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BERLUSCONI, CON FORZA ITALIA IN FONDO AL CUORE

Giugno 14th, 2016 Riccardo Fucile

IL CIRCO ATTORNO A LUI NON SI FERMA NEANCHE OGGI…LA FAMIGLIA SPINGE PER UN RITIRO DALLE SCENE PER SALUTE E DECORO

Il circo non si ferma neanche davanti alla sala operatoria.
Di tutte le finestre del San Raffaele, Francesca Pascale sceglie quella a favore di telecamera per farsi vedere, addolorata, con la lacrima ben in vista.
Il circo non si ferma, ma i domatori hanno già  avvolto Silvio Berlusconi con una sorta di programma di protezione, per un futuro in cui nulla sarà  come prima.
Perchè è vero che l’intervento è andato bene, anzi meglio delle aspettative.
Ma ora, la “difesa della salute” di cui parla Marina è l’unica bussola, attorno a cui far ruotare tutto, dallo stile di vita all’impegno politico.
L’intervento è andato bene, nel senso che è durato il tempo previsto, quattro ore, e non si sono verificate complicanze legate al recente scompenso cardico, nè imprevisti.
Il che dimostra, come dicono quelli attorno, che “la fibra di Silvio ha una capacità  di resistenza in più”.
E questo consente di guardare con fiducia a una ripresa comunque molto impegnativa. Difficile, anzi impossibile che l’ex premier possa uscire prima del 15-20 luglio dal San Raffaele, perchè dopo la settimana di terapia intensiva, se tutto va bene, c’è il periodo della riabilitazione, per far riprendere al cuore funzionalità  e compenso.
È una fase molto delicata, in cui la presenza al San Raffaele è d’obbligo, sia per la necessità  di costanti controlli radiologici e strumentali sia perchè ogni spostamento rischia di essere faticoso e controproducente.
“Tornerà  più determinato di prima” dicono i parlamentari più vicini, che ne conoscono l’indole e quasi rimuovono la cartella clinica, nel circo che non si ferma.
I domatori però, nel senso della famiglia allargata, sanno che nulla tornerà  come prima e hanno già  isolato la stanza, dove prima dell’intervento è stata pressochè respinta Maria Rosaria Rossi, che ha offerto le sue dimissioni da tesoriere del partito: “Se il problema sono io, sono pronta a lasciare questo incarico”.
Le “badanti”, l’asse del Nord, le trame, i questuanti e gli adoranti: tutti rumori di fronte ai quali la famiglia ha chiuso la porta, e non solo quella della stanza al San Raffaele.
Perchè è chiaro che l’indole di Berlusconi è quella di chi, in qualche modo, proverà  a tornare. Ma il modo assomiglia più a una presenza onoraria che a una presenza sul campo, che potrebbe compromettere salute e decoro, cuore e immagine pubblica.
In questi giorni i figli hanno approfondito molto con i medici il quadro entro cui potrà  Berlusconi potrà  tornare operativo, senza entrare in una situazione di rischio.
E se era immaginabile che sarà  impossibile vederlo di nuovo come un leone come fu nell’arena di Santoro, il quadro sconsiglia anche duelli più blandi, trasmissioni che comportino uno stress in onda ma anche nella preparazione, comizi e bagni di folla.
È una fase di oscuramento che, certamente, durerà  fino a settembre, nei due-tre mesi di recupero, ma anche dopo, nelle intenzioni della famiglia.
Certo, non si può passare dal pieno al vuoto in modo brusco e traumatico. Ed è immaginabile che, dopo le prime settimane, qualche comunicato stampa per rassicurare l’esterno sarà  scritto.
Ma la sua presenza sarà , da costante, molto più occasionale. Soprattutto in pubblico.
Oltre alla salute, c’è il decoro, drammaticamente appassito nell’era delle badanti. Marina, che si muove da “capofamiglia affettivo”, ruolo riconosciuto anche dai figli di Veronica, è rimasta molto contrariata dall’immagine del padre portato in giro come una macchietta, che da un improbabile palco di Ostia racconta una barzelletta sul “carciofo” non proprio elegante o, in giro con la Pascale al seggio, fa battute sui “preservativi” con un gruppo di ragazzotti.
Ecco, togliere Berlusconi dal circo che pure ha alimentato, per indole, per scelta, per paura di uscire di scena o per esorcizzare il tempo che passa.
Questa è la ferma decisione dei figli, per la prima volta davvero determinati ad essere in campo con tutto il peso del loro ruolo.
Ora la necessità  è più forte della volontà : “Al massimo — sussurra una fonte di primo livello dell’azienda – potrà  fare il presidente onorario, del Milan e del partito, ma nulla di più”.
E c’è un motivo se la politica è tutta nelle mani di Gianni Letta, dopo giorni in cui al San Raffaele hanno osservato, con grande disappunto, tutti i “proci” che si agitano nell’Itaca del centrodestra: Toti e il famoso asse del Nord, Parisi un po’ sogna di fare il federatore, Fitto che ha ricominciato a parlare con Romani, Zaia e Maroni.
Il motivo è una constatazione e un programma, per i prossimi mesi. La constatazione è che è difficile pensare che dove non è riuscito oggi, ovvero a fare il federatore, Berlusconi possa riuscire in futuro: “E dunque — prosegue la fonte — bisogna essere realisti. Con Berlusconi fuori fino a settembre e non più in campo in futuro se non episodicamente, si deve evitare che ci infilino due righe che ci ammazzano in qualche decreto”.
Il circo attorno si muove ignaro di quel che sarà , quando in tardo pomeriggio inizia un surreale ufficio di presidenza, per approvare il bilancio: “Io — sbotta la De Girolamo con qualche collega — non ci vado. Ma vi pare possibile fare una riunione il giorno che si opera Berlusconi?”.
Inizia un periodo di vuoto, tra l’inconsapevolezza dei più, l’attivismo dei “proci”, la fideistica litania del “tornerà  in campo più forte di prima”.
In serata, alla basilica di Sant’Agostino, un gruppo di parlamentari si danno appuntamento per recitare un rosario.

(da “Huffingtonpost“)

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IL PACCO: VENT’ANNI DI RATE PER ANDARE IN PENSIONE PRIMA, MA CON ASSEGNO DECURTATO FINO AL 15% IN ETERNO

Giugno 14th, 2016 Riccardo Fucile

LA PROPOSTA DEL GOVERNO SULLA FLESSIBILITA’

I lavoratori over 63, progressivamente quelli nati tra il 1951 e il 1955, potranno andare in pensione con tre anni di anticipo grazie a un prestito, da restituire a banche e fondi pensioni con gli interessi nell’arco di 20 anni, senza “penalizzazioni previdenziali” ma con taglio sull’assegno che potrebbe arrivare fino al 15%.
Così Tommaso Nannicini e il ministro Giuliano Poletti hanno presentato l’Ape, ovvero il meccanismo di flessibilità  in uscita, nell’incontro con i sindacati che si è tenuto al ministero del Lavoro.
Un racconto che sembra aver convinto Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo.
La rassicurazione del braccio destro di Renzi che il meccanismo pensato dal governo non preveda “penalizzazioni” sulle pensioni viene vissuta come una prima vittoria Cgil, Cisl e Uil.
Una risposta a una delle loro rivendicazioni. “Non possiamo trascurare — ha detto ad esempio Camusso al termine dell’incontro al ministero, durato quasi quattro ore – che ci siano delle novità  positive, ovvero il fatto che non ci siano penalizzazioni. Ma è ancora troppo poco per dire che siamo in una fase di conclusione delle nostre valutazioni. Speriamo che il confronto continui e produca dei risultati”.
Analizzando quanto illustrato dal governo, in realtà  chi sceglierà  di lasciare il lavoro prima del tempo avrà  una penalizzazione sull’assegno pensionistico.
Nannicini sottolinea che non si tratta di una “penalizzazione previdenziale” ma comunque la rata di ammortamento, ovvero la rata che si dovrà  restituire a banche, assicurazioni o fondi pensioni che presteranno al lavoratore i soldi per andare in pensione con tre anni di anticipo, sarà  essa stessa una penalizzazione.
Che potrà  arrivare a incidere sull’assegno pensionistico fino al 15% del totale.
Su un assegno da 1.500 euro al mese, ad esempio, la decurtazione per venti anni sarebbe di 225 euro.
Un taglio che non sarà  uguale per tutti però, perchè degli sgravi fiscali potranno far aumentare l’assegno ad esempio al disoccupato di lunga durata o a chi ha redditi bassi, riducendolo invece per “chi sceglie individualmente” e per motivi personale di andare in pensione in anticipo.
Questo meccanismo delle detrazioni, ha spiegato Nannicini, avrà  una fase sperimentale di tre anni per i nati dal 1951 al 1955.
Come funzionerà  nel concreto l’Ape?
Mario, che ha 63 anni, potrà  richiedere di andare subito in pensione, fino a tre anni di anticipo, accendendo un prestito, erogato da banche, assicurazioni e fondi pensioni e garantito dall’Inps.
Un prestito da restituire in 20 anni con rate (comprensive di capitale e interessi) che potranno arrivare fino al 15% dell’assegno pensionistico: dovrebbe essere la stessa Inps a trattenere i soldi dall’assegno e girarli poi agli istituti.
Se Mario avrà  scelto volontariamente per motivi personali di abbandonare il lavoro, probabilmente avrà  un assegno per 20 anni decurtato del 15%.
Se invece è un disoccupato di lungo corso, o con un reddito basso avrà  accesso a detrazioni fiscali che porteranno al quasi azzeramento della decurtazione.
L’anticipo pensionistico sarà  gestito dall’Inps cui – nell’ipotesi di Palazzo Chigi – spetterà  l’onere di creare il rapporto con gli enti finanziari che erogheranno l’anticipo netto della pensione ai lavoratori che certificheranno la richiesta di pensionamento anticipato.
Se altre misure sulla flessibilità  in uscita sarebbero costate 10 miliardi, ha spiegato Nannicini, l’Ape permetterà  al governo di dare una risposta a sindacati e lavoratori spendendo meno di un decimo delle risorse. Visto che i soldi ce li metteranno banche e fondi pensioni.

(da “Huffingtonpost”)

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INTERVISTA A LANDINI: “VIVE LA FRANCE, IL NOSTRO ERRORE NON PROTESTARE CONTRO MONTI”

Giugno 14th, 2016 Riccardo Fucile

“COALIZIONE SOCIALE, NON RINUNCIO”

“L’errore lo abbiamo compiuto quando è caduto il governo Berlusconi nel 2011: abbiamo accettato che il governo Monti cominciasse a dare applicazione alla lettera della Bce compiendo il primo attacco all’articolo 18 e alle pensioni… Ora Renzi agisce su un terreno già  arato. Ma mentre dico ‘vive la France’, dico anche che in Italia la partita è ancora aperta”.
Maurizio Landini ci parla al telefono dall’aeroporto in attesa di un volo che lo porti in Sicilia per le manifestazioni dello sciopero di domani sul contratto dei metalmeccanici.
E’ per questo che non è in Francia. Dove naturalmente era stato invitato per l’ennesima manifestazione di protesta contro il Jobs Act francese.
Forte il rapporto tra il segretario Fiom e la Cgt che da mesi sta dando battaglia al governo socialista di Valls e al presidente Hollande in piazza.
Rapporto sindacale, politico e anche personale, visto che l’attuale segretario del sindacato francese, Philippe Martinez, è un ex operaio della Renault, ex segretario dei metalmeccanici francesi, dunque vecchia conoscenza dell’italiano Landini, “un amico”, ci dice.
Segretario, domanda ovvia: perchè la Francia protesta da mesi contro la riforma del lavoro mentre in Italia il Jobs Act è passato quasi sotto silenzio, solo uno sciopero generale di Cgil e Uil?
Va valutata la storia francese. E cioè il valore delle leggi che lì su un piano contrattuale è più forte. Lì non si discute solo di licenziabilità , ma anche delle famose 35 ore di lavoro alla settimana… E poi in Francia prima del sindacato, sono scesi in piazza i giovani precari con cui il sindacato ha avuto l’intelligenza di costruire un rapporto. E così si è costruito consenso anche nel paese, anche tra i non lavoratori, contro queste riforme.
Vuol dire che il Jobs Act di Renzi è più leggero di quello di francese?
Assolutamente no. La dico così: io penso che l’errore più grande lo abbiamo fatto quando è caduto Berlusconi. Allora abbiamo accettato che un governo come quello di Monti desse applicazione alla lettera della Bce compiendo il primo attacco all’articolo 18 e alle pensioni. Abbiamo accettato senza batter ciglio l’introduzione del pareggio di bilancio in costituzione e abbiamo accettato che, caduto Berlusconi, si instaurasse un governo che ha dato applicazione all’austerity. Abbiamo fatto solo tre ore di sciopero e basta. Quello che è arrivato dopo è una conseguenza: Renzi ha agito su un terreno già  arato. Posso anche aggiungere che la discussione francese sull’articolo 2 in Italia è stata ‘risolta’ anche prima di Monti: dal noto articolo 8 di Sacconi che apre alla contrattazione aziendale. Ora gli errori di cinque anni fa hanno danneggiato la credibilità  dei sindacati. Ancora oggi ci imputano di non aver fatto la battaglia sulle pensioni. Quegli errori hanno determinato conseguenze anche sull’attuale quadro politico. Con Renzi siamo arrivati allo sciopero generale, ma il governo ha messo il voto di fiducia ed è andato avanti come se nulla fosse successo. E anche sulla scuola il governo è andato avanti uguale. Ma io penso che in Italia la partita non sia ancora chiusa.
Prima di chiederle perchè non è chiusa, le chiedo: non avete protestato nel 2011 perchè l’anti-berlusconismo ha accecato anche i sindacati? In fondo, tre quarti di paese festeggiava Monti e il Pd in Parlamento lo appoggiava.
Si, l’anti-berlusconismo ha avuto un ruolo. E anche le convenienze politiche. E ora in Francia un governo socialista, che fa parte dell’Internazionale socialista, sta compiendo l’affondo finale allo Statuto dei lavoratori così come ha fatto in Renzi in Italia, anche lui premier di un governo socialista. E’ la fine di una storia: i partiti socialisti considerano di sinistra compiere una rottura storica anche con le rappresentanze sindacali. Mi auguro che la battaglia francese produca risultati perchè ha elementi di novità : un sindacato che non ragiona in termini di convenienza politica e che riesce a mettere insieme lavoratori, giovani, studenti, precari.
Guardiamo per un attimo al governo francese. Anche lì ci sono elementi di novità  rispetto a quello italiano? Il premier Valls e il presidente Hollande vanno avanti però non mi pare che usino toni di sberleffo o minaccia verso chi protesta. In fondo potrebbero metterla sul piano dell’unità  nazionale contro l’allarme terrorismo Isis tutt’altro che risolto.
Condivido. Penso che il governo italiano voglia proprio arrivare al superamento del sindacato come soggetto politico di rappresentanza sociale. Imporre la contrattazione aziendale rispetto a quella nazionale vuol dire pensare a un modello americano di relazioni sociali e politiche. Ci vedo un collegamento con la riforma costituzionale di Renzi, un testo che fa a cazzotti con la rappresentanza democratica così come una dimensione puramente aziendale di gestione delle relazioni fa a cazzotti con la rappresentanza democratica nei posti di lavoro.
Sulle pensioni però il governo ha avviato un tavolo con i sindacati. La considera una mossa elettorale in vista del referendum di ottobre?
Da un lato il governo si è reso conto che il taglio alle pensioni non è più sopportabile e aver portato l’età  pensionabile a 70 anni ha aumentato la disoccupazione giovanile. Dall’altro lato, però, il governo non si è detto pronto a ricercare un accordo con i sindacati. Si è invece affrettato a dire che la decisione spetta a Palazzo Chigi. Non voglio banalizzare ma uno che pensa che deve decidere lui e che non parla nemmeno di accordi, forse non ha tutto quel consenso che pensava di avere nel paese. Penso che il consenso di Renzi si stia incrinando: lui ha il consenso della minoranza del paese.
Diceva che in Italia la partita non è finita. Eppure però la coalizione sociale, cui lei ha dedicato larga parte del suo impegno l’anno scorso, non è nata…. Come se lo spiega?
Sarà  perchè sono stato poco bravo io. E anche perchè molto spesso è stata declinata come un partito politico. E noi non volevamo fare la somma dei soggetti che c’erano già . Non so se coalizione sociale sia l’espressione giusta. La nostra idea era di unità  sociale o riunificazione di tutto il mondo del lavoro ed è ancora aperta. Ora per esempio per la prima volta in cento anni di storia, la Cgil si sta facendo promotrice di referendum abrogativi del Jobs Act e della riforma della scuola. Stiamo raccogliendo le firme e le consegneremo a luglio. Chiediamo a tutti di andare a votare per cancellare leggi sbagliate. E’ questa la novità : mentre in passato io da sindacalista andavo a chiedere di applicare le leggi adesso devo chiedere di non applicare leggi sbagliate. Del resto quello che è mancato in Italia negli ultimi anni è la democrazia: da Monti a Letta, a Renzi, tutti governi eletti dal Parlamento ma non su mandato del popolo. Governi che non hanno applicato i programmi che il popolo chiedeva ma quelli chiesti dall’Europa e dalle istituzioni finanziarie. Non a caso sempre meno gente va a votare. Ecco perchè penso ancora che il sindacato debba svolgere un lavoro di produzione di cultura, come soggetto di iniziativa politica, oltre al classico lavoro sindacale.
Naturalmente la Fiom è schierata sul no al referendum costituzionale?
Io personalmente si e lo sto già  facendo. Del resto, senza la Corte Costituzionale noi non avremmo vinto la battaglia giudiziaria e sindacale con la Fiat. E in più poi c’è il tema della legge elettorale, che è il completamento della riforma costituzionale. Una legge elettorale pericolosa e antidemocratica che rischia di determinare una logica autoritaria nella non rappresentanza del paese. La Cgil ha già  prodotto un documento con un giudizio negativo sulla riforma costituzionale, quando sarà  il momento si discuterà  cosa fare ma io personalmente sono già  impegnato per il no. Questa non è una riforma ma una revisione della Costituzione: invece bisognerebbe cambiare le leggi fatte negli ultimi anni e applicare la costituzione.
Anche la riforma costituzionale è stata chiesta dalle stesse istituzioni finanziarie che ci hanno dettato l’austerity?
Non lo dice la Fiom ma lo dicono documenti ufficiali di alcune grandi istituzioni finanziarie, documenti che sottolineano la necessità  di cancellare le costituzioni antifasciste. Sono atti pubblici, non è complottismo. Il Jobs Act, la riforma della scuola e quella della Costituzione sono revisioni non riforme che vanno nella direzione di trasformare la repubblica fondata sul lavoro in un ente fondato sull’impresa, sul mercato e sul profitto. Al centro dovrebbe esserci la persona, non mi pare che sia così. E comunque vive la France!

(da “Huffingtonpost”)

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STRAGE ORLANDO, IL MUSULMANO CHE DONA IL SANGUE E SCRIVE UN POTENTE MESSAGGIO DI SOLIDARIETA’

Giugno 14th, 2016 Riccardo Fucile

CITTADINI IN CODA PER ORE SOTTO IL SOLE AD ASPETTARE IL PROPRIO TURNO PER DONARE IL SANGUE PER I FERITI

Ha donato il sangue, anche se non poteva mangiare nè bere a causa del Ramadan. Mahmoud ElAwadi, musulmano di 36 anni, emigrato dall’Egitto agli Stati Uniti, non ci ha pensato due volte a portare il suo piccolo aiuto ai sopravvissuti e ai feriti della strage di Orlando.
Su Facebook ha pubblicato la foto del prelievo e ha scritto un potente messaggio di solidarietà , che ha raggiunto più di 400mila “mi piace” e oltre 170mila condivisioni. “Come essere umano – ha spiegato poi – era il minimo che potessi fare per i miei amici americani”.

– Sì, il mio nome è Mahmoud, un orgoglioso musulmano americano
– Sì, ho donato il sangue nonostante io non possa mangiare nè bere a causa del Ramadan, come lo hanno donato centinaia di altri musulmani qui ad Orlando
– Sì, sono arrabbiato per ciò che è successo l’altra notte e per tutte le vite innocenti che abbiamo perso
– Sì, sono triste, frustrato e furioso per il fatto che un pazzo proclamatosi musulmano abbia fatto questo atto vergognoso
– Sì, sono stato testimone della grandezza di questo Paese, dal momento che ho visto centinaia di persone stare in piedi sotto al sole ad aspettare il loro turno per donare il sangue, dopo che era stato detto loro che c’erano almeno 5-7 ore di attesa
– Sì, questa è la nazione più grande sulla Terra: ho visto persone di ogni età , inclusi i bambini, distribuire volontariamente acqua, succhi di frutta, ombrelli, creme solari. Ho anche visto i nostri anziani veterani andare a donare il sangue e, insieme a loro, donne musulmane con con il hijab portare cibo e acqua ai donatori in fila
– Sì, possiamo rimanere uniti e prendere posizione contro l’odio, il terrorismo, l’estremismo e il razzismo
– Sì, il nostro sangue ha lo stesso aspetto quindi uscite fuori e donate perchè i nostri concittadini americani sono feriti e ne hanno bisogno
– Sì, la nostra comunità  nella Florida centrale ha il cuore spezzato ma mettiamo i nostri colori, le nostre religioni, etnie, i nostri orientamenti sessuali, le nostre idee politiche in disparte e uniamoci contro chi ha provato a ferirci

Mahmoud ElAwadi è stato uno dei tanti cittadini rimasti in piedi per ore sotto al sole ad aspettare il proprio turno per donare il sangue.
Un gesto d’amore, di civiltà  e di solidarietà , che a molti è venuto del tutto spontaneo. “Grazie per averci ricordato che siamo un’unica grande comunità  in lotta contro l’odio”, si legge in uno dei commenti sotto al post.
Molti utenti lo hanno ringraziato per aver dimostrato che l’Islam “è una religione di pace”: “Hai fatto ciò che avrebbe fatto qualsiasi altro buon musulmano”, scrive uno di questi.
“Guardate il mio sangue – ha aggiunto ElAwadi -. Non è diverso da quello di un altro, non importa ciò in cui crediamo e quale sia il nostro nome, siamo tutti esseri umani, alla fin fine”.

(da “Huffingtonpost“)

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CAOS SPOGLI TRA RITARDI E ANOMALIE: A PIU’ DI UNA SETTIMANA DAL VOTO IN ALCUNE CITTA’ NON SI HANNO ANCORA TUTTI I RISULTATI

Giugno 14th, 2016 Riccardo Fucile

TUTTI I CASI DALLA CALABRIA ALLA LOMBARDIA… VOTO DISGIUNTO E STANCHEZZA DEGLI SCRUTATORI

Scrutatori stanchi, sottoposti a lunghissimi turni di lavoro a causa del voto concentrato in una sola giornata.
Aggiungi la complicazione del voto disgiunto che ha rallentato il lavoro, portando in molti casi all’annullamento delle schede.
Il risultato è stato che, in alcune città , i conti non tornavano. E così i magistrati hanno ordinato il riconteggio delle schede. Spoglio pasticciato anche nella Capitale: a più di una settimana dal voto ancora non sono disponibili i risultati definitivi degli eletti nei municipi.
Solo in Friuli Venezia Giulia lo scrutinio è cominciato direttamente alle 8 di mattina di lunedì 6 giugno, a mente più fresca e riposata.
Ecco i principali casi di “anomalie” dalla Calabria alla Lombardia.
Roma. Il Comune ha preteso che lo spoglio venisse eseguito subito e per intero. I seggi hanno lavorato tutta la notte e completato le operazioni la mattina del 6.
Per il personale, una maratona di oltre 24 ore di lavoro: facile commettere errori. Dopo lo spoglio nelle varie sezioni, le urne sono state sigillate e portate al seggio centrale di via dell’Arcadia, nell’area dell’ex Fiera, dove sono state riconteggiate quasi integralmente in un clima di tensione e contestazioni da parte di diversi rappresentanti di lista, al punto da rendere necessario l’intervento delle forze dell’ordine.
Tra verbali non compilati, in bianco o incompleti, sezioni commissariate, intere urne da scrutinare ex novo scheda per scheda, voti che non coincidevano con quelli dei rappresentanti di lista in almeno 30 sezioni sono state riscontrate anomalie.
Bologna.
Nella città  delle Torri   il comitato del presidente uscente del quartiere Santo Stefano, Ilaria Giorgetti, sconfitta alle urne, ha deciso di chiedere il riconteggio dei voti contro quello che chiamano “il partito delle schede bianche”.
È la stessa Giorgetti a spiegarne i motivi: “Il mio comitato ha chiesto il riconteggio delle schede perchè abbiamo notato che c’è qualcosa di strano, un’incongruenza tra il voto per il Comune e quello per il Santo Stefano. Le schede bianche del quartiere sono il quadruplo rispetto a quelle per il consiglio comunale, è impossibile. È come se ci fosse un partito delle schede bianche in Santo Stefano. Per questo vogliamo vederci chiaro, chiediamo solo verità  e giustizia”.
Il voto nel quartiere, in effetti, conta ben 2.059 schede bianche, mentre in tutto il Comune di Bologna per le elezioni del consiglio comunale sono state 1.846.
Crotone.
La città  calabrese è un caso limite perchè ancora non si sa bene come siano veramente andate le elezioni.
Per ora con certezza si conoscono solo i nomi dei candidati sindaco che andranno al ballottaggio: Rosanna Barbieri del Pd e Ugo Pugliese, sostenuto da quattro liste civiche. Ma i dati relativi alle preferenze sono ancora oscuri.
Il 10 giugno il sito del Comune aveva pubblicato i voti ottenuti dalle 25 liste in campo, ma poi li ha cancellati perchè sono state riscontrate gravi incongruenze: il numero delle preferenze espresse era superiore a quello dei votanti.
Da oltre una settimana la commissione elettorale del Tribunale si sta occupando di terminare lo spoglio di nove sezioni che non erano riuscite a completare le operazioni entro le 12 di lunedì 6.
Anche in questo caso ci sarebbero anomalie: dai plichi sigillati sarebbero spuntate fuori schede vidimate superiori al numero dei votanti e i conti non tornerebbero sul numero di schede nulle e contestate.
Milano.
Dubbi sui conteggi anche nel capoluogo lombardo, dove in due municipi tra il candidato presidente di centrodestra e centrosinistra lo scarto dei voti è talmente basso che Pietro Bussolati, il segretario Pd, ha chiesto il riconteggio in base alle segnalazioni dei cittadini perchè “lo scrutinio è avvenuto in piena notte”.

(da “La Repubblica”)

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FASSINO, IL VOLTO DA NOVECENTO DEL COMUNISTA PONTIERE

Giugno 14th, 2016 Riccardo Fucile

DAI CANCELLI DI MIRAFIORI A CASA AGNELLI

«Piero, cambia faccia!». Al termine del primo confronto televisivo il caloroso invito non gli è arrivato solo dai suoi collaboratori, ma anche da sua moglie.
La presenza della ex deputata Anna Serafini, che salutava uno a uno i giornalisti nello studio di Sky, era un’altra prova del fatto che il momento è delicato.
L’atteggiamento, il linguaggio del corpo mostrato da Piero Fassino in questa volata verso il ballottaggio, è uno degli argomenti più dibattuti, nel suo campo e in quello avversario.
Sembra quasi che non riesca ad accettare di essere messo in discussione, contestato addirittura, da un avversario inedito. «Ne ho una sola, ed è questa», ribatteva arrabbiato agli strateghi elettorali. «E non intendo cambiarla adesso, non ne sono capace»
Sulla faccia dell’attuale sindaco, figlio della Torino antifascista e operaia, progressista e moderata, c’è un bel pezzo di Novecento.
Nessuno più di lui nella politica di oggi è intriso dei fatti e dei valori del secolo scorso. «Le questioni sono tre».
L’altro giorno, guardando il faccia a faccia in onda su Sky in una sezione di Borgo San Paolo, un tempo quartiere operaio, i vecchi compagni si davano di gomito ogni volta che ripeteva questo intercalare, che al pari di «è una priorità », altro suo tormentone, viene dritto dalla scuola di partito, dai «manuali di dibattito nelle assemblee di fabbrica» che venivano redatti in quella Trofarello, un borgo appena fuori Torino, che stava al Piemonte come le Frattocchie al resto del Pci.
Il nonno paterno si chiamava Piero, era socialista e venne bastonato a morte dai fascisti per non aver rivelato dove si trovava il figlio Eugenio, detto Geni, capo partigiano.
I Fassino erano ricchi di famiglia, carburanti e pompe di benzina. Benestante e comunista, in odor di sacrestia, con l’iscrizione al Pci che arriva a vent’anni dopo il collegio dai gesuiti. Da una chiesa all’altra.
Nel suo ufficio c’è una sola foto che gli ricorda quel che è stato.
Un giovane Fassino che accompagna Enrico Berlinguer ai cancelli della Fiat, nel fatidico 1980 dei 35 giorni e della marcia dei quarantamila.
«Pronto? Sono Cesare Annibaldi della Fiat, l’Avvocato vorrebbe conoscerla…».
A trentadue anni diventa il primo comunista a entrare in casa Agnelli. La sua fama di pontiere nasce presto. È il comunista che piace alla grande industria, che tiene i rapporti con il Psi vagheggiando una nuova stagione unitaria, che mette pace tra Massimo D’Alema e Walter Veltroni, organizzando un loro incontro a due proprio con l’Avvocato.
Cucire, traghettare, come ha fatto con i Ds, ultimo segretario prima dell’approdo al Partito democratico.
Ne ha viste tante, Piero Fassino, l’ex responsabile fabbriche del Pci torinese negli anni bui, uno dei primi a dire che le Brigate rosse giocavano «nella nostra metà  campo». Anche per questo, e per una immutabile dedizione al lavoro, i vecchi militanti gliene hanno perdonate altrettante.
Dal «mi sono iscritto al Pci per combattere il comunismo» contenuto nella sua autobiografia fino alla conversione al renzismo, parecchio lontano dalla sua formazione culturale.
Ma non aveva mai visto una sfida di questo genere, portata nella città  dove è cresciuto da un movimento nato e cresciuto nel nuovo secolo, che utilizza strumenti moderni e a lui ostici come la Rete, che non gli riconosce alcuna autorità  morale, anzi.
Cambiare faccia. Come se fosse facile, con tutta questa vita, con tutto questo passato.

Marco Imarisio
(da “il Corriere della Sera”)

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APPENDINO, LA TIMIDA TERZINA APPASSIONATA DI RISIKO CHE TIFAVA VENDOLA PRIMA DEI CINQUESTELLE

Giugno 14th, 2016 Riccardo Fucile

FAMIGLIA BENESTANTE, LAUREATA ALLA BOCCONI, “PRIMA DELLA CLASSE”: LA RAGAZZA TIMIDA CRESCIUTA IN FRETTA

Al primo giorno di consiglio comunale rovinò la festa chiedendo di spegnere le videocamere che stavano immortalando l’ingresso in Sala rossa dei primi due neoconsiglieri di M5S.
I pionieri torinesi del movimento fondato da Beppe Grillo si guardarono perplessi. Come era possibile che fosse stata eletta una candidata affetta da una timidezza così patologica al punto da impedirle di parlare?
La risposta è fornita da Marco Lavatelli, professione imprenditore e marito.
«Era e sempre sarà  la prima della classe, che studia tanto e cerca di emergere, vincendo un carattere, diciamo così, molto riservato».
Chiara Appendino non è una pentastellata primigenia.
Qualcuno la ricorda invaghita politicamente di Nichi Vendola, presente ai suoi primi comizi torinesi, e di certo ancora in casa Sel la considerano una compagna che sbaglia.
Alla vigilia del Natale 2010 passeggiava in compagnia del futuro marito a Porta Palazzo quando si fermò al gazebo di M5S dove si teneva una assemblea aperta.
Nel silenzio generale, alcuni attivisti erano chini da una decina di minuti su un grosso libro. Era il bilancio del Comune di Torino. «Se volete vi do una mano…», disse. Anzi, la frase fu pronunciata per interposta persona, da Marco. Cominciò così, quasi per caso.
La prima volta che andò a trovarla nella sua casa in collina per conoscerla meglio, il suo collega di consiglio comunale, l’ex candidato sindaco Vittorio Bertola, celò qualche perplessità  davanti alla sua richiesta di farsi una partita a Risiko.
«Aiuta a capire ed allena la mente», fu la spiegazione di Chiara.
Nella villa di famiglia c’era una vera e propria sala dei giochi, con al centro un grande flipper americano, colorato e ancora funzionante.
Ma al netto della timidezza, Appendino non era una sprovveduta, e neppure una sconosciuta a Torino.
Il padre Domenico è stato a lungo dirigente di Prima Industrie, l’azienda specializzata in macchinari laser creata da Gianfranco Carbonato, attuale presidente di Confindustria Piemonte.
Chiara studia alla Bocconi, dove si laurea in finanza aziendale con una tesi su Gestione dei costi in una società  di calcio: la valutazione del parco giocatori , omaggio alla sua grande passione.
Fino ai 25 anni ha giocato a pallone, nel ruolo di terzino.
Il tennis, invece, le è valso la conoscenza di Marco, incontrato su un campo in terra battuta. Si sposano presto, in chiesa, per convinzione di entrambi e non solo per omaggiare un antenato prete al quale è dedicata una via della città .
Dopo un lungo stage alla Juventus, dove contribuisce a redigere il bilancio dell’unica stagione in serie B, Chiara si mette a lavorare nell’azienda del marito, erede di una società  specializzata nell’oggettistica casalinga. Ma dura poco.
È Marco a dirle di provarci. «Ancora non lo sai, ma sei fatta per la politica». Lei si fida. Il corso accelerato prevede Adriano Olivetti e la sua Comunità , e il meno ortodosso Roberto Mancini, filosofo e teorico dell’obbedienza solo alla felicità .
«Consigliera Appendino, lei sembra non sapere che qui a Torino abbiamo molti eventi culturali». «Sbaglia signor sindaco, io ci vado sempre». «Me se non la vedo mai». «Beh, lei sta sempre sul palco o in prima fila, io invece tra le persone normali». «Devo ammettere, consigliera, che a volte la trovo insopportabile».
È una sera di febbraio del 2013, una discussione come tante sull’ordine del giorno. Paolo Giordana, dirigente del Comune di Torino, laurea in teologia, una delle persone più ascoltate all’interno di M5S torinese, prende nota.
La ragazza timida è cresciuta in fretta.

(da “il Corriere della Sera”)

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FASSINO-APPENDINO SFIDA ALL’ULTIMO VOTO

Giugno 14th, 2016 Riccardo Fucile

L’ANALISI DEI FLUSSI ELETTORALI A TORINO: ELETTORATO DI SINISTRA INFEDELE, BALLOTTAGGIO INCERTO

Un elettorato del centrosinistra sempre più “mobile” e un Movimento 5 stelle che non prende voti solo dal Pd sono gli elementi che rendono incerto l’esito del ballottaggio delle amministrative a Torino.
A sostenerlo è l’analisi dei flussi elettorali nel capoluogo del Piemonte dell’Istituto Cattaneo a pochi giorni dal secondo turno tra Chiara Appendino (M5s) e Piero Fassino (Pd).
Secondo i dati analizzati dai ricercatori Marta Regalia e Marco Valbruzzi infatti, l’elettorato di centrosinistra a Torino non è più fedele, tanto che dal 2011 a oggi la metà  ha deciso di abbandonare il candidato del suo schieramento.
“Il voto”, si legge nel report, “non è più un atto di fede, un simbolo di appartenenza vita natural durante. E la mobilità  ha raggiunto anche quello che era considerato un elettorato granitico“.
A guadagnare da questa nuova fluidità  è in primo luogo il Movimento 5 stelle che con il passare degli anni si è rivelato sempre meno costola del centrosinistra e sempre più un partito “pigliatutto” capace di pescare da più parti.
Mettendo a confronto le ultime tre tornate amministrative, risulta infatti che chi ha deciso di restare “fedele” dopo cinque anni di amministrazione si è ridotto notevolmente.
In occasione ad esempio del secondo mandato di Sergio Chiamparino nel 2006, il 92,4 per cento degli elettori di centrosinistra decise di riconfermare il proprio sostegno al sindaco uscente.
Nel 2011 invece, quando subentrò il candidato Piero Fassino, le preferenze diminuirono del 10 per cento: in quell’occasione furono infatti l’82,9% degli elettori del centrosinistra a restare fedeli.
Ma il vero cambiamento risale appunto al 2016: al primo turno delle amministrative di dieci giorni fa, solo il 44,1 per cento degli elettori di centrosinistra ha confermato la sua posizione.
I restanti si sono dispersi su altri candidati: il 31 per cento ha scelto la grillina Appendino, il 4,7% Giorgio Airaudo, l’1,8% Roberto Rosso, il 4,4 per cento altri candidati.
Il 13,3 per cento ha deciso di non andare a votare e si è astenuto.
Nell’analisi dei flussi elettorali è interessante anche notare come è cambiata l’identità  di chi vota per i 5 stelle negli anni.
Gli elettori grillini nel 2011, la prima tornata amministrativa in cui il Movimento ha presentato un candidato, vennero per l’85,2 per cento dal centrosinistra.
Diversa è la situazione nel 2016: qui solo il 65,7 per cento è un ex elettore a sinistra, mentre i restanti provengono da centrodestra (4,7 per cento), altri partiti (10,1%) ed ex astenuti (4,8%).
L’esito del ballottaggio è quindi non è scontato, anche perchè secondo l’Istituto Cattaneo gli elettori torinesi dimostrano di essere disposti a rimettersi in gioco.
L’ultima volta che i cittadini di Torino vennero chiamati a un secondo turno di elezioni fu nel 2001 quando Chiamparino sfidò il centrodestra di Rosso.
In quel caso, si legge sempre nel report, il centrosinistra vinse anche perchè fu capace di raccogliere nuovi voti da chi al primo turno aveva scelto Rifondazione (3,8 per cento), da chi si era schierato con altri partiti (4,8%) e chi non si era recato alle urne (2,4%).
Rosso invece pescò dal centrosinistra (3,7 per cento) e da altri partiti (9,7%), ma perse molto nell’astensione.

(da “il Fatto Quotidiano“)

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“INTERVENTO RIUSCITO”: BERLUSCONI OPERATO A CUORE APERTO PER OLTRE 4 ORE

Giugno 14th, 2016 Riccardo Fucile

ORA TRASCORRERA’ 48 ORE NEL REPARTO DI TERAPIA INTENSIVA

Dopo quattro ore e mezza di sala operatoria, l’intervento a cuore aperto su Silvio Berlusconi è terminato.Tutto è andato come previsto.
Lo confermano il primario di cardiochirurgia Ottavio Alfieri che l’ha operato (“L’intervento è stato portato a termine senza complicazioni, tecnicamente è andato tutto come previsto”) e il suo medico personale, Alberto Zangrillo che è anche primario di Anestesia e Rianimazione nell’ospedale San Raffaele di Milano, dove Berlusconi è stato operato: “Tutto come previsto”.
Il leader di Forza Italia tornerà  nella sua stanza al sesto piano del padiglione D solo tra un paio di giorni, quando avrà  superato la prima fase post-operatoria: ora si trova nel reparto di terapia intensiva chirurgica dove resterà  48 ore affinchè i medici possano monitorare costantemente gli esiti dell’intervento.
Qui lo ha raggiunto la compagna, Francesca Pascale
Il primo a dichiarare che l’esito dell’operazione era positivo era stato Gianni Letta: “Tutto bene, ora sono più tranquillo. Scusate ma ero in ansia” aveva detto pochi minuti dopo le 12.30 dopo aver ricevuto una telefonata dal San Raffaele.
Quando potrà  uscire dalla terapia intensiva, Berlusconi tornerà  in reparto, nella stessa stanza in cui si trova ricoverato dal giorno in cui si è sentito male per uno scompenso cardiaco.
Qui dovrebbe passare circa una settimana di degenza, poi dovrà  sottoporsi per un mese alla riabilitazione tipica dei pazienti che hanno subìto un intervento al cuore.
In stanza, ad aspettare la fine dell’operazione, si erano riuniti tutti i figli di Berlusconi, il fratello Paolo e la Pascale che, affacciandosi per un istante dalla finestra della camera da letto dell’ex cavaliere, era apparsa molto preoccupata.
Presente anche Fedele Confalonieri che ha detto: “Il Cavaliere è forte e supererà  anche questa”.
Il leader di Forza Italia era stato portato nella sala operatoria intorno alle 8 del mattino. Qui il chirurgo Alfieri, l’aiuto Alessandro Castiglioni e Zangrillo hanno iniziato il delicato intervento che consisteva nella sostituzione della valvola aortica. Alla vigilia dell’intervento, il primario di cardiochirurgia si era confidato con gli amici dicendo loro: “Sento la pressione mediatica e la responsabilità  della giornata”.

(da agenzie)

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