Luglio 6th, 2016 Riccardo Fucile L’AUTORE DI UN VIDEO COMICO COPERTO DI INSULTI SU FB
No, ai 5 stelle la satira non fa ridere. 
Il video comico su Virginia Raggi e Alessandro Di Battista pubblicato da Claudio Colica sulla sua pagina Facebok e ripreso dall’Espresso, ha scatenanto un’ondata di veri e proprio insulti che sono stati raccolti ironicamente in un post dal titolo ‘Offensiva grillina’.
«Facciamo questo post per ringraziare tutti quelli a cui è piaciuto il video ma soprattutto per un altro motivo: ci ha sorpreso il numero di minacce e insulti che abbiamo ricevuto» scrive Colica.
E cercando di smorzare i toni aggiunge: «Ragazzi, è uno sketch comico, alcuni dei realizzatori del video stesso hanno votato m5s. à‰ satira politica! Molto più leggera, oltretutto, di quella che lo stesso Beppe Grillo faceva un po’ di anni fa e di cui pensiamo che lui stesso andrebbe fiero! È incredibile come certa gente non accetti un qualcosa che vada “contro” (tra tante virgolette) i suoi ideali (…) Evviva la democrazia! Evviva la trasparenza! Evviva la satira!»
(da “L’Espresso”)
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Luglio 6th, 2016 Riccardo Fucile “CI SARA’ UN NUOVO GOVERNO E UNA NUOVA LEGGE ELETTORALE CONDIVISA”
Il vento politico sta girando, radio, tv e giornali sono tornati a cercarlo e in questo improvviso revival Massimo D’Alema si ancora ad una certa materialità della politica: «Mi chiedo come faranno i cittadini ad orientarsi in vista del referendum sulla Costituzione. Devono votare a favore o contro un libro…».
Un libro? D’Alema – seduto alla scrivania della Fondazione ItalianiEuropei – mostra un opuscolo: «Questo è il volumetto di parecchie pagine, che la Camera dei deputati ha pubblicato con tutte le modifiche alla Costituzione. Un testo farraginoso e confuso, di difficile comprensione persino per i tecnici, figurarsi per un cittadino. Sarebbe stato corretto formulare diversi ddl per i punti della riforma e consentire ai cittadini di rispondere ai quesiti, con un si o con un no, ma evidentemente si è preferito impostare il referendum come un plebiscito».
Quasi inevitabile che Renzi enfatizzi un atteggiamento del tipo: dopo di me il diluvio. Sta nel gioco?
«No. Si vota sulla Costituzione e si dovrebbe farlo con un confronto sereno anzichè in un clima di paura, dominato dal preteso rischio di ingovernabilità e addirittura di recessione di cui Confindustria si sta facendo portavoce. Ma attenzione: in questa fase l’opinione pubblica, se si sente ricattata da una campagna palesemente menzognera, si irrita. Se vincerà il No e Renzi insisterà nel volersi dimettere, dopo di lui non ci sarà il diluvio, semmai il buonsenso».
Ma oggi un governo c’è e invece la vittoria del No cancellerebbe esecutivo e riforma istituzionale. Non è troppo?
«Anzitutto io non chiedo le dimissioni di questo governo. Se cade questa pasticciata e confusa riforma, il Parlamento non soltanto potrà non essere sciolto – e da questo punto di vista confido nella saggezza del Capo dello Stato – ma io credo che ci saranno anche un governo, se necessario, e una nuova legge elettorale»
Chiedere a Renzi di restare dopo tutto quello che ha detto, non somiglia ad una provocazione?
«Le dimissioni sono qualcosa che lui ha gettato nella mischia per ragioni politiche, legittime, ma tutte sue. Per la verità nessuno chiede le dimissioni di Renzi. Se non Renzi. E in ogni caso a quel punto si potrebbe fare una riforma, condivisa, chiara e rapida»
Facile a dirsi…
«Penso a una riforma che preveda tre articoli. Scritti in italiano, non in politichese. Primo: è ridotto il numero complessivo dei parlamentari. Duecento deputati e cento senatori in meno. Avremmo una riduzione di trecento parlamentari, con il vantaggio che non ci sarebbero “dopolavoristi”, destino che invece attende consiglieri regionali e sindaci secondo quanto previsto dalla riforma».
Articolo 2 e articolo 3?
«Articolo secondo: il rapporto fiduciario del governo è solo con la Camera dei deputati. Dunque, fine del bicameralismo perfetto. Articolo terzo: nel caso in cui il Senato o la Camera apportino delle modifiche ad un testo di legge, tali modifiche vengono esaminate entro un tempo limitato da una apposita commissione, costituita dai parlamentari dei due rami. Se l’intesa non c’è, passa il testo prevalente, che viene sottoposto al voto delle due Camere, con sbarramento ad ulteriori emendamenti. Fine della navetta, del bicameralismo perfetto e delle perdite di tempo. Un meccanismo di questo tipo esiste in altri Parlamenti: per esempio in quello americano. Una riforma approvabile dai due terzi dei parlamentari, che si può fare in sei mesi. Nel frattempo si discute una nuova, seria legge elettorale, che non preveda più la nomina dei parlamentari da parte dei capipartito e non abbia una impostazione rischiosamente iper-maggioritaria. Non ho mai condiviso l’Italicum e non penso che sia pienamente rispettosa della sentenza con cui la Consulta ha cancellato il Porcellum».
Ma perchè tutto questo “ambaradan” se una riforma costituzionale già c’è? Nessuno dice che siamo alla Terza Repubblica, ma non è meglio che niente?
«Ho avanzato una proposta alternativa. E chiedo un No al referendum per fare seriamente le riforme e non impedirle. Le riforme serie sono quelle condivise e non imposte a maggioranza. Ricordo un bellissimo intervento dell’onorevole Sergio Mattarella, che contrappose lo spirito della Costituente alla pretesa arrogante, allora di Berlusconi, di riforme a maggioranza. E noi le respingemmo».
Se la riforma interpreta bene l’urgenza di un cambiamento, il bon ton può non essere essenziale. O no?
«Non è solo questione di bon ton. Ridurre la Costituzione a legge ordinaria non va bene per il Paese perchè diventa una riforma di incerta durata. La Costituzione deve essere un testo stabile, di regole scritte da tutti. I grandi Paesi hanno costituzioni che durano molti anni, ma se noi ad ogni mutare di maggioranza politica, cambiamo la Costituzione, il sistema vive nel massimo di incertezza. E comunque, almeno, la maggioranza di Berlusconi era espressione forte di un voto popolare».
Ma nel merito?
«Ci sono disposizioni demagogiche e altre foriere di conflitti istituzionali. Due soli esempi: sindaci e consiglieri regionali possono trascorre cinque giorni a Roma nelle commissioni parlamentari? Pura demagogia. Per potere dire: non gli pagheremo lo stipendio. Poichè non vi è una chiara distinzione delle leggi delle quali si deve occupare il Senato, noi rischiamo di aprire un contenzioso tra le due Camere, di volta in volta risolto dalla Corte costituzionale. Per tutte queste ragioni chiedo di votare no per una vera svolta riformatrice».
A Torino l’importante consuntivo portato dal sindaco è stato una sorta di variabile indipendente rispetto alla generica esigenza di cambiare: si sente almeno un po’ solidale con Renzi, considerato da alcuni già «vecchio»?
«Il Paese vuole novità , sperava che la novità fosse Renzi ed è rimasto deluso e infatti sul voto ha pesato un sentimento anti-Renzi. A Milano abbiamo vinto grazie all’impegno di Pisapia, che ha fatto una campagna all’insegna: qui non si vota su Renzi».
Fabio Martini
(da “La Stampa”)
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Luglio 6th, 2016 Riccardo Fucile “FREQUENTAVA IL CORSO ALLA BRAC UNIVERSITY, DOPO UN ANNO MOLLO’ TUTTO”
Da “uomo senza qualità ” a terrorista. Prima di sposare la causa jihadista e di posare sorridente
avvolto dalla bandiera nera alla vigilia del massacro di Dacca, Rohan Ibne Imtiaz “era uno studente poco brillante”. In una parola, “uno invisibile”.
È questo quanto rimane nella memoria di N. T., professore veneziano di storia, rimasto 13 mesi (tra il 2014 e il 2015) a insegnare a Dacca nell’università privata “Brac”.
Il docente ci ha chiesto di mantenere l’anonimato perchè, “dopo la strage temo per la mia sicurezza”.
Quando ha realizzato che uno degli autori del massacro era stato suo studente?
“Ho visto sui giornali le foto dei terroristi e ho sentito che venivano descritti come intellettuali. Allora mi è sembrato di riconoscere nel volto di Imtiaz (Rohan Ibne Imtiaz, ndr) lo studente di “Business” che avevo conosciuto nella primavera del 2015, quando frequentava il mio corso obbligatorio. Contrariamente a quanto ho letto e sentito, non era affatto una persona colta. Semmai lo definirei uno studente senza qualità “.
In che senso?
“Uno che non partecipava attivamente durante le lezioni: non interveniva, non ascoltava, nonostante si trovasse in una classe di persone molto vivaci. Si era iscritto nell’agosto del 2014, ma a fine 2015 aveva già mollato”.
Rohan Ibne Imtiaz aveva amici?
“Non era uno che spiccava per simpatia, ingegno o socievolezza. È vero che il mio corso era obbligatorio, ma la classe era vivace. Lui, ripensandoci, sembrava vuoto. All’epoca avevo 35 studenti che ho visto per tre mesi, tre ore alla settimana. Non sapevo nemmeno che fosse figlio di uno dei leader del partito Awami”.
Che cos’altro direbbe di lui?
” Tra gli studenti c’è chi è furbo, chi cerca lo scontro, chi è simpatico ma non studia, chi si impegna, chi fa tutto con naturalezza e ha ottimi risultati. Imtiaz non rientrava in alcuna di queste tipologie. Lo ricordo come uno qualunque, nel senso diminutivo del termine, un mediocre che avevo dimenticato”.
Ci può descrivere l’università Brac?
“È un buon ateneo privato, ma non è esclusivo. A Dacca chi ha i soldi manda il proprio figlio all’estero. La Brac costa circa 60 mila taka a semestre, l’equivalente di 690 euro, abbastanza per il Bangladesh, ma non una cifra impossibile, anche perchè se sei bravo hai diritto a una borsa di studio. Dire che è per ricchi è un’esagerazione”.
Pensa che potessero esserci dei reclutatori all’interno?
“Mi sembra impossibile. L’università è uno spazio controllato e sicuro. I ragazzi e le ragazze, così come i colleghi, sono votati a valori assolutamente opposti a quelli della violenza, senza contare che i bengalesi hanno una cultura profonda dell’ospitalità . Io non mi sono mai sentito fuori posto, anzi. Durante la mia permanenza il Bangladesh ha vissuto una stagione fenomenale nel cricket e tutti tifavano per la squadra nazionale. I ragazzi seguivano lo sport, ma anche la musica, il cinema, come i loro coetanei nel resto del mondo”.
Che rapporto c’era tra studenti e religione?
” Se ci fosse stato un clima di intolleranza non sarei mai stato accettato. Faccio un esempio: durante le cerimonie di laurea si leggono testi tratti da Corano, Bhagavad Gita (i canti hindù, ndr ), Bibbia, e testi buddisti. L’università è un luogo di pluralità , anche religiosa. Ci sono professori cristiani, indù, buddisti e musulmani. Tra gli studenti ci sono quelli più o meno devoti, ma non ho mai avuto la sensazione che ci fossero posizioni fondamentaliste”.
Come si spiega il coinvolgimento del suo studente nella strage di Dacca?
“Se uno si poteva annidare in uno spazio così, crollano tutte le mie certezze, ma voglio ricordare quello che mi ha scritto uno studente indù: “Prof, non abbiamo potuto salvare i nostri fratelli e le nostre sorelle. In Bangla diciamo otithi narayan, significa che l’ospite è Dio. Non ce l’abbiamo fatta a salvarli, ma alla fine sono certo che vincerà il dialogo”.
Ha mai percepito tensioni nei confronti degli stranieri?
“No. Gli scontri a cui ho assistito si sono verificati tra gennaio e febbraio 2015, tra sostenitori del governo e opposizione, in quello che è stato chiamato Oborudh, il blocco dei trasporti, ma nulla contro gli stranieri”.
Cosa pensa, dopo quanto è avvenuto?
“La strage ha avuto su di me un effetto di straniamento totale, di dolore per le vite spezzate e di rabbia per questo atto efferato. Sento una grande tristezza per quanto sta accadendo in Bangladesh: quella per me, è una seconda casa dove vorrei tornare”.
Vera Mantengoli
(da “La Repubblica”)
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Luglio 6th, 2016 Riccardo Fucile UNA NUOVA INTERCETTAZIONE COINVOLGE LA FAMIGLIA DEL MINISTRO DEGLI INTERNI
Di nuovo il nome di Alfano nelle intercettazioni dell’inchiesta sulla cricca delle nomine.
Il padre del ministro dell’Interno, Angelino Alfano, avrebbe mandato 80 curriculum per presunte assunzioni alle Poste.
E’ quanto si evince da una conversazione telefonica intercettata e contenuta nella richiesta di arresto del pm dell’inchiesta ‘Labirinto’ della procura di Roma.
Parlando di Alfano, una delle indagate dice “..la sera prima…mi ha chiamato suo padre…mi ha mandato ottanta curriculum…ottanta…. dicendomi…non ti preoccupare….tu buttali dentro…la situazione la gestiamo noi…e il fratello comunque è un funzionario di Poste….anzi è un amministratore delegato di Poste…”. Un’intercettazione che si aggiunge a quella in cui il faccendiere Raffaele Pizza – al telefono con il collaboratore del ministro, Davide Tedesco – parla di una raccomandazione per il fratello di Angelino Alfano in una società del Gruppo Poste (sostenendo di averne facilitato l’assunzione, grazie ai suoi rapporti con l’ex amministratore Massimo Sarmi).
A colloquio sono Marzia Capaccio, indagata, segretaria del faccendiere Raffaele Pizza e un’altra persona, Elisabetta C.
Capaccio: “io ti ho spiegato cosa ci ha fatto a noi Angelino…
Elisabetta: “e…lo so…lo so…lo so…”
Capaccio: “Cioè noi gli abbiamo sistemato la famiglia…questo doveva fare una cosa….la sera prima…mi ha chiamato suo padre…mi ha mandato ottanta curriculum…ottanta….”.
Elisabetta: “aiuto….aiuto…”.
Capaccio: “ottanta…. e dicendomi…non ti preoccupare….tu buttali dentro…la situazione la gestiamo noi…e il fratello comunque è un funzionario di Poste….anzi è un amministratore delegato di Poste…”.
Elisabetta: “si..si..lo so..lo so…”.
Capaccio: “e questo è un danno che ha fatto il mio capo (ndr. Pizza)…io lo sputerei in faccia solo per questo…”.
Elisabetta: “vabbè…tanto ce ne sono tanti Marzia…è inutile dirsi…questo è il sistema purtroppo…”.
Capaccio: “sì ma io l’avevo già capito che questo guardava solo ai cazzi suoi…glielo avevo già detto…io a differenza tua non mi faccio coinvolgere più di tanto, perchè cerco di razionalizzare un attimo di più e di valutare le persone che ho davanti…cosa che il mio capo…purtroppo in alcune circostanze nonostante la sua esperienza non è in grado di fare…
Insomma, le due donne sembrano lamentarsi per qualcosa che il ministro non avrebbe fatto. Per Alfano, comunque, un nuovo motivo di imbarazzo a poche ora dall’intercettazione sul fratello.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 6th, 2016 Riccardo Fucile IL GRUPPO CHE RUOTA INTORNO AL FACCENDIERE PIZZA VOLEVA DIVENTARE FORNITORE DEL SISTEMA DI DIGITALIZZAZIONE
Nell’ufficio di via in Lucina, a pochi passi da Palazzo Chigi, Raffaele Pizza stava combinando con due
imprenditori la “mandrakata”.
Diventare fornitori esclusivi per la pubblica amministrazione della gestione del sistema Tiap, il “Trattamento informatizzato Atti Processuali”, in uso anche alla procura di Roma.
Il progetto, ambizioso, definito appunto “mandrakata” dispiega tutta la potenza relazionale del gruppo che ruota attorno al faccendiere.
Arrivano al vice presidente del Csm Giovanni Legnini, vogliono agganciare il sottosegretario Luca Lotti, incontrano parlamentari del Pd, pensano di coinvolgere Marco Carrai. Insomma, puntano al Giglio Magico.
E su questa “faccenda” i magistrati di Roma hanno aperto un filone di indagine autonomo.
I fatti.
Gli imprenditori della partita si chiamano Danilo Lucangeli, di Sky Media, e Gianni Nastri, legale rappresentante di Siline spa e di Europower Technologies, società di diritto inglese. Lucangeli, al telefono, sostiene più volte di poter fare dei controlli in procura tramite Nastri, “in quanto in grado di accedere ai fascicoli giudiziari”.
Annotano i finanzieri nell’informativa finale: “La fitta rete di contatti riguarda Roberto Rao (consigliere economico del ministro della Giustizia Orlando, e consigliere di Poste Italiane, ndr), Gianni di Pietro (ex deputato del Pd, molto vicino a Legnini, ndr), Agostino Ragosa (ex direttore Agenzia per l’Italia digitale)”. Non solo.
Interverranno anche Massimo Sarmi, ex ad di Poste, e Guglielmo Boschetti, imprenditore abruzzese “che da fonti aperte risulta implicato in varie inchieste legate alla P4”.
L’uomo che il 21 gennaio 2015 si è incontrato, stando a quello che raccontano gli indagati, con Legnini, in un meeting per il “loro progetto” dall’esito sconosciuto.
Qualche giorno prima, il 15 gennaio, Pizza, Lucangeli, Nastri e Ragosa sono nello studio di via Lucina.
Nel locale ci sono anche gli onorevoli Antonio Marotta (Ncd) e Luca Sani (Pd). E le cimici dei finanzieri.
Lucangeli esordisce così: “Dobbiamo immaginare il percorso politico commerciale per far sì che la Presidenza del Consiglio faccia questo decreto ministeriale per il riuso del software Tiap con soluzioni tecnologiche innovative, perchè di fatto questo software di proprietà del ministero della Giustizia è già in uso alle procure più importanti, è già stato validato da Ernesto Carbone (deputato pd, fa parte della segreteria del partito)”.
E ancora. “I soggetti da andare a sentire sono il ministro Orlando, eventualmente anche il Csm…”.
Si inserisce Pizza: “Con il vice presidente del Csm (Legnini), no, non c’è problema”. Il prescelto per andare a parlare con il governo è Agostino Ragosa. Poi Pizza capisce che se devono puntare in alto, il nome è un altro.
“Ma Carrai che interesse ha su ‘ste cose? Potrebbe essere funzionale? Io ti faccio una domanda di potere… no di cazzo… te lo dico io come dobbiamo fare… questa è un’opzione”.
Un’altra opzione è andare direttamente dal sottosegretario Luca Lotti, probabilmente la persona più vicina al premier Renzi. Qualcuno ci arriva prima, secondo Lucangeli. Il 27 gennaio 2015 la Engeneering (società di information technology) “si è incontrata con Lotti, è una notizia certa”.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 6th, 2016 Riccardo Fucile IN TRE ANNI CONTRATTI DA 20 MILIONI DI EURO… LE SOCIETA’ IN MANO ALLE COSCHE HANNO LAVORATO PER LA COSTRUZIONE DI ALCUNI PADIGLIONI, TRA CUI FRANCIA, QATAR E GUINEA
Associazione a delinquere finalizzata a favorire gli interessi di Cosa nostra a Milano. Con interessi e affari con la potente Fiera – quella per intenderci che organizza anche la Bit, la Borsa Italiana del Turismo – ma anche con lavori per Expo.
Venti milioni di appalti in tre anni.
Gli uomini del Gico della Guardia di finanza di Milano hanno eseguito misure cautelari nei confronti di 11 persone sospettate di aver ottenuto in tre anni 20 milioni di appalti per l’ente Fiera di Milano attraverso la Nolostand, una controllata dall’ente Fiera, ora commissariata su richiesta della Dda.
Il giudice Fabio Roja ha nominato un commissario per amministrare la società . Nell’ordinanza non risultano, al momento, indagati tra dipendenti dell’Ente Fiera.
Gli arrestati, accusati a vario titolo anche di riciclaggio e frode fiscale, sono punto di riferimento della famiglia mafiosa di Pietraperzia (Enna).
Tra le commesse ottenute, secondo le indagini coordinate dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e affidate ai pm Sara Ombra e Paolo Storari, ci sarebbero anche quattro padiglioni per Expo 2015.
Si tratta di quelli della Francia, del Qatar, della Guinea Equatoriale e dello sponsor Birra Poretti. Contestualmente all’ordinanza del gip Maria Cristina Mannocci, è scattato anche un sequestro preventivo di diversi milioni di euro.
Le figure principali dell’inchiesta.
Secondo l’ordinanza d’arresto, fatta eseguire dalla Dda al Gico della Finanza, le indagini, avviate nel 2014, hanno dimostrato “una serie di elementi relativi all’infiltrazione mafiosa in seno alla Fiera di Milano spa”.
La figura principale dell’inchiesta è quella di Giuseppe Nastasi, “un imprenditore che si occupa di allestimenti fieristici e che, insieme ad altri soggetti che fungono da prestanome, commette una serie di reati tributari per importi assai rilevanti”. Nell’ordinanza si legge che “Nastasi è apparso subito in rapporti molto stretti con Liborio Pace (con cui è socio), già imputato per appartenenza alla famiglia mafiosa di Pietraperzia e che dalle indagini appare come elemento di collegamento con detta famiglia partecipando all’attività di riciclaggio del denaro provento dei reati tributari”.
Fiumi di soldi tornavano in Sicilia in canotto.
Operazioni di riciclaggio di denaro da milioni di euro. Fiumi di soldi che ottenuti con gli appalti alla Fiera di Milano, tornavano in Sicilia in borse di plastica, valigie e perfino in un canotto.
Reati commessi — secondo la Dda milanese — da un gruppo di imprenditori legati ai clan di Cosa nostra di Enna, ma che sarebbero stati commessi “anche grazie a una serie di gravi superficialità (ma certamente anche grazie a convenienze) da parte di soggetti appartenenti al mondo dell’imprenditoria e delle libere professioni”.
Amministratori e professionisti “non hanno voluto vedere”.
Il passaggio è contenuto nell’ordinanza del gip Mannocci, che sottolinea come sia “chiaro infatti che un meccanismo quale quello emerso dalle indagini sia stato reso possibile da amministratori di aziende di non piccole dimensioni, consulenti, notai e commercialisti che, in sostanza, non hanno voluto vedere quello che accadeva intorno a loro (per alcuni si profila peraltro un atteggiamento che va oltre la connivenza, già di per sè gravissima, visto il ruolo professionale di costoro)”.
“Alla società dei clan appalti di Expo 2015”.
Quasi 20 milioni di euro in appalti con l’Ente Fiera spa dal 2013. Ma non solo. “La società consortile Dominus Scarl lavora quasi esclusivamente con Nolostand spa, società interamente controllata da Fiera Milano, e si occupa di allestimento degli stand nei siti espositivi dell’ente.
E proprio in virtù di tale rapporto imprenditoriale e commerciale — scrive ancora il gip nell’ordinanza d’arresto — ha effettuato lavori di allestimento e smontaggio per Expo 2015 o presso alcuni padiglioni dell’Esposizione mondiale, sia direttamente che attraverso alcune consorziate”.
(da “La Repubblica”)
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