Luglio 31st, 2016 Riccardo Fucile
IL DRAMMATICO RAPPORTO UE SULLE VIOLENZE AI BAMBINI SCOPERCHIA UNA FOGNA, CON LO STATO LATITANTE… E I PERBENISTI CHE SI SCANDALIZZANO SE UN IMMIGRATO PISCIA CONTROVENTO SULLA PEDOFILIA NON HANNO NULLA DA DIRE
Il padre di Clarissa L. ha cominciato a molestarla quando aveva dodici anni. Diceva di farlo per il suo bene. «Siamo parte di una razza superiore e questo è il mio dono per te».
Una presunta super-intelligenza che si fondava su un’ idea schifosa: «la società è piena di tabù, il mondo vive stipato in una gabbia per polli e noi dobbiamo aprire la gabbia e abbattere i tabù, primo fra tutti quello dell’incesto».
Lo ha abbattuto il tabù e ha abbattuto anche Clarissa. Per sei anni consecutivi.
Poi lei si è rivolta a un insegnante, quindi a uno psicologo, infine ai carabinieri, che sono andati ad arrestare il padre, che di mestiere insegnava matematica.
L’hanno condannato a sei anni e mezzo di galera. Ne ha passato uno ai domiciliari. «Dietro le sbarre, però, non è rimasto neanche un giorno. Ma la cosa che mi fa più male è un’altra. L’ultima frase che gli ho detto prima che salisse sul camper e provasse inutilmente a scappare alle forze dell’ordine è stata: “scusa papà , non ti volevo denunciare”».
I sensi di colpa. La vergogna. L’idea di avere rovinato la famiglia, anche quella mamma, professoressa anche lei, che giurava di non essersi accorta di nulla.
Così Clarissa non sapeva più se di questa storia – la sua – era la vittima o il carnefice. «Ci ho messo del tempo a rendermi conto di come sono andate le cose. Non avevo gli strumenti per arrivarci. Ma dopo avere ritrovato l’equilibrio l’ho denunciato una seconda volta, quando ho scoperto che aveva aperto un blog in cui adescava bambini e bambine». Lei era cambiata. Lui no.
Mentre andava alla polizia postale a denunciarlo le è tornato in mente il materasso dove qualche volta il padre – esattamente come faceva in camera, sotto la doccia, in cucina, sul camper, ovunque – abusava di lei.
Era in mezzo a un campo e per raggiungerlo bisognava attraversare un tunnel naturale fatto di arbusti. . «Attorno al materasso c’erano bambole e macchinine. E io a dodici anni con le bambole non giocavo più». Non è difficile immaginare l’orrore di quel luogo.
La parola che Clarissa usa più spesso per raccontare quegli anni è «confusione», come se il genitore pedofilo le avesse affondato un cucchiaio nella testa per mescolarle il cervello. Sei l’uomo che mi deve proteggere o sei un mostro?
«Alla fine non era tanto il sesso a farmi male, quanto questa gigantesca impossibilità di capire».
Quante sono in Italia le bambine e i bambini come è stata lei? E che cosa facciamo per aiutarli?
Domanda che pretende una risposta sempre più urgente nei giorni delle polemiche sul degrado di Caivano e del Parco Verde a Napoli («gli abusi sessuali in famiglia in queste zone sono elevati a normalità », sostiene il garante dell’infanzia campano), degli arresti contro la pedofilia on line effettuati dalla polizia postale in tutto il Paese e dell’impegno condiviso tra la ministra delle pari opportunità Maria Elena Boschi e la Garante Nazionale per l’infanzia, Filomena Albano, «per agire con tutti gli strumenti necessari per contrastare gli abusi sessuali sulle persone di minore età e la pornografia minorile». Belle parole. Ma c’è qualcuno che conosce realmente le dimensioni di questo disastro e quindi lo affronta?
Il buco nero
Il rapporto dell’Unione Europea sul maltrattamento e le violenze sui bambini dice che tra il 5 e il 10% dei maschi e il 20% delle femmine è vittima di abusi sessuali durante l’infanzia. Una bambina su cinque. Un bambino su otto.
E nell’ 80% dei casi sono i familiari a molestarli: il padre una volta su due, la madre una volta su dieci, poi gli zii, i nonni, i conviventi della madre, i fratelli, infine gli amici.
Gli estranei rappresentano l’ 8,9% del problema.
Non c’è distinzione di classe. Dal notaio al barista è un orrore diffuso.
E i numeri italiani? Presumibilmente non sono molto diversi. Presumibilmente.
Un numero ufficiale non esiste, perchè non esiste la banca dati nazionale prevista dalla legge 36 del 2006.
«La verità è che tutto ciò che riguarda i minori, non solo la pedofilia, non è monitorato e che c’è una disattenzione progressiva delle istituzioni, della politica e anche della società », dice Sandra Zampa (Pd), vice presidente della commissione infanzia.
Una disattenzione colpevole, per non dire criminale. «Non c’è la volontà politica di affrontare la questione», dice don Fortunato Di Noto, esperto mondiale di pedofilia e fondatore dell’Associazione Meter.
«C’è un problema di percezione della portata della pedofilia nel nostro Paese. La si ritiene un fatto marginale. Però sappiamo tutti che non è così. Io in 13 anni ho accolto più di mille e trecento vittime di pedofilia qui ad Avola. E per cento che ne vengono ce ne sono altri cinquecento di cui non abbiamo idea».
Uno lo aiuti. Cinque si perdono. Sciorina una sfilza di dati spaventosi e racconta dell’infantofilia, l’abuso sui bambini con meno di tre anni, in crescita esponenziale. «Qualcuno ci prende per folli, ma siamo di fronte a un fenomeno enorme. E in Italia avremmo anche le leggi per affrontarlo, ma nessuno le applica. Mi domando se non sarebbe il caso di fare vedere a tutti le fotografie di questo scempio. Magari smuoverebbero le coscienze come il piccolo Aylan sulla spiaggia in Turchia. Invece qui nessuno reagisce».
E se non c’è l’istinto a agire per assecondare le ragioni del cuore, bisognerebbe farlo almeno per quelle del portafoglio.
La prima indagine nazionale sull’epidemiologia del maltrattamento all’infanzia voluta da Terre des Hommes e dal Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento all’Infanzia (Cismai) curata dall’Università Bocconi di Milano, quantifica in 338 milioni e mezzo i costi diretti degli abusi sui bambini (ospedalizzazione, cura della salute mentale, costi per l’amministrazione della giustizia) e in oltre dodici miliardi quelli indiretti (cura della salute da adulti, criminalità adulta, delinquenza giovanile, perdita della produttività per la società ). Intervenendo tardi si producono due danni: adulti feriti e casse vuote.
La dottoressa Monica Micheli, addetta alla comunicazione del Cismai, giudice onorario e supervisore al Centro Aiuto al Bambino Maltrattato che nel comune di Roma ha assistito 1500 bambini e adolescenti in 18 anni, incarna fisicamente la distanza siderale che corre tra la volontà dei singoli di affrontare il tema con coraggio e la sensibilità pressochè nulla delle istituzioni.
«In febbraio siamo stati costretti a sospendere la nostra attività per esaurimento fondi. Mancava il bando, che adesso finalmente è arrivato e che da settembre potrebbe consentirci di rimetterci al lavoro».
Il sistema va a singhiozzo. Le violenze proseguono. E Micheli non può che condividere la visione dei colleghi: «L’attenzione dello Stato verso il tema è prossima allo zero e continua a mancare una politica di investimenti».
Ma che vita hanno i bambini abusati? Dipende dalla gravità dell’abuso. E da quanto è vicina a loro la persona abusante.
Genitori, parenti, religiosi, allenatori, maestri di scuola, bidelli. Tanto più l’abusante è prossimo all’abusato, quanto più il trauma è forte.
«C’è una rottura del rapporto di fiducia e gli effetti di quella rottura condizioneranno il modo in cui il bambino guarderà il mondo. E le cose andranno peggio se la madre non crederà all’abuso. Ma sui bambini si può fare un ottimo lavoro, anche se la cicatrice è destinata a rimanere. Lo psicologo da solo però non basta. È necessario che ci sia una rete».
E qui torniamo alla casella di partenza. A chi tocca costruire la rete? E come deve essere fatta? Come si aiuta davvero un bambino che – citando Sandor Ferenczi – cerca istintivamente il linguaggio della tenerezza e si trova a fare i conti con la violenza soffocante del linguaggio della passione di un adulto fuori controllo?
La Val d’Enza
C’è un posto in Italia dove la lotta alla pedofilia è una priorità assoluta. E i risultati si vedono. È un fazzoletto di terra in provincia di Reggio Emilia dove gli otto comuni della Val d’Enza – 62mila abitanti, 12mila minorenni, 1900 in carico ai servizi , 31 seguiti per abusi sessuali – hanno costituito un’Unione guidata dal sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, per tutelare i minori.
E magari cambiare anche la testa di chi non vede il problema. «Abbiamo fatto rete e lavoriamo con operatori specializzati capaci di dare risposte rapide. La variabile tempo è decisiva», dice Carletti.
È seduto di fianco al medico legale Maria Stella D’Andrea e all’assistente sociale Federica Anghinolfi. «Noi la volontà politica l’abbiamo avuta. E nonostante i tagli abbiamo anche trovato i soldi».
Come li hanno spesi? Facendo formazione sugli operatori per renderli in grado di leggere in anticipo i segnali di malessere, spesso aspecifici, dei bambini, rivalutando la figura dell’assistente sociale, lavorando con gli ospedali e con le scuole e appoggiando in modo esplicito le vittime della violenza.
Ad esempio costituendosi parte civile in un processo contro una madre che faceva prostituire la figlia dodicenne. Favoloso.
Ma i soldi? «Abbiamo cercato di ricorrere meno alle comunità (che pure sono fondamentali) dove per seguire un bambino servono 50mila euro l’anno. E abbiamo incentivato il ricorso agli affidi, che costano molto meno». Le idee. Un piano capillare. La professionalità degli operatori.
«Per noi è decisiva la riumanizzazione delle vittime. E per questo servono empatia e competenze specifiche. Ma sa quanti sono i corsi di laurea, a medicina o a psicologia, che prevedono la materia: “vittime di violenza”? Zero», dice Maria Stella D’Andrea, che chiede al governo interventi non solo teorici.
La legge di Stabilità del 2016 ha previsto, ad esempio, un “percorso di tutela delle vittime di violenza” rimandando a un decreto della presidenza del consiglio la definizione delle linee guida. Ma il decreto non è mai arrivato.
E anche se arrivasse ci sarebbe la garanzia della sua applicazione? Dubbio legittimo. «Dal 2001 la legge prevede l’obbligo per il sistema sanitario di mettere a disposizione delle vittime uno psicoterapeuta. Ma, mancando i soldi e mancando una visione, mancano anche gli psicoterapeuti. Però tutti zitti. In questo Paese è ancora troppo forte l’idea della famiglia patriarcale padrona dei figli», dice Anghinolfi.
Così in provincia di Reggio insistono con il fai da te.
E a settembre, grazie anche alla consulenza del centro studi Hansel e Gretel di Torino, apriranno un Centro di Riferimento per minori che garantirà formazione, tutela, ascolto e assistenza. Venite qui, vi diamo una mano. Il sistema? Lo chiamano “riciclo delle emozioni”. Come se i bambini finissero dentro una lavatrice sana e cominciassero a lavarsi dentro. Ora, il modello degli otto comuni dell’Unione Val d’Enza è lì, basta allungare una mano e prenderlo. Interessa?
La nuova vita di Clarissa
Grazie all’appoggio terapeutico, oggi Clarissa ha 26 anni, è una splendida donna laureata e fidanzata, ha scritto un libro sulla sua esperienza che spera di pubblicare, fa la logopedista, ha completato la discesa verso il nucleo oscuro della sua vita interiore e sa con certezza che quell’ uomo che le sembrava capace di conoscere qualunque cosa, dai Fenici a Internet, per quanto suo padre era semplicemente un manipolatore malato.
E sa anche che la sua vita potrà essere talmente piena da consentirle di avere, amare e proteggere un bambino suo, perchè, dice: «C’è stato un tempo in cui ero convinta che avrei potuto strapparmi l’utero con le mie mani. Adesso no. Adesso l’idea di un figlio non mi spaventa più».
Andrea Malaguti
(da “La Stampa”)
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Luglio 31st, 2016 Riccardo Fucile
I PM INDAGANO SULLE RELAZIONI DI QUANDO ERA CONSULENTE DELL’AZIENDA… COSI’ CERTIFICAVA IL BUON FUNZONAMENTO DEGLI IMPIANTI TMB, MESSI ORA SOTTO ACCUSA DAI CARABINIERI DEL NOE
C’è anche lo scontro tra consulenze della Procura e di Ama, nelle carte dell’inchiesta sui due Tmb della municipalizzata finiti nel mirino del pm Alberto Galanti.
Un braccio di ferro tra l’allora titolare al controllo degli impianti dei rifiuti, Paola Muraro, oggi assessore all’Ambiente, e i periti di piazzale Clodio.
Si tratta di una consulenza tecnica fatta in contraddittorio tra Ama e la procura sull’impianto Tmb di Rocca Cencia e sulla natura delle frazioni prodotte alla fine del ciclo di trattamento.
Le premesse sono le stesse ma completamente divergente l’esito dell’istruttoria che, ora, rischia di mettere in imbarazzo l’attuale assessora all’Ambiente della giunta Raggi.
Proprio su quell’impianto, così come su quello di via Salaria, era lei deputata al controllo di qualità dei rifiuti in ingresso ed uscita.
E furono i dati da lei certificati a stabilire che andava tutto bene, al contrario di quanto ipotizza la procura che ha infatti aperto un fascicolo per truffa con diversi funzionari iscritti nel registro degli indagati.
Questi i nuovi dettagli che stanno emergendo dall’inchiesta che ha trascinato nella bufera la Muraro.
Quello sui due Tmb Ama non sarebbe l’unico scontro che la vede protagonista “contro” la procura e in difesa di Ama.
Nel 2012 infatti, a quanto risulta da un documento in possesso di Repubblica, i carabinieri del Noe inviarono un rapporto al ministro Clini «relativamente a una persistente sottoutilizzazione di tutti e quattro gli impianti Tmb».
Le rilevazioni sono eseguite in piena era Alemanno, quando, stando all’inchiesta Mafia Capitale, Fiscon aveva ricevuto da Panzironi (entrambi arrestati nella prima tranche del “Mondo di Mezzo” e ora a processo) l’investitura come direttore generale su pressioni di Buzzi e Carminati.
Sono gli stessi anni disastrosi in cui Paola Muraro presta la propria consulenza, che aveva già dal 2004 in Ama, su quegli impianti.
Ma tutto sembra procedere bene nei Tmb, almeno per quel che emerge dal contradditorio tra le parti di fronte al pm. Ciò che lei invece oggi sostiene è che conserva ancora le numerose mail inviate ai suoi dirigenti in cui denunciava irregolarità , senza essere ascoltata, e che ha raccolto in un dossier pronto ad essere messo a disposizione degli inquirenti.
Sta di fatto che nel 2013, il 26 febbraio, a seguito di un esposto della Provincia di Roma, il pm Galanti apre un fascicolo, inizialmente come modello 45.
Quanto sostenuto dalla provincia è gravissimo: «A seguito di controlli eseguiti presso gli impianti Tmb è emerso dall’analisi dei registri di carico/scarico del mese di gennaio 2013 che la percentuale di Cdr (combustibile da rifiuto, ndr) in uscita da tali impianti si discosta da quanto previsto».
Uno scostamento su cui ora c’è una indagine.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 31st, 2016 Riccardo Fucile
QUASI LA META’ DEI CONTRIBUENTI VERSA IN MEDIA 305 EURO… DAI PENSIONATI UN GETTITO DI 58 MILIARDI
Dalle dichiarazioni dei redditi 2015 ai fini Irpef degli italiani emergono dati preoccupanti per la sostenibilità della spesa pubblica e del nostro welfare.
Su 60,79 milioni di abitanti quelli che presentano una dichiarazione dei redditi sono 40,7 milioni, ma solo 30,72 milioni dichiarano almeno un euro di reddito.
Il 46% dichiara solo il 5,1% di tutta l’Irpef pagando in media 305 euro l’anno; solo per garantire la sanità a questi 28 milioni di connazionali gli altri cittadini devono sborsare ben 43,3 miliardi.
Il successivo 15%, altri 9 milioni paga il 9% dell’intero ammontare Irpef, per una imposta media di 1.665 euro l’anno; per questi servono altri 1,7 miliardi per la sola sanità .
Quello che spaventa è che la gran parte di questi 37 milioni di italiani sono a quasi totale carico del 11,28% dei contribuenti che dichiarano oltre il 52% di tutta l’Irpef.
Vediamo ora in dettaglio le categorie dei contribuenti.
1) Su un totale Irpef versata di 167 miliardi i lavoratori dipendenti ne pagano 99 miliardi; il 60%.
Rappresentano la metà dei contribuenti (sono 20,459 milioni su un totale di 40,7) ma ben il 54% dei dichiaranti redditi positivi (16,462 milioni su 30,728 milioni).
I lavoratori dipendenti censiti negli archivi Inps sono circa 16,5 milioni il che significa che quasi il 100% è «fedele contribuente».
In termini di redditi troviamo 19mila soggetti con redditi dichiarati oltre i 300 mila euro; pagano una imposta pro capite di 182.650 euro l’anno esattamente come 609 lavoratori con redditi da zero a 15mila euro.
Giusto per rendere evidente la situazione i suddetti 19.000, pari allo 0,09% dei contribuenti, pagano più tasse del 36,5% dei contribuenti con redditi fino a 15.000 € (il 5,26% contro il 3,41%).
I lavoratori con oltre 100 mila euro di reddito sono l’1,17% (circa 240mila) e versano il 17,5% dell’Irpef. Tra i 20 e i 55 mila euro troviamo il 43,2% dei lavoratori dipendenti che versano il 55% di irpef, per una media tra 3.277 e 7.476 €.
2) Tutt’altra musica per i lavoratori autonomi; se ne stimano circa 7,5 milioni ma i dichiaranti sono 5,457 milioni di cui i versanti con redditi positivi solo 2,8 milioni.
Il primo gruppo di cittadini autonomi (pari al 77%), dichiara redditi tra 3.500 e 11.000 euro lordi l’anno.
Il successivo 15,90% di autonomi con redditi tra i 15 e i 35.000 euro, paga un’Irpef media di circa 1.500 euro, insufficiente per coprire i costi della sola sanità .
Solo il 6,45% degli autonomi (351 mila) paga imposte sufficienti mentre il restante 93,55% è a carico di altri lavoratori.
Il totale Irpef pagata da questi lavoratori è pari a 9,6 miliardi cioè il 5,7% del totale.
3) I pensionati pagano 58,581 miliardi di Irpef (il 35% del totale Italia); i dichiaranti sono 14,799 milioni (meno dei 16,259 milioni censiti da Inps) di cui i versanti positivi sono 11,449 milioni.
Il 46,1% paga un’Irpef media di circa 350 euro l’anno da imputare non tanto alla pensione quanto ad altre entrate o rendite; la no tax area è pari a 7.500 euro l’anno per i pensionati con meno di 75 anni e 7.750 per quelli da 75 e più anni.
Occorre considerare che sulle 3.964.000 prestazioni assistenziali (invalidità , accompagnamento, pensione e assegno sociale e pensioni di guerra) e sulle prestazioni con integrazione al minimo e maggiorazione sociale (altre 4,467 milioni) non si paga l’Irpef salvo che il pensionato possegga altre rendite.
Da tener presente che gran parte dei pensionati assistiti non ha pagato i contributi sociali nei 65 anni di vita attiva e neppure l’Irpef; tra questi una buona parte sono ex lavoratori autonomi.
4) Se i contributi pensionistici pareggiano le uscite per pensioni occorre che i circa 205 miliardi (112 miliardi per la sanità e 93 miliardi per l’assistenza), siano coperti dall’Irpef e dall’Irap (30,4 miliardi nel 2014) che però assommano a soli 190 miliardi (7 miliardi di Irpef sono stati restituiti come bonus 80 euro); diversamente, già dai prossimi anni, al di la delle fantasiose richieste di aumento della spesa per welfare da parte dei partiti sempre a caccia di voti, finanziare il nostro welfare sarà sempre più difficile.
Alberto Brambilla
(da “il Corriere della Sera”)
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Luglio 31st, 2016 Riccardo Fucile
DIETRO LA RESURREZIONE FINANZIARIA DI TRUMP SI PARLA DI CAPITALI RUSSI
Adesso fa quasi tenerezza ricordare Gary McKinnon, il giovane inglese appassionato di Ufo che 15 anni fa provocò il panico nel controspionaggio della «fortezza America» riuscendo a intrufolarsi in 97 sistemi informatici Usa, dal Pentagono alla Nasa.
Da allora gli attacchi alle reti del governo, alle aziende fornitrici delle forze armate come la Lockheed-Martin e la Northrop, ai giganti della finanza, si sono susseguiti senza interruzione.
Incursioni di hacker basati in Iran, in Russia, in Corea del Nord ma, soprattutto, in Cina. L’attacco più massiccio, quello del 2008, convinse il governo Usa a istituire il CyberCommand, una struttura militare specializzata in spionaggio e controspionaggio informatico.
Negli ultimi tempi l’attenzione si è spostata soprattutto sugli attacchi provenienti da Mosca. E la preoccupazione principale dei servizi segreti Usa – fin qui centrata sulla possibilità di offensive capaci di paralizzare le telecomunicazioni, il traffico aereo o la rete elettrica – adesso si sta spostando verso minacce di tipo politico: possibili interferenze straniere nel processo elettorale americano alla vigilia delle presidenziali.
Putin che prova a fare il burattinaio del voto Usa con l’intento di favorire Trump, finanziere politicamente naà¯f a digiuno di relazioni internazionali rispetto a una Hillary Clinton molto più temuta e detestata?
Quella del miliardario divenuto leader populista che è, in realtà , un «Manchurian candidate», un candidato eterodiretto, è una bella suggestione letteraria da spy story, ma non è suffragata da prove.
E gli hacker, oltre che in quelle del partito democratico e dell’organizzazione di Hillary Cinton, hanno cercato di penetrare anche nei sistemi informatici della campagna di Trump.
Il candidato repubblicano, però, ha fatto di tutto per giustificare i sospetti. Gli indizi non riguardano solo le ripetute affermazioni di stima, e a volte anche di ammirazione, per il capo del Cremlino, o l’invito a Mosca ad attaccare le reti informatiche Usa per cercare le email «smarrite» di Hillary Clinton: una sollecitazione poi derubricata a battuta sarcastica.
La Nato, temutissima da Putin, è considerata da Trump un’organizzazione obsoleta che lui è pronto a ridimensionare.
Poi ci sono gli uomini: non solo il capo della sua campagna elettorale Paul Manafort che per anni ha lavorato per il presidente filorusso dell’Ucraina Viktor Yanukovich, ma anche il suo consigliere di politica estera Michael Flynn, seduto a fianco a Putin durante un banchetto a Mosca e un altro suo consulente, Carter Page, che ha rapporti molto stretti con Gazprom, il gigante russo degli idrocarburi.
Ancora: negli stessi giorni in cui affermava di non essere pronto a far scattare le garanzie automatiche di mutua assistenza previste dai trattati Nato in caso di attacco russo alle Repubbliche baltiche, Trump ha fatto togliere dalla piattaforma programmatica repubblicana la promessa di fornire «armi difensive letali» all’Ucraina nella lotta contro i separatisti russi: una delle pochissime modifiche chieste dal candidato che ha approvato il resto del programma senza discussioni.
C’è anche chi sospetta che dietro la resurrezione finanziaria di Trump (ha riconquistato l’immagine di immobiliarista di successo, di nuovo miliardario, dopo un decennio di rovesci e bancarotte) ci siano capitali russi.
E che anche per questo il candidato repubblicano continui a non rendere noti i suoi rendiconti finanziari e fiscali. Ma qui siamo davvero ai romanzi di Le Carrè.
Fatto sta che adesso in America è scattato l’allarme rosso per la vulnerabilità ad attacchi stranieri di sistemi informatici che sono essenziali per ogni aspetto della vita anche politica del Paese. I timori riguardano anche il meccanismo tecnico del voto: in America ogni Stato ha il suo e in molte parti del Paese sono stati introdotti sistemi di voto elettronico che gli esperti informatici considerano vulnerabili.
Del resto i dati dicono che in campo informatico non c’è quasi nulla di invulnerabile: il GAO, il ramo investigativo del Congresso, ha censito ben 67 mila attacchi informatici nel solo 2014 ai danni di 24 agenzie federali, del Pentagono, del Dipartimento di Stato, del Tesoro, degli Interni («Homeland Security») e della Nasa.
Attacchi provenienti da tutto il mondo, certo, ma quelli più insidiosi degli ultimi anni alla casa Bianca e al Dipartimento di Stato portano la stessa firma che viene fatta risalire dagli esperti al Gru, il servizio segreto militare russo.
Come l’attacco contro i democratici Usa. Del resto viviamo ormai in un mondo in cui tutti spiano tutti e gli americani sono di certo in prima fila, visto che controllavano perfino i cellulari di leader alleati come Angela Merkel.
Washington lo ammette ma afferma di spiare per garantire la sicurezza (sua e degli alleati), non per ottenere vantaggi commerciali illeciti (accusa rivolta allo spionaggio francese) o per interferire negli affari politici interni di un Paese (il sospetto che ora grava sui russi).
Ma qualche mese fa il capo dei servizi segreti Usa, James Clapper, ha ammesso in un’audizione al Congresso che a volte gli interventi di spionaggio vanno oltre le esigenze di difesa.
Massimo Gaggi
(da “il Corriere della Sera”)
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Luglio 31st, 2016 Riccardo Fucile
SONO DUE GRUPPI LEGATI AI SERVIZI DI MOSCA, ECCO COME HANNO FATTO
In un’audizione di febbraio al Senato il capo dell’intelligence americana, James Clapper, aveva lanciato l’allarme sul pericolo di attacchi informatici nei confronti dei candidati alla presidenza americana.
A giugno, in un’intervista alla National Public Radio, Clapper aveva parlato esplicitamente dell’importanza di preparare i responsabili delle campagne presidenziali a evitare i rischi di una cattiva gestione dei siti attraverso cui i candidati parlano agli elettori, raccolgono dati, ottengono donazioni.
Ma, a giudicare dalle ultime vicende, non è stato ascoltato. E i democratici adesso pagano pegno. L’ultimo attacco è di ieri con un sito civetta che ha permesso ai criminali di reindirizzare le donazioni al Comitato elettorale democratico verso un sito fasullo.
Cosa hanno rubato
Per Hillary e i democratici i guai cominciano a metà giugno quando l’azienda di cybersecurity Crowdstrike rende nota la violazione del database del Comitato nazionale democratico e un gigantesco furto di dati, attribuendolo a due gruppi hacker russi.
Oggetto del furto sono 19.250 email con 8mila allegati del Comitato successivamente pubblicate da WikiLeaks causando le dimissioni della direttrice del comitato.
Non sappiamo quanto altro materiale sia in possesso degli hacker visto che già nel 2015 Detox Ransome si era appropriato dell’intero database democratico rubando username, password, email dello stesso Comitato mettendolo in vendita nel Dark web.
Il movente e i responsabili
L’identità degli attaccanti potrebbe non essere definitiva, tuttavia un’analisi degli strumenti usati e il profilo degli attaccanti coinvolti secondo le agenzie di sicurezza che si sono occupate del caso non lascia dubbi.
Sono gli stessi che avevano già attaccato la Nato e la Casa Bianca: Cozy Bear, un gruppo hacker legato ai servizi russi Fsb, ex-Kgb, entrato nei server del Comitato democratico spiandolo per quasi un anno senza essere individuato, e Fancy Bear, un gruppo hacker legato al Gru, i servizi militari russi, che si è appropriato delle email del comitato.
Un terzo soggetto, Guccifer 2.0, diffonde i documenti del Comitato democratico, la lista dei donatori e il materiale su Trump.
Dice di essere romeno e di agire da solo, ma lo si ritiene legato al Gru: i suoi materiali sono editati su una tastiera in cirillico e gli indirizzi Ip sono legati alla Russia. Potrebbe, però, essere anche un tentativo di depistaggio.
Gli hacker hanno usato complesse tecniche di attacco la cui analisi ha rivelato l’uso di malware e pattern di comportamento riconducibili ad altre operazioni associate allo spionaggio russo, condotte in giorni compatibili con gli orari lavorativi di personale governativo russo.
Elementi che convergono tutti verso uno stesso movente: l’interesse strategico per la Russia di conoscere programmi e constituency elettorale della candidata democratica Hillary Clinton e di favorire quella del suo rivale, Donald Trump, per cui Vladimir Putin non nasconde ammirazione. Tanto più che nei giorni scorsi Trump era parso “invocare” l’aiuto dei russi.
Chi sono e come lo hanno fatto
Gli attacchi sono stati basati sull’impiego di spear phishing: una tecnica che per ottenere dati sensibili dalle vittime usa messaggi email che sembrano provenire da qualcuno che si conosce e ci invita a cliccare su di un sito o un allegato che contiene un virus (un Remote Access Tool) in grado di prendere il controllo del computer della vittima. Una modalità di attacco propria del gruppo Fancy Bear condotta pare con un malware chiamato X-Tunnel, capace di togliere i filtri ai dati e parte dell’arsenale del temuto gruppo.
E infatti tutto potrebbe essere cominciato con la violazione dell’account di una consulente del Comitato che faceva ricerche su Trump, Alexandra Chalupa, e che aveva ricevuto una email dai tecnici di Yahoo in cui le notificavano la possibilità che il suo account fosse stato preso di mira da “state-sponsored actors”.
Poche settimane dopo i democratici annunciavano la falla di sicurezza che avrebbe messo nelle mani di Wikileaks le email del comitato. Nonostante le rassicurazioni dello staff della Clinton, secondo Yahoo potrebbero essere stati compromessi anche i telefonini dei membri del comitato e i dati di importanti finanziatori della campagna democratica.
Non è ancora chiaro se sia stata un’ordinaria operazione di spionaggio o il tentativo di interferire con le primarie, ma adesso tutta l’attenzione è per il voto elettorale di novembre.
Arturo di Corinto
(da “La Repubblica”)
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Luglio 31st, 2016 Riccardo Fucile
L’ATTACCO HACKER GESTITO DAGLI UOMINI DI PUTIN
Hillary Clinton accusa direttamente Mosca per il furto delle email e dei dati all’interno dei server del Democratic National Commitee, il comitato che guida il partito democratico Usa. “Sappiamo che sono stati i servizi segreti russi e sappiamo che hanno organizzato anche la diffusione di quelle mail”.
Oggetto del furto sono 19.250 email con ottomila allegati del Comitato – successivamente pubblicate da WikiLeaks – che hanno causanto le dimissioni della direttrice del comitato. La campagna presidenziale per la Casa Bianca, appena iniziata ufficialmente con la fine delle due convention, prende quindi le sfumature di una spy story a sfondo geopolitico.
Gli hacker hanno usato complesse tecniche di attacco, la cui analisi ha rivelato l’uso di malware e pattern di comportamento riconducibili ad altre operazioni associate allo spionaggio russo, condotte in giorni compatibili con gli orari lavorativi di personale governativo russo.
Elementi che convergono tutti verso uno stesso movente: l’interesse strategico per la Russia di conoscere programmi e constituency elettorale della candidata democratica Hillary Clinton e di favorire quella del suo rivale, Donald Trump, per cui Vladimir Putin non nasconde ammirazione.
La Clinton, nell’accusare Mosca, ha anche attaccato il suo sfidante Donald Trump, accusandolo di dare supporto al presidente Vladimir Putin.
Nei giorni scorsi, Trump aveva pubblicamente chiesto “l’aiuto” degli hacker russi per trovare le mail scomparse della Clinton, in quel caso riferendosi però al cosiddetto scandalo Mailgate, ovvero i messaggi che la Clinton avrebbe inviato quando era Segretario di Stato attraverso un server privato.
La dichiarazione della candidata democratica arriva dopo che ieri era stato annunciato che l’Fbi, insieme al dipartimento di Giustizia, stanno indagando un nuovo attacco di hacker contro il partito democratico.
Le parole della Clinton sono destinate a far aumentare ulteriormente la tensione tra Washington e Mosca per la vicenda che rischia di diventare un nuovo, preoccupante, elemento di questa sorta di nuova guerra fredda che le due super potenze stanno vivendo ormai da tempo.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 31st, 2016 Riccardo Fucile
LA FRASE SU FB DELLA CAPOGRUPPO DELLA LEGA IN CONSIGLIO COMUNALE A MUSILE DI PIAVE, MONICA BARS (CHE OVVIAMENTE E’ ANCORA A PIEDE LIBERO)… SE SALVINI NON LA ESPELLE E’ CORREO E SE QUALCUNO NON PROCEDE E’ OMISSIONE D’ATTI D’UFFICIO
“Va eliminata fisicamente”.
Dopo le offese sessiste di Matteo Salvini, che l’aveva paragonata ad un bambola gonfiabile, ecco che nei confronti di Laura Boldrini arriva addirittura una minaccia targata sempre Lega. Questo volta ad attaccare la presidente della Camera è Monica Bars, capogruppo della leghista in consiglio comunale a Musile di Piave, in provincia di Venezia, che così ha commentato un articolo pubblicato su Facebook con le ultime dichiarazioni della Boldrini: “Va eliminata fisicamente”, ha scritto sul popolare social network.
La polemica si è rapidamente diffusa sui social network fino a finire sui banchi di Montecitorio. Cinque onorevoli del Pd, Davide Zoggia, Michele Mognato, Delia Murer, Andrea Martella e Sara Moretto hanno presentato un’interrogazione al ministro dell’Interno Angelino Alfano.
Per i parlamentari democratici “le espressioni usate risultano essere andate ben al di là della libertà critica di espressione”.
La violenta reazione della consigliera, secondo i quotidiani locali, è seguita a una discussione sulla posizione della Presidente della Camera in merito all’emergenza sanitaria in Turchia. Ricordiamo che ‘istigazione a delinquere è un reato previsto dall’art. 414 del vigente codice penale italiano: “chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell’istigazione. Affinchè il fatto di istigare a delinquere sia penalmente rilevante, deve sussistere pubblicità nel comportamento di chi istiga. Se sussiste detta pubblicità , il fatto di istigare a delinquere diviene penalmente rilevante, anche se non è seguito dalla commissione del reato. La pena prevista dall’art. 414 è la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti.”
In attesa che qualcuno delle Istituzioni cominci ad applicare la legge vigente…
(da agenzie)
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Luglio 31st, 2016 Riccardo Fucile
BAGNI MIRAMARE DI TIRRENIA: LA DIREZIONE LO ACCOMPAGNA ALLA PORTA
Ha protestato contro i gestori di un ristorante per la presenza di un tavolo con 25 disabili che, a suo dire, disturbava lui e i suoi familiari.
Teatro di questa vicenda, come riporta Il Tirreno, è stato il Bagno Miramare di Tirrenia, dove un uomo si è lamentato ripetutamente, arrivando ad affermare: “Se qualcuno mi avesse informato avrei disdetto la prenotazione”.
Una lamentela respinta al mittente dato che l’uomo è stato invitato ad andare a cenare da un’altra parte.
L’episodio è stato denunciato sul profilo Facebook dal fratello di uno dei disabili presenti al ristorante del Bagno Miramare.
Era lì con la madre per stare insieme ad altri amici. “Bagno Miramare a Tirrenia.
Un cliente si lamenta con la direzione per la presenza di 25 disabili (tra cui anche mio fratello) chiedendo di essere preventivamente informato, in modo da poter disdire la prenotazione.
Esemplare la risposta della direzione, la quale, con cordialità livornese, invita il cliente ad andare a mangiare da un’altra parte e che loro non erano in alcun modo tenuti ad informare nessuno.
Personalmente auguro a questo anonimo ‘cliente’ di vivere una vita serena senza avere mai nessun tipo di incidente. Perchè purtroppo nella vita non si sa mai cosa può succedere”.
(da “Huffingtonpost“)
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Luglio 31st, 2016 Riccardo Fucile
“NON SONO RIUSCITO A TRATTENERE LE LACRIME SOTTO IL CASCO, LA SIGNORA DEVE AVER INTUITO E MI HA ABBRACCIATO”
In piazza su fronti opposti, uniti dalla malattia nella vita.
La foto dell’abbraccio tra la manifestante anti Ilva durante la visita del premier Renzi e un agente di polizia durante un sit-in di protesta a Taranto, scattata da Michele Piscitelli e pubblicata su bari.repubblica.it, sta facendo il giro del web.
Nella città pugliese avevano manifestato parenti e amici di persone che non ci sono più o stanno combattendo contro una brutta malattia.
Su Facebook una delle mamme che erano lì ha postato una foto dell’abbraccio con una frase emozionante: “Io lo so che siete anche voi con noi, lo so. Perchè siete padri, fratelli, siete come gli operai dell’Ilva: portate il pane a casa. Poveri cristi, come noi”.
“La signora – si legge sul profilo Facebook di Agente Lisa, pagina sociale della polizia di Stato – era in lacrime con al collo un cartello con la scritta ‘#siamotutti048’, dove 048 è il codice di esenzione per i malati oncologici. Anche il mio collega, un vicesovrintendente del Reparto mobile di Taranto, è uscito da questa terribile esperienza e mi ha detto: ‘Quando ho letto quel cartello ho provato un colpo al cuore, in un attimo ho ripercorso quei momenti brutti e mi sono commosso. Non sono riuscito a trattenere le lacrime sotto il casco, la signora deve aver intuito qualcosa e mi ha abbracciato. Oggi mi sento un miracolato – ha continuato il mio collega – e fortunato per aver avuto sempre tanti colleghi che mi sono stati vicino'”.
La donna della foto si chiama Elena e ha un figlio avvocato di 29 anni in chemioterapia.
“Io non contestavo il MarTa (il Museo archeologico visitato dal presidente del consiglio), perchè da tarantina ne sono stata sempre orgogliosa. Ma avrei voluto vedere Renzi inaugurare un reparto di oncoematologia pediatrica, che qui manca, o un centro di eccellenza medica. A Reggio Emilia l’hanno finito in cinque anni. È difficile capire il disagio finchè non ci si scontra. Noi per andare a fare la chemio a Castellaneta abbiamo pagato 220 euro per l’ambulanza privata e dobbiamo ringraziare medici e infermieri eroi che in pochi mantengono un reparto con 1.500 pazienti”.
“Non è solo la malattia a uccidere, ma anche la burocrazia”, prosegue mamma Elena.
“Le liste d’attesa interminabili per una tac ci hanno costretti ad andare a Matera, con tutti i costi del caso. Poi a Milano un altro viaggio della speranza, per scoprire che lì c’è una colonia di tarantini che si cura il tumore. Mi chiedo cosa aspetta il governo a potenziare la nostra sanità “.
(da “La Repubblica”)
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