Destra di Popolo.net

GIORNALISTI IN FUGA DA “LIBERO”: PANSA, DE MANZONI E AMADORI LASCIANO

Luglio 28th, 2016 Riccardo Fucile

L’ACCUSA A FELTRI DI ESSERE PER IL SI’ AL REFERENDUM… BELPIETRO PREPARA UN NUOVO QUOTIDIANO (SE TROVA I LETTORI)

Giampaolo Pansa lascia Libero in disaccordo col direttore Vittorio Feltri, tornato alla guida del quotidiano.
Motivo: la linea sul referendum costituzionale di ottobre, giudicata troppo tenera nei confronti del presidente del Consiglio Matteo Renzi.
Ma a precedere l’addio di Pansa ci sono altri suoi colleghi.
Lunedì si è dimesso anche il vicedirettore vicario Massimo de’ Manzoni mentre si avvia verso l’uscita anche l’inchiestista Giacomo Amadori, stanco che le sue inchieste su Renzi non trovino mai spazio in pagina.
Già  in fuga, invece, Davide Giacalone, approdato a Il Giornale.
L’accusa per Feltri è sempre la stessa: di essere pro-referendum da mesi e di essere schierato dalla parte del premier.
Del resto, lo stesso direttore di Libero in un’intervista al Foglio aveva detto “meglio renziano che figlio di puttana”.
In tutto questo Maurizio Belpietro, e cioè chi lo ha preceduto alla guida del giornale di Viale Majno, sta creando il suo giornale.
Il collegamento tra Libero e Renzi passa dall’editore Angelucci, molto vicino a Denis Verdini, il teorico del Partito della Nazione che ha puntellato dove necessario le riforme di Renzi in Senato.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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SI AVVERA IL SOGNO DI MARGHERITA, UNIONE CIVILE PER DONNA MALATA TERMINALE

Luglio 28th, 2016 Riccardo Fucile

AVEVA FATTO UN APPELLO: I DIRITTI NON POSSONO ASPETTARE

Il funzionario dell’Anagrafe è arrivato verso le 16. E mentre uno dei volontari suonava la marcia nuziale, loro hanno detto sì.
Scambiandosi gli anelli con gli amici e i parenti che, con in mano le bomboniere di tulle bianco, applaudivano commossi.
Si è realizzato il sogno di Margherita, la maestra malata terminale che dall’hospice Casa Vidas aveva espresso la volontà  di unirsi civilmente con la sua compagna. “Voglio che lei senza di me sia al sicuro”, aveva spiegato, raccontando del suo desiderio, anche per lasciarle reversibilità  e liquidazione.
Si è avverato in quella stanza al primo piano dell’hospice nella quale è ricoverata da inizio luglio.
E dove lei e la sua compagna hanno condiviso il loro “matrimonio sgarrupato”, davanti alla famiglia allargata di amici e nipoti, fratelli e operatori della struttura.
L’atto fa delle due donne la prima coppia di Milano unita civilmente.
La prima e, per ora, l’unica: il Comune, infatti, ha deciso di agire vista l’urgenza della situazione.
Si tratta, però, di una scelta fatta in via eccezionale: le celebrazioni ufficiali partiranno il 9 o 10 agosto, quando sarà  pronto il registro previsto dalla Cirinnà  per trascrivere le unioni. Registro nel quale la prima trascrizione, in questo caso retroattiva, sarà  appunto quella dell’unione tra Margherita e la sua compagna.
La storia di questa maestra di 53 anni e della donna con la quale ha vissuto da quando ne aveva 28, “ininterrottamente”, era stata raccontata da Repubblica nei giorni scorsi. “Il tempo è poco, e ora voglio questo riconoscimento ufficiale”, aveva detto Margherita. Le cui condizioni sono peggiorate nei giorni scorsi: è questo che ha spinto Palazzo Marino ad accelerare i tempi.
E, dopo aver chiesto pareri sia all’Avvocatura sia ai tecnici del governo, a procedere.
Il dirigente dell’Anagrafe ha verbalizzato l’unione adattando la formula prevista dall’articolo 101 del Codice civile. Ovvero, quella del “matrimonio in imminente pericolo di vita”, che permette di celebrare le nozze tra due persone senza aspettare i tempi delle pubblicazioni. In questo modo, quando il registro sarà  operativo, anche i diritti collegati all’unione civile avranno valore retroattivo.
La vicenda di Margherita è simile a quella di Dario Guarise, il 73enne anche lui malato che nei giorni scorsi, sempre dalle pagine di Repubblica, si è rivolto al premier Renzi per chiedere di velocizzare l’iter di applicazione della legge Cirinnà , in modo da siglare prima di morire un’unione civile con il suo compagno da 38 anni.
“È stato un profondo momento di vita – spiega Ferruccio De Bortoli, presidente di Vidas, che da 30 anni accompagna i malati terminali dandogli supporto e assistenza fino alla fine – Questo risultato è stato possibile grazie alla grande sensibilità  dimostrata dalle istituzioni e dal Comune”.
Che ha cercato un modo per procedere pur in mancanza del decreto attuativo della legge Cirinnà . La norma è in vigore dal 5 giugno, ma sarà  operativa solo quando il decreto (firmato dal premier Matteo Renzi sabato) sarà  pubblicato in Gazzetta ufficiale e decorreranno i tempi previsti.
“Siamo intervenuti, nei limiti delle nostre possibilità , perchè una situazione tanto delicata non ci permetteva di attendere – spiega l’assessore al Welfare Pierfrancesco Majorino – Questa vicenda umana rende evidente l’urgenza della Cirinnà , una legge che elimina barriere troppo a lungo tollerate in Italia”.

(da “La Repubblica”)

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MARESCIALLO FACEVA LA SPIA A COSENTINO SU INDAGINI RISERVATE: ARRESTATO

Luglio 28th, 2016 Riccardo Fucile

AVREBBE CONSEGNATO ATTI DI INDAGINE SUI RAPPORTI TRA CESARO E LA CAMORRA

Un maresciallo dei carabinieri è stato messo ai domiciliari per rivelazione di segreto di ufficio per avere consegnato atti di indagine riservati all’ex parlamentare del Pdl Nicola Cosentino, indagato in stato di libertà  per ricettazione, nell’ambito della stessa inchiesta.
A quanto si è appreso l’indagine, coordinata dalla Dda di Napoli, si riferisce, in particolare, alla consegna di atti riguardanti presunti rapporti con la camorra da parte dell’ex presidente della Provincia di Napoli Luigi Cesaro.
L’accusa di ricettazione contestata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli all’ex parlamentare del Pdl Nicola Cosentino, “riguarderebbe delle informazioni riservate rivelate dal maresciallo dell’Arma attraverso una pen drive il cui utilizzo è emerso dall’analisi del computer del politico”.
È quanto rende noto l’avvocato Agostino De Caro, legale dell’ex sottosegretario, interpellato dall’agenzia Ansa
“Il computer – dice De Caro – fu oggetto di accertamento in seguito all’arresto di Cosentino avvenuto il 3 aprile del 2014”
In quella circostanza Cosentino finì in cella nell’ambito di un’indagine della Dda di Napoli sugli affari della società  di famiglia, l’Aversana Petroli; nel corso dell’operazione furono arrestati anche due fratelli dell’ex coordinatore campano del Pdl. I carabinieri inoltre perquisirono l’abitazione di Cosentino in via Giannone a Caserta analizzando attentamente il computer.

(da agenzie)

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PERCHE’ TRUMP CERCA PUTIN PER BATTERE LA CLINTON: I LOSCHI AFFARI RIVELATI DA INCHIESTE GIORNALISTICHE

Luglio 28th, 2016 Riccardo Fucile

IL TYCOON E’ DIPENDENTE DAL FLUSSO DI DENARO DALLA RUSSIA… I FINANZIAMENTI DA MOSCA PER IL PROGETTO TRUMP SOHO A MANAHATTAN

“Russia, se mi stai ascoltando, spero tu sia in grado di trovare le 33mila email mancanti”. Donald Trump, come sua abitudine, non usa mezzi termini.
Il designato ufficiale dei repubblicani alla Casa Bianca chiede che il governo russo entri nel server usato da Hillary Clinton quand’era segretario di Stato, e ritrovi quelle mail che sarebbero state cancellate per nascondere verità  imbarazzanti.
La reazione dei democratici è ovviamente sdegnata. “Clinton non la considera una questione semplicemente politica; la considera una questione di sicurezza nazionale”, spiega Jake Sullivan, consigliere di politica estera della sfidante democratica. Prendono le distanze anche i repubblicani, con accenti altrettanto duri: “Putin è un delinquente che dovrebbe stare fuori delle nostre elezioni”, ha detto lo speaker della Camera, Paul Ryan.
Il nuovo caso è un segnale che questa campagna elettorale sarà  cattiva e piena di colpi di scena.
Ma è anche, secondo alcuni, una conferma dei legami che esisterebbero tra il magnate repubblicano e Vladimir Putin.
Un candidato alla Casa Bianca che chiede a un governo non proprio amico di “smascherare” la sua rivale politica è in effetti un fatto abbastanza insolito; anche per chi ha abituato media e opinione pubblica a prese di posizioni clamorose.
Il tema non riguarda ovviamente semplici, e spesso improvvisate, prese di posizioni politiche.
Il tema è quello dell’esistenza di eventuali connessioni, e legami di interesse, tra Trump e il governo russo. Sul tema si sono impegnati molti commentatori, che hanno disegnato un tessuto di rapporti interessanti.
Partiamo dagli aspetti finanziari.
Sotto il peso di un debito sempre più largo, Donald Trump negli ultimi anni ha trovato molte difficoltà  a trovare aperture di credito presso le banche americane.
Secondo alcuni — per esempio un giornalista investigativo, Josh Marshall, che sul tema ha lavorato molto — Trump sarebbe diventato “con gli anni, sempre più dipendente dal flusso di denaro dalla Russia”.
Il Washington Post ha scritto che “a partire dagli anni Ottanta, Trump e la sua famiglia hanno compiuto numerosi viaggi di lavoro a Mosca alla ricerca di opportunità  di business”.
Un sito web, eTurboNews, cita uno dei figli di Trump, Donald Jr., che avrebbe detto: “Abbiamo visto un sacco di denaro arrivare dagli Stati Uniti”.
Sotto la lente di molti osservatori, è finito soprattutto il progetto Trump Soho a Manhattan.
Una serie di cause — che alcuni investitori hanno aperto contro Trump per false asserzioni sulla salute finanziaria dell’impresa — hanno rivelato consistenti flussi di denaro in arrivo da Russia e Kazakistan.
In particolare, Sal Lauria, un immobiliarista vicino a Trump, avrebbe raccolto almeno 50 milioni di dollari per Trump Soho e altri tre progetti in cui è coinvolto il magnate repubblicano e Bayrock (un’altra società  di sviluppo immobiliare).
Il denaro sarebbe arrivato da un gruppo con sede in Islanda, FL Group, in cui hanno depositato i loro capitali gli oligarchi russi.
Oltre gli aspetti finanziari, ci sono poi quelli più prettamente politici.
Critiche, polemiche, preoccupazione hanno travolto la politica e gli apparati militari americani quando di recente, in un’intervista al New York Times, Trump ha affermato che potrebbe non onorare l’articolo 5 della Nato (quello sulla mutua assistenza militare) e quindi non andare in aiuto di uno degli Stati baltici, dovessero questi subire un attacco da parte della Russia.
C’è poi la questione di Paul Manafort, il chairman della campagna di Trump, l’uomo che ne ha in mano la direzione organizzativa e politica e che per per anni ha lavorato come consigliere politico nell’Europa orientale.
In particolare, è stato un collaboratore del presidente ucraino Viktor Yanukovych, cacciato dal potere nel 2014 e vicino al presidente russo Vladimir Putin.
Legami nell’area anche per Carter Page, consulente per la politica internazionale di Trump, che ha lavorato in Russia per Merrill Lynch ed è stato uno dei più importanti consulenti internazionali della compagnia energetica Gazprom.

Roberto Festa
(da “il Fatto Quotidiano”)

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OBAMA INFIAMMA LA CONVENTION: “HILARY E’ LA PERSONA GIUSTA”

Luglio 28th, 2016 Riccardo Fucile

TONI DURI SU TRUMP E OTTIMISMO PER IL FUTURO… IL MILIARDARIO ACCOMUNATO A DITTATORI E JIHADISTI: “CHI SCOMMETTE CONTRO L’AMERICA NON HA MAI VINTO”… BLOOMBERG : “TRUMP E’ UN TRUFFATORE”

È la serata che dà  un senso alla convention democratica, una strategia alla sinistra, una linea per fermare Donald Trump.
“Sono pronto a tornare ad essere un privato cittadino – conclude Barack Obama –   oggi vi ringrazio per questa incredibile avventura. E vi chiedo di fare per Hillary quello che otto anni fa avete fatto per me”.
Obama alterna i toni di grave allarme per la minaccia che rappresenta Donald Trump; e l’ottimismo sul futuro dell’America che contrasta con la narrazione apocalittica dell’avversario.
Usa toni durissimi, mai sentiti prima dalla sua bocca: “Il mondo è spaventato e non capisce cosa sta succedendo in questa campagna elettorale. Ma chiunque vuole distruggere i nostri valori – fascisti o comunisti, jihadisti o demagoghi nostrani – alla fine perderà  sempre”.
Trump messo insieme ai dittatori e agli islamisti. Proprio così: “Questa non è un’elezione qualsiasi”, avverte il presidente.
Obama vuole che sia chiaro il pericolo. Ma è sicuro che anche stavolta l’America ce la farà , anche se è sull’orlo di un baratro e i fondamenti della sua convivenza civile sarebbero in pericolo se vincesse Trump.
È sicuro che “non vince chi scommette contro l’America, no, non ha mai vinto”. È sicuro che “questo non è un paese per autocrati, non ha mai creduto che la soluzione sarebbe venuta da una persona sola”.
Obama fa tre operazioni importanti.
Primo: riconosce le ombre sul suo bilancio, che in qualche modo creano spazi per Trump. “Dobbiamo fare molto di più per tutti coloro che non sentono gli effetti della crescita economica degli ultimi sette anni”.
È una missione che lascia in eredità  a Hillary, il lavoro incompiuto dei suoi due mandati: una crescita migliore, più giusta, dai benefici meglio distribuiti.
Secondo: offre un importante riconoscimento a Bernie Sanders. Non solo per i temi sollevati dal senatore socialista, ma anche per l’approccio partecipativo alla politica, la mobilitazione dal basso.
“Se siete convinti che ci siano troppe diseguaglianze fra noi, e che il denaro influenza troppo la politica, dovete essere altrettanto combattivi e tenaci di Bernie”.
Terzo, affronta l’impopolarità  di Hillary con il candore e la schiettezza che la sera prima hanno fatto difetto a Bill. “L’ho guardata lavorare al mio fianco per quattro anni – dice di lei il suo presidente – e al termine di 40 anni di impegno civile anche lei ha fatto degli errori. Come me. Come tutti. Solo chi sta a guardare e giudica da spettatore, non ne fa mai. Scendete nell’arena anche voi, sporcatevi le mani”.
C’è un messaggio agli alleati, europei in testa, e al resto del mondo.
La Nato non può essere trasformata in una sorta di racket mafioso, in cui “la protezione degli amici ha l’etichetta del prezzo”.
Non è questa la storia dell’America. “Hillary è una che combatterà  l’Is fino in fondo, ma senza legalizzare la tortura nè mettere fuorilegge un’intera religione” (due proposte di Trump).
Prima di Obama, la serata ha già  avuto due momenti alti.
Il suo vice Joe Biden ha preceduto il presidente nell’impugnare l’orgoglio nazionale che un tempo era una prerogativa dei repubblicani: “Non scommettete mai contro l’America. Alla fine, noi ce la facciamo sempre. La linea di traguardo è nostra”.
L’ex sindaco (tre volte) di New York Michael Bloomberg, ex repubblicano e ora indipendente, imprenditore di (vero) successo, ha avuto parole sprezzanti per Trump: “Dice che gestirà  l’America come ha gestito i suoi affari. Dio ne guardi. Io sono un newyorchese, so riconoscere un truffatore quando lo vedo”.
Obama porta l’affondo finale in uno dei discorsi migliori della sua carriera.
Rovescia lo slogan di Trump. Il candidato repubblicano dice “Make America Great Again”, rifacciamo l’America grande come una volta.
“L’America – ribatte Obama – è già  grande. Reagan la chiamava una casa scintillante sulla collina, invece Trump la descrive come la scena di un delitto. Nessun Muro può delimitare il Sogno Americano. Qui a Philadelphia i Padri fondatori di questa Repubblica cominciarono la nostra dichiarazione d’indipendenza con le parole: Noi il Popolo. L’America si declina con il noi, è la forza della diversità “.
Il palazzo dello sport esplode quando arriva l’invocazione finale.
La stessa di otto anni fa: “Yes We Can…Sì, possiamo portare Hillary alla vittoria”.

(da “La Repubblica”)

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