Giugno 16th, 2016 Riccardo Fucile
PESA IL TASSO DI INTERESSE APPLICATO AL PRESTITO… IL NODO DELLA POLIZZA ASSICURATIVA
Quasi un quarto di pensione in meno.
Lasciare il posto di lavoro tre anni prima significa rinunciare almeno per vent’anni a 400 euro al mese. E recuperarne, dal ventunesimo in poi, la metà . A quasi 87 anni suonati. Ma con tre anni di riposo aggiuntivi alle spalle.
È tutto qui lo scenario base dell’Ape, l’anticipo pensionistico pensato dal governo come risposta all’esigenza di flessibilità in uscita, seppur sperimentale nel triennio 2017-19, poi si vedrà .
Un dipendente pubblico o privato, nato tra il 1951 e il 1953, dal prossimo anno potrà chiedere di andare in pensione fino a tre anni prima rispetto al requisito di vecchiaia pari a 66 anni e 7 mesi.
Ottenendo così un anticipo sull’assegno futuro, in pratica un prestito dalle banche (ma erogato tramite Inps), garantito da un’assicurazione in caso di morte, che poi restituirà in vent’anni, a un tasso di interesse da fissare, finendo così di pagare a 86 anni e 7 mesi.
La pensione anticipata subirà per forza di cose una penalizzazione: non esplicita, da norma ad hoc, ma implicita (e logica) perchè nel calcolo verranno a mancare da uno a tre anni di versamenti contributivi
Nel caso base descritto da Progetica, società indipendente di consulenza, si ipotizza un tasso di interesse (il costo pagato alla banca per il prestito) all’1,5%, considerato ragionevole dagli esperti di Palazzo Chigi.
Altre elaborazioni, come quelle diffuse ieri dalla Uil – Servizio politiche previdenziali, azzardano addirittura un 3%.
In questo caso, per il segretario confederale Domenico Proietti, il pensionato da 2.500 euro netti mensili rischia “un taglio dell’assegno fino al 20%” per l’anticipo di tre anni. Una rata di restituzione cioè pari a un quinto della sua pensione netta e al 15% di quella lorda, tetto massimo fissato dal governo. “Se così fosse, l’anticipo non sarebbe conveniente per il lavoratore “, conclude il sindacato.
Ma non sarà per tutti così. Esodati, bassi redditi, vittime di ristrutturazioni aziendali potranno contare su detrazioni fiscali selettive e graduate “in base al reddito”, ipotizza Palazzo Chigi, per un costo pubblico entro il miliardo di euro.
In grado di coprire in tutto o in parte la quota interessi del prestito e in alcuni casi anche un pezzetto della quota capitale, così da alleggerire la rata.
Ma è chiaro sin da ora che la nonna desiderosa di trastullarsi col nipotino (l’esempio fatto da Renzi) – e tutti gli altri pensionati che scelgono di uscire prima non perchè costretti – dovranno mettere in conto di pagare l’Ape come fosse un piccolo mutuo, interessi compresi. Soprattutto se benestanti.
Il calcolo di Progetica è illuminante.
Un lavoratore nato il primo giugno 1953, con reddito netto mensile da 2 mila euro, può contare su una pensione di vecchiaia di circa 1.703 euro (ipotizzando una carriera tranquilla e senza salti, con inizio a 25 anni, retribuzione cresciuta dell’1,5% nel corso del tempo).
Se sceglie però l’Ape e anticipa l’uscita di tre anni (il primo gennaio 2017 anzichè nel maggio 2020), si assicura un assegno decurtato del 10%, pari a 1.542 euro.
Finito il triennio di anticipo della pensione, inizia a restituire il prestito, con rate pari a 240 euro.
Il suo assegno scivola così a 1.301 euro per vent’anni. Dopo risale a 1.542.
Rispetto ai 1.703 euro di pensione “potenziale”, per due decenni incassa il 24% in meno, ma con tre anni in più di pensione.
Se anticipasse solo di due anni, il taglio sarebbe del 15%. Se preferisse uscire giusto un anno prima, rinuncerebbe al 7% di pensione.
Troppo? Giusto? Accettabile? Lo decideranno i lavoratori, almeno 30-40 mila interessati, secondo le prime stime.
Specie i nati nel 1953, visto che le classi ’51-’52 sono state già aiutate con diversi interventi correttivi della Fornero.
Quali i nodi sul tappeto? La questione dell’assicurazione in caso di morte, su tutti. Il governo ipotizza un periodo di 20 anni per restituire l’Ape.
Ma la speranza di vita, calcolata dall’Istat, è ora ferma a 19 anni (media ponderata tra i 17,3 anni degli uomini e i 20,6 delle donne). Questo significa che le assicurazioni dovranno coprire almeno un anno in media.
E chi paga il premio? Lo Stato? Altra questione, il tasso applicato dalle banche (del cui intervento non si può fare a meno, dice il governo, se non si vuole spendere 10 miliardi l’anno). Un tasso troppo alto rende l’Ape meno appetibile. O troppo impegnativa la copertura pubblica.
Valentina Conte
(da “La Repubblica”)
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Giugno 16th, 2016 Riccardo Fucile
I NUOVI HOOLIGANS NON HANNO NULLA A CHE FARE CON L’IDEOLOGIA ULTRAS: SONO VERI E PROPRI COMBATTENTI, USANO STRATEGIE MILITARI, NON BEVONO, SONO ULTRA-ORTODOSSI, NEONAZISTI E OMOFOBI
Qualche centinaio di loro hanno seminato il panico al Vieux Port di Marsiglia. Altri 4o sono stati fermati e
messi in cella mentre da Cannes si stavano trasferendo a Lilla. Arresti preventivi, perchè ora i tifosi russi fanno paura. E polemica. Che quando si parla di Cremlino spesso e volentieri diventa politica.
E’ successo anche questa volta. La Russia, infatti, ha convocato l’ambasciatore francese a Mosca, Jean-Maurice Ripert, per protestare contro gli arresti. A riferirlo è stato il ministero degli Esteri russo in una nota in cui, tra le altre cose, si legge che “altre espressioni anti russe legate alla partecipazione della nostra nazionale ai campionati europei potranno danneggiare in modo sostanziale le relazioni bilaterali”.
Tutto ciò dopo che il ministro Sergei Lavrov, in un intervento alla Duma, aveva denunciato come “inaccettabile” il fermo dei 40 hooligans russi a Cannes.
Dopo i 200mila euro di multa e l’espulsione dal torneo con la condizionale (pena che diventerà effettiva solo in caso di altri incidenti all’interno di uno stadio) la questione russa ha acquistato anche contorni diplomatici.
Al netto delle sanzioni decise dalla Uefa dopo le violenze di Marsiglia, con la federcalcio europea che può prendere provvedimenti solo per quanto accade negli impianti e non per quello che succede fuori.
Intanto però, fuori continuano a menarsi. A Lille un gruppo di hooligans russi ha attaccato tifosi di Inghilterra e Galles, i quali a loro volta hanno tirato monetine e umiliato quattro bambini, forse rom, forse rifugiati, che mendicavano per strada. Lo schifo è ovunque.
La violenza però, per quello che si può capire dalle immagini e dai video postati sui vari siti e social network di riferimento, è principalmente russa.
Stupisce lo stupore della stampa italiana e internazionale che si accorge di un fenomeno, la violenza delle tifoserie organizzate russe, che esplode a inizio anni Novanta con la dissoluzione sovietica e si è riorganizzata in nuova forma da almeno una decina di anni. La nuova leva degli hooligans russi, quelli che abbiamo visto in azione a Marsiglia, ha poco a che fare con l’ideologia ultras di chi li precedeva, sono veri e propri combattenti: spesso straight edge (niente fumo nè alcool), sempre ultraortodossi, omofobi e neonazisti. Le prime forme di tifo organizzato in Russia nascono negli anni Settanta e Ottanta come imitazione degli inglesi, da qui i nomi anglofoni che resistono ancora oggi (Gladiators, TroubleMakers, Old Butchers, Snakes Firm etc.), l’esposizione di striscioni in lingua inglese il medesimo abbigliamento di riferimento.
Se le tendenze politiche sono già di estrema destra, si tratta ancora di gruppi cosiddetti Ultras, che seguono la squadra e puntano al controllo del territorio inteso come stadio e città .
Negli anni Novanta cominciano le prime connessioni con i partiti minoritari ultranazionalisti, di estrema destra, sinistra, o rossobruni tout court, e con la criminalità organizzata.
I gruppi di tifosi sono reclutati per spedizioni punitive di carattere politico o criminale che poco o nulla hanno a che fare con la squadra o lo stadio.
Cominciano a farsi conoscere anche all’estero con spedizioni in puro stile hooligans, con il sogno proibito di prendersi lo scettro degli inglesi in disarmo come sovrani del terrore. Ma è negli ultimi anni che la nuova leva assume la sua attuale fisionomia totalmente extracalcistica.
I nuovi membri delle tifoserie organizzate russe sono persone che hanno fatto la Cecenia, ex soldati che si strutturano in vere e proprie organizzazioni paramilitari e che poi si ritrovano come manovalanza in Crimea o nel Donbass.
Lo stadio diventa palestra di ardimento, come i boschi o le pianure innevate.
Si studiano tecniche di combattimento, lotta a mani nude, resistenza fisica e spirituale al dolore attraverso arti marziali come il Systema. Salta completamente la rivalità calcistica. I nuovi scontri sono su base etnica e religiosa, slavi contro caucasici, cristiano-ortodossi contro infedeli.
Dallo stadio la violenza tracima e si riversa nelle strade, come a Mosca nel 2010 quando la tifoseria dello Spartak mise la città a ferro e fuoco.
Questi gruppi spesso si alleano tra di loro, negli assalti omofobi ai Gay Pride, nelle spedizioni punitive contro le minoranze etniche, nelle battaglie nazionaliste e di retroguardia come quelle del Donbass.
A Marsiglia era presente una specie di Russian Union che vedeva insieme tifosi di Lokomotiv, Spartak e Cska di Mosca con quelli dello Zenit di San Pietroburgo.
In un paio di azioni si sono uniti a loro, per affinità elettive neonaziste, anche membri della Boulogne, dissolto gruppo del Paris Saint Germain.
Mentre ha agito per i fatti suoi, in un paio di azioni notturne, la tifoseria dell’Olympique Marsiglia, di estrema sinistra e multietnica, che non si è alleata con gli inglesi per il ricordo del 1998 e perchè gli stessi tifosi inglesi davano la caccia agli arabi al grido di “spazzeremo l’Isis”.
Proprio i precedenti del 1998, i durissimi scontri a Marsiglia tra ragazzi delle banlieues e gli hooligans inglesi, così come gli scontri tra tifoserie a Italia ’90 e a Germania ’96, prima ancora di quelli recenti culminati con la battaglia russo-polacca del 2012, dovrebbero spazzare via ogni sociologia d’accatto sulla violenza figlia della crisi economica o della fragile tenuta dell’Unione Europea.
Così come è assurdo sostenere che questa ondata di violenza russa a Euro 2016 faccia parte di una strategia antieuropea di Vladimir Putin, al netto dei deliri del deputato e membro della federcalcio russa Igor Lebedev che sui social ha inneggiato agli scontri. Importante invece mettere in evidenza le falle macroscopiche del sistema di sicurezza francese nel non prevedere quanto sarebbe successo, nel lasciare campo libero agli hooligans mentre si attacca chi protesta contro la Loi Travail, e nell’intervenire maldestramente alla fine sparando gas lacrimogeni a casaccio.
Importante anche, come ha fatto il network antirazzista Fare, monitorare questa nuova leva di hooligans guidati dal vecchio Alexander Shprygin (in possesso di regolare accredito e pass della federcalcio russa), un neonazista russo che fin dai primi anni Duemila ha lavorato alla trasformazione delle vecchie tifoserie organizzate russe in battaglioni d’assalto reazionari extracalcistici.
Questa è la nuova leva che da qualche anno infesta il continente. Picchiatori che si definiscono loro stessi “fighters” in opposizione ai vecchi “ultras”, che non adottano certo nuove strategie militari (basta guardare i video, in pantaloncini e maglietta si dispiegano in un semplice “mordi e fuggi” già visto e rivisto) ma attaccano per ribadire una supremazia etnica e religiosa.
Ideologia molto simile a quella proposta da Hogesa (Hooligans gegen Salafisten) gruppo multi-squadre natio in Germania e che da qualche anno sta cercando di fare proseliti in Europa.
Non è solo la Russia il problema.
Luca Pisapia
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 16th, 2016 Riccardo Fucile
“IL MONDO NON SARA’ PIU’ LO STESSO, L’AUMENTO DEI DISOCCUPATI FARA’ ESPLODERE LE DISEGUAGLIANZE”
“Se vincerà la Brexit il mondo non sarà più lo stesso». Lo scozzese Angus Deaton, Premio Nobel per l’economia 2015 per i suoi studi su diseguaglianza e povertà , in questi giorni si trova in Italia, a Iseo, per la Summer School, il corso di studi che ogni anno riunisce oltre 70 giovani laureandi da molti Paesi del mondo per assistere alle lezioni di diversi Premi Nobel. La possibile uscita di Londra dall’Ue lo preoccupa.
Come cambierà il mondo con la Brexit?
«Negli ultimi 40 anni il mondo è diventato più uguale. Le diseguaglianze si sono ridotte e una grande fetta delle classi più povere è ascesa a classe media. Questa evoluzione però non è dovuta alle decisioni della politica ma è un effetto della crescita economica e della globalizzazione. Ora lo sviluppo economico sta via via perdendo velocità . Allo stesso tempo stanno aumentando le diseguaglianze all’interno dei singoli Paesi. È un paradosso. E la Brexit aumenterà maggiormente le disuguaglianze nei Paesi».
Che cosa succederà dopo il 23 giugno?
«Difficile fare previsioni. Tanto che non ci sono piani specifici dei governi sullo scenario di una possibile uscita inglese. E’ pensabile che l’economia della Gran Bretagna rallenterà con un conseguente calo dell’occupazione. A rimetterci saranno probabilmente le classi meno agiate che soffriranno decrescita e disoccupazione».
A votare per la Brexit sono soprattutto i meno abbienti. Quali sono le loro ragioni?
«Chi vuole l’uscita dalla Ue lo fa perchè non ha visto un miglioramento nella propria condizione economica e avverte un disagio per la diseguaglianza. Pagheranno con il portafoglio il loro voto. La Brexit potrebbe paradossalmente peggiorare questo quadro. Le ragioni del rifiuto per l’Europa vanno però anche cercate nella delusione per la politica tradizionale che non ha saputo trovare risposte giuste su temi come la crisi economica e l’immigrazione. Non sono però soltanto le classi meno agiate che vedono con favore un addio di Londra alla Ue. Il malessere è in tutti gli strati della società . Domina la paure per il futuro e i timori per le incertezze su quello che sarà il domani dei più giovani».
Si deciderà una partita importante per l’idea che abbiamo dell’Europa. Che futuro vede per l’euro?
«Penso avrà una chance soltanto se ci muoveremo verso gli Stati Uniti d’Europa ma per arrivare a questa tappa occorre che i Paesi siano disposti a rinunciare a parte della loro indipendenza. E in questa fase non sembra sia così».
Cosa cambierà nelle politiche di Londra in caso di Brexit?
«Di sicuro il governo britannico acquisirà più controllo sulla questione dell’immigrazione. È un tema che spaventa molto e che chiede risposte immediate».
Qual è il rischio più grande che corre l’Unione Europea ?
«C’è un susseguirsi di eventi che potrebbe derivare dall’addio di Londra. All’uscita britannica potrebbe seguire una separazione dall’Unione anche dei Paesi del Nord, quelli scandinavi in particolare. A questo si aggiunge la possibile elezione di Trump in America che porterebbe a un mix pericoloso. Il rischio peggiore per l’Europa è di fare un rovinoso salto indietro fino agli anni ’30 del Novecento, quelli che hanno preceduto l’avvento di Hitler e la Seconda Guerra Mondiale».
Qual è la sua previsione, chi vincerà ?
«L’esito è ancora tutto aperto. Difficile capire cosa davvero uscirà dall’urna e la confusione che vediamo nei sondaggi non aiuta. Quello che mi auguro è che alla fine prevalga il Remain, il voto per restare».
Sandra Riccio
(da “La Stampa”)
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