella a chiedere consigli e la capacità  di parlare in pubblico”.
Insomma, un’eterodirezione quasi completa, rispetto alla quale è praticamente ininfluente chi sia il terminale del voto.
Ecco, Virginia Raggi e Chiara Appendino sono le perfette testimonial del fatto che questo assunto sia una boiata pazzesca.
Prendiamo il caso Roma. Appena tre anni fa la città  usciva dal disastroso quinquennio di Alemanno, travolto dagli scandali dell’Ama, di parentopoli, di anni di mala gestione e esasperazione della città . E il Pd candidava un Ignazio Marino che ai blocchi di partenza era considerato un debole ripiego.
In quella condizione Marcello De Vito, bravissima persona ma non un condottiero, si fermò a un terzo dei voti di quella che poi diventò sua collega in consiglio Comunale.
A Napoli, città  di Roberto Fico e territorio di caccia di Luigi Di Maio, l’aver candidato un Brambilla milanese tifoso dichiarato della Juventus ha portato l’asticella al 9%.
A Milano, città  di Gianroberto Casaleggio e terra d’elezione di Mattia Calise, primo consigliere comunale in una grande metropoli, silurata la designata Bedori e avendo spinto avanti in tutta fretta il freddino Corrado non si è andati oltre il 10%.
Male a Cagliari, appena meglio a Trieste, i carneadi al voto non hanno raggiunto il ballottaggio in nessuno degli altri principali comuni, se si esclude Carbonia, dove su 16mila votanti circa 150 gli hanno aperto le porte del secondo turno a scapito di un raggruppamento di liste civiche.
I 5 stelle fanno finta di non saperlo, ma hanno compreso benissimo una regola semplice della politica.
Quella per cui chi vota si identifica, si sente motivato e/o rassicurato da chi in prima persona gli chiede il voto.
E aderisce a un’idea, a una filosofia della politica e infine ad un programma anche, forse soprattutto, per come gli viene veicolato e comunicato. Lo sanno talmente bene che hanno puntato le proprie fiches laddove sapevano di avere buone chance di vittoria, marginalizzando gli altri contesti.
Sapendo anche che il corollario dell’uno vale uno, e cioè che “l’unico candidato premier del Movimento è il Movimento”, è anch’essa una sciocchezza.
Chiedere a Luigi Di Maio. E a chi ha allestito il set fotografico di Vanity Fair.

(da “Huffingtonpost“)

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“RENZI E BOSCHI STIANO A CASA SE VOGLIONO VINCERE A MILANO”: INTERVISTA A GAD LERNER

Giugno 6th, 2016 Riccardo Fucile

IL CONSIGLIO A BEPPE   SALA: “PER VINCERE SI STRINGA A PISAPIA, LASCI PERDERE MATTEO”

“Nelle prossime due settimane Sala deve convincere gli elettori di sinistra che hanno votato liste alternative o si sono astenuti. E per farlo deve stringersi a Pisapia, ai suoi assessori premiati dal voto e al suo buongoverno, mentre è meglio che Renzi e Boschi stiano a Roma”.
Nella campagna elettorale milanese, Gad Lerner non è solo un noto giornalista, o un osservatore privilegiato, ma un protagonista (pur senza candidarsi) della squadra del centrosinistra.
Una sorta di ufficiale di collegamento tra il mondo del sindaco uscente Giuliano Pisapia e il candidato Beppe Sala.
Secondo lui il primo turno è andato bene. “Nei giorni scorso avremmo messo la firma su un risultato sopra il 40% al primo turno, i sondaggi erano più bassi, qualcuno ci dava addirittura secondi a rincorrere”, spiega ad Huffpost.
Ora però Giuseppe Sala e Stefano Parisi del centrodestra sono divisi da una manciata di voti. E’ un ballottaggio a rischio…
Credo che Parisi abbia fatto il pieno dei suoi voti potenziali. E credo anche che dopo l’insuccesso della lista leghista ci possa essere demotivazione in quell’elettorato al secondo turno. Potrebbero non riconoscersi in una candidatura a trazione Forza Italia. Parisi ha fatto riaffiorare un elettorato conservatore milanese che, nonostante il declino di Berlusconi, sceglie una destra moderata e non estremista. Ecco, questa spaccatura, che si è vista anche in una campagna elettorale senza manifestazioni comuni tra Berlusconi e Salvini, potrebbe approfondirsi nei prossimi giorni.
E Sala verso quale elettorato potenziale potrebbe espandersi?
C’è il problema di come motivare un elettorato di sinistra che si è diviso tra la lista arancione pro Sala e quella di Basilio Rizzo o si è astenuto perchè vedeva in Sala una diversità  culturale e biografica troppo forte rispetto a Pisapia o per opposizione al governo Renzi. Io credo che, in uno scontro diretto tra centrodestra e centrodestra, per rimotivare questi elettori – e io ne conosco diversi – possa servire la foto della manifestazione in piazza Gae Aulenti con Parisi, Salvini, La Russa, Formigoni, Lupi, Albertini, Gelmini, De Corato. Una foto che mostra il rischio di un evidente tuffo in un passato molto diverso dagli ultimi 5 anni di buongoverno e innovazione. Si può e si deve lavorare su questi elettori nelle prossime due settimane, convincendoli che la differenza tra le due proposte c’è, ed è grande.
Non crede che su Parisi possano convergere voti del M5s in chiave anti-Renzi?
Il loro candidato Corrado ha detto che annullerà  la scheda. Sinceramente non vedo un grillino milanese disponibile a votare per la vecchia destra milanese di Formigoni e La Russa, molto distante dai valori del M5s. Quella foto di gruppo sarà  un forte disincentivo.
Eppure Sala a sinistra non ha convinto. Basta guardare al risultato della lista arancione a suo sostegno…
La sinistra si è divisa, non è andata bene neppure la lista alternativa di Basilio Rizzo contro Sala. Noto però che nelle tre liste collegate a Sala sono stati premiati assessori di Pisapia come Del Corno, Tajani, Maran. Dagli elettori di centrosinistra arriva una indicazione di stima per il lavoro fatto in questi anni, e questa per me è la chiave con cui condurr la campagna per il ballottaggio. Da Milano arriva una lezione per il Pd nazionale: vince quando riesce a tenere unito il centrosinistra, mentre viene punito quando si butta al centro o peggio si allea con Verdini. Questo è il messaggio positivo che si può rivolgere agli elettori delusi di sinistra a Milano”.
Dunque il consiglio a Sala è di proseguire con una campagna ancora più a sinistra, per ricomporre l’elettorato che nel 2011 fece vincere Pisapia?
I numeri parlano chiaro: bisogna recuperare a sinistra. Sala resterà  se stesso, un moderato, non c’è bisogno che faccia il Che Guevara. Ma eviterei manifestazioni con Renzi e Boschi. Al contrario, Beppe deve stare a fianco a Pisapia e agli assessori che sono stati premiati dai cittadini, con l’orgoglio del laboratorio milanese che è rimasto molto lontano dalle alchimie politiche romane e dagli errori politici di Renzi…”.
Dunque Sala, il candidato più moderato del Pd nelle città  italiane, deve rinunciare a sfondare al centro?
Nella sua lista civica aveva un avvocato vicino a CL che ha preso poche centinaia di voti, mentre l’assessora ex Sel Cristina Tajani è andata benissimo. Non c’è nessuno sfondamento al centro. Anzi, qui a Milano il Pd ha contenuto le perdite proprio perchè aveva un capolista come Majorino fieramente antirenziano. Del resto, l’ipotesi di compensare al centro o tra gli elettori ex Forza Italia le perdite a sinistra non ha funzionato da nessuna parte: basti pensare a Torino dove Fassino aveva un accordo con l’ex governatore forzista Ghigo…”.
Dunque niente Renzi a dare una mano al suo candidato milanese?
Lo sconsiglio vivamente. Sala ha fatto benissimo a stare fuori anche dalla polemica sul referendum costituzionale, l’obiettivo è non dividere il fronte di sinistra e qui lo votano persone orientate per il Sì e per il No ad ottobre.
Un bel paradosso per il più renziano dei candidati a queste amministrative…
Nego che Sala sia mai stato un turborenziano. Quando era in Expo e si parlava della sua candidatura il suo biglietto da visita era il rapporto molto forte con Enrico Letta, che ha sostenuto Expo, e con Romano Prodi. Sala non è mai stato un uomo di Renzi, e non vedo perchè mai dovrebbe diventarlo proprio adesso che gli errori del premier stanno venendo chiaramente alla luce…”.

(da “Huffingtonpost”)

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CARFAGNA E GELMINI REGINE DELLE PREFERENZE, TUTTE LE CURIOSITA’ DOPO IL VOTO

Giugno 6th, 2016 Riccardo Fucile

IL RITORNO DI MASTELLA E I VIP BOCCIATI… LE PREFERENZE DIMEZZATE DI DE CORATO

Dalla strana alleanza tra Sel e conservatori fittiani in Puglia al pareggio perfetto in un piccolo comune del reggiano.
Dal ritorno sulla scena di personaggi della prima Repubblica al voto che non ti aspetti della Roma ‘bene’.
Sono alcune delle spigolature di queste comunali 2016 che hanno visto tutte le grandi città  finire al ballottaggio.
Tra i capoluoghi che hanno concluso la partita al primo turno solo Cagliari, dove il sindaco uscente Massimo Zedda, golden boy del centrosinistra, ha vinto con il 51%.
E Salerno, dove una maggioranza bulgara ha incoronato sindaco Vincenzo Napoli, ex vice del governatore campano Vincenzo De Luca,   candidato del centrosinistra (ma senza il Pd), che ha vinto al primo turno con oltre il 70% dei consensi.
Alleanze e cambi di casacca.
Ma da Nord a Sud si possono raccontare diversi casi curiosi. Come a Triggiano, in provincia di Bari, dove è stato eletto con il 53% dei voti il sindaco Antonio Donatelli, sostenuto da una serie di liste civiche dietro le quali si nasconde l’insolita alleanza fra Sel e i conservatori di Raffaele Fitto in funzione anti-Pd.
A Brindisi, invece, si è imposto Ferdinando Marino, proprietario del Brindisi Basket che gioca in serie A, che ha cambiato clamorosamente casacca, passando con disinvoltura dal centrodestra al centrosinistra.
Andrà  al ballottaggio per la coalizione guidata dal Pd contro la sfidante Angela Carluccio, sostenuta dai fittiani e sponsorizzata dall’ex primo cittadino Mimmo Consales, arrestato con l’accusa di avere incassato tangenti.
A Fasano, la città  dei tre candidati con la Ferrari, uno è in testa: è Giacomo Rosato, che guida quattro liste civiche di area centrosinistra e ha raccolto il 32,23 per cento dei voti. Al ballottaggio dovrebbe sfidare il candidato del Pd, Francesco Zaccaria che con il 25 per cento ha oltre 5 punti in più del 5 Stelle Raffaele Trisciuzzi e sorpassa decisamente anche il sindaco uscente di centrodestra, Lello Di Bari. Infine a Poggiardo, in provincia di Lecce, il sindaco Giuseppe Luciano è stato eletto per tre voti   di scarto (con 65 schede nulle).
Gelmini e Carfagna reginette del voto.
A Milano la regina delle preferenze è Maria Stella Gelmini che ha ottenuto quasi 12mila preferenze per il consiglio comunale. Al secondo posto, dietro di lei il segretario della Lega Nord Matteo Salvini con 8025 e l’assessore uscente, e capolista del Pd, Pierfrancesco Majorino 7582. L’ex sindaco Gabriele Albertini è il più votato della lista civica di Stefano Parisi con oltre 1.300 voti, Riccardo De Corato, che siede in consiglio comunale da 31 anni, è il primo nella lista di Fratelli d’Italia con 2.300 preferenze, ma ne ha perso per strada la metà  rispetto a 5 anni fa.
Nella lista SinistraXMilano, che ha appoggiato Beppe Sala, il più votato è stato l’assessore alla Cultura Fiippo del Corno (oltre 1900 voti) mentre fra i 5 stelle a farla da padrona è Patrizia Bedori, che aveva vinto le comunarie ma poi si era ritirata dalla corsa a sindaco.
Boom di preferenze a Napoli per Mara Carfagna, l’ex ministro per le Pari Opportunità  candidata capolista di Forza Italia. Con 5528 è la più votata dai napoletani.
Vip bocciati.
Il motto “meno piste ciclabili, il tempo è prezioso” non ha portato fortuna a Simona Tagli che, nonostante la popolarità  degli anni Novanta, ha raccolto solo 31 preferenze alle elezioni comunali di Milano, alle quali si era candidata tra le fila di Fratelli d’Italia.
Poco meglio ha fatto una delle ‘star’ schierate da Forza Italia, l’ex calciatore Daniele Massaro, che si è fermato a 384 voti.
I Vip sembrano infatti non aver convinto gli elettori.
In casa Lega Nord pochi voti anche per lo storico autista di Umberto Bossi Pino Babbini (74 voti) e il suo successore, autista prima di Bossi ora di Salvini, Aurelio Locatelli (14).
Nel centrosinistra sono rimasti altrettanto lontani dai grandi numeri Alberto Veronesi, figlio dell’oncologo Umberto, schierato nella lista ‘Beppe Sala sindaco’ e scelto da 362 cittadini, e Piero Maranghi, figlio del delfino di Enrico Cuccia Vincenzo, con 312 voti.
A Roma il record negativo è stato raggiunto daò giovanissimo Aldo Maria Biscardi, nipote del conduttore del noto programma calcistico “Il Processo”, candidato con La Destra di Storace: per lui solo un voto.
E male è andata anche la corsa di Daniela Martani, ex hostess Alitalia ed ex concorrente del Grande Fratello, vegana, candidata a Roma nelle fila dei Verdi, che ha totalizzato solo 26 voti. Disastro anche per l’altra ex gieffina Roberta Beta, candidata nella lista Roma Popolare a sostegno di Alfio Marchini: per lei appena 2 preferenze.
Il pareggio e il padre di Pizzarotti.
In provincia di Reggio Emilia, al comune di Casina, 4mila anime sulla montagna reggiana, non ci volevano credere: due candidati sindaco sono risultati i più votati con l’identico numero di consensi, 1.164 pari.
Benchè la legge non preveda il ballottaggio per i Comuni sotto i 15mila abitanti, se non, appunto, in questo caso limite, il sindaco uscente Gian Franco Rinaldi e il suo sfidante Stefano Costi andranno, domenica 19, al ballottaggio.
Quando, ad essere decisivo, potrebbe essere il terzo dei candidati in lizza, Alberto Bizzocchi, col suo prezioso pacchetto di 160 voti. A Castellarano (sempre in provincia di Reggio) Claudio Pizzarotti, padre del sindaco di Parma Federico, totalizza 33 preferenze e non entra in consiglio comunale.
La lista del movimento 5 stelle in cui si era candidato ottiene infatti due seggi, uno dei quali sarà  occupato dal candidato sindaco Stefano Salomoni. L’altro andrà  invece alla più votata della lista, Orietta Grimaldi, che ha incassato 80 preferenze.
Probabilmente la corsa elettorale di Pizzarotti senior ha scontato anche la bufera che si è abbattuta sul figlio, sospeso dal M5s per la vicenda dell’avviso di garanzia ricevuto a seguito dell’inchiesta aperta sulle nomine del Teatro Regio di Parma.
Ritorni e plebisciti popolari.
A Benevento fa notizia il ritorno di Clemente Mastella, l’uomo di Ceppaloni, protagonista della Prima Repubblica e principale artefice della caduta del secondo governo di Romano Prodi. Sostenuto da Forza Italia e Udc, andrà  al ballottaggio con il candidato del Pd Raffaele Del Vecchio.
I due candidati hanno ottenuto un risultato quasi identico, di poco superiore al 33%.
Plebiscito popolare a Orgosolo (Nuoro), dove Dionigi Deledda è stato confermato con il 94% dei voti. Il sindaco si era dimesso a gennaio dopo essere stato coinvolto in un’inchiesta della procura di Nuoro sull’appalto per il rifacimento del campo sportivo del paese.
Scontro a sinistra a Sestograd.
In Toscana, a Sesto Fiorentino, un tempo conosciuta come ‘Sestograd,’ si va al ballottaggio tra il candidato del Pd e delle liste civiche “Sesto! Siamo noi” e “Sesto civica” Lorenzo Zambini (Pd) e Lorenzo Falchi, sostenuto da Sinistra italiana e dalla lista civica “Per Sesto”: il primo ha ottenuto il 32,56% dei voti, il secondo il 27,4.
La cittadina è stata costretta a tornare alle urne anzitempo dopo le dimissioni ‘forzate’, a luglio scorso, dell’ex sindaco renziano Sara Biagiotti (eletta al primo turno), sfiduciata anche da otto consiglieri democratici ‘ribelli’ e poi espulsi. E tre erano i candidati a sinistra di queste elezioni.
Voto nullo in tre comuni.
Elezioni annullate in tre comuni, dove si dovrà  tornare alle urne perchè non si è raggiunto il numero minimo di votanti. Si tratta di Cicagna, in provincia di Genova, Fornovo San Giovanni (Bergamo) e Fraine, in provincia di Chieti.

(da “La Repubblica”)

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GLI 80 EURO DA RESTITUIRE: IL PROBLEMA SPIEGATO A RENZI

Giugno 6th, 2016 Riccardo Fucile

DANDO BRIOCHES AGLI AFFAMATI, CAPITA CHE SI INCAZZINO SE GLIELE TOGLI

Matteo Renzi non si fa capace. EÌ€ incredulo.
C’eÌ€ gente, si lamenta, che sottolinea con rancore che 1,4 milioni di italiani dovranno restituire il bonus da 80 euro al mese illegittimamente percepito nel 2014.
Dice il premier: avevamo detto che i soldi andavano ai lavoratori dipendenti con redditi tra 8 e 26mila euro l’anno e l’abbiamo dato a 11,2 milioni di persone.
Non senza qualche danno collaterale, però: il numero totale dei percettori è infatti la somma dei 9,6 milioni che lo hanno preso avendone diritto, cui vanno aggiunti altri 1,6 milioni che hanno scoperto che gli era dovuto solo a consuntivo.
E poi ci sono gli 1,4 milioni: loro l’hanno preso, ma a fine anno hanno scoperto di aver guadagnato piuÌ€ (o meno) della soglia.
Risultato: devono restituire i soldi, tutti, pure i 350 mila incapienti, cioè quelli con reddito inferiore a 8 mila euro.
Tradotto: uno che guadagna una miseria deve ridare indietro i soldi o aspettare che glieli richieda non gentilmente il Fisco.
Problema: se questi 1,4 milioni non avevano diritto al bonus, va anche detto che non l’avevano chiesto.
Il pasticcio si crea per il modo in cui Renzi ha scelto di dare gli 80 euro: uno normale avrebbe agito sulle aliquote Irpef, ma lui voleva la scritta “bonus” in busta paga, voleva che fosse chiaro che il regalo era suo.
I datori di lavoro, a quel punto, si sono basati sul reddito presunto, che peroÌ€ qualche volta – cioeÌ€ 1,45 milioni di volte nel nostro caso – non eÌ€ quello finale
La faccenda è tutta qui: se vuoi governare dando brioches agli affamati, capita che si incazzino se gliele togli.

Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano”)

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URNE AMARE ANCHE PER L’ALTRO MATTEO: A ROMA SI FERMA AL 2,7%, A MILANO DOPPIATO DA SILVIO

Giugno 6th, 2016 Riccardo Fucile

LEGA DIMEZZATA A GROSSETO, MENO 4% A BOLOGNA, MALE IN FRIULI, DISASTRO A TORINO CON IL 5,8% … E A NAPOLI NON AVEVA NEANCHE PRESENTATO LA LISTA

Dalle urne delle amministrative del 5 giugno le ambizioni di premiership di Matteo Salvini escono pesantemente indebolite.
Nonostante la “vittoria” del duo Meloni-Salvini contro Berlusconi a Roma, e nonostante i risultati positivi di Stefano Parisi a Milano e della leghista Borgonzoni a Bologna (entrambi al ballottaggio), per il Carroccio sono urne amare.
A Milano infatti la Lega guidata dal segretario-capolista prende la metà  dei voti di Forza Italia: 11,7% contro 20,2%.
A Roma la lista salviniana si ferma al 2,7%, a Torino al 5,8%.
A Bologna il Carroccio si ferma al 10,2%, 4 punti in meno delle regionali 2014.
Male anche in Friuli, con Trieste al 9,8% e Pordenone al 6,7%.
Nella roccaforte di Varese il partito si ferma al 16%, meglio a Novara con il 17,9. Solo discreti i risultati a Ravenna e Rimini con il 14,8% e il 12%. A Savona 11,8%.
Si ferma anche l’avanzata leghista nella rossa toscana, che era stata uno dei temi chiave delle regionali 2015.
A Grosseto, nonostante il successo del candidato sindaco Vivarelli Colonna che è avanti al ballottaggio, il Carroccio precipita all’8,3%, mentre lo scorso anno aveva preso il 19,8%.
Male nel centrosud. A Latina la lista salviniana è al 3,9%, a Caserta al 2,3%.
Le urne confermano che l’onda lunga si è arrestata, che la penetrazione al centrosud resta un miraggio e che Salvini non riesce a raggiungere percentuali che possano consentirgli di imporre la sua leadership sul centrodestra.
Non a caso, il leader leghista dopo settimane di martellamento sulla rottamazione di Berlusconi a urne chiuse ha spiegato ai giornalisti arrivati nella sede milanese di via Bellerio che “non mi interessa la leadership, ma avere un programma serio e coerente del centrodestra. Il giorno dopo i ballottaggi chiamerò a raccolta chi non vuole morire renziano, per un’alternativa seria su un programma chiaro”. “Vogliamo stendere un programma di dieci punti per una nuova coalizione che guardi al futuro e non al passato”. Insomma, le solite chiacchiere per mascherare il flop.
Su Milano la gioia per il successo di Parisi, a un’incollatura da Sala, non maschera del tutto la delusione per il risultato della lista.
La golden share sull’eventuale giunta di centrodestra è già  svanita. Parisi con eleganza glielo fa notare: “Dopo i risultati dire che il mio problema è Salvini è veramente ardito. L’equilibrio nella coalizione di Milano è positivo e moderato: i partiti moderati hanno un loro peso, Salvini su posizioni più radicali ha un altro peso e credo che sia un buon equilibrio per governare bene in questi anni”
Il capo del Carroccio lancia una stoccata anche a Maria Stella Gelmini, che l’ha superato nella gara delle preferenze sotto la Madonnina (11979 contro 8018): “Sono contento per lei, non so quanto le siano costate, a me niente. ”
Ovvio, lui le campagne elettorali le fa pagare al partito.

(da “Huffingtonpost“)

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COMUNALI MILANO, LA SORPRESA: LA GELMINI BATTE SALVINI

Giugno 6th, 2016 Riccardo Fucile

PER L’EX MINISTRO 11.990 PREFERENZE CONTRO LE 8.025 DEL LEADER DEL CARROCCIO (CHE NE PERDE 1.100 RISPETTO AL 2011)… E FORZA ITALIA PRENDE IL DOPPIO DELLA LEGA: 20,2% CONTRO L’ 11,7%… DELUSIONE PER LUPI E ALBERTINI

Cinque anni dopo, nessuno si avvicina a Silvio Berlusconi. Nel 2011 il Cavaliere raccolse oltre 28mila preferenze. Ma domenica lo scettro di recordman è rimasto comunque in Forza Italia.
Con la capolista Mariastella Gelmini che ha incassato la fiducia di 12mila milanesi (11.990, per l’esattezza).
Di nuovo battuto il «Capitano» del Carroccio.
Il risultato personale di Matteo Salvini certifica la delusione di una Lega che, al contrario di sondaggi e aspettative, non decolla: 8.025 voti. Nel 2011 furono 9.105.
Nella squadra di Stefano Parisi vanno bene anche gli azzurri Pietro Tatarella (5.512) e Silvia Sardone (2.319).
Non sfondano invece Maurizio Lupi (Milano Popolare), che raccoglie 1.525 preferenze, e l’ex sindaco Gabriele Albertini (civica di Parisi), che si ferma a quota 1.376.
Riccardo De Corato (FdI) dimezza le sue preferenze rispetto a cinque anni fa: 2.362 contro 5.834.
Nel centrosinistra, il successore di Stefano Boeri, l’allora recordman con 13.100 preferenze, è il capolista pd Pierfrancesco Majorino. Che ottiene 7.582 voti (nel 2011 erano 2.743).
L’assessore uscente è seguito dal resto della pattuglia di giunta targato dem: Pierfrancesco Maran (5.193), Marco Granelli (3.183) e Carmela Rozza (3.075).
Male Daria Colombo. La moglie di Roberto Vecchioni, scelta dal sindaco Giuliano Pisapia per guidare la lista <arancione> di Sinistra per Milano, con 821 voti, è superata da sei compagni di lista. A partire dall’assessore Filippo Del Corno (1.950).
Stesso discorso per Fiorenzo Galli, alla testa della civica di Sala, che è scelto soltanto da 637 milanesi, contro i 1.285 che preferiscono l’assessore Cristina Tajani.
Infine, la capolista a cinque stelle Patrizia Bedori incassa 1.286 voti.

(da “il Corriere della Sera”)

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VARESE, LA LEGA ARRANCA, PARTITA APERTISSIMA TRA ORRIGONI E GALIMBERTI

Giugno 6th, 2016 Riccardo Fucile

ORA E’ CACCIA AGLI ASTENSIONISTI, PER IL CENTRODESTRA IL PEGGIORE RISULTATO DI SEMPRE… LA LEGA PRENDE SOLO IL 16% NELLA SUA EX ROCCAFORTE

Partita apertissima a Varese, dove sarà  necessario il ballottaggio per scegliere il nuovo sindaco. L’imprenditore Paolo Orrigoni, 39 anni, candidato civico indicata dalla Lega, chiude il primo turno in testa con il 47,1 % dei voti. La sfida del 19 giugno sarà  con Davide Galimberti, 40 anni, avvocato indicato dal centrosinistra, che nella prima tornata ha chiuso al 41,9% dei voti.
Tra gli altri candidati spicca il risultato del centrista Stefano Malerba (7,1%) che gli permetterà  di eleggere due consiglieri, mentre dovrebbero restare fuori da Palazzo Estense Flavio Pandolfo della sinistra (1,8%) il civico Andrea Badoglio (1,3%) Francesco Marcello del Fronte nazionale (0,6%).
Tra i partiti il più votato è il Pd con il 24%, Lega 16%, Forza Italia 11%.
Ottimo il risultato delle liste civiche del sindaco: 10,9% quella di Orrigoni, 8,4% la lista che sosteneva Davide Galimberti sindaco.
Entrambi i candidati, lunedì mattina, sentono il traguardo vicino.
«Il risultato è più che aperto — ha commentato Galimberti — nel 2011 al ballottaggio il centrosinistra recuperò ben 16 punti percentuali. Oggi al primo turno vedo che il centrodestra ha conseguito il peggior risultato percentuale di sempre, mentre il centrosinistra al contrario ha avuto un exploit».
Il centrodestra, per adesso, batte un colpo a suo favore, nonostante la flessione di Forza Italia e della Lega, ed ha arginato lo sfondamento del centrosinistra.
Ma il ballottaggio è un’altra storia e si riparte da zero.
Hanno votato al primo turno solo il 55% dei varesini e l’ago della bilancia potrebbero essere anche quelli che domenica hanno fatto il ponte.

(da “il Corriere della Sera”)

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RENZI: “NON SIAMO CONTENTI, IL PD HA IL PROBLEMA NAPOLI, GIACHETTI A ROMA HA FATTO IL MIRACOLO”

Giugno 6th, 2016 Riccardo Fucile

“NESSUN EFFETTO SUL REFERENDUM, SULLE RIFORME NON POTRANNO CHE VOTARE SI'”

Si è rifiutato di usare la parola dèbacle, ma non ha nascosto l’insoddisfazione e ha detto di essere pronto a “dare qualche segnale di cambiamento”.
Il giorno dopo le elezioni amministrative Matteo Renzi ha fatto una conferenza stampa al Nazareno per commentare i risultati che vedono un’emorragia di voti Pd da Nord a Sud. “Io non sono contento, il Pd non è contento”, ha detto. “Noi non siamo come gli altri che indossano il sorriso d’ordinanza dopo le elezioni e dicono ‘abbiamo vinto’“. Moderatamente autocritico, Renzi ha però ribadito che secondo lui non c’è “una crisi numerica” per i democratici: “Il risultato è molto locale, molto frammentato e soprattutto non vede il partito di maggioranza, il Pd, in una situazione di crisi numerica perchè i dati sono alti dal punto di vista della percentuale. Ma non siamo contenti. Siamo contenti del mezzo miracolo ma ci interessa l’altro mezzo miracolo”.
Secondo il segretario dem il dato più preoccupante è quello di Napoli dove la candidata Valeria Valente non è riuscita ad andare al ballottaggio e il Partito democratico ha visto dimezzati i voti rispetto alle scorse amministrative: “Noi volevamo fare meglio a Napoli dove il risultato è il peggiore del Pd: lì da qualche anno non riusciamo a esprimerci al meglio. Nella provincia abbiamo vinto 7 comuni: esiste un problema Napoli, ma non il problema Campania”.
Secondo Renzi invece nella Capitale il deputato Roberto Giachetti può essere soddisfatto per aver strappato il ballottaggio, anche se con percentuali molto basse: “A Roma ha fatto un mezzo miracolo. A Roma se Giachetti fa Giachetti sarà  un ballottaggio divertente, la partita è aperta. Si riparte da zero a zero“.
La preoccupazione ora è per il referendum confermativo delle riforme costituzionali di ottobre prossimo, a cui Renzi ha vincolato la durata dell’esecutivo.
“Il voto delle comunali non avrà  un’influenza sulla consultazione dell’autunno prossimo”, ha detto.
“Sono partite profondamente diverse. Ho detto che non avrei considerato valore nazionale delle elezioni amministrative e mi pare di essere stato un buon profeta nel dirlo per come sono andate. Allo stesso modo confermo che il referendum avrà  ripercussioni sul governo”.
E ha poi aggiunto: “Il voto di protesta oggi c’è ma io penso che sul referendum non potranno che votare sì”.
Al tempo stesso però il segretario ha rivendicato percentuali alte per i candidati che affronteranno il secondo turno: “Io non sono soddisfatto, questo ci porterà  a fare un ballottaggio il più forte possibile: occhio ai numeri perchè nella stragrande maggioranza delle città  i nostri candidati sono sopra il 40 per cento. Il Pd ha problemi che deve affrontare e ci impegneremo per affrontarli”.
Renzi si è definito poi uno “affamato di vottoria”: “Non dico che il risultato è negativo perchè non lo penso. Ma una squadra che vuol vincere sempre quando vince ma non dappertutto non è contenta. Sono affamato di vittoria e penso che il Pd è la più grande comunità  politica europea, sta intorno al 35% a livello nazionale, in molti comuni sopra il 40% che è la cifra magica per l’Italicum: quindi il risultato non è una dèbacle ma non ci basta perchè vogliamo di più”.
Renzi ha anche sminuito il peso della sinistra che ha deciso di correre da sola in città  come Torino e Roma. “Se uno non vuole votare il Pd e sta a sinistra vota M5s più che i movimenti a sinistra. E’ una lettura difficile da non condividere, basta vedere Airaudo a Torino, per non parlare di Fassina”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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