Agosto 31st, 2016 Riccardo Fucile
IL SUDAN VIOLA I DIRITTI UMANI E PERSEGUITA I CRISTIANI… VIOLATA LA CONVENZIONE DI GINEVRA E LE NORME VIGENTI SUI RIMPATRI
Quarantotto migranti provenienti dal Sudan, fermi a Ventimiglia nella speranza di passare il confine e raggiungere i propri familiari, sono stati rimpatriati.
Il volo charter, destinato alla capitale Khartoum, è stato operato da Egyptair. Secondo le informazioni trapelate nella tarda serata di ieri, il volo doveva partire alle 12.45 dall’aeroporto di Milano Malpensa, dove quell’ora sono arrivati alcuni manifestanti per esprimere solidarietà ai migranti, ma il volo sarebbe invece partito dall’aeroporto di Torino-Caselle intorno alle 13.
Si tratta della prima espulsione diretta di questo genere: “Dei ragazzi partiti con quell’aereo ne conoscevamo bene due”, spiegano a ilfattoquotidiano.it alcuni attivisti giunti a Malpensa da Ventimiglia. Ci dicono i nomi dei migranti, ci raccontano le loro storie: “Fino a ieri erano al Centro della Croce Rossa, si sentivano al sicuro e stavano preparandosi per la richiesta di asilo”.
A quanto si può ricostruire in assenza di conferme ufficiali, i sudanesi sono stati prelevati nei giorni scorsi da Ventimiglia e sono stati accompagnati nella giornata di ieri alla Questura di Imperia, dove il giudice di pace ha convalidato, per ciascuno di loro, il decreto di espulsione.
Per Alessandra Ballerini, avvocato di fiducia della Caritas di Ventimiglia, esperta in diritto dell’immigrazione: “Si tratta di una deportazione di massa verso un Paese dov’è certa la violazione dei loro diritti fondamentali, dov’è in pericolo la loro stessa vita. Con questa operazione il nostro Paese si rende complice di tutte le violazioni che saranno poste in essere da questi regimi”.
Nel 2015 il 60% dei sudanesi richiedenti asilo ha ricevuto la protezione umanitaria in Italia.
Se quindi, da una parte, il nostro Paese riconosce la drammaticità della situazione in Sudan, dall’altra, con questo accordo, accredita la repubblica governata dalla dittatura militare di Omar al Bashir come “paese terzo sicuro”, verso il quale rimpatriare i richiedenti asilo che si vedono negare il diritto alla protezione.
Il Sudan è guidato dalla dittatura militare del presidente Omar al-Bashir, ricercato dal 2008 dalla Corte penale internazionale per genocidio e crimini di guerra.
Risale al 4 agosto la firma del “Memorandum of Understanding” tra l’Italia e il Sudan che prevede la collaborazione nella gestione delle migrazioni e delle frontiere, con articoli dedicati proprio al rimpatrio dei cittadini “irregolari”.
Nelle scorse settimane il governo italiano ha chiesto al Sudan di inviare una sua delegazione a Ventimiglia, è stato lo stesso Ministro degli Esteri sudanese Gharib Allah Khidir, la scorsa settimana, ad annunciarlo al Sudan Tribune: “Abbiamo accettato la proposta dell’Italia e inviato una delegazione di agenti al confine franco-italiano allo scopo di identificare e avviare il rimpatrio dei nostri concittadini”.
Resta da chiarire come sia possibile il coinvolgimento di agenti dei paesi di origine nell’identificazione dei migranti, dal momento che le regole della Convenzione di Ginevra lo vietano espressamente.
In Sudan si moltiplicano le persecuzioni contro i cristiani e, come ha denunciato l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati “centinaia di persone già riconosciute come aventi diritto di protezione internazionale vengono espulse dal governo nelle carceri di Etiopia ed Eritrea, dove la tortura è la prassi”.
Non bastasse, in Sud Sudan è in atto un conflitto armato tra gli eserciti delle etnie dinka e nuer, combattuto anche con il reclutamento di bambini soldato.
Lo stesso Governo italiano, lo scorso anno, ha inviato un contributo di 545.000 dollari al Sudan per supportare i campi profughi destinati ai rifugiati del conflitto.
Dopo il “Processo di Khartoum” di fine 2014, da qualche mese il Sudan ha intensificato i rapporti con l’Ue “per risolvere alle radici le cause della migrazioni”. “Come si può dire che in Sudan è garantita la tutela dei diritti umani? Come possiamo mettere in pericolo la vita di queste persone rimpatriandoli forzatamente?”, si chiede Luigi Manconi, presidente dell’associazione “A Buon Diritto”.
“Non possiamo correre il rischio di rimpatriare nessuno senza adeguate garanzie sulla sua incolumità ”.
Fino a oggi, i trasferimenti coatti erano avvenuti solo all’interno dei confini italiani, dal confine verso hotspot e centri di accoglienza del Sud Italia.
Per Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, non solo il nostro Governo avrebbe violato “l’obbligo di non-refoulement, previsto dal diritto internazionale, che vieta di trasferire persone verso Paesi dove rischiano gravi violazioni dei loro diritti umani fondamentali” ma lo avrebbe fatto “in aperta violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che vieta rimpatri collettivi, e la convenzione di Ginevra, che vieta la collaborazione con funzionari del paese di provenienza”.
Per Fulvio Vassallo Paleologo, avvocato esperto di diritto di asilo e docente presso l’Università di Palermo, questa operazione non sarebbe la prima: “Il Ministero dell’Interno sa di non avere le carte in regola e gioca sul tempo. Si tratta di un ritorno alle peggiori prassi espulsive sperimentate dal ministro Maroni nel 2008, per le quali l’Italia venne condannata dalla Corte Europea dei diritti umani a Strasburgo per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani”.
A definirle per primo “operazioni ipocrite” è stato Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia e Sanremo che aveva dichiarato al Fatto Quotidiano: “Vogliono far passare per ‘accoglienza’ politiche di respingimento e deportazione e chi li sostiene viene criminalizzato, è un martirio”.
“Se quanto riportato fosse confermato” scrivono i deputati Giuseppe Civati, Elly Schlein e Andrea Maestri (Possibile), “sarebbero ipotizzabili gravissime violazioni di legge ed in particolare il divieto di espulsioni/respingimenti collettivi, nonchè la violazione della Convenzione di Ginevra, della Costituzione italiana, del Testo Unico sull’Immigrazione. (…) Chiediamo che il Ministro Alfano chiarisca immediatamente i fatti e fornisca la prova della legittimità dell’operazione, se effettivamente programmata”.
Pietro Barabino
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 31st, 2016 Riccardo Fucile
O LA SINDACA LI RIDUCE O LA TAVERNA E GLI ALTRI PRONTI A FARE UN PASSO INDIETRO
Il faccia a faccia con la sindaca Virginia Raggi è solo rimandato. Perchè i consiglieri comunali a 5Stelle e il mini-direttorio vogliono ristabilire le distanze con la prima cittadina.
Troppo a lungo inascoltati sul dossier nomine, ora chiedono di fissare un tetto salariale per i professionisti di cui la giunta deciderà di dotarsi: 76mila euro l’anno, quanto un assessore. Nulla di più.
Altra misura per ribadire che la voce degli eletti non potrà essere più ignorata: uno tra il presidente dell’Assemblea capitolina Marcello De Vito e il capogruppo Paolo Ferrara entrerà nel mini-direttorio.
Al team composto dalla senatrice Paola Taverna, dall’onorevole Stefano Vignaroli, dall’eurodeputato Fabio Massimo Castaldo e dal consigliere regionale Gianluca Perilli si affiancherà quindi uno dei due mister preferenze.
Un segnale chiaro, che rende difficile nascondere i mal di pancia del gruppo anche per i consiglieri che meno si sono appassionati al tema stipendi: «Molte persone hanno sollevato dei problemi – spiega il presidente della commisione Trasporti ed eletto 5Stelle Enrico Stefà no – e hanno fatto bene a farlo. Per ora mi pare che si sia speso poco rispetto al passato. Il conto preciso andrà comunque fatto alla fine. Gli assessori, non dimentichiamocelo, hanno responsabilità enormi. È giusto che scelgano collaboratori di fiducia. Poi verificheremo il lavoro che faranno, se quei soldi saranno meritati. Siamo un movimento giovane, i problemi di crescita sono normali».
Un’affermazione, l’ultima, che non trova completamente d’accordo il mini-direttorio: i casi dell’ex Margherita Andrea Mazzillo, del vice capo di gabinetto alemanniano Raffaele Marra e lo stipendio triplicato all’ex funzionario e ora capo della segreteria politica della sindaca Salvatore Romeo fanno rizzare i capelli in casa M5S.
Tanto che, se la sindaca non dovesse rivedere i loro stipendi, Taverna & co. potrebbero fare un passo indietro.
Ma la giunta è investita anche da una nuova polemica su Atac, l’azienda dei trasporti. Il senatore dem, ex assessore, Stefano Esposito pubblica sui social una lettera inviata dal dg Rettighieri alla responsabile della mobilità in giunta, Linda Meleo: «Non è possibile far circolare il 95% dei treni entro la metà del mese di settembre e non so da dove questo numero sia uscito». La replica di Meleo: «Grave divulgare comunicazioni riservate».
Ma la polemica infuria anche su presunte pressione della giunta per spostamenti di personale.
Lorenzo D’Albergo
(da “La Repubblica”)
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Agosto 31st, 2016 Riccardo Fucile
M5S DIVISO SUL DA FARSI, LA RAGGI TACE…BERDINI APRE, MEZZO SI’ ANCHE ALLO STADIO DELLA ROMA
«Ora i 5 Stelle devono decidere cosa vogliono fare da grandi», sospira uno dei tecnici indipendenti che segue da mesi il doppio dossier Olimpiadi e nuovo stadio della Roma.
Perchè su entrambi i fronti i nodi stanno arrivando al pettine e sotto la superficie del movimento più di qualcosa si sta muovendo.
Lo testimoniano le chiari aperture dell’assessore all’urbanistica di Roma capitale Paolo Berdini ieri in tv ad Agorà : «Se le Olimpiadi servono per fare quattro linee della metro o la messa in sicurezza degli impianti sportivi che stanno andando a pezzi a Roma dico di sì, entro dieci giorni decideremo».
Anche sul mega stadio americano della squadra di Pallotta il comune ieri ha inviato sul filo di lana le carte alla Regione Lazio (un atto dovuto) ma lo ha fatto in modo incompleto, senza il parere di conformità che avrebbe invece sciolto definitivamente la matassa.
La giunta, infatti, prende tempo, come ha ammesso la sindaca Virginia Raggi alla festa del Fatto domenica scorsa.
Perchè il nodo è politico, tutto interno al movimento e tra il movimento e il Pd, ma investe soprattutto il futuro della Capitale e di milioni di abitanti.
«Forse la partita si è riaperta», sussurrano al Coni con un tasso di ottimismo per ora non suffragato da nessun atto concreto della giunta pentastellata
La verità è che sulle Olimpiadi, soprattutto, si consuma la partita tra Di Maio e Di Battista per la guida del movimento.
I 5 Stelle, come detto in campagna elettorale, sono contrari. E Di Battista non perde occasione a livello locale per tenere fede a questo impegno.
Ma Di Maio, che è lo sfidante in pectore di Renzi, non può bocciare le Olimpiadi senza una buona ragione, una causa inoppugnabile e comprensibile anche a chi non fa parte dei meetup grillini e potrebbe votarlo a Palazzo Chigi.
Il problema è che per ora questo motivo non è chiaro, anzi, Malagò e Montezemolo hanno offerto alla nuova giunta campo libero: anticorruzione, scelta delle aree, letteralmente di tutto purchè Raggi firmi il progetto definitivo da consegnare al Cio entro il prossimo 7 ottobre.
Al Coni giurano che nei prossimi giorni questa carta già bianca diventerà bianchissima. Non a caso Berdini, prudentemente, aspettando le decisioni della sindaca, prova ad andare a vedere le carte nella conferenza dei servizi.
Perchè la realtà è semplice: il comune di Roma, con Marino, ha già detto sì sia alle Olimpiadi che allo stadio della Roma.
Perciò Raggi o revoca quelle scelte andando in consiglio (ma in questo modo attaccherebbe a Di Maio l’etichetta del signornò), come ha fatto la città di Amburgo limpidamente, o lavora duro sui dossier e dà i pareri necessari.
Dal punto di vista tecnico, infatti, le questioni da risolvere non mancano, se solo si volesse affrontarle.
Per le Olimpiadi gli ambientalisti hanno individuato 3 punti critici: il bacino remiero (un parco fluviale da 2 km da scavare sul Tevere), il centro media a Saxa Rubra e, soprattutto, la questione Tor Vergata, una zona vasta in cui vivono 500mila persone, che si può tradurre anche come «questione Caltagirone» (che è anche editore del Messaggero).
In quest’area, secondo il Coni e il comune targato Marino, dovrebbe stare il villaggio olimpico, che dopo il 2024 potrebbe diventare il campus universitario della capitale.
Il problema è che nel lontano 1987 tutti quei terreni erano di Caltagirone, che li trasferì all’università di Tor Vergata a condizione che la sua Vianini Costruzioni avesse gli appalti edili e di manutenzione nel futuro.
Sono ancora validi quegli accordi? Se è così, significherebbe affidare i lavori delle Olimpiadi chiavi in mano a Caltagirone, ed è contro le norme europee.
Se non è così allora di chi sono quelle aree? E’ pane per i denti di un’amministrazione comunale, che ancora oggi (ma neanche con Marino) ha detto una volta per tutte di chi e che cosa sono veramente quelle aree strategiche.
Idem sullo stadio romanista. Con Marino, il comune condizionò l’ok alla cura del ferro: o prolungamento della metro B o più treni sulla Roma-Lido.
È una scelta che spetta al comune. E che la regione, guidata dal pd Zingaretti, sicuramente pretende oggi prima di dare il proprio via libera.
Per i 5 stelle rovesciare il tavolo e dire di no a entrambi i progetti sembra arduo, anche per il rischio contenzioso con la stessa As Roma e il rischio finanziamenti dal governo in vista del primo bilancio della città a novembre.
Matteo Bartocci
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Agosto 31st, 2016 Riccardo Fucile
IN PROVINCIA I FAVOREVOLI SALGONO AL 55,2%, I CONTRARI SCENDONO AL 25,1%
Il Censis rende noto il risultato di un sondaggio secondo il quale il 50,2% dei romani si dichiara favorevole alla realizzazione delle Olimpiadi e delle Paraolimpiadi nella capitale nel 2024.
E’ contrario il 36,2%, l’11,3% è indifferente e il 2,3% non è in grado di dare una risposta.
Nel resto della provincia la quota di favorevoli sale al 55,2%, i contrari scendono al 25,1%, gli indifferenti sono il 17% e coloro che rispondono “non saprei” il 2,7%.
Si tratta di una maggioranza “trasversale”, in cui più favorevoli sono le persone in cerca di prima occupazione (65,2%), gli anziani (58,9%), coloro che hanno la licenza media (57,8%), i residenti nei comuni della provincia (55,2%) e i maschi (52,7%).
Le ragioni del sì: Il 48,5% dei cittadini del comune di Roma favorevoli alle Olimpiadi pensa che sarebbero una occasione per fare nuovi investimenti sulla città e migliorarla, il 45,8% è convinto che darebbero una spinta positiva all’occupazione e al reddito della città , il 33,8% sottolinea il positivo impatto che avrebbero sull’afflusso di visitatori, il 33,5% richiama il contributo al miglioramento dell’immagine di Roma nel mondo e il 20,4% pensa che darebbero orgoglio e senso di appartenenza ai romani.
I residenti dei comuni della provincia insistono di più sui benefici costituiti dall’incremento dei visitatori (39,5%) e dal rilancio dell’immagine della città nel mondo (38,4%).
(da agenzie)
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Agosto 31st, 2016 Riccardo Fucile
“RENZI BRUTALE SULLA RAI COME BERLUSCONI”
«Nel paese c’è tanto spazio per il no, ce n’è molto meno nell’informazione, largamente controllata anche dopo l’occupazione brutale della Rai da parte del governo, la cacciata dei dissidenti, cosa che mi ha molto colpito perchè solo Berlusconi era arrivato a tanto».
Massimo D’Alema arriva alla festa nazionale dell’Unità , in corso a Catania, e nonostante sia stato invitato a parlare di politica estera con il ministro Gentiloni, punta dritto al referendum costituzionale e al suo «no» convinto: «Vedo che siete tutti interessati alla politica estera», esordisce, ironico, parlando con i giornalisti
E quando gli chiedono come si sente da invitato a una festa dell’Unità costruita sulla ricerca del consenso al «si» per il referendum, ribatte serafico: «La festa è per me un appuntamento a cui partecipo tutti gli anni, da una cinquantina d’anni e non trovo motivi per non esserci. Io non faccio parte di nessuna minoranza, faccio parte di me stesso».
L’ex premier conferma per il 5 settembre una riunione organizzativa per coloro che sono per il «no», «non solo gente del Pd, ci sono iscritti, non più iscritti ma anche gente mai iscritta al Pd».
Nel dibattito con il ministro Paolo Gentiloni, coordinato dal direttore del Foglio Claudio Cerasa, D’Alema ha fatto la parte del leone, a vedere l’entusiasmo del pubblico: applausi scroscianti per lui, più di «cortesia» quelli per il ministro.
E quando Cerasa chiede al pubblico se voterà «si» o «no», si alzano poche mani per la posizione del governo e tante per quella di D’Alema.
Il quale spiega: «Trovo sbagliato aver spaccato il Paese sulla Costituzione. Ora Renzi ha detto che se vince il no non ci saranno elezioni anticipate, affermazione che considero positiva. Se si va al voto nel 2018, c’è tutto il tempo per fare una limitata riforma costituzionale; non 44 articoli che danno vita a un complicato e farraginoso sistema, ma un testo di una pagina, tre articoli, per ridurre il numero dei parlamentari, bloccare la navetta delle leggi senza rinunciare al bicameralismo perfetto così come fanno negli Stati Uniti, per dare il voto di fiducia solo alla Camera dei deputati».
E la legge elettorale? «Resto convinto che l’Italicum sia viziato da un difetto costituzionale».
Il «lider Maximo» non risparmia nemmeno il suo ex fedelissimo Matteo Orfini, presidente Pd, che domenica scorsa, proprio a Catania, aveva detto di non capire il no di un D’Alema che vuole fare i girotondi: «Mi sembra difficile l’idea di fare girotondi con i professori De Siervo, Casavola, Onida, Chieli. Forse Orfini dovrebbe essere più rispettoso verso queste personalità che rappresentano tanta parte della cultura italiana», ha replicato.
Il dibattito sulle «sfide della sinistra nel disordine mondiale» è rimasto sullo sfondo perchè si è parlato tanto di politica interna, del Pd e del referendum costituzionale, con una platea «affamata» di politica e che sembrava non aspettare altro. Gentiloni ci ha provato a parlare del tema assegnato ma non ha potuto far altro che offrire la sua visione del partito, avvertendo: «Una spaccatura del Pd non serve a nessuno – ha detto – nemmeno a D’Alema».
Fabio Albanese
(da “La Stampa“)
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Agosto 31st, 2016 Riccardo Fucile
IL CONDUCENTE VOLEVA DEL “FUMO” DAL SENEGALESE E AL RIFIUTO DELL’UOMO HA ESTRATTO UN COLTELLO E SI E’ FATTO CONSEGNARE 50 EURO… L’ARRESTATO LEGATO ALL’ESTREMA DESTRA
I fatti risalgono a circa 10 dieci giorni fa. Un giovane senegalese ha raccontato alla Polizia di stato che, poco prima di mezzanotte, era stato minacciato e rapinato su un autobus.
Secondo quanto dichiarato, l’autista del mezzo, con il quale aveva avuto una discussione, gli avrebbe chiesto del “fumo”.
Quando ha risposto di non avere alcun tipo di droga, l’altro, da dentro un marsupio, avrebbe estratto un coltello del tipo militare e si sarebbe fatto consegnare i 50 euro che aveva in tasca.
Il giovane immigrato, fuggito nella campagna a nord della capitale, prima di raggiungere il centro dove è ospite, ha chiamato la polizia.
Gli ispettori del commissariato Ponte Milvio hanno raccolto vari elementi che hanno portato ad individuare un sospettato.
La conferma che l’intuizione era giusta è venuta dall’individuazione fotografica effettuata dalla vittima.
I poliziotti, grazie agli indizi acquisiti, hanno chiesto ed ottenuto un decreto di perquisizione e questa mattina si sono presentati alla porta dell’indagato.
Un coltello simile a quello descritto dal senegalese è stato trovato nell’auto del sospettato insieme ad un tirapugni, altri due coltelli, una mazza da baseball e la riproduzione di un gladio romano.
Parte di questi oggetti erano custoditi in un sacca insieme ad alcune bandiere con croci celtiche e fasci littori.
Al termine degli accertamenti il ragazzo è stato denunciato all’Autorità Giudiziaria per la rapina al senegalese e per la violazione della legge sulle armi.
Intanto Atac spa fa sapere di “attendere che le autorità completino gli accertamenti per adottare tutte le iniziative a tutela propria, del servizio e del buon nome dei tanti dipendenti che ogni giorno lavorano con impegno e abnegazione per garantire il trasporto pubblico nella città “.
(da agenzie)
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Agosto 31st, 2016 Riccardo Fucile
DAL ’97 AD OGGI I PARTITI HANNO GESTITO I SOLDI PUBBLICI DEL DOPO-TERREMOTO
La caccia agli appalti è cominciata. La sta facendo la Guardia di Finanza su delega della procura di Rieti.
Obiettivo: accertare quali ditte, quali tecnici e con quali criteri sono stati concessi soldi pubblici per la ricostruzione post sisma del 1997. A cominciare dai lavori svolti nei Comuni di Accumoli ed Amatrice dove le opere rifatte e realizzate per il miglioramento sismico sono crollate nuovamente
Ma Amatrice e Accumoli, in questa storia di crolli e ricostruzioni, rappresentano solo una piccola parte del fiume di denaro pubblico che con il sisma umbro-marchigiano sono piovuti sull’intera provincia di Rieti.
Non solo, il reatino ha beneficiato anche di un’altra cospicua iniezione di denaro pubblico anche per lo sciame sismico del 2001.
Risultato: tra il primo stralcio e il secondo i soldi pubblici spesi per riedificare gli immobili lesionati, chiese, scuola e abitazioni private sono stati 61 milioni e 625 mila euro.
A questi si devono aggiungere altri 5 milioni (sempre di euro) e il totale arriva a 66 milioni di opere finanziate.
Una vera manna per costruttori, professionisti, ingegneri e architetti. A vigilare sulla doppia ricostruzione, soprattutto nella prima fase dell’emergenza, in tempi diversi e in base alle alternanze di governo alla Regione Lazio, si sono avvicendati tre sub commissari: il primo l’ex presidente della Provincia di Rieti Giosuè Calabrese (Ppi all’epoca), il secondo con l’avvento della giunta Storace, l’ex assessore regionale (reatino) di Alleanza nazionale al Turismo e alla Cultura Luigi Ciaramelletti.
Infine nel 2005 l’allora presidente della provincia, oggi parlamentare del Pd, Fabio Melilli, quando già molto ormai era stato assegnato
I tanti professionisti
Calabrese ha affidato lavori e incarichi per oltre 30 milioni, Ciaramelletti per poco meno. Sotto il loro scettro si sono alternati oltre 790 professionisti della zona: geometri, ingegneri, architetti, geologi.
Tanti anche per «dividersi» consulenze minori e appalti di lieve entità . Ma molti, come elencato nel piano di attuazione del programma stralcio, hanno lavorato su diversi fronti contemporaneamente, e quindi a piccole dosi «hanno portato a casa cifre interessanti», afferma una fonte ben informata.
In molti casi nella lista ci sono pure ex sindaci, ex consiglieri comunali di vari Comuni, figli di: alcuni tra questi sono passati da un municipio all’altro.
Del resto i Comuni beneficiati dalla manna pubblica (tra il primo e il secondo stralcio) sono stati 49 su 72 e molti professionisti sono stati chiamati come progettisti in un luogo e come collaudatori in un altro.
Per ogni lavoro «sono stati impiegati tre professionisti… E va da sè che anche nelle opere minori questo ha in un certo senso – riprende la fonte – abbassato anche il valore di prestazione d’opera circa la qualità del rifacimento».
Un’accusa pesante, dunque.
Non solo, se si osservano i documenti balza subito agli occhi come i 33 milioni di euro stanziati siano stati frazionati in interventi, (soprattutto tra Amatrice e Accumoli dove si è verificato il sisma e i palazzi sono crollati nuovamente), con importi non oltre i 150 mila euro, cifra entro la quale appalti e incarichi, all’epoca, potevano essere affidati a trattativa privata.
Chi conosce quegli atti, insomma, assicura che la pioggia finanziaria è scesa sui Comuni «mettendo d’accordo tutti: sia la destra che la sinistra, sia i liberi professionisti di destra che quelli di sinistra».
Da Amatrice a Fiamignano, passando per Cittaducale e Rieti.
Stime alla mano, l’incidenza delle consulenze progettuali ha pesato sull’opera per il 40 per cento dei lavori (Iva compresa).
Insomma, su 125 mila euro stanziati 45 mila sono andati ai tecnici e solo 75 mila al rifacimento dei lavori.
Se il nodo si affronta da questa prospettiva, allora, è probabile che gli inquirenti nel sequestrare le carte degli appalti affidati vogliano anche accertare se le imprese si siano limitate solo al rifacimento della parti crollate, oppure abbiano anche provveduto al miglioramento sismico così come previsto nel capitolato.
Non quindi all’adeguamento ma almeno al miglioramento. «Un fatto è chiaro – riprende la fonte – da tutta questa vicenda si evince che dare lavori a tre progettisti significa poi tagliare i costi sui lavori effettivi».
I tecnici di Amatrice
Tanto per citare un esempio, tra Amatrice e Accumoli, dove quasi tutto ciò che è stato rifatto è inagibile, crollato o fortemente compromesso dal terremoto del 24 agosto scorso, su un importo vicino ai tre milioni di euro stanziati tra integrazioni e fine lavori sono stati ben 72 i tecnici incaricati con l’aggiunta di geologi e collaudatori.
Se il tariffario indica il 40% per la progettazione, questo significa che su 3 milioni circa un milione 200 mila euro è finito nelle consulenze mentre il restante milione e 800 mila euro in cemento armato e ferro.
Che spalmato su 21 immobili fortemente danneggiati fa una media di poco più di 85 mila euro.
Dentro questa cifra ci dev’essere il guadagno per impresa e operai.
Paolo Festuccia
(da “La Stampa”)
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Agosto 31st, 2016 Riccardo Fucile
TIRANO SU MURETTI E PALAZZINE E LI RIPARANO SE CROLLANO: TANTI AFFARI IN POCHE MANI
C’era la fila, davanti alla porta di Pasqualino Fazio. Perchè fratello del sindaco, Mariano Fazio? Oppure in quanto fratello di Antonio Fazio, altissimo dirigente della Banca d’Italia? Macchè.
Semplicemente perchè era l’ingegnere di Alvito, paese di tremila abitanti in Ciociaria. I paesani lo conoscevano e si fidavano di lui.
Non che l’essere fratello del sindaco e del futuro governatore della banca centrale rappresentasse un handicap, intendiamoci: il cognome Fazio ad Alvito è sempre stato una garanzia. E Pasqualino era gettonatissimo.
Suo il progetto delle case popolari, prima del terremoto. Suoi anche i progetti per gli edifici pubblici, dopo il terremoto: il municipio del fratello e il convento di San Nicola.
E le abitazioni private di quelli in fila davanti alla sua porta, lesionate dal terremoto. Perchè nella dorsale appenninica perennemente martoriata da sisma ci fu una scossa anche ad Alvito, nel 1984. Che si portò via un bel po’ di calcinacci restituendoli poi con gli interessi: 10 miliardi di lire per la ricostruzione.
I privati non hanno l’obbligo di fare una gara
Per come hanno sempre funzionato le cose in questo Paese è normale che andasse così. E così è sempre andata anche dopo. È il sistema.
Il privato che ha la casa danneggiata con i contributi statali fa quel che vuole. Dà l’incarico a chi preferisce: non ha l’obbligo di fare una gara.
C’è chi la considera un’anomalia. Ma di fronte alle obiezioni i governi di turno hanno sempre deciso che quei soldi pubblici vadano considerati come quattrini privati a tutti gli effetti.
Fra chi intercettato definisce il disastro «una botta di culo» (L’Aquila), chi ride nel letto di notte mentre una intera città si sbriciola (ancora l’Aquila) e chi spera «in una botta forte» perchè «in un minuto ne fa di danni e crea lavoro» (Mantova), capita dunque che lavorino sempre gli stessi professionisti del sisma.
Tanto più nei piccoli centri: quando si tratta di tirare su un muretto o una palazzina, ci pensa il geometra autoctono. E ci pensa pure se quel muretto o la palazzina crolla causa movimento tellurico imprevisto.
Figuriamoci se poi il tecnico ha le mani in pasta nell’amministrazione comunale. Niente di illegittimo, ovvio. Ma qualche domanda è giusto farsela.
Il fatto è che soprattutto nei piccoli centri la commistione fra la politica e certe figure professionali risulta inevitabile.
Quello che un tempo in una comunità rappresentavano il farmacista e il notaio, ora è in molto casi il geometra. Meglio se con un incarico politico.
Ha raccontato Mariano Maugeri sul «Sole 24 ore» che ad Amatrice «il vicesindaco Gianluca Carloni è un geometra che continua a lavorare nello studio tecnico con il fratello Ivo, un ingegnere che ha costruito mezza Amatrice e negli anni 90 aveva ristrutturato la caserma dei carabinieri di Accumoli, fortemente danneggiata dal sisma».
All’Aquila le pratiche in mano a pochi
Intrecci all’ordine del giorno, nell’Italia dei campanili. Quando c’è di mezzo un terremoto, però, le cose si vedono sotto una luce leggermente diversa.
All’Aquila le pratiche per la ricostruzione private erano finite in pochi studi professionali. Il più noto, quello dell’ex autorevole presidente del locale ordine degli architetti, Gianlorenzo Conti, peraltro prematuramente scomparso poco tempo fa. Perchè questa concentrazione di incarichi, che allora preoccupò non poco il responsabile della struttura di missione Gaetano Fontana?
Forse l’idea che affidare l’incarico a uno studio locale conosciuto e ben introdotto con l’amministrazione potesse costituire una sorta di corsia preferenziale per i finanziamenti.
Poco importa se l’ingegnere o il geometra è magari il responsabile del disastro. Di sicuro, questo meccanismo che ha portato tanti affari in pochissime mani ha finito per rallentare la ricostruzione.
Aumentando i costi: quando all’Aquila si è passati dalle pratiche singole agli aggregati il fabbisogno finanziario si è ridotto di oltre il 20 per cento.
Un codice etico per i professionisti
Senza dire che in un Paese così carente di occasioni per i progettisti anche le catastrofi possono scatenare guerre fra poveri.
Il 4 settembre 2012, tre mesi dopo il terremoto emiliano, l’ex presidente dell’ordine nazionale degli architetti Leopoldo Freyrie fece approvare un codice etico per i professionisti volontari iscritti al suo albo, che prevede dure sanzioni per chi sfrutti economicamente questa sua posizione.
Era successo che all’Aquila qualche architetto che aveva verificato «volontariamente» le lesioni di un edificio, fosse tornato alla carica con il proprietario proponendosi per pro-gettare la ristrutturazione.
Lo scontro interno all’Ance
Il terremoto abruzzese è stato un formidabile banco di prova per i professionisti delle catastrofi: progettisti e imprese.
Si andò avanti fin da subito con le procedure straordinarie della Protezione civile, e le scelte erano puramente discrezionali.
Venne poi deciso di far lavorare prevalentemente le ditte locali, il che ha ristretto ancor più l’area dei partecipanti. La cosa non mancò di avere pesanti ripercussioni.
Ci fu uno scontro interno all’Ance fra la struttura centrale e l’associazione territoriale delle imprese abruzzesi, che avrebbe voluto norme per limitare la partecipazione di concorrenti provenienti da altre Regioni.
Per non parlare delle infiltrazioni della ‘ndrangheta, registrate anche per i lavori del dopo terremoto nell’Emilia-Romagna. Ma questa è decisamente un’altra storia, rispetto al groviglio di fortissimi interessi locali.
Il gioco è destinato a continuare
Certe imprese che hanno lavorato in Abruzzo sono le stesse già comparse nella ricostruzione del terremoto dell’Umbria e delle Marche.
Con significative diramazioni nella provincia di Rieti, perchè fin lì è arrivato il cratere del sisma abruzzese: quindi i relativi fondi.
E se lo schema resterà questo anche dopo Amatrice, il gioco è destinato a continuare. Nell’ambiente dei costruttori qualcuno ha già cominciato a far girare l’idea che si debbano precostituire liste di imprese pronte a lavorare nel reatino.
Dove le ditte iscritte all’associazione dei costruttori non sono che una ventina. Idea, per fortuna, prontamente messa da parte. Almeno per il momento.
C’è solo da augurarsi che tutto ciò serva ora d’insegnamento…
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera”)
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Agosto 31st, 2016 Riccardo Fucile
“E’ UNA OPPORTUNITA’: NO AL MODELLO EXPO E GRANDI OPERE, SERVONO INTERVENTI STRUTTURALI”
Quante cose si possono fare con 5 miliardi? Sono i soldi che pioverebbero su Roma, dal Cio e dal governo, se dovesse strappare alle avversarie le Olimpiadi del 2024. Soldi che potrebbero dare una mano a chi vuole offrire un nuovo volto alla Capitale e invece si trova a contare ogni spicciolo, come Paolo Berdini, assessore all’Urbanistica nella giunta di Virginia Raggi, il primo a uscire allo scoperto e a spiegare al telefono che a «certe condizioni», «ribaltando la prospettiva», senza inseguire «la logica delle grandi opere», il sì alle Olimpiadi è possibile.
Anzi: «Può essere una grande occasione».
Sulle Olimpiadi, è in corso un dibattito nel M5S, sulla carta compatto a dire no ai Giochi, ma con posizioni più sfumate al suo interno.
Da una parte Raggi e il vicesindaco Daniele Frongia sono in trattativa con il presidente del Coni Giovanni Malagò che a sua volta cerca sponda in Luigi Di Maio, considerato tra i più dialoganti sulla candidatura.
Dall’altra ci sono i più intransigenti, come Alessandro Di Battista e Paola Taverna, contrarissimi ai Giochi.
Berdini è un «alieno», come si definisce, non è un 5 Stelle, e ha la libertà di chi parla per competenza e necessità
Assessore, il messaggio del Coni sembra chiaro: i soldi li mettono il Cio e il governo. La giunta non spende un euro, Roma ne trae solo vantaggi. Se così è, perchè dire di no?
«Certo che per l’assessore Berdini, che tutti i giorni verifica la mancanza di finanziamenti, per la cura della città e per le sue infrastrutture, avere a disposizione delle risorse è una bella prospettiva. Ma per le Olimpiadi bisogna ribaltare l’ottica»
Cioè?
«Non dobbiamo ragionare con la logica e la cultura delle grandi opere come si è fatto in tutti questi decenni. Le Olimpiadi possono essere un’occasione, da verificare nella sua praticabilità . Ed è compito dell’amministrazione farlo».
Raggi è stata un po’ ambigua a riguardo. E’ sembrata più possibilista solo quando ha detto che ben vengano i soldi per 160 impianti che versano in condizioni disastrose. È così?
«Se all’interno del progetto Olimpiadi inseriamo, non dico tutti, ma 80 di quegli impianti, con la regia del Comune a garanzia, è un’occasione da mettere nero su bianco».
Il primo impianto che le viene in mente?
«Lo Stadio Flaminio, che è in condizioni vergognose».
Il M5S e la Raggi però sono stati chiari in campagna elettorale: «No alle Olimpiadi, a Roma servono interventi ordinari».
«Infatti: Olimpiadi non più come evento straordinario ma dell’ordinarietà , da cui può partire una nuova cultura urbana che servirà da esempio per i Giochi del futuro, lontano dal solito modello, ormai fallito».
Olimpiadi sì, quindi, ma a certe condizioni? Quali?
«Che le opere non siano il trionfo dell’incompiuto, com’è successo con Expo che è stata una devastazione. Perchè, chiusi i sei mesi di circo Togni, non hanno saputo che fare dei 120 ettari urbanizzati a vuoto. Servono opere strutturali che parlino con la città »
Niente grandi opere?
«Può esserci spazio per una grande opera, ma al servizio della città e dei cittadini. Senza scartare il “gioiello”, come a Rio, devono essere le Olimpiadi di Roma, cioè delle linee metro, della messa in sicurezza degli impianti sportivi. Cambiando la prospettiva sarebbe un’iniezione di futuro per la città a partire da un evento che prima era solo dissipativo».
Pensa ci siano ancora possibilità per convincere Raggi a dire sì?
«Certo, in una decina di giorni decideremo. Io dico: utilizziamo le Olimpiadi come occasione per dare un nuovo volto alla città . Se sono Olimpiadi che cambiano la vita delle persone e opere che portano benessere, non vedo perchè dire di no».
Ilario Lombardo
(da “La Stampa”)
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