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GLI HOTEL PAGATI AL GENERALE UN GENTILE OMAGGIO DEL SOCIO DI VERDINI

Luglio 22nd, 2016 Riccardo Fucile

SPUNTANO PROVE DELLA SUA RETE DI RELAZIONI CON FUSI, REGISTA DEL SISTEMA GRANDI APPALTI

Nel passato del Comandante Generale della Guardia di Finanza, il generale Giorgio Toschi, c’è una scatola di cartone che dice qualcosa dell’uomo, quanto basta dell’ufficiale, molto della sua rete di rapporti che ne avrebbe sconsigliato la nomina il 29 aprile scorso e che forse, e al contrario, a questo punto la spiega.
In quella scatola, custodita nell’ufficio corpi di reato del Tribunale di Firenze, ci sono due fatture per altrettanti soggiorni alberghieri.
Soggiorni del luglio e del settembre del 2008 che il generale non ha mai saldato, perchè qualcun altro lo faceva per lui.
Un costruttore e corruttore che di nome fa Riccardo Fusi, un “pratese” che in quegli anni, a Firenze, dove Toschi era Comandante regionale, contava.
Perchè tasca e “socio occulto” di Denis Verdini.
Perchè Grande Elemosiniere toscano e perno del Sistema trasversale che presiedeva agli assetti politici e imprenditoriali lungo l’Arno.
Almeno fino a quando le inchieste giudiziarie sui Grandi Appalti (2010) non lo hanno travolto insieme al suo gruppo (la BF holding e la BTP), schiantato sotto il peso dei debiti e per il cui crac Fusi risponde ora di bancarotta fraudolenta.
Ultimo, ma non unico, dei processi che lo hanno visto e lo vedono imputato.
Da quello che sta celebrando il suo primo grado a Firenze per la bancarotta del Credito Cooperativo Fiorentino (dove Fusi è imputato con Verdini), a quello chiuso nel febbraio scorso in Cassazione con una sentenza di condanna a 2 anni per la corruzione nell’appalto per la scuola dei Marescialli di Firenze.
REPERTO “B14”
La scatola e il Generale, dunque. Sepolta negli atti del processo per il crack del Credito Cooperativo Fiorentino di Denis Verdini, l’evidenza è numerata “B14”. E, nel 2010, è parte delle migliaia di carte che il Ros dei Carabinieri acquisisce durante le perquisizioni negli uffici del Gruppo Fusi.
All’interno, una messe di fatture, molte delle quali intestate “UNA hotel”, la catena alberghiera di cui Fusi è proprietario.
La scatola appare da subito un formidabile strumento di lettura della rete di relazioni di Riccardo Fusi, oltre che prova del suo rapporto “a catena” con Denis Verdini. Ma non solo.
Tanto è vero che, con una decisione inedita e che la dice lunga sul grado di condizionamento ambientale che Verdini e Fusi erano riusciti a imporre, l’analisi del suo contenuto “contabile” viene delegata non alla Finanza, evidentemente ritenuta non affidabile, ma alla direzione generale dell’Agenzia delle Entrate della Toscana che, il 24 maggio di quell’anno, ne redige un rapporto di una quarantina di pagine.
Le ultime delle quali di particolare interesse.
“Nella stessa scatola B14 – scrive l’Agenzia delle Entrate – sono stati reperiti documenti di spesa emessi da UNA spa, addebito spese alberghiere non pagate dai relativi beneficiari e addebitate alla società  BF servizi srl. (altra società  del Gruppo Fusi ndr.)”.
E di quei beneficiari a scrocco viene allegato un elenco di 50 nomi. Alcuni decisamente più importanti di altri.
Accanto al figlio di Denis Verdini, Tommaso, e ai suoi amici che, di volta in volta, decideva di portare con sè all’Una hotel del Lido di Camaiore, figurano infatti due ufficiali della Guardia di Finanza. Giorgio Toschi (laconicamente indicato dall’Agenzia come “generale della Gdf”) e Marco De Fila (neppure indicato come appartenente alla Finanza).
Il primo, Comandante regionale in Toscana dal 2006 al 2010. Il secondo, comandante provinciale nel 2009 della Finanza di Prato, quella competente per i controlli sul Gruppo Fusi (la cui sede legale era a Calenzano).
E del resto che Fusi avesse un occhio attento a Prato lo dimostra la presenza nell’elenco degli ospiti anche di Costanza Palazzo, figlia di Salvatore, Presidente del Tribunale di Prato fino all’ottobre 2013, quando si dimise dalla magistratura per far cadere al Csm l’azione disciplinare cui era stato sottoposto per avere “omesso consapevolmente di astenersi dalla trattazione e dall’emissione di numerosi decreti ingiuntivi in favore di società  che, pur in concordato preventivo, erano collegate a Riccardo Fusi, cui era legato da amicizia e assidua frequentazione”.
“FRUTTA FRESCA”
Fusi, insomma, sa scegliere i suoi ospiti. E il generale Giorgio Toschi, lo è almeno due volte come documentano le fatture XRF 310520/07 e XRF453092/07.
Entrambe nello stesso albergo: il quattro stelle UNA hotel di Bergamo, in via Borgo Palazzo, una costruzione in vetro e acciaio che chiuderà  i battenti alla fine del 2013. La prima fattura è relativa a un soggiorno di due notti il 5 e 6 luglio 2008, un sabato e una domenica. La seconda, ancora due notti, il 9 e 10 settembre, un martedì e mercoledì, di quello stesso anno.
Sempre la stessa camera. Una “matrimoniale classic” con “free upgrade in executive junior suite”. Per una spesa che, in luglio, è pari a 199 euro e 50 centesimi, e in settembre a 188 euro.
E in cui, perchè l’ospite non abbia a rimanerne a male, tutto è compreso. Oltre al lettone, una mezza minerale e un pacchetto di patatine in luglio. Due mezze minerali e un succo di frutta in settembre.
Del resto, l’ospite è così di riguardo che il lunedì 30 giugno del 2008, alla vigilia del primo soggiorno del Generale, una mail inviata dall’ufficio prenotazioni UNA all’hotel di Bergamo e allegata alla fattura trovata nella scatola “B14”, raccomanda di “far trovare in camera al sig.Toschi un cesto di frutta”.
Non è dato sapere, nè ha importanza, per quale motivo l’allora Comandante della Regione Toscana della Guardia di Finanza fosse a Bergamo e avesse bisogno di una matrimoniale con free upgrade a junior suite.
Nè se fossero improrogabili ragioni di servizio a spingerlo in Lombardia in un week-end estivo.
Certo, si potrebbe osservare che se fossero state ragioni di ufficio a muoverlo da Firenze, non una ma due volte, il Generale avrebbe sicuramente potuto usufruire della foresteria dell’Accademia che a Bergamo ha la sua sede e che lo stesso Toschi ha comandato.
In ogni caso, è singolare che un generale di divisione quale allora era Toschi, con uno stipendio netto mensile di circa 4mila e 500 euro, dovesse scroccare una camera di albergo, un pacchetto di patatine, due succhi di frutta a Riccardo Fusi e al suo Gruppo sui quali, come Comandante regionale, aveva “giurisdizione”, senza che questo gli apparisse sconveniente.
Non fosse altro per la formula linguistica con cui, riferendosi al Generale Toschi, la direzione della UNA Hotel di Bergamo chiede alla “Bf servizi srl” (società  infragruppo di Fusi) di liquidare le fatture in sospeso dei suoi due soggiorni (“Con riferimento al soggiorno dei vostri clienti presso il nostro hotel siamo lieti di inviarvi le fatture per il relativo saldo”).
Non fosse altro, perchè – “cliente” o meno che fosse considerato dal Gruppo Fusi – i fatti hanno documentato come, fino al 2010 e alle indagini della Procura di Firenze e del Ros dei carabinieri, la Guardia di Finanza, che aveva in Toschi il suo ufficiale più alto in grado in Toscana, non si sia accorta di quale grumo di corruzione si fosse saldato nel rapporto tra Fusi e Verdini, tra il Gruppo BF-BTP e il Credito Cooperativo Fiorentino.
IL PRECEDENTE
È un fatto che le notti a Bergamo in carico a Fusi non sembrano uno sfortunato inciampo nella storia di Toschi.
L’ufficiale era già  finito in una vicenda non edificante in quel di Pisa nel 2002, dove era stato comandante Provinciale e dove una generosa archiviazione (come ha documentato il “il Fatto” il 3 maggio) lo aveva salvato da un processo per concussione.
Accusato di aver chiesto e ottenuto denaro contante dalle concerie della zona per evitare verifiche (e per questo indagato), Toschi aveva dovuto spiegare per quale misteriosa ragione fosse riuscito a cambiare in cinque anni tre Mercedes nuove di pacca con formidabili sconti. Perchè fosse per lui abitudine cenare con imprenditori della zona.
Soprattutto, per quale ragione, non facesse altro che cambiare banconote vecchie con banconote nuove o perchè, nell’arco di anni solari successivi, il suo conto corrente personale avesse registrato prelievi tra i 4 e i 10 milioni di lire.
Come se l’uomo potessero campare di aria. “Ho ricevuto denaro contante dalla mia famiglia di origine”, aveva sostenuto Toschi in un drammatico interrogatorio con l’allora procuratore Enzo Iannelli. In quel 2002, la spiegazione bastò.
La scatola “B14” meriterà  altre risposte.

Carlo Bonini
(da “La Repubblica”)

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ETRURIA, IL CSM SALVA IL PM DI AREZZO ROSSI: “NO A TRASFERIMENTO”, MA LO CRITICA: “POTEVA RINUNCIARE A INCARICO DI GOVERNO”

Luglio 22nd, 2016 Riccardo Fucile

IL CSM SI SPACCA, LA DELIBERA PASSA SOLO CON 11 VOTI

Niente procedura di trasferimento per incompatibilità  nei confronti del procuratore di Arezzo Roberto Rossi.
Secondo il Csm non ci sono gli estremi, cioè non ci sono state condotte seppure “indipendenti da colpa” tali da mettere il magistrato “in condizione di non esercitare le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità “.
E in particolare “non ci sono elementi per sostenere un rapporto di conoscenza tra il dottor Rossi con il ministro Maria Elena Boschi, tale da mettere in discussione il profilo dell’imparzialità  e dell’indipendenza del magistrato nella trattazione di vicende processuali che potenzialmente potrebbero coinvolgere parenti del citato ministro”.
A deciderlo è stato il plenum del Consiglio superiore della magistratura che così ha archiviato il caso del capo dei pm di Arezzo finito all’attenzione di Palazzo dei marescialli per un incarico di consulenza giuridica svolta per il governo fino alla fine del 2015, quando già  aveva avviato le prime indagini su Banca Etruria, di cui è stato per un periodo vicepresidente Pierluigi Boschi, padre del ministro per le Riforme.
Ma seppure resa più soft, la delibera approvata non risparmia critiche al procuratore di Arezzo, a cui si rimprovera di non aver pensato di rinunciare all’incarico di consulenza quando cominciò a indagare su Banca Etruria e di essersi autoassegnato i relativi fascicoli, coinvolgendo nelle inchieste i suoi sostituti solo dopo le sue audizioni davanti al Csm.
Non si è trattato di una decisione indolore nè per Rossi, nè per il Csm.
Per il magistrato perchè gli atti sono stati comunque inviati al pg della Cassazione, titolare dell’azione disciplinare nei confronti delle toghe per le valutazioni di sua competenza.
Per il Csm perchè la discussione è stata costellata da pesanti critiche sul lavoro svolto dalla prima commissione, che si occupa delle procedure disciplinari, accusata di aver “travalicato i suoi compiti”, con un’istruttoria quasi da “Superprocura“, dalla laica di Forza Italia Elisabetta Casellati e dai togati di Magistratura Indipendente, Claudio Galoppi e Lorenzo Pontecorvo.
E anche perchè sulla delibera finale si sono astenuti gli stessi relatori, il presidente della commissione, l’ex ministro Renato Balduzzi, e il togato di Area Piergiorgio Morosini, che pure avevano presentato delle modifiche al testo per venire incontro alle richieste di Unicost, la corrente in cui “milita” il procuratore di Arezzo.
L’accordo è saltato quando a sorpresa il gruppo delle toghe di centro ha presentato un emendamento, approvato a maggioranza, per escludere l’inserimento degli atti nel fascicolo del procuratore.
Risultato: la delibera finale è passata con 11 voti (dei togati di Unicost, di Magistratura Indipendente, dei laici di Ncd Antonio Leone e di Sel Paola Balducci e del primo presidente della Cassazione), il no del laico di Forza Italia Pierantonio Zanettin (contrario a un testo ammorbidito perchè convinto che “l’immagine e la credibilità  del procuratore siano definitivamente compromesse”) e l’astensione oltre che dei relatori, dell’intero gruppo di Area, del pg della Cassazione e del vicepresidente Giovanni Legnini (per assicurare il numero legale, come ha spiegato lo stesso numero due di Palazzo dei marescialli).

(da “il Fatto Quotidiano”)

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