Giugno 28th, 2016 Riccardo Fucile
“IN CENTINAIA NON HANNO RICEVUTO LE SCHEDE ELETTORALI”…LA PROTESTA DEI RESIDENTI ALL’ESTERO DA OLTRE 15 ANNI
Circa 2,2 milioni di britannici residenti all’estero non hanno potuto esprimere il proprio voto in occasione del referendum sulla Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea perchè in base alla legislazione inglese non ne avevano diritto. Mentre sono “centinaia”, secondo le testimonianze raccolte da The Independent, gli aventi diritto che non hanno ricevuto in tempo le schede elettorali nei loro Paesi di residenza.
Nei giorni successivi al voto, crescono le proteste degli expat britannici non ammessi alle urne.
Secondo i quali il risultato del 23 giugno è illegittimo perchè quei numeri, se spostati dalla parte del Remain, avrebbero potuto ribaltare l’esito del referendum.
“La legge parla chiaro ed è stata applicata alla lettera — spiega Justin Orlando Frosini, docente di Diritto costituzionale all’Università Bocconi di Milano e alla Johns Hopkins university — Milioni di persone, però, non hanno potuto decidere sul loro status di cittadini europei”.
Il ricorso a Strasburgo del 94enne inglese residente in Italia dal 1982
Le proteste sull’impossibilità per oltre due milioni di expat britannici di esprimersi sull’uscita della Gran Bretagna dalla Ue sono state sollevate nei mesi scorsi dal veterano di guerra Harry Shindler, 94enne britannico residente in Italia dal 1982, e Jacquelyn MacLennan, avvocato inglese di 54 anni che risiede in Belgio dal 1987. Sotto la lente è finita una disposizione contenuta nello European Union Referendum Act: “Nel testo — continua il docente — si legge che i cittadini britannici residenti all’estero e assenti dal registro dei votanti da più di 15 anni non hanno diritto di voto su certe tematiche. Un principio che riprende quello contenuto in una legge del 1985 in materia di elezioni politiche”.
Per questo motivo, la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha deciso di respingere il ricorso di Shindler, precisando che, sulle questioni legate al voto, la decisione spetta ai Paesi membri del Consiglio d’Europa.
“E’ stato impedito loro di esprimersi su un aspetto importante del loro futuro”
“Se sull’applicazione della legge da parte delle varie corti non sembra esserci niente da obiettare — continua Frosini -, si può discutere entrando nel merito del principio stesso. A mio parere, elezioni politiche e referendum come quello sulla Brexit devono essere distinti. Per quanto riguarda le prime, mi sento di dire che si dovrebbe applicare senza limiti di tempo il principio del “no representation without taxation”.
Chi vive fuori dal Paese e non contribuisce con le proprie tasse non dovrebbe votare i nuovi governi.
Diversa è la questione del referendum: in questo caso si decideva anche riguardo alla cittadinanza europea di molti expat britannici. In questo caso è stato loro impedito di esprimersi su un aspetto importante del loro futuro”
Ma il voto non è contestabile
Ciò che lascia perplesso il docente della Bocconi sono poi le eccezioni previste dallo European Union Act rispetto al diritto di voto per i cittadini residenti all’estero.
“L’Act — specifica — prevede il diritto di voto anche per alcune categorie che, invece, non possono recarsi alle urne per le elezioni politiche, come i membri della House of Lords o i cittadini di Gibilterra. Se si è deciso di fare delle eccezioni di questo tipo, perchè non si è pensato di includere anche i residenti all’estero da più di 15 anni? Il voto decideva anche del loro futuro come cittadini europei. Voto da invalidare? No, la legge, contestabile o meno, è stata applicata”.
The Independent: “Centinaia di aventi diritto non hanno ricevuto le schede elettorali”
Altra ombra sulla validità del voto britannico viene gettata da The Independent.
Il quotidiano londinese, nei giorni scorsi, ha raccolto “centinaia” di testimonianze di aventi diritto residenti all’estero che non hanno potuto votare per problemi legati alla spedizione delle schede elettorali.
Da chi non ha mai ricevuto il materiale necessario, nonostante il sito del governo specificasse che la loro richiesta di voto era stata accettata, a chi, invece, si è visto recapitare il pacco postale troppo in ritardo per poter materialmente esprimere la propria preferenza.
Così molti britannici sparsi per il mondo non hanno potuto dare il proprio appoggio al Leave o al Remain. “Questa vicenda è più complicata rispetto alla petizione che chiede un secondo referendum perchè, se confermate le indiscrezioni diffuse dal giornale, saremmo di fronte a delle irregolarità — continua il professore — Sarà la commissione elettorale, però, a dover stabilire la validità o meno del voto sulla Brexit”.
Ultima spiaggia, il referendum sui futuri accordi tra Londra e l’Unione
Alle polemiche sugli aventi diritto e sui disagi riguardanti la spedizione delle schede elettorali all’estero si potrebbe tentare di “rimediare” con un nuovo referendum da svolgersi però molto più avanti, dopo che il governo del Regno Unito avrà notificato a Bruxelles il ricorso all’articolo 50 dei trattati e dopo la negoziazione sui nuovi accordi che regoleranno i rapporti tra Londra e l’Unione.
“A mio parere non ci sono gli elementi per invalidare il voto britannico — conclude Frosini — Semmai, potrebbe essere indetto un nuovo referendum per chiedere ai cittadini britannici, dopo aver modificato i principi che stabiliscono gli aventi diritto al voto, di esprimersi sull’accordo tra Regno Unito e Unione Europea relativo all’uscita del Paese dall’Ue”.
Gianni Rosini
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Europa | Commenta »
Giugno 28th, 2016 Riccardo Fucile
IL PARTITO-AZIENDA: IL FIGLIO DEL GURU E I FEDELISSIMI MAX BUGANI E DAVID BORRELLI NELL’ASSOCIAZIONE ROUSSEAU, POI UN GRUPPO RISTRETTO DI PARLAMENTARI
Venerdì 17 giugno , due giorni prima delle vittorie di Virginia Raggi e Chiara Appendino a Roma e
Torino, il contatore delle donazioni ricevute dall’Associazione Rousseau segnava quota 270.493 euro. Tre giorni dopo il voto, era salito a 278.659 euro.
L’euforia dei fan del Movimento 5 Stelle per i risultati ottenuti si è fatta subito sentire, facendo crescere ancora un po’ i fondi che Davide Casaleggio ha iniziato a raccogliere dal 25 aprile scorso.
Il figlio di Gianroberto, il fondatore del Movimento scomparso a inizio aprile, ha infatti deciso che continuerà ad essere lui l’architetto della piattaforma on line che servirà per gestire le decisioni dei Cinque Stelle, affidata proprio alla neonata Associazione Rousseau.
Lo aveva fatto capire sui blog, lo ha ripetuto nella sua prima intervista politica, rilasciata al “Corriere della Sera” martedì 21.
«Non intendo candidarmi», ha detto Davide. Tuttavia, coloro che pensavano considerasse l’avventura del Movimento con più distacco manageriale rispetto al padre, hanno dovuto mettere in dubbio questa impressione.
Perchè il ruolo che si è dato è centrale: «Intendo occuparmi dello sviluppo delle applicazioni di democrazia diretta del Movimento in rete, affinchè tutti i cittadini possano fare politica», ha affermato, sostenendo che la piattaforma informatica Rousseau, elaborata dalla Casaleggio Associati e ora donata all’Associazione omonima, «è la prima applicazione al mondo nel suo genere. Siamo all’avanguardia e continuiamo a lavorare».
Conquistate Roma e Torino, il Movimento prepara la strategia per prendere Palazzo Chigi. Ma il premier deve guardarsi pure dalle manovre di chi nel Pd e nella maggioranza vuole modificare l’Italicum. Anche a costo di cambiare governo
Per capire quanto Davide – 41 anni, nato a Milano, laurea in Bocconi – sia al centro del progetto dei Cinque Stelle occorre partire di nuovo da lì, dal sito che raccoglie i fondi.
La mascherina è semplice. Riporta il valore complessivo delle donazioni ricevute, i 278 mila euro e rotti citati all’inizio, il numero di chi ha contribuito, 8.522 persone. Il conto è intestato, appunto, all’Associazione Rousseau. Stop.
Non un indirizzo, non una partita Iva, non un nome del responsabile legale dell’organizzazione a cui vanno i soldi.
È facile scoprire che il conto è presso la filiale di Milano di Banca Etica.
Il direttore, Ermenegildo Russo, con grande cortesia spiega però di non poter fornire ulteriori indicazioni su chi siano i rappresentanti dell’Associazione, per non violare le norme sulla privacy. Si torna dunque al web.
E lì, in fondo all’informativa sull’utilizzo dei cookies dei blog di Beppe Grillo e dei Cinque Stelle si trova finalmente una traccia: l’Associazione Rousseau ha sede a Milano, al numero 6 di via Gerolamo Morone. Lo stesso indirizzo della Casaleggio Associati.
«Un’ombra». Chi ha incontrato Davide quando era con Gianroberto nelle occasioni più politiche lo descrive così, «ben attento a non interferire».
Anche chi lo ha conosciuto in famiglia ne parla come di una persona riservata, capace di ritagliarsi il proprio spazio nel portare avanti le attività dell’azienda, soprattutto la consulenza per il commercio on line, uno dei suoi cavalli di battaglia.
Della vita privata si sa poco. I giornali hanno ricamato su alcune passioni, gli sport estremi e gli scacchi, esagerando un po’.
Negli archivi di “Escape from Alcatraz”, celebre gara di triathlon nella Baia di San Francisco, non risulta ad esempio alcuna partecipazione dove sia arrivato sesto assoluto, risultato spesso citato dai media: nel 2010 il suo pur onorevole tempo di 3 ore e 27 minuti gli era valso la posizione 995 su 1.225.
Anche i titoli di “Gran Maestro” di scacchi e di scacchista “tra i cinque migliori under 16 italiani già all’età di 12 anni”, ripetuti da diversi giornali, sono entrambi definiti «un falso» dal portavoce della Federazione scacchistica italiana, Adolivio Capece, secondo il quale non si trova nei registri nessun punteggio di Casaleggio classificato con il metodo internazionale “Elo”.
Gli anni passati non c’entrano: le carriere scacchistiche di altre persone famose che giocavano da ragazzi o che hanno smesso da tempo, come il cantante Andrea Bocelli o il musicista Ennio Morricone, sono infatti ricostruibili. «Peccato, sarebbe stato bellissimo averlo come testimonial», si è rammaricato Capece su “Tra poco in edicola”, in onda su Radio 1 Rai.
Fuori dalla sfera del privato, negli ultimi tempi Casaleggio Jr ha invece fornito diversi segnali sulla linea che vuole dare al rapporto con il Movimento.
Sull’Associazione Rousseau, ad esempio, ha pubblicato sul “Blog delle stelle” un’unica notizia ufficiale, che rivela molte cose. Dice che oltre a Casaleggio, nell’organizzazione che svilupperà e supervisionerà la piattaforma dove si scriveranno le proposte di legge e si decideranno i candidati, sono entrati due fedelissimi della prima ora.
Il primo è Max Bugani, famoso per aver sempre attaccato chiunque in Emilia Romagna contestasse la linea Grillo-Casaleggio, reduce dalla seconda sconfitta nelle elezioni per fare il sindaco di Bologna: una candidatura ottenuta senza primarie, con tanto di proteste da parte di attivisti e parlamentari.
Il secondo è l’europarlamentare David Borrelli, spesso in prima fila nelle proteste contro i dissidenti.
Due nomi ai quali ne va aggiunto un terzo: Pietro Dettori, fino a maggio “social media manager” della Casaleggio, ora “responsabile editoriale” dell’Associazione: lo ha annunciato lui stesso su Linkedin, rafforzando la schiera dei collaboratori della ditta entrati nelle strutture decisionali del Movimento.
«La mia attività per Rousseau è completamente gratuita», ha detto Davide. Ma quanti e chi sono gli altri membri dell’Associazione? Vengono pagati? E Dettori, è ancora retribuito dalla Casaleggio?
Lunedì 20 giugno “l’Espresso” ha mandato queste e altre domande a Casaleggio via mail, su invito della segretaria, senza ricevere le risposte nei tempi utili per la pubblicazione.
Se arriveranno, ne daremo conto in un nuovo articolo. Eppure i soldi per la piattaforma vengono versati dai donatori sul conto di un’associazione che ha la sede sempre presso la Casaleggio. Altro dettaglio importante: l’estate scorsa sul blog era stato pubblicato l’organigramma dei responsabili delle varie funzioni tecniche della piattaforma.
E qui si diceva che due delle più importanti, il “fund raising” e le votazioni, erano saldamente nelle mani dello «staff», ovvero della Casaleggio.
La quale, dunque, si è garantita il controllo di due leve fondamentali per governare il partito: i soldi e il consenso.
È difficile prevedere come evolverà il Movimento dopo i successi di Roma e Torino. Nella capitale piemontese, ad esempio, la neo-sindaca Chiara Appendino non ha firmato il contestato codice etico sottoscritto invece da Virginia Raggi, che prevede – tra l’altro – una sanzione di 150 mila euro per chi riceverà «una contestazione a cura dello staff coordinato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio», come si legge nel documento.
Appendino ha sempre voluto sottolineare la propria autonomia. Chi la conosce sostiene che ha avuto con Davide un unico incontro, a campagna già lanciata. Lei stessa è stata candidata per alzata di mano dagli attivisti, non on line, e dice di aver scelto gli assessori da sola.
L’occasione di governare città importanti è probabilmente troppo ghiotta perchè i Cinque Stelle si facciano subito cogliere in castagna su un tema come l’indipendenza degli eletti, sentito anche all’interno.
Con il tempo, però, Grillo e Davide dovranno gestire l’apparente contraddizione fra un partito che ha l’ambizione di favorire la «democrazia diretta» ma dove ormai si moltiplicano gli organismi direttivi: il direttorio, scelto interamente dall’alto, il comitato di appello sulle espulsioni, lo staff dei garanti per Roma, l’Associazione Rousseau e i responsabili delle funzioni della piattaforma omonima.
Organismi dove numerosi nomi compaiono più volte, da Alessandro Di Battista a Roberto Fico, da Bugani a Borrelli. Altre domande inviate da “l’Espresso” a Davide, rimaste senza risposta.
La prima: il Movimento si è sempre opposto all’accumulo di poltrone; tuttavia nell’organigramma molti nomi compaiono più volte; non trova sia una contraddizione?
E ancora: alcuni dei presenti negli organigrammi, selezionati dalla Casaleggio, hanno avuto ruoli di primo piano nelle procedure di espulsione di attivisti o eletti; come giudica questo fatto?
Infine c’è una delle questioni più annose, quella dei soldi.
L’ha sollevata qualche settimana fa in un’intervista a “La Stampa” anche Marco Canestrari, uno dei collaboratori storici di Gianroberto, ormai uscito dalla Casaleggio.
Del direttorio e della leadership di Luigi Di Maio ha detto: «Davvero qualcuno pensa che l’onorevole Di Maio smetterà di far politica a 37 anni, dopo due mandati? Hanno già creato un patto e una casta di intoccabili: tutto quello contro cui Gianroberto ci spingeva a lottare».
Di Davide: «Non ha nessuna passione politica, a differenza del padre. (…) Vuole solo raggiungere gli obiettivi che si dà . Mancato Gianroberto, il Movimento rimane solo un asset dell’azienda: chi lavora sui portali, sul blog e su Rousseau è assunto dalla Casaleggio, ad essa risponde e lavora anche su altri progetti, estranei alla politica».
Chi frequentava Casaleggio padre, racconta che lui ripeteva spesso di averci perso, con la politica, non guadagnato. Una qualche conferma si ha dal bilancio 2014, l’ultimo disponibile, che dopo il boom del 2013 mostra ricavi in calo da 2 a 1,5 milioni, nonchè perdite per 151 mila euro. Eppure i siti collegati alla Casaleggio e al Movimento, sono numerosi e frequentati, anche grazie al forte uso di una strategia chiamata “clickbait”, “esca da click” in inglese.
Funziona così: sui social network vengono condivisi link con una titolazione dai toni allarmisti, in modo da spingere il lettore a cliccare.
Così tre casi di intossicazione da tonno diventano “Allarme: non mangiatelo assolutamente potrebbe uccidervi”, oppure il ricovero di Vittorio Sgarbi per una colica si trasforma in “Sgarbi, tragica notizia pochi minuti fa”.
Una tecnica che porta risultati concreti: TzeTze e LaFucina, i siti della Casaleggio che più di tutti ne fanno uso, ricavano oltre i tre quarti dei loro accessi proprio dalle condivisioni sulle bacheche degli utenti.
A rendere virali queste notizie ci pensano le pagine Facebook, compresa quella di Beppe Grillo, gestite dai social media manager della società .
Ecco perchè le altre domande de “l’Espresso” a Davide: i ricavi generati dalla pubblicità sui siti legati al Movimento 5 Stelle, e in particolare di “Beppegrillo.it”, producono in qualche modo dei ricavi anche per la Casaleggio Associati? Se sì, quale quota?
E ancora: quali sono i ricavi della Casaleggio generati dai siti “tzetze.it”, “lafucina.it”, “la-cosa.it”?
In mancanza di risposte, almeno al momento, non resta che affidarsi a qualche ipotesi, partendo dai dati di Google Adsense, la piattaforma che cura la pubblicità sui siti del sistema.
Su TzeTze e LaFucina ogni settimana vengono visualizzate 3-4 milioni di “impression” (pubblicità ), mentre il blog di Grillo da solo arriva a 5-10 milioni di spot a settimana.
Passare da questi numeri ai dati dei ricavi, non è facile: una stima prudente per siti generalisti e di news permette di indicare tra i 50 centesimi e 1,5 euro di incassi ogni mille visualizzazioni, a cui vanno tolte le commissioni.
Questi calcoli porterebbero a collocare tra i 300 e i 700 mila euro annui i ricavi del blog di Grillo e tra i 100 e 300 mila per TzeTze e poco meno per LaFucina.
Se le stime fossero corrette, e se i soldi della pubblicità non finiscono altrove, come ipotizza qualcuno, ne verrebbe però una conseguenza.
È cioè che la Casaleggio, pur senza arricchirsi, è sempre più un’azienda-partito.
Perchè tolti i soldi che arrivano dai siti grillini, di altro business ne resterebbe poco. Un bel guaio, per l’autonomia del Movimento. E forse anche per Davide.
Mauro Munafò e Luca Piana
(da “L’Espresso“)
argomento: Grillo | Commenta »
Giugno 28th, 2016 Riccardo Fucile
SULLA SPINTA DEI 4 MILIONI DI FIRMATARI DELLA PETIZIONE PER RIMANERE IN EUROPA E NEL TIMORE DELLE CONSEGUENZE, ORA IL GOVERNO VORREBBE TRATTARE
Mentre l’Europa si interroga sulle conseguenze di Brexit, la Gran Bretagna comincia a fare marcia indietro.
Jeremy Hunt, ministro della Sanità britannico, uno dei fedelissimi di David Cameron, dichiara in un’intervista al Daily Telegraph: “Se l’Unione Europa ci facesse concessioni per mettere freni all’immigrazione, potremmo fare un secondo referendum per ribaltare il risultato di quello della settimana scorsa”.
E’ soltanto un’ipotesi, ma rappresenta un’ammissione straordinaria a neanche una settimana da un voto che ha mandato in tilt i mercati, fatto crollare la sterlina e costretto Cameron a dimettersi.
Per coincidenza, è la stessa ipotesi formulata da Gideon Rachman, columnist del Financial Times, in un articolo che sarà in pagina domani sul quotidiano finanziario. “Non credo che Brexit avverrà “, afferma il commentatore, e poi spiega perchè.
Boris Johnson, in procinto di diventare premier al posto di Cameron, non è mai stato un ardente anti-europeo, tanto da essere rimasto incerto fino all’ultimo su da che parte schierarsi nel referendum.
Il suo unico intento era diventare capo del governo e sta per riuscirci. E Rachman ricorda una frase pronunciata a febbraio da Johnson: “C’è una sola parola che Bruxelles ascolta per fare concessioni ed è la parola no”.
Come dire: finchè si chiede e si negozia, la Ue concede poco e niente, come in effetti è accaduto nella trattativa con Cameron prima del referendum.
Quando si minaccia sul serio di sbattere la porta e andarsene, la Ue concede qualcosa (come in effetti è successo con la Grecia).
Il columnist del Ft immagina che fra qualche mese l’Unione potrebbe accettare di dare a Londra quello che aveva finora rifiutato: un qualche tipo di freno all’immigrazione, se l’immigrazione supera certi limiti.
Una concessione che andrebbe contro il principio della libertà di movimento. Ma la politica è l’arte del compromesso. E se per la Gran Bretagna è gravissimo uscire dalla Ue, anche per la Ue perdere la Gran Bretagna sarebbe molto grave.
Può sembrare fantapolitica, per ora. Ma le firme per organizzare un secondo referendum hanno raggiunto ormai 4 milioni.
E di un secondo referendum si parla apertamente al parlamento di Westminster. “Non piacerebbe agli estremisti, in Inghilterra e a Bruxelles”, scrive Rachman, “ma perchè i moderati di entrambe le parti dovrebbero farsi imporre un disastro dagli estremisti?” L’ipotesi ventilata dal ministro Hunt nell’intervista al Telegraph è tutta da verificare, insomma, ma non impossibile da realizzare.
Tanta gente è contraria a Brexit. Non è detto che il divorzio tra la Gran Bretagna e l’Europa si consumerà davvero.
(da “La Repubblica“)
argomento: Europa | Commenta »
Giugno 28th, 2016 Riccardo Fucile
CONFARTIGIANATO: L’EXPORT VERSO IL REGNO UNITO CONCENTRATO NEL NORD-EST, REGIONI PIU’ ESPOSTE VENETO E FRIULI
A pagare sarà soprattutto il Nordest: è lì che si concentrano le esportazioni dall’Italia verso il Regno
Unito ed è lì che la svalutazione della sterlina sull’euro potrebbe colpire di più.
Se poi si ragiona sulle piccole imprese e sull’incidenza rispetto alla produzione di valore aggiunto, le regioni che più si devono preoccupare dell’uscita di Londra dall’Europa sono il Friuli Venezia Giulia e il Veneto, seguite da Toscana ed Emilia Romagna.
Secondo uno studio della Confartigianato negli ultimi dodici mesi, da aprile 2015 a marzo 2016, l’Italia ha esportato oltre Manica beni e servizi per 22.570 milioni di euro.
Per la manifattura delle piccole imprese si parla di 7.538 milioni di euro, il 33,4 per cento dell’export complessivo, lo 0,52 per cento dell’intero valore aggiunto italiano. Brexit, secondo l’associazione, comporterà un taglio delle vendite delle pmi verso il Regno Unito per 727 milioni di euro.
La classifica.
E’ vero che per valutare a pieno titolo gli effetti dell’uscita bisognerà attendere i prossimi due anni, la rinegoziazione di 54 accordi commerciali e le possibili introduzione di dazi doganali, ma guardando alla vocazione produttiva è già chiaro che a pagare di più saranno soprattutto le regioni del Nordest; per quell’area il valore medio di incidenza dell’export britannico sul valore aggiunto prodotto è pari allo 0,95 per cento (ma il Friuli tocca l’1,22 e in Veneto l’1,12 ) contro lo 0,44 del Nordovest, lo 0,42 del Centro e lo 0,28 del Mezzogiorno.
Guardando alle province le più esposte sono Belluno, Pordenone, Gorizia e Reggio Emilia.
I settori.
Fra le piccole imprese il settore con maggiori vendite nel Regno Unito è l’alimentare, con 1.972 milioni di euro, seguito da abbigliamento (1.381milioni), pelle (1.051) , mobili (939 milioni), prodotti di metallo (894), tessile (424) e legno (106 milioni).
(da “La Repubblica“)
argomento: denuncia | Commenta »
Giugno 28th, 2016 Riccardo Fucile
NEL 2015 L’INPS HA RILEVATO UN CALO DEL 2,26%… IL NUMERO DEGLI ITALIANI E’ IN CONTROTENDENZA: + 4,23%
La doppia faccia della crisi economica emerge anche dai dati dell’Inps sui lavoratori domestici: se da un lato colf e badanti sono in costante calo, dall’altro sono in aumento i collaboratori domestici italiani.
Come se la disoccupazione avesse fatto riscoprire ai nostri connazionali un mestiere quasi dimenticato.
Nel 2015, secondo l’istituto di previdenza i domestici sono stati 886.125, in calo del 2,26% sul 2014.
Ma a fronte dell’andamento decrescente della categoria registrato nel triennio 2013-15, tra gli italiani si registra un andamento crescente pari al 4,23% nel 2015 (quando hanno raggiunto quota 213.931) rispetto al 2014.
Quelli stranieri sono invece diminuiti del 4,16% (a quota 672.194) rispetto all’anno prima.
In generale si conferma una netta prevalenza delle donne, che nel 2015 hanno peraltro raggiunto il valore massimo degli ultimi sei anni, pari all’87,8% (777.797).
Invece, guardando alle presenze regione per regione, quella che registra il maggior numero di lavoratori domestici è la Lombardia, con 160.587 collaboratori pari al 18,1%, seguita dal Lazio (15,0%), dall’Emilia Romagna (9%) e dalla Toscana (8,5%). In queste quattro regioni si concentra più della metà dei domestici in Italia.
La composizione in base alla nazionalità evidenzia una forte prevalenza di lavoratori stranieri, che nel 2015 risultano essere il 75,9% del totale (provenienti per lo più dall’Europa dell’Est).
Guardando, infine, alla tipologia del lavoro, nel 2015 il numero di badanti, rispetto all’anno precedente, registra un lieve aumento (+2,2%), ma con un sostanziale incremento dei badanti di nazionalità italiana (+13%).
Il numero di colf, invece, evidenzia un decremento pari al -5,4%, in questo caso i lavoratori italiani fanno registrare una variazione in controtendenza (+0,3%).
(da agenzie)
argomento: Lavoro | Commenta »
Giugno 28th, 2016 Riccardo Fucile
PREZZI IN AUMENTO DEL 2,4%… IN SARDEGNA I PICCHI PIU’ ALTI, FINO A 80 EURO, IL MOLISE LA REGIONE PIU’ ECONOMICA
Caro ombrellone anche quest’anno, sulle spiagge italiane. 
Nonostante l’offerta sia sempre più ampia. E nonostante la crisi sia tutt’altro che alle spalle..
Da nord a sud gli aumenti in media sono del 2,4% rispetto all’estate 2015. Ed è così che tra ombrelloni, sdraio, lettini, e vari servizi, una giornata al mare può costare, in media, 59 euro per una famiglia composta da due adulti e due bambini.
Prezzi che possono arrivare fino a un picco di 78 euro in Sardegna.
E’ quanto emerge da un’indagine condotta dall’Adoc (Associazione difesa orientamento consumatori).
Nonostante la crisi e il maltempo, che fino a qualche giorno fa ha imperversato in molte località , l’associazione dei consumatori rileva inesorabili aumenti dei prezzi. “Rispetto allo scorso anno abbiamo registrato un contenuto aumento dei prezzi per l’utilizzo dei servizi offerti dagli stabilimenti balneari, in media nell’ordine del 2,4%” dichiara Roberto Tascini, presidente dell’Adoc.
D’altra parte, gli stabilimenti balneari si presentano sempre più al passo con una clientela esigente di tutte le età e offrono sempre più servizi. Ristoranti, discoteche, campi da beach volley, piscine super attrezzate.
Ce n’è per tutti i gusti e per tutte le tasche dalla cabina ‘sharing’ ai pacchetti per fasce orarie, e poi super sconti e abbonamenti di ogni tipo.
Le Regioni dove si registrano i maggiori aumenti sono Sardegna (+5,2%) e Campania (+4,1%), seguite da Puglia e Abruzzo (+3,8%), Basilicata e Marche (+3,7%). Mediamente, i costi da sostenere per il solo utilizzo dei servizi standard degli stabilimenti è pari a poco meno di 30 euro per famiglia.
Ma nel calcolo dei costi da sostenere per una giornata al mare vanno inseriti quelli destinati alla ristorazione, con una spesa media di 25 euro a famiglia e gli extra.
Complessivamente, una famiglia può arrivare a spendere 59 euro per una giornata al mare, con punte minime in Molise (48 euro) e massime in Sardegna (78 euro). “Nonostante il lieve rialzo dei costi il mare e le località balneari italiane – osserva Tascini – continuano ad essere le mete preferite dai turisti italiani, scelte dal 65% dei partenti. La Sicilia è la Regione più gettonata (19% delle preferenze), seguita da Puglia e Lazio. Il periodo preferito per il soggiorno è ovviamente agosto, ma anche settembre, che mediamente prevede prezzi inferiori del 30% rispetto all’alta stagione”. Secondo l’Adoc gli stabilimenti possono diventare la chiave di volta per promuovere il turismo balneare e culturale, per tutelare l’ambiente costiero e rilanciare l’economia blu, ma la loro gestione deve essere ripensata e l’annosa questione delle proroghe definitivamente risolta.
La spesa (ingresso, ombrellone, lettino, sdraio) per un giorno va da un minimo di 25 euro in Campania, Sicilia e Molise ad un massimo di 40 euro in Sardegna.
A seguire Liguria con 39 euro, Toscana con 36 euro, Veneto 32,5 euro, Emilia Romagna 30 euro.
Si spendono in media 29 euro nel Lazio, 28 euro in Friuli Venezia Giulia, Marche e Basilicata. Prezzi più contenuti in Calabria con 27,50 euro, Abruzzo e Puglia con 27 euro. Tirando le somme la media in Italia arriva a 29,80 euro.
I costi salgono con gli extra, dal cibo alla doccia, parcheggio e cabina, che pesano dai 23 ai 38 euro in più (in media 30,40 euro). Servizi che fanno lievitare la spesa fino alla cifra record di 80 euro in Sardegna.
“Gli stabilimenti balneari, se ben gestiti, possono diventare il primo baluardo per la tutela dell’ambiente costiero e marittimo ed essere il giusto viatico per il rilancio del turismo, sia balneare che culturale, e dell’economia blu, legata al mare – continua Tascini – il settore sicuramente non vive un buon momento, il calo delle presenze e degli investimenti degli ultimi anni, dovuto anche alla continua incertezza sulla durata delle concessioni, ha inciso profondamente sulla loro economia, soprattutto al Sud”. “Sarebbe opportuno – suggerisce Tascini – mantenere aperta la stagione balneare anche dopo la fine dell’estate, in particolare nelle Regioni più favorite dal clima. I prezzi più bassi nei periodi classicamente fuori stagione possono costituire un incentivo in più per le famiglie”.
(da “La Repubblica”)
argomento: carovita | Commenta »