Destra di Popolo.net

BERLUSCONI, LA VOCE DEL CAVALIERE DALL’OSPEDALE PER FERMARE LA LOTTA ALLA SUCCESSIONE: “SCIACALLI”

Giugno 10th, 2016 Riccardo Fucile

FORZA ITALIA IN FERMENTO, L’ASSE DEL NORD TRAMA

C’è una sorta di cordone di sicurezza in questo momento attorno a Silvio Berlusconi. Quelli, non molti, che hanno accesso alla stanza dell’ospedale San Raffaele in cui il leader di Forza Italia attende di fare, tra martedì e mercoledì prossimo, l’intervento alla valvola aortica.
Gianni Letta, Niccolò Ghedini, i figli, Marina in testa, e Fedele Confalonieri: sono loro che questa mattina, alla lettura dei giornali e delle ricostruzioni sulla lotta di successione politica già  partita, hanno deciso con il diretto interessato che bisognava immediatamente stoppare la ridda di voci sulla nascita di una sorta di direttorio formato dai big per guidare la fase di “transizione” durante l’assenza dell’ex premier. Certi retroscena a Berlusconi e alle persone a lui più vicine sono parse un modo indelicato e intempestivo di spartirsi le spoglie politiche del leader: “sciacalli” è la parola che è stata usata.
Da lì la decisione di diramare una nota, prima attraverso la portavoce Deborah Bergamini, per assicurare che Forza Italia “è totalmente e unitariamente mobilitata da Nord a Sud per i ballottaggi e “non è in corso alcuna creazione di organismi di governo ad hoc dal momento che Forza Italia ha già , per Statuto, organi direttivi pienamente operativi”.
Parole chiare ma evidentemente non sufficienti se poco dopo arriva una dichiarazione che ha la forza autografa che solo Silvio Berlusconi in persona avrebbe potuto dare. Un messaggio con un forte accento personalistico, in cui il leader azzurro si dice “sereno” e si affida a Dio.
“Seguo da qui – afferma – le vicende politiche in vista dei ballottaggi, e chiedo a tutte le donne e gli uomini di Forza Italia il massimo impegno per far prevalere il centrodestra ovunque siano in campo”.
E poi chiosa: “Forza Italia è pienamente operativa nei suoi organismi nazionali e periferici ed è perfettamente in grado di operare in questi giorni di mia forzata assenza”.
Come a dire: nessuno si azzardi a ragionare come se io non ci fossi più. Insomma, il Cav prova a fermare sul nascere la guerra tra correnti dentro Forza Italia che, in realtà , è latente ormai da tempo. E che proseguirà , magari sotto traccia, a dispetto degli appelli odierni.
D’altra parte, il lungo e difficile travaglio su chi appoggiare a sindaco di Roma, ne era stata una prova evidente.
Già  allora si parlò di un asse del Nord, più propenso a mantenere i rapporti con la Lega e Fratelli d’Italia. Un asse che sembra sopravvivere anche in queste ore e che ha i suoi punti di riferimento in Giovanni Toti, Maria Stella Gelmini e Paolo Romani, quest’ultimo meno vicino che in passato alle posizioni del ‘partito-azienda’.
D’altra parte, raccontano, l’ex ministro dell’Istruzione, forte delle 12mila preferenze raccolte a Milano, avrebbe coltivato negli ultimi tempi ambizioni di scalata all’interno del partito.
In molti, invece, sono sicuri che l’attivismo del governatore della Liguria con Matteo Salvini ma anche con Roberto Maroni e Luca Zaia, nasconda aspirazioni da leader dell’intera coalizione.
Per luglio, d’altra parte, sarebbe già  in programma, non a caso a Genova, un incontro di tutte le fondazioni che fanno riferimento a Forza Italia.
Inoltre, nonostante si siano trovati su fronti opposti nella querelle sul candidato sindaco di Roma, in queste ore ci sarebbe stato un riavvicinamento del blocco del Nord anche con Antonio Tajani.
In nome, viene spiegato, del tentativo di evitare che quel che – poco o molto – di appeal che ancora Forza Italia ha nel Paese e all’estero, per esempio all’interno del Ppe, venga disperso durante questo momento di difficoltà .
C’è poi la componente degli ex An, i cui maggiori esponenti sono Maurizio Gasparri e Altero Matteoli. Entrambi fedeli berlusconiani, hanno però tutto l’interesse a non vedere disperso il loro patrimonio politico e quindi a ragionare – magari con prudenza e a tempo debito – su quale sia la strada migliore per evitare che questo accada.
E poi, nell’universo berlusconiano, c’è il cosiddetto cerchio magico. Potentissimo negli ultimi mesi, è finito sotto accusa in questi giorni proprio dopo il ricovero del leader. Soprattutto da parte di Marina, convinta che il padre sia stato spremuto al di là  della sua salute, da chi non vuole perdere le sue rendite di posizione.
Altri due nomi, tuttavia, hanno legittime ambizioni in questo quadro di incertezza: uno è il candidato a sindaco di Milano, Stefano Parisi, figura capace di aggregare il centrodestra tutto con una ‘trazione’ moderata.
L’altra è Mara Carfagna, record di preferenze a Napoli, da sempre tenuta in grande considerazione da Silvio Berlusconi.

(da “Huffingtonpost”)

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SALA CALA LA CARTA GHERARDO COLOMBO: A CAPO DEL COMITATO PER LA TRASPARENZA

Giugno 10th, 2016 Riccardo Fucile

COLPO AD EFFETTO DEL CANDIDATO SINDACO: UN POOL PER LA LEGALITA’… E PARTE L’OPERAZIONE CALL CENTER

La corsa per il ballottaggio entra nel vivo. E a Milano l’uomo del Pd Giuseppe Sala cala la carta di Gherardo Colombo, ex magistrato simbolo di Mani Pulite e personalità  indiscussa della cosiddetta “società  civile”, di cui è uno storico esponente.
Proprio il suo nome era circolato tra i possibili candidati della lista di sinistra, poi guidata da Basilio Rizzo.
Ad affiancarlo sarà  un pool di tre nomi di peso raccolti in un comitato che lavorerà  a titolo gratuito: Mara Brassiolo, presidente di Transparency e imprenditrice, Stefano Nespor, avvocato e giornalista pubblicista fondatore di greenlex e direttore della Rivista Giuridica dell’Ambiente (RGA) e infine Federico d’Andrea, esperto contabile con una lunga e prestigiosa carriera in Guardia di Finanza (fu chiamato da Guido Rossi nell’Ufficio indagini della Responsabile del comando provinciale di Bergamo Figc, affidato alla guida dell’ex capo del pool di Mani Pulite, Francesco Saverio Borrelli).
E’ un colpo ad effetto quello che il Pd milanese e il suo candidato piazzano in vista del ballottaggio sul filo di lana con Stefano Parisi, distaccato di un solo punto che non lascia tranquilli i maggiorenti del partito.
Le ragioni di questa scelta, recita una nota, sono legate a un “ambizioso piano di opere pubbliche”, segue elenco: riqualificazione delle periferie, ristrutturazione di molti complessi di edilizia residenziale di proprietà  del Comune, implementazione delle linee di trasporto con almeno 30 nuove stazioni nei prossimi dieci anni, riqualificazione degli ex scali ferroviari etc.
“Le risorse necessarie alla realizzazione di queste opere saranno ricavate anche grazie alla cessione di quote di partecipazione possedute dal Comune in importanti società  municipali”.
Riferimento alla Milano-Serravalle le cui partecipazioni però sono attualmente invendibili.
“Queste partecipazioni — prosegue il comunicato — costituiscono un patrimonio collettivo e quindi la loro parziale cessione richiede la garanzia più assoluta che il ricavato venga utilizzato con le più ampie garanzie sotto ogni profilo”.
Da qui, l’operazione dei garanti con Colombo in testa: una mossa che dal punto di vista elettorale può fare breccia sugli elettori che al primo turno hanno scelto Basilio Rizzo e (nelle speranze dei democratici) Gianluca Corrado.
La posta in gioco è così alta che anche il telefono squilla.
Oltre ad allargare il consenso Sala punta a fidelizzare quello già  ricevuto con un’operazione “call center”.
Per il porta-a-porta non c’è tempo (e poi costa).
Così il Pd milanese ha deciso di battere la strada delle telefonate a tappeto a tutti i 50mila concittadini che alle primarie hanno lasciato il proprio numero di telefono.
Per l’impresa vengono mobilitati una ventina di volontari che si avvicendano al Comitato di Sala in via Casati.
Si alternano anche a big locali e nazionali, come l’assessore Pierfrancesco Majorino e il parlamentare Emanuele Fiano.
La telefonata segue un protocollo da piazzisti di aspirapolveri e contratti telefonici. “Buongiorno signora, mi scusi se la disturbo”: è l’incipit, con qualche istante di sospensione per capire l’umore dell’interlocutore.
E poi, subito, l’accorato appello — “ogni singolo voto per Beppe Sala è necessario” — seguito dalla richiesta di mobilitare ancue amici e parenti.
Dalle 10 del mattino alle 8 di sera, fino all’ultimo minuto e all’ultimo numero utile.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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DAVIGO: “NUOVO CODICE APPALTI? TUTTA ROBA CHE NON SERVE, LA CORRUZIONE NON SI COMBATTE CON L’ANAC”

Giugno 10th, 2016 Riccardo Fucile

“PENE PIU’ ALTE E NON SANNO A CHI DARLE”… “NON FARO’ MAI POLITICA”… “GLI ABUSI NEGLI APPALTI SI COMBATTONO CON GLI AGENTI SOTTO COPERTURA”

Piercamillo Davigo a tutto campo su Codice appalti, corruzione e Anac.
La nuova normativa sulle gare pubbliche, sostiene il presidente Anm, “è tutta roba che non serve a niente” e la corruzione “non si combatte con l’Autorità  nazionale anticorruzione”, che non ha poteri di repressione.
Ma Davigo torna anche a parlare del rapporto tra magistratura e politica, che ha acceso vivaci polemiche pochi giorni dopo la sua elezione al vertice del sindacato delle toghe. “Io non farò mai politica. I magistrati non sono capaci di fare politica”, ha detto Davigo.
E sulle attuali leggi contro la corruzione chiosa: “Non serve alzare le pene se non si sa a chi darle“.
“Il Codice appalti non serve a niente. Bisogna usare agenti infiltrati”
Il nuovo Codice appalti “è tutta roba che non serve a niente”, ha spiegato il presidente dell’Anm al convegno dei giovani di Confindustria.
“Da anni” si scrivono normative sugli appalti “con regole sempre più stringenti che danno fastidio alle aziende perbene e non fanno nè caldo nè freddo a quelle delinquenziali”, ha proseguito, sottolineando quindi che “non serve fare normative sugli appalti, serve fare operazioni sotto copertura“, con agenti infiltrati che fingono di essere imprenditori.
Su questo punto, in passato Davigo aveva già  incalzato il presidente dell’Anac Raffaele Cantone: “Per contrastare la corruzione bisogna mandare i poliziotti a offrire denaro ai politici e arrestare chi accetta. Lo diceva anche Cantone, ma ora ha smesso di dirlo. Perchè? Lo capisco. E non aggiungo altro…”.
“La corruzione non si combatte con l’Anac, non ha poteri di repressione”
E ora il presidente dell’Associazione magistrati torna a sferzare Cantone e il Codice appalti, che è stato fortemente voluto, anche se in parte criticato, dall’Autorità  nazionale anticorruzione.
“Non si può dire che con l’Anac si combatte la corruzione“, perchè “sarebbe contro la Costituzione”: se l’Autorità  di Raffaele Cantone “non fa certo cose inutili”, comunque “fa cose diverse”.
Per combattere la corruzione servono “strumenti altamente invasivi che la Costituzione riserva alla magistratura”. L’Anac, dice invece, “è un’autorità  amministrativa: non può avere alcun potere serio per reprimere la corruzione”; fa “cose ottime”, ma “non c’entrano niente con la repressione della corruzione”.
“I magistrati non sanno fare politica. Non serve alzare le pene se non si sa a chi darle” E dopo le stoccate ad Anac e Codice appalti, il presidente Anm torna sulla delicata questione dei rapporti tra magistratura e politica, al centro di roventi polemiche con il governo. “Io non farò mai politica. I magistrati non sono capaci di fare politica”.
A chi gli chiede cosa farebbe per prima cosa se diventasse ministro della Giustizia, Davigo risponde: “Farei dei disegni di legge sulla corruzione diversi da quelli che sono stati fatti”.
Questo perchè “non serve alzare le pene se non si sa a chi darle“. E sottolinea come il governo abbia introdotto una lieve premialità  per chi confessa: “Se parli prendi un po’ meno… così uno diventa in un certo senso onesto”.
“Mi sento Re Mida. Chi indago fa carriera politica”
Davigo non si fa mancare l’occasione di lanciare una nuova frecciata alla classe politica italiana, partendo dal suo vissuto personale. “A volte ho pensato di essere come Re Mida, vedevo che a chiunque mi avvicinavo” con le indagini sulla corruzione “poi faceva una spaventosa carriera politica“, dice il presidente dell’Anm. Era così perchè si trattava di persone con “una spaventosa forza di ricatto“.
E’ ancora oggi così? “Beh, ho visto che ad Expo ne hanno presi due che ci erano cascati già  25 anni prima”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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NAPOLI, LE CANDIDATE PD E IL VOTO DI SCAMBIO: TROVATO UN ELENCO CON DECINE DI NOMI

Giugno 10th, 2016 Riccardo Fucile

“PROMESSE DI UN PROGRAMMA DI FORMAZIONE AI DISOCCUPATI”

Poco meno di una trentina di nomi: tutti di giovani destinati ai corsi di formazione o ai contratti a progetto che due candidate del Pd a Napoli, Anna Ulleto e Rosaria Giugliano, avrebbero promesso in cambio del voto alle Amministrative di domenica scorsa.
I nomi sono contenuti in un elenco sequestrato l’altro ieri, insieme a due computer e ad altri documenti, durante le perquisizioni alle due esponenti del Pd, indagate entrambe per associazione per delinquere e voto di scambio.
Il materiale dovrà  essere valutato nei prossimi giorni (per i pc sarà  disposta una perizia affidata a un consulente tecnico), ma a quell’elenco gli investigatori sembrano riservare già  da ora particolare importanza perchè ritengono che possa confermare l’ipotesi del voto di scambio.
L’inchiesta che scuote il Pd napoletano (già  reduce da una disfatta elettorale, esattamente all’opposto di quanto è invece accaduto a Salerno, dove i dem hanno stravinto e dove il figlio del governatore della Campania Vincenzo De Luca, Roberto, andrà  a fare l’assessore al Bilancio) coinvolge almeno altre tre persone e nasce come sviluppo parallelo di una indagine della Direzione distrettuale antimafia sui clan della zona della Ferrovia.
Da alcune conversazioni intercettate sono emersi elementi che hanno fatto pensare a qualcosa di poco chiaro che stesse accadendo in vista delle elezioni, e perciò una parte del fascicolo è stata trasmessa alla sezione della Procura che si occupa di reati contro la pubblica amministrazione.
È stato a quel punto che è partita l’indagine sul voto di scambio, affidata, dal procuratore aggiunto Alfonso D’Avino e dal sostituto Francesco Raffaele, ai carabinieri del Comando provinciale.
Non sono emersi punti di contatto con la criminalità  organizzata, ma un sistema secondo gli inquirenti ben definito: Ulleto e Giugliano avrebbero utilizzato persone del loro staff per contattare giovani in cerca di occupazione e promettere, in cambio del voto, l’inserimento nei programmi lavorativi offerti da Garanzia Giovani.
Al momento le indagini avrebbero individuato un solo caso in cui lo scambio si sarebbe concretizzato con l’inserimento di un giovane (proprio uno di quelli che si occupavano della campagna elettorale) in un corso di formazione, ma gli inquirenti non escludono che da ulteriori approfondimenti possano emergere casi analoghi, e comunque anche la semplice promessa
farebbe configurare il reato.
Nè sarebbe determinante, ai fini delle accuse, il risultato elettorale delle due indagate.
Se Ulleto è infatti riuscita a conquistarsi un posto nel prossimo consiglio comunale, Giugliano, che correva per una Municipalità , non è stata eletta.
«E in effetti è un paradosso – commenta –. Ho raccolto la metà  dei voti che presi alle precedenti elezioni, eppure mi accusano di voto di scambio».
Rosaria Giugliano si ritiene una specie di vittima collaterale di quella che lei definisce «una vendetta politica» scatenata contro la sua collega di partito: «Sì, credo che il bersaglio principale fosse Anna. Invece sono riusciti a far fuori me ma non lei».
Addirittura ha pure un’ipotesi su chi sia il «vendicatore politico»: «Non certo il centrodestra, io guarderei più dalle parti di de Magistris. I carabinieri che sono venuti a fare la perquisizione mi hanno detto che contro di noi c’è un esposto risalente agli inizi di maggio: mi pare chiaro che volessero buttarci fango addosso prima che si arrivasse al ballottaggio».
Giugliano aggiunge che «a questo punto non mi occuperò più nè di politica nè di sociale», settore in cui è impegnata proprio insieme all’altra indagata, che è vicepresidente della Onlus «Mondo Nuovo».
Ulleto, invece, per ora si limita ad annunciare, tramite il suo profilo Facebook, «la decisione di autosospendermi dal Pd fino a quando questa vicenda, che ha segnato in negativo la mia vita, non sarà  definitivamente chiusa».
Spiega di farlo «nel rispetto dei miei elettori, di chi ha creduto in me e del mio partito», e aggiunge di essere «delusa e amareggiata», ma anche di aver deciso «di non restare in silenzio perchè chi ha la coscienza a posto deve sempre metterci la faccia».

Fulvio Bufi e Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera”)

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INTERVISTA A HILLARY CLINTON: “HO CHIAMATO SANDERS, BISOGNA UNIRE IL PARTITO CONTRO L’INCUBO TRUMP”

Giugno 10th, 2016 Riccardo Fucile

AL WASHINGTON POST: “ABBIAMO MOLTO IN COMUNE, A PARTIRE DALLA LOTTA PER IL SALARIO MINIMO”

Pochi minuti prima di pronunciare il suo discorso di vittoria come candidata democratica alla presidenza, Hillary Clinton era preoccupata di non riuscire a trattenere la commozione. «Ero sopraffatta», ha detto in un’intervista telefonica
Cosa ricorderà  della sera della sua nomination ?
«Sono rimasta sbalordita dall’entusiasmo, dall’energia del pubblico. Ero consapevole della portata storica del momento che stavo vivendo da protagonista, un’emozione talmente grande che temevo di non riuscire a tenere il mio discorso. Ho dovuto ricompormi e prepararmi, ma uscir fuori in mezzo a quell’entusiasmo è stato travolgente e spero che in tanti, assistendovi, abbiano provato gioia e orgoglio. Per me è stata una delle esperienze più straordinarie e significative mai vissute in pubblico»
Come pensa di riuscire a guadagnare il completo appoggio di Bernie Sanders alla sua candidatura alla presidenza
«L’ho chiamato per congratularmi con lui per la sua straordinaria campagna elettorale. Ammiro la sua energia, la sua determinazione e la sua dedizione. La corsa alla candidatura è stata molto combattuta e credo si sia rivelata altamente positiva per il partito democratico e per il paese. Le nostre campagne indicano che possiamo unire le forze contro la minaccia che Donald Trump pone al nostro futuro ed è mia intenzione unire il partito e il paese. È necessario per condurre con la massima efficacia la sfida contro Trump. In seguito dobbiamo continuare ad adoperarci per unire il paese e realizzare gli obbiettivi. Mi impegnerà  al massimo perchè avvenga»
Teme che Sanders possa essere un partner meno collaborativo nei suoi confronti rispetto all’impegno totale che lei ha profuso per la campagna di Obama nel 2008 ?
«Mi auguro senza dubbio che collabori. Credo che Sanders e i suoi sostenitori siano consapevoli della posta in gioco, del fatto che dobbiamo unire le forze per sconfiggere Trump. Farò di tutto per persuaderlo e cercherò il contatto con i suoi sostenitori allo stesso scopo. Abbiamo molti obiettivi comuni, come l’assistenza sanitaria universale. Entrambi vogliamo aumentare il salario minimo, contrariamente a Trump che non lo reputa necessario. Abbiamo davvero molto in comune e senza dubbio, al di là  delle possibili differenze, siamo totalmente contro Trump e ciò che rappresenta»
Pensa in futuro di rivedere o ridurre il ruolo dei superdelegati ?
«Siamo sempre attenti a ottimizzare le procedure di scelta del candidato alla presidenza. Sono molto fiera di aver ottenuto 12 vittorie nelle ultime 19 sfide e di essere in testa di 3 milioni di voti rispetto a Sanders e di 2 milioni rispetto a Trump; non ho ancora i dati completi delle grandi vittorie in New Jersey e in California nè di quelle in Sud Dakota e New Mexico, ma abbiamo ottenuto un insieme di più di 300 delegati vincolati. Quindi sulla base dei criteri più importanti, il voto popolare, il numero degli Stati conquistati e dei delegati vincolati, direi che abbiamo fatto molto bene, ma vogliamo capire come poter far meglio»
Quindi non esclude una revisione del sistema elettorale?
«Credo che si aprirà  un dibattito nel Comitato nazionale democratico. Non sono stata coinvolta, ma ci sono state variazioni dopo il 2008 e il 2012. Ci sarà  occasione di discuterne».
Il fatto che sia lei che Trump abbiate totalizzato il maggior numero di sondaggi negativi di qualsiasi candidato alla presidenza del nostro tempo dice qualcosa della situazione attuale del paese?
«Quanto a me, quando ho rivestito cariche ufficiali, da senatrice o segretario di Stato, ho sempre ottenuto alti consensi. Da segretario di Stato avevo un indice di gradimento del 66 per cento. Ma sono anche il bersaglio favorito dei repubblicani e di altri che non concordano con le mie posizioni e hanno speso milioni di dollari in spot contro di me da quando è iniziata la campagna elettorale. Intendo impegnarmi al massimo per dimostrare che oltre alla preparazione e all’esperienza ho pronte idee che penso daranno risultati a vantaggio degli americani, serviranno a proteggere il nostro paese, ad avere un ruolo guida nel mondo e a unirci».
Si è espressa contro la politica che fa leva sulla paura, ma la sua campagna non è forse basata sulla paura di Trump?
«Non è la stessa cosa. La campagna di Trump è tesa ad alimentare timori e rabbia, mettendo gli americani gli uni contro gli altri. La sua ambizione di “fare di nuovo grande l’America” crea ansie e insicurezza in chi si sente escluso ed emarginato. Trump non ha vere risposte, solo slogan. Fin dall’inizio della campagna ha alimentato la paura nei confronti degli immigrati, definendo gli immigrati messicani stupratori e criminali. Dobbiamo affrontare il futuro con fiducia e ottimismo. Io credo che l’America possa ancora vivere i suoi anni migliori in futuro ma non possiamo darlo per scontato, c’è molto da fare. Da Trump arriva esattamente il messaggio opposto, totalmente improntato alla paura. Dobbiamo contrastarlo con forza».
Pensa che Donald Trump sia razzista?
«Non so se lo sia intimamente. Posso solo dire che a giudicare dalle sue affermazioni da quando è iniziata la campagna elettorale ha lanciato attacchi carichi di pregiudizi mirati a creare divisioni. Dire che una persona non può svolgere adeguatamente il suo compito per via delle sue origini è senza dubbio un attacco razzista che non trova spazio nella nostra politica. Molti importanti esponenti repubblicani hanno preso le distanze da queste posizioni. Credo che Trump abbia lanciato quell’attacco con quel linguaggio razzista per sviare l’attenzione dalla truffa della Trump University. Una prassi fraudolenta. Non bisogna dimenticare che ha insultato e umiliato le donne, i musulmani, gli immigrati, gli afroamericani, i disabili. Sono in completo disaccordo. Non penso che si possa costruire un paese distruggendo le persone».

Anne Gearan
(da “Washington Post”)

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VERGOGNA MARONI: CANCELLATO L’INNO DI MAMELI DURANTE VISITA ISTITUZIONALE A ISEO IN QUANTO “LO AVREBBE INDISPETTITO”

Giugno 10th, 2016 Riccardo Fucile

CHISSA’ COSA NE PENSANO LA MELONI E I VARI “SOVRANISTI” DEL MENGA… INUTILE LA PROTESTA DEI MUSICISTI

Arriva Maroni, niente inno di Mameli.
E la banda del paese, per “non indispettire il Presidente”, su richiesta del sindaco è costretta a suonare una marcia alternativa.
Succede a Sulzano (Italia), sulla sponda bresciana del lago d’Iseo.
E’ il 28 maggio, vigilia della Festa della Repubblica. Il governatore lombardo giunge nel paesino per visitare “The Floating Piers”, la passerella-evento galleggiante realizzata dall’artista Christo che dal 18 giugno al 3 luglio collegherà  Sulzano, Monte Isola e l’isoletta di San Paolo.
Un arrivo in pompa magna quello di Maroni: a bordo di un trenino d’epoca, la locomotiva più antica d’Europa (è del 1883) rispolverata per l’occasione da Trenord.
Il programma della mattinata prevede che l’arrivo del trenino, partito da Brescia con a bordo altre autorità , venga salutato dalla musica della banda di Sulzano.
Poco prima che la locomotiva entri nella stazioncina del paese, ai componenti della banda giunge una singolare richiesta: che stravolge la scaletta.
Il sindaco di Sulzano, la forzista Paola Pezzotti, non usa giri di parole: “No, niente inno di Mameli, non vorrei che Maroni si indisponesse… Meglio suonare un’altra marcia…”.
I musicisti protestano, non sono d’accordo, vogliono eseguire – come da copione – l’inno d’Italia. Ma alla fine sono costretti adeguarsi.
Quando Maroni arriva in paese la banda suona dunque al posto di Mameli, la marcia “Primis”. “Ci è dispiaciuto molto. E la cosa che ci è dispiaciuta ancora di più è che nessuno si è lamentato del fatto che non suonassimo l’inno d’Italia”, racconta un musicista.
Al di là  del fatto che il sindaco che “blocca” l’inno nazionale è di Forza Italia, soprende, o forse no, vedere che ancora una volta – persino nell’era della Lega “nazionale” di Matteo Salvini – l’inno di Mameli venga considerato come “sgradito” agli esponenti della Lega Nord.
.Un vecchio adagio questo dell’idiosincrasia leghista verso l’inno di Mameli.
Con una lunghissima serie di precedenti.
Uno ha visto protagonista due anni fa proprio il gruppo della Lega Nord in consiglio regionale. Il 21 ottobre 2014 al Pirellone è stato commemorato in apertura di seduta il centenario della Prima guerra mondiale.
Una cerimonia formale, con la presenza anche di alcuni alpini. Ma in aula è spiccata l’assenza in massa di tutto il gruppo leghista quando, all’inizio della cerimonia, è risuonato l’Inno di Mameli. A quanto si è appreso, i leghisti avevano chiesto che al posto dell’Inno nazionale ci fosse un coro degli alpini.
Della guerra al “canto nazionale” la Lega in questi anni aveva fatto una suo cavallo di battaglia: da segretario della Lega Nord del Veneto Gian Paolo Gobbo arrivò addirittura a proporre lo “stop” all’inno nazionale per qualsiasi manifestazione o celebrazione pubblica, che comunque non sia “strettamente legata alle forze armate, come potrebbe essere l’inaugurazione di una caserma”.

Paolo Berizzi
(da “La Repubblica“)

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CASTA A CINQUESTELLE: LA LOMBARDI USA LA CARTA DELLA CAMERA PER SCRIVERE LETTERA ALLA SCUOLA DEL FIGLIO

Giugno 10th, 2016 Riccardo Fucile

ROBERTA LOMBARDI NE COMBINA UNA DELLE SUE, INTIMA:   “SISTEMATE L’ISTITUTO”

L’ex capogruppo alla Camera Roberta Lombardi avrebbe inviato alla scuola dove studia il proprio figlio una lettera su carta intestata della Camera per chiedere una serie di interventi di manutenzione dell’istituto.
Lo scrive oggi il Messaggero.
Nel dettaglio – riporta il quotidiano – la deputata avrebbe chiesto “di riparare l’impianto di riscaldamento, di efficientare, il sistema di allarme, di avviare lo smaltimento di materiali nocivi, di denunciare gli atti di vandalismo della struttura” e altre misure.
All’inizio, quando negli uffici del terzo municipio si sono visti recapitare questa lettera (in forma digitale), così formale e così dettagliata, in molti si sono anche chiesti visto il periodo: sta per partire una giusta campagna del M5S per le scuole di Roma (che come si sa non versano proprio in ottime condizioni,soprattutto in periferia)?
Sì e no. Perchè dopo una rapida verifica l’interesse della Lombardi ha preso la via della coincidenza.
Uno dei figli dell’onorevole frequenta la scuola dell’infanzia statale Azzurra. Che si trova, casualmente certo, nell’istituto comprensivo di via Savino 43 oggetto del pressing della parlamentare.
Ed è sempre un caso che qui vada a scuola anche la figlia di Marcello De Vito, braccio destro della Lombardi, già  candidato sindaco del M5S nel 2013 e questa volta mister preferenze (6.541) delle elezioni comunali.
Alla fine i dirigenti amministrativi e didattici del III municipio hanno risposto alla deputata pentastellata spiegandole che la situazione è sostanzialmente sotto controllo.
Contro la deputata si è scagliato su Twitter il senatore Dem Stefano Esposito. “Non eravate contro la casta? Certo in tv la realtà  è un’altra storia”, ha scritto allegando l’articolo del Messaggero
Un perfetto assist per l’esponente Pd.

(da “Huffingtonpost”)

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CHE COS’E’ IL TTIP, COSA PREVEDE E PERCHE’ STA FACENDO DISCUTERE

Giugno 10th, 2016 Riccardo Fucile

POTREBBE CAMBIARE IL COMMERCIO E LA VITA DEI CITTADINI USA E UE… LE TANTE INCOGNITE TRA OPPORTUNITA’ E RISCHI

Rivoluzionario o dannoso. Opportunità  o condanna.
Il dibattito sul Ttip si fa sempre più acceso; è materia complessa, ma toccando da vicino la vita dei cittadini merita di essere approfondita.
In attesa di capire gli sviluppi delle trattative, abbiamo provato a fare chiarezza sui contenuti, sui nodi ancora aperti e soprattutto sulle ragioni dei favorevoli e contrari.
CHE COS’È  
Il Ttip letteralmente “Transatlantic Trade and Investment Partnership” in Italiano viene definito “Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti”.
È un accordo commerciale tra Gli Stati Uniti e l’Europa che prevede di integrare i due mercati attraverso l’abbattimento delle barriere economiche (i dazi) e quelle non tariffarie (regolamenti, norme e standard).
L’obiettivo è consentire la libera circolazione delle merci nei rispettivi territori.
TEMPI E PASSAGGI PER L’APPROVAZIONE  
Le trattative sono iniziate nel 2013 e sono tuttora in corso.
L’obiettivo (non dichiarato) è quello di arrivare alla firma definitiva prima delle presidenziali Usa previste per l’8 novembre, ma viste le criticità  che sono emerse negli ultimi mesi sembra davvero difficile che questo possa accadere.
Usa e Ue stanno lavorando per giungere almeno a un documento di impegno condiviso.
Se si concretizzerà  la firma, il Ttip dovrà  essere sottoposto al Parlamento europeo e, in caso di parere favorevole, ai 28 Stati membri dell’Ue che avrebbero facoltà  di bloccarlo.
LE RAGIONI DEI FAVOREVOLI  
Usa e Ue insieme rappresentano un mercato che vale il 50% del Pil mondiale (e oltre il 30% del commercio). Eliminare le barriere sarebbe l’opportunità  di dare vita alla più grande area di libero scambio del mondo (800 milioni di consumatori).
Una condizione fondamentale per far ripartire i consumi, favorire l’export e aumentare il livello di occupazione.
LE RAGIONI DEI CONTRARI  
Un mercato globale così vasto non giocherebbe a favore di aziende, consumatori e ambiente perchè porterebbe a un impoverimento della legislazione europea in materia di tutele.
In particolare sarebbero a rischio la salute dei cittadini e la sopravvivenza delle piccole e medie imprese minacciata dallo strapotere delle multinazionali Usa.
I PUNTI CRITICI  
– Ricadute sul Pil
– Cibo e sicurezza alimentare
– Tutela dei prodotti tipici e del “Made in”
– Diritti dei lavoratori e occupazione
– Ambiente
– Controversie legali
– Farmaci
– Cosmetica, chimica e principio di precauzione
RICADUTE SUL PIL  
I fautori del Ttip prevedono una ricaduta sul Pil (al 2027) tra i 68 e i 199 miliardi di euro per l’Ue e tra i 50 e i 95 miliardi per gli Usa.
Uno studio del “Centre for Economic Policy Research” di Londra realizzato per la Commissione Ue ha stimato che l’aumento del Pil significherebbe una maggiore ricchezza di 545 euro a famiglia (ogni anno).
Ma ci sono analisi che dicono il contrario.
Il centro di ricerche austriaco Ofse per esempio stima che l’accordo farebbe perdere al budget europeo 2,6 miliardi l’anno.
CIBO E SICUREZZA ALIMENTARE  
Oggi i tempi per ottenere il via libera all’esportazione di prodotti Ue in Usa sono proibitivi. Ci sono casi di attesa fino a 12 anni e i dazi talvolta rendono anti-economica l’operazione (per alcuni prodotti si supera il 100%).
Il timore però è che l’abbattimento delle barriere apra le porte a prodotti Usa che finora sono vietati: verdure ogm, carne con ormoni e antibiotici, verdure trattate con pesticidi. In generale il rischio è quello di andare incontro a un abbassamento degli standard igienici e sanitari perchè la legislazione Usa è meno stringente di quella europea rinunciando a etichettatura e tracciabilità  dei prodotti. L’eurodeputato del Pd e presidente della Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale per la trattativa, Paolo De Castro, però assicura: «I principi su cui si basano i livelli di protezione dei cittadini-consumatori non sono oggetto di discussione».
TUTELA DEI PRODOTTI TIPICI E DEL “MADE IN”  
Secondo i favorevoli, il Ttip offrirebbe una forte opportunità  per l’export verso gli Usa anche e soprattutto per quei Paesi che hanno produzioni di qualità  in settori di nicchia come l’Italia: dalla moda ai gioielli, ma anche il cibo e il design.
Per il fronte del no l’apertura delle frontiere e la revisione delle legislature penalizzerebbe invece i prodotti di qualità  che si vedrebbero schiacciati dal peso della grandi multinazionali. Sempre il centro di ricerche austriaco Ofse calcola che nel caso dell’Italia, delle 210 mila imprese che esportano le prime dieci detengono il 72% del volume totale, e dunque beneficerebbero maggiormente del trattato. Le altre soffrirebbero trovandosi a fare i conti con l’inevitabile invasione di prodotti made in Usa.
DIRITTI DEI LAVORATORI E OCCUPAZIONE
Nelle intenzioni dei promotori l’allargamento dei mercati dovrebbe provocare un aumento dell’occupazione snellendo le procedure e favorendo lo spostamento di forza lavoro.
Il fronte del no invece ritiene che questo metta a rischio i diritti dei lavoratori che notoriamente nel vecchio continente godono di tutele e condizioni migliori. Su questo punto i promotori stimano che l’aumento delle produzione e quindi la ricchezza derivata sarebbe tale da compensare eventuali perdite in materia di diritti.
Sul tema è intervenuta anche Tiziana Beghin, capo delegazione del M5S al Parlamento europeo: «Pensate al “Nafta” (il North American Free Trade Agreement, ndr). Negli Stati Uniti invece dei 500 mila posti di lavoro in più, ce ne sono stati un milione in meno. E in Messico nel solo settore agricolo si sono persi 2 milioni di posti di lavoro, spazzati via dalla produzione dei grandi agro-business. Questo è quello che succede quando si mettono due sistemi diversi a competere». E anche il centro di ricerche austriaco Ofse stima che l’occupazione non aumenterebbe.
AMBIENTE  
Oltre al tema del cibo e della sicurezza alimentare, l’approvazione del Ttip potrebbe interessare anche l’ambiente e il mondo dell’energia. Per esempio Usa e Ue hanno normative molto diverse in tema di estrazioni. Greenpeace denuncia che l’apertura del nuovo mercato globale potrebbe causare l’abolizione dei limiti per la ricerca di petrolio mediante la tecnica del fracking o ancora facilitare l’esportazione da sabbie bituminose (tecniche ad alto impatto ambientale). Anche Legambiente ha espresso forti perplessità  sul Ttip invitando alla mobilitazione.
CONTROVERSIE LEGALI  
Un’altra novità  sarebbe la creazione di appositi tribunali speciali (Isds) che avrebbero il compito di risolvere le controversie (sul trattato) tra aziende straniere e governi nazionali senza doversi affidare alla giustizia ordinaria.
«Un nuovo sistema giudiziario, gestito da giudici nominati pubblicamente e soggetto a regole di controllo e di trasparenza — si legge nel documento approvato dai parlamentari Ue – dovrebbe sostituire le corti arbitrali private».
Un modo per snellire e le procedure e accorciare i tempi, ma secondo i contrari al Ttip la forza delle multinazionali potrebbe falsare la concorrenza. Una grande azienda statunitense potrebbe infatti citare in giudizio un Paese europeo denunciano un’irregolarità , cosa impossibile per una piccola media impresa.
FARMACI  
I sostenitori del Ttip sostengono che una collaborazione tra la Food and Drug Administration (Usa) e la European Medicines Agency (Ue) migliorerebbe la sicurezza dei farmaci e dei dispositivi medici: negli Usa per esempio protesi e valvole cardiache sono soggette a normative molto stringenti.
Chi si oppone al Trattato invece reputa l’apertura del mercato molto rischiosa: in Europa i prezzi vengono stabiliti tra case farmaceutiche e governi, in più i principi attivi alla scadenza dei brevetti possono essere utilizzati per dar luogo a medicinali generici. In futuro la pressione delle grandi case farmaceutiche Usa potrebbe impedirlo.
COSMETICA, CHIMICA E PRINCIPIO DI PRECAUZIONE
Anche nel campo della cosmetica i promotori vedono grandi opportunità . Francia e Italia che sono tra i principali Paesi esportatori potrebbero beneficiare di nuove fette di mercato.
Il problema riguarda le oltre 1300 sostanze che l’Ue considera a rischio per la salute. In Usa se ne contano solo 11. E questo approccio riguarda più in generale tutta le sfera della chimica: la legislazione europea è basata sul cosiddetto “principio di precauzione” secondo cui un prodotto o una sostanza vengono autorizzati solo se c’è un’evidente assenza di rischi. In Usa invece è sufficiente l’assenza dell’evidenza di un rischio. Se le procedure dovessero essere riviste al ribasso a farne le spese potrebbero essere i consumatori.

(da “La Stampa”)

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RENZI NON BUCA PIU’ E VACILLA ANCHE IN TV, ASCOLTI PIU’ BASSI DI QUELLI DI BERSANI

Giugno 10th, 2016 Riccardo Fucile

ADESSO RISCHIA L’EFFETTO SATURAZIONE… PER IL SONDAGGISTA WEBER NON APPASSIONA PIU’ COME PRIMA

Erano passate poche ore dalla doccia fredda delle amministrative e nella prima conferenza stampa post-voto, lunedì scorso, Matteo Renzi propose una metafora originale: «Gli elettori hanno fatto zapping con la scheda elettorale, come è sacrosanto e bello che sia».
A giudicare dall’ultima performance televisiva del presidente del Consiglio, mercoledì sera a «Otto e mezzo», anche i telespettatori hanno intensificato lo zapping: Matteo Renzi ha fatto il 6,23% di share con un ascolto medio di 1 milione e 482mila spettatori, meno di quanto avesse fatto Pier Luigi Bersani nella stessa trasmissione tre settimane prima: 6,70% e 1 milione e 665mila spettatori.
Naturalmente si tratta di dati da prendere con le molle: sono innumerevoli le variabili che incidono sugli ascolti, ma certo le apparizioni televisive del presidente del Consiglio, così frequenti, non rappresentano più un evento e una garanzia di boom per gli ascolti.
Un sintomo dell’attenuarsi dell’effetto-Renzi? Con la sua onnipresenza e con la sua tendenza ad auto-elogiarsi, il presidente del Consiglio sta alimentando un effetto-saturazione?
Due sere fa, proprio alla fine della registrazione di «Otto e mezzo», negli studi de La7, il presidente del Consiglio, chiacchierando con Lilli Gruber, ha usato parole crude: «Ora anche la maggioranza del Pd si vergogna di me per molte delle cose che facciamo, persino per la riforma della Costituzione».
La sincerità  e l’espressione usata – si vergognano di me – fanno una certa impressione da parte di un personaggio orgoglioso e attentissimo allo spin, all’effetto che fanno anche le chiacchierate private.
E proprio ieri mattina un altro evento ha contribuito ad alimentare il dubbio circa l’appannamento dell’effetto-Renzi.
La sequenza al ralenti è eloquente. Davanti alla platea di Confcommercio, il presidente del Consiglio stava illustrando le misure del governo e proprio in coda all’elenco, quando ha citato gli 80 euro, si è alzato un circoscritto mugugno, che Renzi ha raccolto al volo. Per rincarare la dose.
Sostenendo che persone con un reddito basso si sono finalmente potute permettere «uno zainetto in più, una cena in pizzeria in più».
Soltanto a quel punto, davanti al «di più» di Renzi, si è alzato qualche (isolato) fischio.
Non sarà  che l’opinione pubblica alla fin fine preferisce il Renzi governante rispetto al Renzi propagandista?
Il triestino Roberto Weber, presidente di Ixè, sondaggista da 35 anni, dice: «Attenzione a non lasciarsi confondere dal voto amministrativo, nel quale hanno giocato fattori locali e personali, perchè invece lo stato di salute elettorale del Pd come forza nazionale è molto migliore, nettamente migliore di quello delle altre forze. Renzi? Sta coltivando un’area, quella dell’elettorato attivo, ma è vero che pur essendo considerato un ottimo comunicatore, paradossalmente rassicura ma non suscita passioni vere. Un dato è eloquente: quando chiediamo se abbiano «molta fiducia» in un leader, mentre Berlusconi, Prodi o Veltroni oscillavano tra il 15 e 20 per cento, Renzi è sempre ad una cifra».
Contromisure? Correzioni di rotta, anche solo di stile?
Mercoledì sera a «Otto e mezzo», Renzi ha risposto sempre col sorriso sulle labbra alle domande, mai cedendo alla (consueta) tentazione della replica pepata o del capro espiatorio.
Negli otto giorni che mancano alla fine della campagna elettorale Renzi ha in programma soltanto appuntamenti nazionali e all’estero e ieri anche il candidato a lui più vicino, il romano Roberto Giachetti si è concesso una battuta contropelo, sia pure sorridendo: «Renzi vuole usare il lanciafiamme nel partito? Io sono pacifista!».

Fabio Martini
(da “La Stampa“)

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