Destra di Popolo.net

ISTANBUL, ATTENTATO IN AEROPORTO: ALMENO 28 MORTI E 60 FERITI

Giugno 28th, 2016 Riccardo Fucile

TRE KAMIKAZE SI SAREBBERO FATTI SALTARE IN ARIA DOPO AVER APERTO IL FUOCO SUI PASSEGGERI NEL TERMINAL VOLI INTERNAZIONALI

Potrebbero esserci gli islamisti dell’Is dietro al nuovo attentato terroristico colpisce Istanbul. Come a marzo a Bruxelles, è il maggiore aeroporto della Turchia a finire sotto attacco.
Almeno 3 terroristi armati di kalashnikov hanno aperto il fuoco intorno alle 22 locali ai controlli di sicurezza nella zona degli arrivi dell’aeroporto Ataturk, provocando almeno 28 morti e 60 feriti.
Poco dopo, si sono fatti saltare in aria durante un scontro a fuoco con la polizia.
Le esplosioni udite nello scalo sono state almeno 3. E’ accaduto alle 22.10 locali, le 21.10 italiane. Sospesi tutti i voli. L’aeroporto è stato evacuato.
Sul posto sono giunte una trentina di ambulanze, mentre alcuni testimoni raccontano di scene drammatiche con feriti portati via anche in taxi.
Almeno 6 risultano in gravi condizioni. Non si hanno ancora notizie sull’identità  delle persone coinvolte. Ingressi e uscite dell’aeroporto sono stati subito chiusi, mentre diversi voli in arrivo sono stati dirottati altrove e quelli in partenza cancellati. L’aeroporto resterà  chiuso fino alle 20 di domani. Lo riportano media locali. Ataturk è lo scalo più grande della Turchia e il terzo in Europa, con oltre 61 milioni di passeggeri nel 2015.
“Qui nessuno ci dice niente, nessuno parla inglese, ho saputo che c’era stato un attentato grazie ai messaggi da casa”, ha detto a SkyTG24 Edoardo Semmola, giornalista del Corriere Fiorentino, bloccato all’aeroporto di Istanbul dopo gli attacchi terroristici
“Ho sentito del rumore, non le esplosioni – ha spiegato – La polizia ci ha presi in gruppo e fatti spostare in fila da dove eravamo. Spero che adesso ci facciano evacuare. Qui è un grandissimo caos”.
Lo scalo Ataturk ha un doppio sistema di controlli di sicurezza, il primo dei quali all’ingresso dello scalo, ancor prima di arrivare ai banchi di accettazione.
È lì che è avvenuto l’attacco, mentre spari sono stati uditi anche in un parcheggio vicino. L’azione terroristica è stata confermata direttamente dal ministro della Giustizia turco, Bekir Bozdag.
Le autorità , ha aggiunto, hanno già  forti sospetti su un’organizzazione, che però non sono ancora stati confermati. E in serata una fonte di polizia, citata da media turchi, ha affermato che i sospetti cadrebbero sull’Is.
Ma il bilancio definitivo dell’attacco, come la dinamica, restano ancora da chiarire. Sulle immagini dal luogo dell’attentato, come avviene regolarmente in Turchia in casi simili, è stata imposta una censura ai media.
L’Alitalia ha bloccato un suo volo in partenza da Roma per Istanbul appena giunta la notizia dell’attacco terroristico, mentre un equipaggio della compagnia era in città  ma in un albergo,e non c’era personale di terra all’aeroporto Ataturk al momento della sparatoria e delle esplosioni.
Il premier turco Binali Yildirim ha attivato una unità  di crisi e si sta dirigendo a Istanbul dalla capitale Ankara.
Anche l’unità  di crisi della Farnesina segue gli eventi. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama è stato informato dalla sua assistente per la sicurezza interna e l’antiterrorismo Lisa Monaco. Facebook ha attivato il ‘safety check’, come già  avvenuto in altri avvenimenti simili.
Con il safety check gli utenti del social che si trovano nell’area dell’attacco possono far sapere ai loro amici e parenti che stanno bene.

(da agenzie)

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L’ULTIMA CENA CON CAMERON: GELO SUL PREMIER BRITANNICO, IMPASSE FINO A SETTEMBRE

Giugno 28th, 2016 Riccardo Fucile

FARAGE NON MOLLA L’INDENNITA’ DA PARLAMENTARE EUROPEO

Cena a base di quaglia, vitello, verdure e fragole. Niente ‘fish and chips’, nessun ‘pudding’ per salutare David Cameron, il premier britannico dimissionario, battuto nel referendum sulla Brexit.
All’ultima cena di consiglio europeo con il collega di Londra, l’ultima a 28, Bruxelles non riserva cortesie per colui che ha messo l’Unione in seri guai. Solo gelo per il premier di Downing Street, che però riesce ancora a imporsi e creare scompiglio.
Ai colleghi europei Cameron infatti ripete ciò che ha detto ieri a Westminster: non sarà  lui a celebrare la cerimonia di addio all’Ue.
Il vecchio e malandato continente dovrà  aspettare il successore il 9 settembre. E incrociare le dita.
“Prima di attivare l’articolo 50 (che nei trattati europei regola l’uscita di uno Stato dall’Ue, ndr.) dobbiamo determinare il tipo di relazione che vogliamo con l’Ue”, ha spiegato Cameron prima di venire a Bruxelles.
“E questa decisione spetterà  al prossimo primo ministro e capo di gabinetto”, che verrà  indicato dai Tories il 9 settembre. Ancora altri due mesi.
A Bruxelles cadono nel vuoto tutti gli appelli a fare presto. Anche la risoluzione di Socialisti, Popolari, Liberali e Verdi votata oggi dall’Europarlamento non trova immediata applicazione.
Del resto, la scadenza di settembre era stata decisa già  ieri nel summit a tre tra Matteo Renzi, Francois Hollande e Angela Merkel a Berlino.
E’ stata la Cancelliera a proporla, facendosi portavoce degli interessi di quegli Stati (la stessa Germania, ma anche Olanda, Lettonia, Danimarca) più legati alla Gran Bretagna a livello commerciale e dunque interessati ad avere il tempo per ripensare il rapporto con Londra.
Renzi e Hollande hanno acconsentito, in cambio dell’apertura di una nuova fase proprio sull’onda della Brexit: più flessibilità , meno austerità  per salvare l’Europa.
Il punto però è che questi due mesi estivi — sperando che siano solo due – vanno gestiti.
All’ultima cena dei 28, risuonano forti le parole di Mario Draghi, invitato speciale in questa sessione di Consiglio post-Brexit. Il governatore della Bce invita i leader a stare “uniti”, a “lavorare insieme”, altrimenti, dice, all’esterno “si potrebbe avere la percezione che la Ue è ingovernabile”. E ne andrebbe della credibilità  delle istituzioni finanziarie, dei titoli Stato, delle banche.
L’Ue dunque è sotto tiro anche dopo la Brexit, dopo aver dedicato mesi per concedere a Cameron tutto il possibile per convincere Londra a restare: invano.
A Palazzo Justus Lipsius nessuno sta tranquillo, malgrado le dichiarazioni ufficiali (“Non ci sono rischi per i risparmiatori”, dice per esempio Matteo Renzi). Ma nessuno è tranquillo nemmeno sulla data di settembre. Per varie ragioni.
Primo perchè si teme il peggio, si teme anche una crisi di governo a Londra.
L’alleato di Cameron, il liberale Nick Clegg, ha posto il problema di nuove elezioni se cambia il premier.
E poi perchè dalla City arrivano segnali contrastanti, segnali di pentimento quasi. Oggi Jeremy Hunt, ministro alla Sanità  del governo Cameron, ha scritto al Telegraph per porre le condizioni di una retromarcia sulla Brexit: nuovo referendum sull’addio all’Ue nel caso in cui si riuscisse a chiudere un accordo con Bruxelles sulle frontiere. Come ad ammettere che l’immigrazione è stato l’unico motivo vero di dissidio con l’Ue, l’unico motore di una macchina referendaria rivelatasi nefasta, evidentemente.
Proprio di immigrazione, anzi del piano italiano sui flussi dall’Africa (il migration compact), avrebbe dovuto occuparsi questo Consiglo Europeo.
Ma la Brexit si è mangiata quasi tutta la discussione, a parte l’approvazione della bozza finale che dedica un intero paragrafo al Mediterraneo, ma sottolinea anche che in questa area “i flussi di migranti soprattutto economici si mantengono allo stesso livello dello scorso anno”.
Per l’aumento dei Fondi (Feis) si rimanda poi a dopo l’estate.
Quando anche i 27 si incontreranno informalmente a Bratislava per fare il punto sul dopo Cameron. Senza alcuna garanzia, almeno per ora.
Su Palazzo Justus Lipsius cala il sipario di una giornata carica di tensioni e scaricabarile.
Ci sono le voci di chi vuole le dimissioni del presidente della Commissione Jean Claude Juncker (il ministro degli esteri polacco), quelle di chi fa quadrato intorno al lussemburghese (Merkel ma anche Renzi) anche per non aprire un ennesima questione, ce ne sono già  tante. E Juncker che si ‘sfoga’ con l’eurodeputato britannico Nigel Farage, il leader dell’Ukip, primo sostenitore della Brexit, il padrino di tutto questo caos. “Sono sorpreso di vederla ancora qui, ma lei non era per la Brexit?”, gli dice il presidente della Commissione nella sessione straordinaria dell’Europarlamento. Lui abbozza, non si dimette, continua a prendere l’indennità  da parlamentare Ue e a sera fa pure una ‘sfilata’ in sala stampa al Consiglio Ue.
Se la prende con i compagni di gruppo del M5s: “Vogliono cambiare l’Europa da dentro? Auguri…”.

(da “Huffingtonpost”)

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IL PUGNO DI FERRO DI MARINA: IMPONE IL NUOVO TESORIERE, “CHIUDE” LA VENDITA DEL MILAN, BLINDA FININVEST

Giugno 28th, 2016 Riccardo Fucile

LA FIGLIA DI SILVIO PIAZZA UOMINI DELL’AZIENDA NEI SETTORI CHIAVI

C’è un filo rosso che unisce la vendita del Milan e il riassetto di Forza Italia, gestito col pugno di ferro. Passando per le nuove nomine in Fininvest. Nell’Impero è l’ora della svolta di Marina Berlusconi. La quale, col consenso del padre, sia pur dubbioso su alcuni dossier, sta mettendo le basi per la nuova era, quella dell’uscita dal campo.
Da padre nobile che si gode la salute ritrovata e il cuore nuovo, senza assecondare l’istinto alla pugna e i suoi rischiosi ritmi.
Ecco il dossier più complicato: il Milan. Forse anche il più “politico” perchè parte integrante della narrazione berlusconiana per un ventennio, quando sarebbe stato inimmaginabile pensare a Berlusconi politico senza Berlusconi patron del Milan.
Tra il 7 e il 15 luglio le firme, poi l’annuncio all’uscita di Berlusconi dal San Raffaele. L’accordo prevede che la cordata cinese acquisterà  subito l’80 per cento del Milan — con una valutazione attorno ai 750 milioni (debiti compresi).
Il 20 per cento resta a Fininvest, per tre anni, poi potrà  essere rilevato. In questi tre anni Berlusconi rimane presidente, un ruolo evidentemente più onorario che operativo.
Proprio ieri il Cavaliere ne ha parlato con Adriano Galliani e i manager che hanno seguito la trattativa. Ma, raccontano i ben informati, è stato indeciso fino all’ultimo, per ragioni di cuore, dopo trent’anni di presidenza, e consapevole dell’inquietudine dei tifosi.
È stata soprattutto Marina, che ha seguito la trattativa con attenzione, a mantenere la fredda lucidità  del manager di fronte alle incertezze dei sentimenti, fornendo così al padre — col suo comportamento — un appoggio per andare avanti in una decisione che, razionalmente, aveva identificato come la più giusta.
L’argomento cessione è entrato nella grande faida tra la famiglia e il famoso cerchio, ormai in dismissione.
“Lo stanno facendo soffrire”, “lui non voleva”, “Marina non asseconda la sua volontà ”: sono alcune delle frasi, pronunciate in modo concitato e scomposto dalle signore che stavano attorno al Cavaliere.
E che hanno sortito, nella primogenita, l’effetto di rafforzarla nei suoi convincimenti di “impacchettarle tutte”.
Tornano con insistenza le voci di un trasloco di Francesca nella villa in Brianza comprata qualche tempo fa Berlusconi, mentre si è di fatto già  insediato colui che sostituirà  la Rossi nella gestione dei conti di Forza Italia.
È un uomo azienda tout court: Alfonso Cefaliello, trent’anni in Fininvest, poi membro del consiglio di amministrazione del Milan e curatore del progetto del nuovo stadio del club rossonero.
Cefaliello vanta anche un passato in Fininvest. Finora ha affiancato la Rossi. Ora la sostituzione è imminente, nell’ambito di un riassetto complessivo dell’azienda. Cifaliello è molto legato a Danilo Pellegrino, un altro uomo chiave di Marina Berlusconi, nominato ieri amministratore delegato di Fininvest, la holding di famiglia che ha tra i propri asset rilevanti Mediaset, Mondadori, Mediolanum oltre a Milan, partecipazioni in Mediobanca e Teatro Manzoni.
Pellegrino è, in assoluto, uno dei più stretti collaboratori di Marina, sin da quando la primogenita del Cavaliere ha iniziato a lavorare nel gruppo.
Ed è del tutto ovvio che, in questo contesto, il riassetto del partito sia una variabile del resto più che un urgente obiettivo.
Raccontano quelli che ci hanno parlato che Berlusconi è rimasto molto colpito dal successo dei Cinque Stelle: “È innamorato di Di Maio come all’inizio era innamorato di Renzi, gli piace, dice che funziona in tv”.
Ma la politica è nelle salde mani di Gianni Letta, uno che non ha mai amato nè Renzi nè Di Maio nè altri, ma è consapevole che bastano due righe ostili in un decreto per colpire gli interessi aziendali e quindi col potere si tratta.
E dunque meglio non innervosire i manovratori. Anzi, ora che Renzi appare in difficoltà  già  sogna le larghe intese dopo il referendum.
Non proprio la costruzione di una alternativa.
Un ex ministro di Forza Italia varcando il Transatlantico, ammette sconsolato: “La verità  è che noi non ci siamo e non c’è più il centrodestra. Altro che direttori, cabine di regia. Il paese sta archiviando Renzi e noi siamo appesi a una stanza del San Raffele, sperando che il futuro passi di là . C’è l’azienda e basta”.
A rifletterci il finale è all’insegna del paradosso, dopo anni di tormentone sulla discesa in campo di Marina.
Ecco, Marina è scesa in campo. E questo coincide con la grande dismissione della politica, delle sue strutture, di badandi e codazzi. E con essa del Milan.

(da “Huffingtonpost”)

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IRLANDA, RICHIESTE RECORD DI DOPPIO PASSAPORTO PER RESTARE IN EUROPA

Giugno 28th, 2016 Riccardo Fucile

SINN FEIN: “IL GOVERNO INGLESE NON CI RAPPRESENTA”

La via pacifica degli irlandesi del Nord per rimanere in Europa e avere libero accesso alle frontiere dei 28 Paesi passa per gli uffici postali.
Basta reclamare la cittadinanza della Repubblica d’Irlanda, visto che è un loro diritto avere due passaporti.
Ma fino ad ora, tutti sotto l’ombrello europeo, non era necessario almeno per chi non ne faceva una questione ideologica e di appartenenza. Da venerdì scorso, però, le cose sono cambiate e adesso all’ufficio centrale della posta di Belfast c’è la fila e i moduli per fare richiesta sono finiti.
Colpa anche di un tweet di Ian Paisley jr, deputato del Dup (partito unionista democratico), uno dei più forti sostenitori della campagna del Leave, che adesso ai suoi connazionali dice: «Il mio consiglio è che se avete i requisiti per avere un secondo passaporto, prendetelo».
Della serie: poche idee ma confuse.
Bizzarro, da un politico che ha speso la sua faccia nella campagna per abbandonare l’Europa sostenendo che sarebbe stato meglio, con lo slogan: «Riprendiamoci il controllo».
Negli ultimi 10 anni quasi 100 mila persone nate nel Nord dell’Irlanda hanno ricevuto il loro passaporto repubblicano, si legge sul «Belfast Telegraph».
E un censimento del 2011 ha rivelato che il 25 per cento degli irlandesi del Nord si sente unicamente irlandese.
E le tante bandiere tricolore repubblicane che sventolano dalle finestre di Belfast ne sono una conferma.
Dal ministero degli Affari Esteri di Dublino fanno sapere che per i cittadini irlandesi nati nell’isola e per chi richiede la cittadinanza grazie a un genitore o ai nonni irlandesi, nulla è cambiato.
E questo vuol dire che le porte sono aperte anche per i delusi sostenitori del Leave che vivono nel resto della Gran Bretagna, a patto che nel loro albero genealogico, in linea diretta, ci sia qualcuno nato sull’isola.
AAA nonno irlandese cercasi. E così anche a Londra, inizia il pellegrinaggio alle poste per chiedere i moduli.
Qualcuno lungimirante si è mosso per tempo visto che a marzo, fanno sapere al dipartimento irlandese per gli Affari Esteri, c’è stato un aumento del 33 per cento nelle richieste.
E quando venerdì si è avuta la certezza del «Leave» tutti su Google ad informarsi su: «Irish passports», passaporti irlandesi e «moving to Ireland», trasferirsi in Irlanda.
Intanto montano le istanze indipendentiste.
Martin Mc Guinness, vice primo ministro dell’Irlanda del Nord, appartenente allo Sinn Fein, insiste sulla necessità  di un referendum per la riunificazione visto che «il governo inglese ha perso ogni mandato di rappresentare gli interessi economici e politici della gente» che qui ha votato in maggioranza per il «Remain».
Nel frattempo un passaporto della Repubblica d’Irlanda aiuta a mantenere la calma.

Maria Corbi
(da “La Stampa”)

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RAGGI, E’ STATO PIU’ FACILE VINCERE CHE METTERE ASSIEME UNA GIUNTA

Giugno 28th, 2016 Riccardo Fucile

TROVATI SOLO 5 ASSESSORI SU 10: IL SINDACO RACCOGLIE PIU’ NO CHE SI’

Chi pensava che, per il Movimento Cinque Stelle, il difficile sarebbe stato vincere le elezioni, probabilmente si dovrà  ricredere.
Per Virginia Raggi è stato meno complicato battere il Pd che far «partire» la macchina amministrativa, componendo la giunta
Alla Raggi, che da due mesi conduce riservatissimi «colloqui», mancano ancora diverse caselle.
E, al momento, sono più i «no» incassati che i sì. Tanto che, negli ambienti dei Cinque Stelle, circola pure un’idea: rinviare la prima seduta dell’Assemblea Capitolina. Dal 7 luglio, come annunciato, al 13 luglio.
Raggi, dalla proclamazione del 23 giugno ha dieci giorni per convocare il primo consiglio comunale e altri dieci giorni per riunirlo.
Al momento – mentre Filippo Nogarin a Livorno annuncia due nuovi assessori – Raggi ha quattro nomi certi (Paolo Berdini, Luca Bergamo, Andrea Lo Cicero e Paola Muraro) e una possibile (Flavia Marzano).
Ma su un paio di figure individuate (Antonio Blandini e Donatella Visconti) ci sarebbe una frenata. Fa cinque su dieci.
Due i «buchi» che pesano: il Bilancio (dopo il no di Marcello Minenna si è rifatto il nome di Daniela Morgante, già  assessora con Marino) e i Trasporti, dove ha già  rifiutato Marco Ponti del Politecnico di Milano (il nome che circola viene da Torino: Cristina Pronello).
Raggi non ha neppure fatto le prime nomine. Per Daniele Frongia, il braccio destro che dovrebbe fare il capo di gabinetto, c’è un problema con la Severino: essendo stato consigliere comunale, almeno per un anno non potrebbe ricoprire ruoli dirigenziali. Intanto la prima riunione con assessori, parlamentari e consiglieri viene fatta all’ex comitato elettorale, non in Comune.
Convocato anche l’ad di Ama (rifiuti), Daniele Fortini. Respinte le sue dimissioni, verrà  prorogato nell’incarico: «I dirigenti prima si devono assumere le loro responsabilità  e fornirmi report periodici», dice Raggi.
Poi annuncia: «Coinvolgeremo i cittadini nelle scelte. E riapriremo il Campidoglio alle visite».

Ernesto Menicucci
(da “il Corriere della Sera”)

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ROMA, OSPEDALE SENZA BIANCHERIA PER I PAZIENTI: “COLPA DEI TAGLI”

Giugno 28th, 2016 Riccardo Fucile

CESSANO LE FORNITURE DELLA BIANCHERIA PER GLI ACCESSI IN CODICE BIANCO E VERDE

Il pronto soccorso dell’ospedale Sant’Eugenio di Roma nella notte tra il 22 e il 23 maggio è rimasto sprovvisto di biancheria.
Un disagio per diversi pazienti, costretti su lettini senza lenzuolo e coperta.
“Chiedete ai reparti” si sono sentiti rispondere dagli uffici gli infermieri di turno alla disperata ricerca di una soluzione.
Ma anche i reparti quella notte avevano esaurito le scorte. Perfino il magazzino era vuoto.
A lanciare l’allarme sulla carenza di biancheria è stato il sindacato degli infermieri Nursind di Roma, che ha inviato una lettera ai vertici dell’Asl Roma 2 (nata all’inizio del 2016 dalla fusione delle ex Asl Roma B e Roma C) chiedendo spiegazioni. “Si sceglie di cambiare il paziente che sta peggio. Ma ditemi voi se è sufficiente un solo cambio al giorno per pazienti allettati, sudati, portatori di catetere” racconta un infermiere.
Non si è trattato di un disguido casuale nelle forniture. Ma di un taglio ufficiale della biancheria contenuto nella rinegoziazione del contratto con la ditta di noleggio lavanolo.
Tra le rimodulazioni previste si legge infatti “la cessazione delle forniture della biancheria piana per gli accessi in codice bianco e codice verde presso le unità  di pronto soccorso dei pp. oo.”. Cioè per tutti i soggetti non urgenti (codice bianco) e quelli poco critici (codice verde), che però hanno subìto traumi o fratture e hanno bisogno di una barella o di un letto.
Considerato che i codici verdi in un pronto soccorso rappresentano circa l’80 per cento degli accessi di una giornata, una misura del genere ha un impatto fortissimo.
Tanto che la direzione dell’Asl Roma 2 è corsa in qualche modo ai ripari. Il primo marzo il commissario straordinario Floride Grassi con una delibera ha approvato l’integrazione delle forniture di biancheria, ma solo per gli accessi con permanenza superiore alle 24 ore, in quanto paragonabile a giornate di degenza.
E per tutti gli altri? Niente.
“Nessuno ci ha avvisato — sbotta un altro infermiere -. E poi come facciamo a sapere in anticipo per quanto tempo rimarrà  il paziente in pronto soccorso? Non è sempre prevedibile! La maggior parte dei pazienti sono anziani, che di solito hanno più freddo, anche chi ha solo un mal di gola durante l’attesa ci chiede una coperta. Secondo loro dovremmo lasciarlo soffrire. Ma siamo matti? La sanità  è un servizio che dobbiamo garantire a tutti i cittadini”.
È per questo che nella quotidianità  della medicina d’urgenza il personale cerca di soddisfare le esigenze di ognuno, fin dove è possibile, senza fare distinzione tra casi gravi e meno gravi.
Tutta colpa della spending review.
Per la prima volta l’anno scorso il servizio di lavanolo è stato affidato tramite gara regionale e per contenere la spesa è stata richiesta una riduzione dei prezzi pari al 5 per cento sui servizi erogati.
Una stretta che ha obbligato la ditta appaltatrice a diminuire le forniture di biancheria al pronto soccorso. Ma l’emergenza non è stata tamponata neppure con l’aggiunta di biancheria a carico della Asl.
“Ogni volta quando sta per finire il turno di notte i lenzuoli sono già  finiti” ci dicono gli infermieri del pronto soccorso. I cambi letto sono contati anche nei reparti.
“È allucinante — commentano dalla chirurgia vascolare — Sono le cinque del pomeriggio, rimangono 12 lenzuoli puliti e stiamo per fare quattro nuovi ricoveri, quindi altri otto lenzuoli che se ne vanno. Gli altri quattro devono bastare fino a domattina per 14 posti letto”.

Chiara Daina

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I VICHINGHI CHE FECERO L’IMPRESA: GIOCATORI PART TIME, MEZZI DENTISTI E CINEASTI IN CONGEDO

Giugno 28th, 2016 Riccardo Fucile

LA SQUADRA ISLANDESE CHE HA UMILIATO L’INGHILTERRA NON E’ UNA FAVOLA MA UN PROGETTO

Dove eravate quando i vichinghi hanno battuto l’Inghilterra?
La storia dell’Islanda riparte dall’Europeo, da un quarto di finale conquistato con un gruppo di semi-professionisti, un branco di eroi molto alternativi.
Ma non dite che è una favola perchè questo successo è stato costruito: un sogno alla volta.
Si sono qualificati per il torneo contro ogni pronostico, hanno eliminato l’Olanda, hanno passato la fase a gironi senza neppure rendersene conto, hanno battuto l’Inghilterra agli ottavi con una partita già  leggendaria e ora sfidano i padroni di casa. E si sentono invincibili.
Fino al 1950 in Islanda non c’erano nemmeno i campi da pallone , fino al 1990 il calcio era uno sport da amatori e nel 2009 una federazione emergente ha deciso di andare a imparare come si tira un calcio di punizione. In Inghilterra.
Giovani allenatori e dirigenti in viaggio per le città  della Premier, in stage dai club più attrezzati: hanno studiato, imitato, importato, costruito impianti e campi sintetici, ma non pensavano certo di travolgere (e umiliare) i maestri.
Ci sono 21500 professionisti in Islanda e su una popolazione di 330 mila persone non sono neanche male.
Quattro anni fa hanno assunto Lars Lagerback, ex ct della Svezia e della Nigeria, arrivato sulla panchina dell’Islanda in coabitazione con Heimir Hallgrimsson, dentista part time sull’isola di Vestmannaeyjar.
Tutt’ora con il doppio lavoro, diventerà  allenatore a tempo piano solo dopo l’Euro quando il suo tutore svedese lascerà  l’incarico e forse la prossima volta non annuncerà  le convocazioni in un bar. Ma non è detto.
Quindi si parte da un apprendista tecnico che dibatte di tattica davanti al bancone e si passa a un portiere cineasta. Hannes Halldorssonm, 32 anni, ha girato il video che ha accompagnato l’Islanda all’Eurovision del 2012, l’Europa è un concetto che lo ispira e di questi tempi l’Ue dovrebbe assumerlo per girare uno spot. sarebbe convincente.
È in aspettativa dalla Saga film che credeva in realtà  di vederlo rientrare dopo tre partite. Dovrà  allungargli il permesso.
Il 10 per cento della popolazione islandese è in Francia a seguire le partite e quando non trovano i biglietti telefonano ai calciatori perchè tutti conoscono tutti.
Il difensore Kari Arnason ha detto di aver individuato il 90 per cento delle facce che si è visto davanti quando la squadra è andata a festeggiare sotto la curva, in pratica dentro un villaggio.
Prima di lasciare Nizza, città  del trionfo, Aron Gunnarsson, il capitano, ha trascinato tutti nell’angolo blu dello stadio per cantare “Hu”, un inno alla gioia vichingo: lento e deciso, come un liquore forte di cui prima avverti il retrogusto e poi l’effetto. Scalda. Birkir Bjarnasson si fa chiamare Thor, non a casa, dove i suoi capelli lunghi e il profilo da attore di Games of Thrones sono un’abitudine ma in questo Euro delle sorprese.
Ha esordito proprio grazie a Hodgson, l’allenatore che ha contribuito a licenziare. Prima esperienza, a 17 anni, nel Viking Stavander, club norvegese allenato guarda caso da Hodgson nel 2007.
Qui ha segnato, ha provocato un rigore, ha tirato una volèe davanti a Ronaldo che aveva battezzato l’Europeo dell’Islanda con l’acido commento: «Non sanno pensare in grande, festeggiano un pareggio come la vittoria finale». Deve sperare di non ritrovarseli di fronte.
Il padrino del gruppo è Eidur Gudjohnsen, lui sì giocatore vero, ha vinto una Champions nel 2009 con il Barcellona solo che adesso ha 37 anni e può giusto fare il motivatore.
Ruolo che alla fine si è preso Gudmundur Benediktsson. Non gioca, sarebbe il telecronista anche se lo hanno licenziato, meglio rimosso dalla diretta tv, a causa di un’esultanza in falsetto un po’ troppo simile a un lungo orgasmo, già  clonato da ogni islandese.
La tv per cui lavora pensava di lasciargli finire la trasferta con l’ultima diretta.
Solo che l’Islanda va avanti e lui ha aggiunto altra estasi senza freni: «L’Inghilterra può andare fuori dall’Europa, può andare dove diavolo le pare, l’Islanda è qui».
E non per caso.

Giulia Zonca
(da “la Stampa”)

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UE ACCUSA LONDRA: “INAMMISSIBILI I TENTATIVI DI NEGOZIATI SEGRETI”

Giugno 28th, 2016 Riccardo Fucile

APPROVATA MOZIONE: “ATTIVAZIONE IMMEDIATA DI USCITA, BASTA PRIVILEGI A INGLESI”…   SCOZIA E IRLANDA: “NOI RESTIAMO”

La Gran Bretagna ha chiesto il divorzio, ora che se ne vada in fretta e senza pretendere privilegi.
Il messaggio arriva dalla plenaria del Parlamento Ue che, convocata in seduta straordinaria dopo la Brexit, ha approvato una risoluzione bipartisan per chiedere che la procedura d’uscita dell’Uk sia attivata in fretta.
“Nessun trattamento speciale per gli inglesi”, ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel.
“Inammissibili i tentativi di negoziati segreti”, ha detto il commissario europeo Jean-Claude Juncker. “L’agenda la dettiamo noi”.
Mentre Londra temporeggia, Bruxelles cerca di dare il colpo finale per voltare pagina ed evitare l’incertezza.
Il documento approvato è il primo segnale: si chiede di attivare il prima possibile l’articolo 50 e di annullare la presidenza britannica dell’Unione Europea, prevista per il secondo semestre del 2017.
Il premier britannico David Cameron sembra voler contenere i danni di un risultato che non voleva: “Voglio che sia un processo il più costruttivo possibile, con un risultato il più costruttivo possibile, perchè lasciamo la Ue ma non voltiamo le spalle alla Ue, con questi Paesi siamo partner, amici, alleati, vogliamo il rapporto più stretto possibile in termini di commercio, cooperazione e sicurezza”.
Il clima è quello dell’amarezza nel giorno della resa dei conti di persona tra parlamentari e leader europei. Juncker, da più parti messo in discussione ha detto di non essere “stanco” e ha poi attaccato il leader degli euroscettici inglesi Nigel Farage: “Sono sorpreso di vederla qui, è l’ultima volta che applaude in quest’Aula”. L’eurodeputato ha ribattuto: “Per ora non mi dimetto. E spero che i prossimi a dare l’addio siano i Paesi Bassi“.
Poi durante il suo discorso è stato accolto dai fischi.
Ad aprire i lavori è stato Martin Schulz che ha salutato e ringraziato il commissario britannico dimissionario: “Deploriamo la decisione della Gran Bretagna”, ha esordito. “Ma siamo legati umanamente a chi ha lavorato con noi”.
Le parole sono state accolte da una standing ovation dei colleghi.
Se l’Europa cerca di ingoiare il boccone amaro, non manca la preoccupazione sul fronte Uk.
Nel corso della seduta non sono mancati gli appelli dei parlamentari scozzesi e irlandesi che chiedono di poter restare nell’Unione.
La Regina Elisabetta, intercettata dal Daily Mail, ha commentato con una battuta il momento complesso che il Paese si trova a dover affrontare: “Come sto? Sono ancora viva”.
Schulz: “Deploriamo la decisione della Gran Bretagna, ma siamo vicini a chi ha lavorato con noi”
Il presidente Martin Schulz ha aperto i lavori con un applauso per il commissario britannico dimissionario che invece ha sempre fatto la campagna per il Remain: “Restiamo legati a voi umanamente”, ha detto.
Tutto il collegio dei commissari era presente alla riunione plenaria straordinaria del Parlamento europeo, compreso Lord Jonathan Hill, il britannico dimissionario. Il presidente Martin Schulz ha aperto i lavori dicendosi “favorevole” alla sessione convocata con procedura senza precedenti nella storia dell’Unione europea e del suo Parlamento.
“Deploriamo la decisione” della Gran Bretagna “ma a tutti coloro che hanno lavorato con noi vogliamo dire che siamo legati umanamente e profondamente” ha detto Schulz ringraziando Hill per aver fatto campagna per il Remain e per aver “fatto un lavoro eccellente”. Il Commissario britannico è stato salutato con una lunga standing ovation. Le dimissioni dimostrano, ha aggiunto Schulz, che “la procedura de facto è già  cominciata”.
Merkel: “No ai trattamenti speciali, l’Uk non si può aspettare gli stessi privilegi”
In queste ore le potenze europee stanno cercando di affrontare lo choc dell’esito del referendum inglese per evitare troppi contraccolpi e “voltare pagina”. Se Londra temporeggia, Francia, Germania e Italia chiedono che “non si perda tempo” perchè l’incertezza rischia di danneggiare l’Ue. A questo proposito la cancelliera tedesca Angela Merkel, scrive il giornale tedesco Bild, ha fatto sapere di non volere che Londra abbia la presidenza di turno dell’Unione europea nella seconda metà  del 2017. Lo sforzo sarà  quello di convincere la Gran Bretagna a rinunciare alla presidenza del semestre europeo, “o in caso di necessità , a togliergliela”. In Aula la Merkel ha poi detto che la Gran Bretagna “non può aspettarsi gli stessi privilegi che aveva prima, senza dover rispettare anche gli obblighi. Chi vuole l’accesso al libero mercato dell’Unione europea deve rispettare i valori fondamentali dell’Ue”. Quindi la Merkel ha ripetuto che “l’Ue non può iniziare i colloqui formali o informali sulla Brexit fino a che il Regno Unito non attiva l’articolo 50″ del trattato di Lisbona.
Appelli degli europarlamentari scozzesi e irlandesi: “Aiutateci”
Durante il dibattito della plenaria, ci sono stati numerosi appelli di europarlamentari scozzesi e nordirlandesi che si rifiutano di abbandonare l’Unione europea.
“La Scozia e l’Irlanda del nord chiedono che sia rispettata la loro scelta di non abbandonare la Ue”, ha detto la nordirlandese Martina Anderson, del Sinn Fein, sottolineando che la Ue “ci ha aiutati nel processo di pace” e gridando poi: “L’ultima cosa di cui ha bisogno l’Irlanda del Nord è una frontiera con gli altri 27 Stati membri”. A sua volta il verde Alyn Smith ha lanciato l’appello a nome della Scozia: “Aiutateci, non ci dimenticate”

(da agenzie)

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L’ECONOMISTA ROGOFF: “UN FOLLIA DECIDERE SULLA BREXIT SENZA UN CONGRUO LIVELLO DI PARTECIPAZIONE AL VOTO”

Giugno 28th, 2016 Riccardo Fucile

HA VOTATO PER USCIRE DALL’EUROPA SOLO IL 36% DELLA POPOLAZIONE, NON E’ QUESTA LA DEMOCRAZIA

La reale follia del voto del Regno Unito a favore dell’uscita dall’Unione europea non è stata quella della leadership britannica che ha osato chiedere alla popolazione di soppesare i vantaggi della permanenza nell’Ue rispetto alle pressioni immigratorie che essa esercita.
La vera follia è stata quella di aver fissato una soglia assurdamente bassa per uscire dall’Ue, che ha richiesto soltanto la maggioranza semplice.
Se si tiene conto dell’affluenza del 70% al referendum, ciò significa che la campagna per il “leave” ha vinto con un sostegno effettivo pari soltanto al 36% degli aventi diritto al voto.
Questa non è democrazia: è la roulette russa delle repubbliche.
Si è presa una decisione dalle conseguenze immense — molto più importanti rispetto all’emendamento della Costituzione del Paese — senza predisporre alcun adeguato sistema di controllo reciproco
Il voto andrà  ripetuto dopo un anno, per sicurezza? No.
La maggioranza parlamentare deve esprimersi in senso favorevole alla Brexit? A quanto sembra no.
La popolazione del Regno Unito sapeva per davvero per che cosa si stesse esprimendo? No, nella maniera più assoluta.
Nessuno ha la più pallida idea delle conseguenze dell’esito referendario, sia per ciò che concerne il Regno Unito nel sistema commerciale globale, sia per le ripercussioni sulla sua stabilità  politica interna. Temo che non sia un bel quadro d’insieme.
In Occidente si è fortunati a vivere in un’epoca di pace. Al variare delle circostanze e delle priorità  è possibile reagire in maniera adeguata con metodi democratici, senza scatenare conflitti.
Ma che cosa si intende, di preciso, quando si parla di iter democratico allorchè si devono prendere decisioni irreversibili che hanno importanza determinante per la vita della nazione?
È sufficiente l’approvazione di un risicato 52% per una rottura di questa portata?
La maggior parte delle società  prevede per il divorzio di una coppia più passaggi e ostacoli da superare di quanti ne abbia previsti il governo di David Cameron per uscire dall’Ue.
Questo gioco non l’hanno inventato i Brexiteer: abbondano i precedenti, compresi i casi della Scozia nel 2014 e del Quèbec nel 1995.
Finora, però, il tamburo della pistola non si era mai fermato in corrispondenza della pallottola in canna: adesso che l’ha fatto, è giunto il momento di riconsiderare le regole del gioco
È un’aberrazione pensare che una decisione qualsiasi raggiunta in un momento qualsiasi seguendo la regola della maggioranza semplice sia necessariamente “democratica”.
Le democrazie moderne hanno messo a punto sistemi di controllo e bilanciamento reciproco per tutelare gli interessi delle minoranze ed evitare di prendere decisioni disinformate con conseguenze catastrofiche.
Quanto più una decisione è importante e ha effetti duraturi, tanto più in alto deve essere collocata l’asticella.
È per questo motivo, per esempio, il varo di un emendamento alla Costituzione richiede più passaggi rispetto all’approvazione di una legge di spesa.
Eppure oggi lo standard internazionale previsto per spaccare un Paese è meno rigido rispetto all’iter di approvazione dell’abbassamento dell’età  minima per il consumo di alcolici.
Adesso che l’Europa deve affrontare il rischio di una marea di altri referendum per uscire dall’Ue, la domanda che si pone pressante è se esista un modo migliore per prendere queste decisioni.
Ho rivolto la domanda a molti politologi di spicco per capire se esista un consenso accademico in materia e, purtroppo la risposta è no.
Tanto per cominciare, la decisione della Brexit può essere sembrata semplice sulla scheda referendaria, ma in verità  nessuno sa che cosa accadrà  di preciso dopo aver scelto “leave”.
Ciò che sappiamo per certo è che per consuetudine la maggior parte dei Paesi esige, nel caso di decisioni di importanza determinante per la vita della nazione, una “super-maggioranza” e non un semplice 51 per cento.
Non esiste una percentuale universale, ma in linea di principio la maggioranza dovrebbe essere quanto meno stabile in maniera dimostrabile.
Un Paese non dovrebbe effettuare cambiamenti radicali e irreversibili sulla base di un’esile minoranza che potrebbe prevalere soltanto in un breve arco di tempo e sulla scia dell’emotività .
Anche se l’economia del Regno Unito non dovesse cadere in recessione (il calo della sterlina potrebbe attutire la mazzata iniziale), ci sono numerose possibilità  che i disordini che ne deriveranno a livello politico ed economico infondano in chi ha votato “leave” il classico “rimorso dell’acquirente”.
Fin dai tempi più antichi i filosofi hanno cercato di escogitare sistemi atti a bilanciare i punti di forza della regola della maggioranza e la necessità  di garantire che le parti informate avessero più voce in capitolo nelle decisioni di importanza cruciale, sempre che le voci delle minoranze fossero ascoltate.
Nell’antica Grecia, nelle assemblee di Sparta si votava per acclamazione: la gente poteva modulare la propria voce per riflettere l’intensità  delle sue preferenze, e il funzionario addetto che le presiedeva ascoltava con attenzione prima di annunciare il risultato.
Era un sistema imperfetto, ma pur sempre migliore, forse, di quello appena utilizzato nel Regno Unito
A quel che si dice, Atene, città -stato sorella di Sparta, metteva in pratica il più puro esempio storico di democrazia: i voti dei vari ceti sociali avevano il medesimo peso (anche se a votare erano soltanto gli uomini).
Alla fine, però, dopo alcune decisioni belliche catastrofiche, gli ateniesi ritennero opportuno conferire maggiore potere decisionale a enti indipendenti.
Che cosa avrebbe dovuto fare il Regno Unito, qualora fosse stato proprio indispensabile (e non lo era affatto) formulare la domanda sull’appartenenza all’Ue? Di sicuro, la soglia avrebbe dovuto essere fissata molto più in alto: diciamo, per esempio, che la Brexit avrebbe dovuto richiedere due consultazioni popolari nell’arco di almeno due anni, seguite dall’approvazione di almeno il 60% dei deputati della Camera dei Comuni.
Se a quel punto la Brexit avesse ancora prevalso, se non altro avremmo saputo che non si trattava della scelta estemporanea di un’esigua minoranza della popolazione.
Il referendum nel Regno Unito ha scaraventato l’Europa nel caos. Adesso molto dipenderà  dalle reazioni internazionali e molto altro da come il governo del Regno Unito riuscirà  a ricostituirsi. È importante valutare attentamente non soltanto il risultato, ma anche l’iter che ha portato a questa situazione.
Qualsiasi azione volta a ridefinire accordi invalsi da tempo e concernenti i confini di un Paese dovrebbe richiedere ben più della maggioranza semplice e un’unica consultazione popolare.
Come abbiamo appena visto, l’attuale sistema internazionale della regola della maggioranza semplice è la ricetta per il caos.

Kenneth Rogoff
professore di Economics and Public Policy all’Università  di Harvard
(da “il Sole24ore”)

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