Destra di Popolo.net

TENDE ALLA… VENEZIANI, PER CELARE LO SFASCIO DELLA DESTRA DEI VANAGLORIOSI

Agosto 3rd, 2016 Riccardo Fucile

E ALLA FINE TI RENDI CONTO CHE DELLA POLITICA E’ BELLO PARLARNE PERCHE’ FARLA PUO’ FARE SCHIFO

Non ho mai fatto “i salti mortali” per leggere le cose scritte – e che scrive – Veneziani. Quando ero ragazzino mi piaceva leggerlo.
Crescendo, però, mi sono reso sempre più conto di quanto sia (il più delle volte) confuso e confusionario. Anche nell’ultima intervista a “Libero”, “dice e non dice”. Allude a mezze verità . Fa le piroette.
Quello che mi arriva, come sintesi finale, è che (forse) sia in cerca di una collocazione e che sarebbe disposto anche a dare una mano alla Meloni pur di raggiungere lo scopo.
Sensazioni, comunque: potrei serenamente sbagliare.
In ogni caso, manco mi interessa veramente: sincero!
Non è bello l’ambiente della destra. Forse non lo è nemmeno quello dei liberali, “moderati” (o meno) che essi siano.
Per chi non ha mai fatto politica attiva e voglia “avvicinarvisi”, riuscire a varcare la soglia della disillusione è davvero cosa molto triste.
Partiamo dalla “destra”…
In questa intervista c’è un passaggio che mi ha colpito (l’unico a dire il vero: il resto sono soltanto chiacchiere): “E la destra? Ha una idea militare: figure di riferimento sono il prete e il soldato.”
Su questo, a Veneziani, non riesco proprio a dare torto.
La “nomenclatura” ragiona così. E’ una questione di “generale” e colonnelli. La logica è sempre quella. Sono disponibili ad “accettarti” a condizione che assecondi il vanaglorioso di turno, che accetti la reggimentazione pseudo-funzionale; che tu “sia funzionale” al leaderino di turno… Inevitabile mandarli a quel paese…
A Napoli, poi, la destra è addirittura improponibile. Gente molto chiacchierata. Ducetti fuori della storia. Molto spesso arroganti, ignoranti e molto, molto presuntuosi.
Le cose non migliorano nemmeno in rete: i ducetti vanno a frotte. Li riconosci subito. Hanno il loro gruppetto. Sono apparentemente disponibili purchè tu non li contraddica nel merito “delle loro sedicenti – e sovraordinate – analisi politiche” o delle loro non meglio precisate “visioni”, ovviamente.
Il tutto condito dalla assoluta mancanza di spessore cuturale: il più delle volte, ti rendi conto che non leggono nemmeno le cose dell’attualità ; indecenza allo stato puro, insomma…
Il mondo dei “moderati” e dei liberali sa essere finanche peggiore…
Il tuo valore d’ingresso — nell’apparto di riferimento – è dato dal titolo di studio, dai libri che hai letto (o che dici e/o dimostri di leggere o di aver letto) e dall’essere inserito in un indotto funzionale…
Se “vieni” dalla Bocconi, chiaramente, è meglio… Poco importa se sei laureato a Napoli con lode e plauso della commissione. Poco importa se, per un soffio, non sei diventato un magistrato. Poco importa se “fai impresa” e lavori, anche culturalmente, ad altre cose (a proposito, ma – poi – “alla fine della fiera”, chi è davvero così evolutamente colto?)…
L’accreditamento è pseudo-scientifico, insomma. In certi casi addirittura da slinguazzamento acuto…
La questione è sociologica, insomma, ed involge (tristemente) le dinamiche dei gruppi… Ma questo, soltanto ragionando in termini di “nomenclatura”, sia in essere che di prospettiva, perchè se il riferimento è al consenso della gente, le cose cambiano radicalmente.
Ma quella è un’altra storia, ovviamente…
Alla fin, fine, ti rendi conto che della politica è bello parlarne: farla può fare addirittura schifo!
Navigando in rete, qualche giorno fa ho visto il video di un vecchio discorso alla nazione. Il leader di quel video (ad un certo punto) disse al popolo che “la crisi mondiale – che non è più soltanto economica ma è, oramai, soprattutto spirituale e morale – non ci deve fermare in uno stato di abulia o di inerzia. Tanto maggiori sono gli ostacoli e tanto più precisa e dritta deve essere la nostra volontà  di superali…” Sembra una frase “semplice”, ma non lo è! Esprime una forza. Ha il senso della visione ed un preciso senso nella dinamica del messaggio e della comunicazione.
E’ una prospettiva che diventa potenzile azione: un ponte che, nel gestire il presente, pensa al futuro…
Non vi dirò chi l’ha pronunciata quella frase. Non serve. I sistemi di gestione del consenso non mi hanno mai davvero interessato. Anzi, credo che non interessino nemmeno alla maggioranza delle persone. In questo stranissimo e confuso intruglio “proletario” che ci ostiniamo a chiamamre società , il popolo ha bisogno di credere in un sogno…
Forse, un giorno, dal pattume operativo nel quale viviamo, un “folle” uomo (o una folle donna) salirà  su una sedia e dirà  alla gente cose che la faranno nuovamente sognare…
Per fare la storia non servono vecchie nostalgie o i postulati retrivi della storia. Occorrono idee ardite (stavo per “dire incendiarie”: sono proprio un “folle”) ed uomini veri disposti a battersi oltre la nomenclatura, oltre gli steccati dei “parametri d’ingresso” nei comparti stagni, ed oltre l’inedia della trazione social e dell’abbaglio del sedicente potere “della rete”…
Mi scuserete. Forse ho scritto cose “banali”. Nulla che possa essere così intelligente da essere apprezzato nel mondo liberale, o così accomodante per esserlo dalla pantomima della destra dei nostri giorni…
Pensieri liberi…
Tutto sommato, almeno per me, sono la cosa migliore…

Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale

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“ALL’ITALIA LE RIFORME DA SOLE NON BASTANO, IL PROBLEMA SONO LA CORRUZIONE E LO SCARSO RISPETTO DELLE LEGGI”

Agosto 3rd, 2016 Riccardo Fucile

LO STUDIO DELLA BCE: LA BASSA QUALITA’ ISTITUZIONALE INCIDE SULL’ECONOMIA

La qualità  delle istituzioni conta più delle tanto invocate riforme. Parola degli analisti della Banca centrale europea.
Che in uno studio pubblicato nel Bollettino economico che sarà  diffuso giovedì mettono in fila i dati disponibili e arrivano a una conclusione chiara: le economie dei Paesi in cui sono più scarsi l’efficacia dell’azione di governo, la capacità  di varare e mettere in pratica leggi per promuovere lo sviluppo economico, il rispetto del principio di legalità  e il controllo sulla corruzione — tutti indicatori del livello di qualità  istituzionale, in base alla metodologia messa a punto dalla Banca mondiale – tendono a ristagnare.
E metter mano alle riforme non basta per rilanciare la crescita.
Un’ulteriore prova, dunque, di quello che molte ricerche hanno già  messo in evidenza: la corruzione è tra le cause della bassa crescita.
Ma l’Eurotower aggiunge un tassello in più, chiarendo che in un contesto del genere Jobs Act, riforma costituzionale e interventi di liberalizzazione sono poco più che pannicelli caldi.
E l’Italia si trova proprio in questa situazione: nella classifica che tiene conto di tutte le quattro dimensioni è penultima nell’Eurozona, subito prima della Grecia.
Un risultato che, stando alle conclusioni del bollettino Bce, spiega perchè nella Penisola la produttività  del lavoro resti bassissima e il pil continui a progredire a ritmi da “zero virgola“.
Senza istituzioni forti vincono le lobby
“I Paesi con qualità  istituzionale sotto la media tendono anche ad avere mercati del lavoro e dei prodotti meno efficienti della media”, si legge in uno dei paragrafi dello studio. “Questa elevata correlazione può riflettere il fatto che in presenza di istituzioni solide le società  e i regolatori hanno maggiori probabilità  di imporsi sugli interessi particolari e di portare avanti riforme che portano benefici alla maggior parte dei cittadini“.
Perchè la riforma costituzionale non basta per trainare la crescita
La lezione che emerge dal paper è chiara: prima di metter mano alle regole sui contratti di lavoro, pensare di liberalizzare i mercati e le professioni o modificare la Costituzione occorre rafforzare l’ossatura del sistema.
Partendo dalla base: rispetto delle leggi e repressione dei reati, a partire dalla corruzione e dall’evasione fiscale. In caso contrario è del tutto velleitario sostenere, come ha fatto la ministra Maria Elena Boschi, che la riforma costituzionale farà  “aumentare il pil dello 0,6% nei prossimi dieci anni”.
Certo, punire i colletti bianchi, i politici e gli imprenditori che danno e prendono mazzette è complicato e richiede ben più di un decreto o un ddl.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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IL PROFUGO DIVENTATO IMPRENDITORE: “ORA VENDO FIORI RISPETTANDO LE REGOLE”

Agosto 3rd, 2016 Riccardo Fucile

VERBANIA: HA 33 ANNI E HA OTTENUTO LA LICENZA… VIVE NEL CENTRO IMMIGRATI DI SANT’ANNA

Ogni mattina espone i suoi fiori all’entrata del cimitero di Pallanza.
Shah Alam Hzratali, bengalese, ha 33 anni e, benchè sia arrivato in Italia solo da 15 mesi, ha nel sangue il rispetto delle norme e – dopo aver fatto una breve gavetta da irregolare – ha deciso di fare l’imprenditore con tutte le licenze necessarie per il commercio al dettaglio di fiori ma anche di altri articoli.
È orgoglioso di questa scelta e mostra con solerzia la documentazione rilasciata dal Comune e dalla Camera di commercio.
E’ talmente rispettoso delle regole che ha perfino fatto la licenza di pesca per quelle poche battute che ogni tanto si concede sul lungolago di Pallanza.
Le energie non gli mancano così come l’intraprendenza di chi è convinto che può modificare il suo futuro.
Al centro di accoglienza per gli immigrati, in via Belgio a Sant’Anna dove vive, non hanno dubbi: «Ha tutti i numeri per fare l’imprenditore, e con successo. Qui non sta mai fermo un attimo e sta coltivando tutti gli spazi di terra disponibili».
Gli anni di lavoro in Libia
E’ molto organizzato, dalla sua piccola borsa tira fuori decine di copie del suo curriculum, prima in Bangladesh, dove ha lavorato in fabbrica e in ufficio, e poi in Libia dove ha fatto il venditore di cosmetici e il cassiere in un supermercato.
Alla voce «capacità », sottolinea: «Ottime competenze in agricoltura e giardinaggio. Ottime capacità  di vendita e di rapporti con il pubblico».
Nella sua borsa c’è pure un libro per studiare l’italiano: «Lo sto imparando – dice -. Parlo però un buon inglese e un ottimo arabo».
A Sant’Anna è arrivato da Napoli. Prima di approdare in Italia anche lui è passato dalla Libia, dove ha lavorato oltre un anno per procurarsi i soldi – «tanti», spiega Shah – che gli servivano ad arrivare in Occidente sui barconi della morte: «Un paese difficile la Libia» dice senza manifestare particolare rancore.
Sulla sua faccia e sulle gambe, però, ci sono ancora i segni di pugni e calci, presi senza motivo dove lavorava.
Quindici mesi fa l’arrivo a Napoli, con una nave della Marina militare che anche in quell’occasione, nel Canale di Sicilia, ha strappato alla morte un carico di disperazione alla deriva su una carretta del mare che difficilmente sarebbe arrivata sulle coste italiane.
Ora dopo tanto penare Shah Alam, in Italia, vuole rimanerci a coltivare e vender fiori e crearsi un futuro, per lui e per la sua famiglia.
«Voglio restare in Italia»
Davanti al cimitero di Pallanza la sua è una presenza lieve ed educata. Aiuta le persone anziane a scendere dall’auto e si presta con molto trasporto a dare una mano se qualcuno gli chiede un aiuto per pulire una tomba.
Se per qualche motivo si allontana dalla bancarella improvvisata, le persone che entrano al cimitero prendono lo stesso i fiori e pagano all’uscita.
Un rapporto ormai consolidato, di fiducia reciproca, e Shah Alam è felice di questa quotidianità  italiana.
Lo è a tal punto che si immagina già  qui con tutta la famiglia: la moglie, i figli, i genitori e i sette fratelli che ha lasciato in Bangladesh.
«Il mio sogno – dice – è quello di trovare un grande terreno da coltivare e portare qui tutti i familiari. Ho anche un fratello molto malato, che studia ancora e vorrei aiutarlo».

Filippo Rubert�
(da “la Stampa”)

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VIRGINIA AI RAGGI X: A CASA DI BATTISTA SUPER VERTICE CON IL DIRETTORIO

Agosto 3rd, 2016 Riccardo Fucile

SINDACO SOTTO TORCHIO, IL DIRETTORIO CONTRO L’INFLUENZA DI MARRA E   ROMEO

Virginia Raggi sotto esame. Si potrebbe dire anche sotto torchio, considerata la raffica di domande che il Direttorio ha posto al sindaco di Roma.
L’hanno convocata all’ora di cena, non negli uffici della Camera nè sono andati a trovarla in Campidoglio, ma il luogo del super vertice è stato casa Di Battista, nel quartiere Flaminio della Capitale tra l’Auditorium e il Maxxi.
Mancavano in questa seduta cruciale solo Beppe Grillo e Casaleggio junior, segno che il Direttorio è sempre più al vertice del Movimento.
Loro c’erano tutti, con tutte le loro ansie riguardanti la Capitale: il padrone di casa, Luigi Di Maio, Carlo Sibilia, Roberto Fico e Carla Ruocco.
Con Raggi è arrivato il vicesindaco Daniele Frongia.
Mentre Direttorio e primo cittadino discutono di immondizia e soprattutto di ruoli all’interno del Campidoglio – ovvero dello strapotere dell’ex alemanniano Raffaele Marra e del suo sodale Salvatore Romeo – il presidente di Ama Daniele Fortini sta riferendo davanti alla commissione d’inchiesta Ecomafie e gli ospiti di casa Di Battista seguono via agenzie l’audizione.
Fortini davanti ai parlamentari attacca l’assessore all’Ambiente, Paola Muraro, e non il sindaco: “Perchè – chiede retoricamente – il primo blitz viene fatto a Rocca Cencia e non a Salario? Raggi è estranea a questi atteggiamenti. È stata manipolata da iniziative non sue”.
Parole che a casa Di Battista vengono accolte con scetticismo. Qualcosa non torna agli occhi del Direttorio. Che vuole capire alcuni passaggi e alcune scelte o non scelte di quella che è diventata di fatto la grillina più importante d’Italia, cioè la Raggi, e da cui dipendono buona parte delle sorti del Movimento in vista delle elezioni politiche, quando ci saranno.
Il tono con cui si rivolgono alla sindaca di Roma non è prevenuto ma è molto fermo: “Virginia, perchè non hai mandato via subito Fortini?”, hanno chiesto i leader pentastellati al primo cittadino.
È qui che c’è stato infatti il cortocircuito, con Fortini che in questi giorni è sempre in tv, ancora da presidente seppur dimissionario, a parlare del lavoro svolto e ad attaccare Muraro, l’assessore scelto dal grillino vice presidente della commissione Ecomafie, Stefano Vignaroli, e non da Raggi.
Sarebbe stato il capo della segreteria del sindaco, Salvatore Romeo, di cui la Raggi si fida ciecamente, a frenare la cacciata di Fortini.
Anche la conferenza stampa del primo cittadino, inizialmente programmata tre ore prima dell’audizione del presidente di Ama per passare all’attacco, alla fine non si è fatta. Non solo. Sul tavolo della cena a casa Di Battista, è arrivata anche la storia del premio di produzione da 113 mila euro che venne dato a Fortini nel 2014 da una commissione ad hoc tra i cui membri c’era anche Romeo. Vicenda che il Direttorio non conosceva e che è venuta fuori attraverso gli organi di stampa.
Quindi, sotto accusa c’è lo strapotere assunto in Campidoglio da Romeo e Raffaele Marra, l’ex alemanniano, la cui nomina a vice capo di gabinetto doveva essere revocata dopo le tante polemiche e invece sarebbe in odor di promozione.
All’asse Romeo-Marra, che è esterno al grillismo ma che la Raggi e Frongia hanno valorizzato secondo molti in maniera eccessiva, il Direttorio vorrebbe contrapporre Marcello Minenna, l’assessore al Bilancio voluto fortemente da Di Maio e molto gradito anche a Carla Ruocco, che invece avrebbe delle riserve proprio su Romeo e sull’influenza che quest’ultimo ha sul sindaco. Ecco qui lo scontro di potere ai vertici non solo del Campidoglio ma anche del Movimento 5 Stelle.
Nella riunione a casa di Di Battista è stato chiesto alla Raggi di non lasciarsi influenzare da quello che viene considerato il non grillismo e di arginare il potere del tandem Marra-Romeo. Quanto a Muraro – così è stato ribadito – la difesa sarà  a oltranza.
Sono pronti interventi in tv per blindare ancora di più l’assessore, che intanto è stata convocata anche lei, questa volta negli uffici della Camera, dal Direttorio che vuole approfondire ogni aspetto delle sue consulenze in Ama.
Alla Raggi i vertici pentastellati hanno rinnovato la sua fiducia, anche perchè un fallimento a Roma aprirebbe le porte a una debacle alle politiche.
Ma dopo oltre due ore di domande e risposte la cosiddetta ‘quadra’ è riassumibile così: il Direttorio ha comunicato alla Raggi che la vittoria grillina appartiene ai grillini e il governo di Roma non può essere in mano a chi non è del Movimento.

(da “Huffingtonpost“)

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INTERVISTA ALLA PRESTIGIACOMO: “PARISI E’ UN NOME CHE UNISCE. TOTI? HA GIA’ UN ALTRO INCARICO”

Agosto 3rd, 2016 Riccardo Fucile

“ABBIAMO BISOGNO DI PERSONE CAPACI DI AGGREGARE, NON DI DIVIDERE”

«Parisi? Ha dimostrato, in un contesto come quello di Milano, di aggregare il popolo del centrodestra».
E Giovanni Toti? «Non è disoccupato, è il politico di Forza Italia che ha il più importante incarico di governo».
Stefania Prestigiacomo, fin dal ’94 fra le fila degli azzurri, elogia l’ex direttore di Confindustria, scarta l’ipotesi di una leadership di Giovanni Toti, ma allo stesso tempo precisa che il capo carismatico resta ancora Silvio Berlusconi.
Onorevole Prestigiacomo, Stefano Parisi ha già  ricevuto i gradi da Silvio Berlusconi. È la scelta migliore?
«Credo che il centrodestra oggi abbia bisogno di persone con la capacità  di aggregare e non di dividere, con la capacità  di convincere i moderati e non di spaventarli».
All’interno di FI c’è chi ha perplessità  su Parisi. C’è il rischio che si possa assistere all’ennesima scissione del partito?
«Al di là  dei mugugni fisiologici io credo che oggi non esistano spazi nè condizioni per ulteriori divisioni. La parola d’ordine dev’essere quella di riunire perchè solo riunendo il nostro elettorato si può vincere».
Perchè nel centrodestra si continua a procedere per designazione e mai attraverso le primarie?
«Le primarie all’Italiana, il Pd insegna, hanno dimostrato tutti i propri limiti. Forza Italia ha un capo carismatico che è Silvio Berlusconi, in cui il nostro elettorato si identifica. Fino a che in campo ci sarà  lui parlare di primarie non ha senso. Non escludo in futuro un coinvolgimento del popolo del centrodestra nella scelta del candidato premier».
Si parla anche di rottamazione. È vero che Berlusconi vorrebbe far fuori tutta la vecchia classe dirigente compresa lei?
«Non mi risulta assolutamente, c’è tutto lo spazio per nuove energie e nuove forze in grado di rilanciare Forza Italia valorizzando l’esperienza di chi ha dato molto al partito ed è riconosciuto dalla gente come un punto di riferimento».
Anche Giovanni Toti, governatore della Liguria, avrebbe più volte esternato il suo malcontento. Non ha il quid per guidare FI?
«Giovanni Toti non è disoccupato. Ha vinto, dopo una appassionante campagna elettorale all’insegna dell’unità  di liberali e riformisti, le elezioni in Liguria e oggi governa una regione importante e politicamente strategica. È il politico di Forza Italia che ha il più importante incarico di governo in questo momento. Credo che sia interesse anche suo ampliare il parterre degli uomini di valore nella squadra del nostro partito e del nostro schieramento politico».
Nel centrodestra targato Parisi ci sarà  spazio per Matteo Salvini e per Giorgia Meloni?
«Se l’obiettivo di Forza Italia fosse una battaglia di testimonianza potrei rispondere di no. Ma nel nostro dna politico c’è l’impegno per cambiare il Paese e per cambiare il Paese bisogna governarlo. Credo che sia Salvini sia Giorgia Meloni vogliano vincere le prossime elezioni e quindi alla fine sarà  interesse comune trovare una intesa per una proposta di governo del Paese».

Giuseppe Alberto Falci
(da “Il Corriere della Sera”)

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FEMMINICIDIO, LE PARLAMENTARI: “BASTA LACRIME, SERVE AGIRE E OCCORRONO FONDI”

Agosto 3rd, 2016 Riccardo Fucile

DAL PD A FORZA ITALIA, DALLA BOLDRINI ALLA CARFAGNA: “SBLOCCO DEI FONDI AI CENTRI ANTIVIOLENZA”

Basta lacrime, non sono sufficienti parole di cordoglio davanti all’ennesima donna uccisa da un compagno perche voleva andarsene, ammazzata, bruciata da un ex che non accettava il suo no.
Basta termini che suonano come giustificazioni agli omicidi. Basta parlare di raptus di violenza o attacchi di follia per chi ha dato alle fiamme la campagna di una vita. Come afferma il presidente del senato Piero Grasso su Facebook, “c’è un grande lavoro da fare, tutti insieme, per sradicare i resti di una cultura maschilista e possessiva che ancora permea la nostra società “.
Con Laura Boldrini, sua omologa alla Camera, che focalizza ulteriormente il punto: “Le leggi ci sono e i centri antiviolenza devono tornare ad avere al più presto i finanziamenti necessari”.
Se le donne sono vittime quotidiane di una strage, bisogna agire.
Alcune parole chiave per quell’azione emergono dalle tante dichiarazioni di sdegno e dolore per le tragedie annunciate, che accomunano donne della politica italiana da ogni fronte. Che, dal Pd a Forza Italia, chiedono campagne di educazione nelle scuole, fondi per tenere aperti i centri antiviolenza, ma anche chiarezza.
La soglia superata nel 2016 delle sessanta donne massacrate da chi diceva di amarle scuote la ministra Maria Elena Boschi, che ammette il bisogno di ulteriori risposte concrete e annuncia per l’8 settembre la prima riunione della cabina di regia del   Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere per rafforzare e promuovere azioni di contrasto alla violenza sulle donne e al femminicidio.
“Ci vogliono campagne di educazione nelle scuole. Bisogna coinvolgere genitori e insegnanti”, sottolinea la vicepresidente della Camera Marina Sereni.
A Boldrini fa eco la deputata Pd Vanna Ioeri, chiedendo che siano sbloccati i fondi ai centri antiviolenza che assistono le donne sul territorio e da mesi rischiano la chiusura e che, da Milano a Palermo, hanno dimezzato le attività  per mancanza di finanziamenti.
Appello sottoscritto anche da Mara Carfagna, ex ministra delle pari opportunità  e deputata di forza Italia.
Se si parla di fondi, i centri antiviolenza hanno qualcosa da dire e lo hanno ripetuto più volte: “La realtà  è che, dei 16,5 milioni previsti per il 2012-2013 dal Piano nazionale anti violenza e dati alle Regioni, poco o nulla è arrivato a chi lavora sul territorio: molte Regioni, come la Lombardia, hanno ancora i fondi bloccati”, sottolinea Titti Carrano, presidente della rete dei 74 centri Dire.
“Non sappiamo quanti soldi siano stati dati e a chi”, fa eco Gabriella Moscatelli, presidente di Telefono Rosa che gestisce rifugi e la linea di aiuto 1522.

(da “La Repubblica”)

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IL COPIA E INCOLLA DELLA RAGGI: ECCO I BRANI PESCATI DA ALTRI DOCUMENTI

Agosto 3rd, 2016 Riccardo Fucile

LE LINEE GUIDA PRESENTATE IN CONSIGLIO COMUNALE SONO STATE IN PARTE COPIATE DA MATERIALI GIA’ PRESENTI SUL WEB

«Roma Capitale è portatrice di una visione biocentrica che si oppone all’antropocentrismo specista che nella cultura occidentale ha trovato la sua massima espressione».
Siamo alle prime righe del punto 4 («Tutela diritti degli animali e biodiversità ») del capitolo 6 delle Linee programmatiche 2016-2021 per il Governo di Roma Capitale.
È il programma con cui Virginia Raggi si è presentata lunedì al consiglio comunale di Roma, testo di cui hanno dato conto tutti i mezzi di informazione.
Se negli anni Novanta eserciti di musicologi e periti di ogni tipo si divisero sull’ipotesi che la star planetaria Michael Jackson avesse copiato la sua «Will You Be There» dalla decisamente meno nota «I cigni di Balaka» del nostro Al Bano, sulla «visione biocentrica opposta all’antropocentrismo» del programma della Raggi dovrebbero esserci molti meno dubbi.
Basta leggere alcune righe del documento finale di una vecchia conferenza programmatica della Federazione dei Verdi (proprio loro, il partito che fu di Pecoraro Scanio) facilmente scaricabile al link www.verdi.it/download/animali.pdf.
In particolare queste: «Siamo portatori di una visione del mondo biocentrica che si oppone all’antropocentrismo che nella cultura occidentale ha trovato la massima espressione (…). Oggi, alla difesa di questi diritti (…) si aggiunge la lotta con lo specismo».
Le prime righe sono di fatto uguali. Mentre lo «specismo» del vecchio documento dei Verdi si trasforma, nella versione Raggi, nell’aggettivo «specista» appiccicato all’«antropocentrismo» (presente, ovviamente, anche nel testo dei Verdi).
Copiati integralmente o in parte
Con un’abbondante dose di generosità  si potrebbe sostenere che è tutto un caso. Oppure che gli estensori del programma di Raggi si siano «ispirati» al vecchio documento dei Verdi, confinato in un sito web che nessuno monitora da secoli.
Ma l’abbondante dose di generosità  svanisce di fronte alla scoperta che il signor Tommaso Martelli, già  candidato al consiglio comunale di Roma con la Lista Marchini, ha fatto quarantott’ore fa.
Martelli, reduce da una campagna elettorale quasi integralmente concentrata sull’abbandono dell’Ospedale Forlanini, è anche uno di quegli esperti di comunicazione che mescola i tic del ragazzino «smanettone» a un’adulta competenza sulle nuove tecnologie.
Non appena le linee programmatiche della Raggi sono state caricate sul sito del Comune di Roma, gli è venuta l’idea di prendere i brani più «tecnici» e infilarli nella stringa di ricerca di Google.
Che cosa ha scoperto? Semplice. Che dei brani interi del programma illustrato dalla Raggi sono stati copiati da documenti già  presenti sul web. Integralmente o in parte. Un po’ lo stesso scivolone in cui è caduta Melania Trump, sorpresa a saccheggiare un vecchio discorso di Michelle Obama
A pagina 26, il punto 8.2.1 del capitolo dedicato a «Roma Semplice» contiene la stessa identica ricetta a cui arrivarono gli «Stati generali dell’informazione» contenuta in un recente articolo-manifesto facilmente consultabile sul sito dell’Agenda digitale al link http://www.agendadigitale.eu/smart-cities-communities/l-innovazione-delle-citta-passa-da-questi-punti-ecco-una-proposta-per-i-neo-sindaci_2339.htm.
Un cambio qua, qualche correzione là  e il gioco è fatto.
Il capitolo sulla «Smart City»
Il link dell’Agenda digitale dev’essere piaciuto assai all’estensore materiale del programma della sindaca di Roma.
Tanto che anche il punto 8.2.2 delle linee guida di Raggi è identico – tranne tre parole, «nel suo ambito» – al testo presente sul web («L’amministrazione è chiamata, nel suo ambito, alla definizione di una politica industriale del territorio, individuando i settori strategici sui quali realizzare specifiche azioni di abilitazione»).
Mentre pezzi del capitolo sulla «Smart city» sono stati «presi in prestito» da articoli, saggi o proposte già  presenti sulla Rete e l’incipit del capitolo sullo sport risulta copiato dall’articolo 1 di un recente protocollo d’intesa sottoscritto dall’Anci e dal Coni. Anche in questo caso, con qualche piccolo aggiustamento.
Ma i piccoli aggiustamenti sono sempre troppo piccoli rispetto alla grandezza della Rete.
Di citazioni, brani copiati, spunti presi in prestito nel programma di Raggi ce ne sono altri e sono facilmente individuabili grazie a Google.
Perchè la Rete sa essere una risorsa. Ma la Rete, come dice Grillo, «non perdona». Mai.

Tommaso Labate
(da “il Corriere della Sera”)

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ZAIA E MARONI INSIDIANO LA POLTRONA DI SALVINI: IL SEGRETARIO E’ ALLE CORDE

Agosto 3rd, 2016 Riccardo Fucile

ELEZIONI DELUDENTI, TENSIONI CON PARISI E CONTRASTI SULLA LINEA POLITICA

Il dibattito sulla guida del centrodestra, i rapporti con Forza Italia, i risultati elettorali poco soddisfacenti e uno scenario politico troppo ballerino fanno da sfondo alla prima vera crisi della leadership di Matteo Salvini.
Al di là  delle immagini rassicuranti in arrivo dal Papeete beach di Milano Marittima, il leader del Carroccio quest’estate naviga in acque agitate, per di più senza una meta apparente. Il morale della ciurma è al ribasso e per il mese di settembre è prevista burrasca: i leghisti vogliono sapere verso quale porto sono diretti, ma il Capitano non lo sa.
L’uomo giusto (fino ad oggi)
Matteo Salvini è stato l’uomo giusto al momento giusto. Alla Lega serviva un urlatore, un uomo capace di far dimenticare tanto i disastri della parabola bossiana, quanto gli attriti della parentesi maroniana.
Dal cilindro è stato tirato fuori lui, un ragazzotto di Milano cresciuto in consiglio comunale, capace di incarnare il ruolo del salvatore della patria. Ha preso una Lega disastrata e l’ha trasformata in qualcosa di nuovo e di diverso.
Nel giro di pochi mesi è stato messo in crisi l’intero patrimonio di valori storici del partito, un bagaglio messo insieme in oltre venti anni di storia sotto la guida di Umberto Bossi. Salvini ha spostato l’orizzonte: dalle tasse alle pensioni. Dalla provincia alle periferie. Dalla fabbrichetta alla casa popolare. Dalla Padania all’Europa. Da Miglio alla Le Pen. Uno shock per l’elettore tradizionale.
Il gioco, però, ha funzionato attirando migliaia di nuovi consensi, che hanno consentito a Salvini di affermarsi e rimanere saldo al suo posto, superando scetticismi e frizioni interne. Almeno fino ad oggi.
Situazione confusa
La situazione in questa estate strana, è decisamente confusa. Le elezioni amministrative di giugno non sono andate come Salvini sperava.
Se la Lega ha tenuto nei piccoli comuni, è però caduta sugli appuntamenti più rilevanti, collezionando figure difficili da digerire.
Ha perso nella piccola ma simbolica Varese, un tempo capitale del leghismo. Ha portato poca, pochissima, acqua al mulino di Giorgia Meloni che ha fallito l’obiettivo del ballottaggio nella Capitale.
E, soprattutto, ha perso a Milano, dove la Lega è rimasta al lumicino del 10%, facendosi superare (di molto) da una Forza Italia troppo spesso data per morta, segando così un altro punto di fragilità  nella gestione salviniana.
Insomma, il segretario ha steccato tutti gli obbiettivi di livello.
Sullo sfondo della sconfitta milanese ci sono anche i rapporti tesi con il candidato Stefano Parisi, ora lanciato da Berlusconi nella corsa alla guida del centrodestra, proprio in contrapposizione a Matteo Salvini.
Equilibri in crisi
Una situazione così agitata non poteva non mettere in crisi gli equilibri interni al partito e sono in molti quelli pronti a scommettere che a settembre scoppierà  il bubbone, aprendo un confronto aspro interno alla Lega.
Dai corridoi di via Bellerio (che da qualche tempo sono decisamente disadorni e poco frequentati) detrattori e sostenitori hanno però una certezza: alla fine la segreteria di Salvini non verrà  messa in discussione. Troppo ampio il seguito che il “Capitano” è riuscito a costruire attorno alla propria figura, non bastano certo le schermaglie di partito ad incrinarne il consenso. Ed è proprio la macchina del consenso uno dei punti di attrito interno.
Corpo estraneo
Quando è arrivato alla segreteria, Matteo Salvini si è liberato nel giro di pochi mesi di una struttura elefantiaca, frutto (anche) di una stratificazione delle più classiche clientele di partito, figlie di un passato da dimenticare e che nel tempo sarebbero state difficili da controllare.
Così, dimostrando determinazione e cinismo, Salvini ha smantellato uno ad uno tutti i pezzi dell’ingranaggio: nel 2014 hanno chiuso i battenti Telepadania e lo storico quotidiano La Padania a ruota anche 71 dipendenti della Lega hanno dovuto fare gli scatoloni e lasciare la sede di via Bellerio. È rimasta attiva solo Radio Padania, struttura fedelissima a Salvini (che ne è stato anche direttore).
Fatta fuori la vecchia macchina, il segretario ne ha costruita una nuova. Attorno alla figura del leader è nato un team composto da soggetti esterni, privi di una storia organica al partito.
Una corte di fedelissimi, come il super consulente Luca Morisi (che gestisce i social network), entrati a gamba tesa nella vita del partito. Professionisti vissuti come un corpo estraneo che, con le prime difficoltà , hanno iniziato ad essere messi in discussione in maniera esplicita.
Vecchi valori
Apparentemente la frizione con la corte di Salvini è alimentata da militanti della Lega Lombarda guidata da Paolo Grimoldi.
Attriti e antipatie di natura personale che hanno come terreno di scontro la linea politica: gli uomini del segretario regionale Grimoldi, pur giovani, sono affezionati alla linea pre-salviniana. Dopo i risultati poco soddisfacenti della Lega nazionale vorrebbero meno lepenismo e uno sguardo concreto ai temi delle radici.
Parlano delle questioni irrisolte come la pressione fiscale per le piccole imprese, temi che in passato hanno fatto la fortuna della Lega Nord.
Che i vecchi temi stiano conoscendo una nuova primavera, lo si capisce anche dal calore ritrovato per il vecchio leader. Umberto Bossi ha ripreso a frequentare con entusiasmo e assiduità  le feste del partito.
Spesso e volentieri sale sul palco e prende la parola. I suoi sono discorsi concreti che scaldano gli animi dell’elettorato storico. Certo, Bossi non riprenderà  mai le redini del partito, è fuori discussione. Ma l’entusiasmo che raccoglie di questi tempi è un chiaro avvertimento per Salvini.
Il terzo incomodo
In questo dualismo tra vecchia e nuova Lega si inserisce il terzo incomodo: Roberto Maroni. Il governatore lombardo — autonomo nel pensiero rispetto alla linea ufficiale del partito — rimane il personaggio più forte all’interno del Carroccio.
Poco incline ad una guida populista in stile salviniano, Maroni ha dimostrato in più di una occasione di essere decisamente a suo agio nel ruolo di tessitore di trame politiche.
Distante dalle posizioni del segretario compie atti difficili da conciliare con le posizioni pubbliche di Salvini. Dalla nomina di Antonio Di Pietro alla guida di Pedemontana, all’appoggio esplicito di Stefano Parisi, passando per il dialogo mai interrotto con tutte le anime del centrodestra (da Lupi in giù).
Discorso a parte per il Doge Luca Zaia che, al momento, osserva da lontano. Come da tradizione il partito in Veneto vive di vita e regole proprie, con dinamiche spesso distanti dalle beghe di via Bellerio.
Zaia in questo scenario rimane una delle figure più carismatiche e credibili dell’intero parterre leghista, più moderato del Capitano, forte di esperienze di governo positive, è un personaggio gradito a molti.
Salvini lo deve temere più come possibile alternativa leghista nella corsa alla leadership del centrodestra che nella battaglia per la gestione del partito.
Salvini indeciso
Tre scenari che coveranno per tutto il mese di agosto per esplodere a settembre. Nessuno nella Lega può permettersi di mettere apertamente in crisi Salvini. Ma il dibattito ci sarà .
Il segretario verrà  messo alle strette e dovrà  indicare una rotta. Molti i punti da chiarire.
Vuole il partito nazionale o sceglierà  di far convivere due anime distinte a nord e a sud?
Continuerà  da solo sulla linea Lepenista o scenderà  a miti consigli con il resto del centrodestra?
Un dibattito che rischia di trascinarsi per settimane e diventare logorante. Ma c’è da aspettarsi che, almeno fino al voto del referendum costituzionale, Salvini non sciolga le riserve sulla strada che la Lega dovrà  seguire in futuro.
Una parola definitiva potrà  essere spesa solo quando saranno chiari i tempi del ritorno alle urne. Il capitano arriverà  probabilmente al congresso di dicembre con una lega sfilacciata e stanca, forse non abbastanza per fargli decidere di cedere il timone

Alessandro Madron
(da “il Fatto Quotidiano”)

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M5S, CASALEGGIO E I BIG PREOCCUPATI, LA BASE E’ INQUIETA, TREGUA INTERNA A RISCHIO

Agosto 3rd, 2016 Riccardo Fucile

SUL CASO MURARO SI CERCA FAR QUADRATO, MA CRESCONO I DUBBI

I contatti e i confronti ai vertici del Movimento 5 Stelle si susseguono frenetici.
La linea ufficiale è di difesa di Virginia Raggi e di Paola Muraro. Almeno per ora e salvo fatti (o documenti) nuovi.
Se resa dei conti interna ci sarà , e qualcuno sta già  affilando le unghie, è solo rimandata di qualche settimana. Settembre non sarà  un mese tranquillo.
Chi è stato costretto suo malgrado ad accettare scelte non condivise e ha optato per un tattico passo indietro (la deputata Roberta Lombardi a metà  luglio ha lasciato il mini-direttorio romano in aperto, anche se non dichiarato, dissenso), vede ora profilarsi, forse ben prima del previsto, un’occasione per far pesare rilievi e osservazioni fin qui snobbate.
In Campidoglio si fa quadrato (martedì sera si è tenuta una riunione proprio del mini-direttorio) mentre Beppe Grillo si tiene lontano pur facendosi aggiornare costantemente.
E a Milano, dalle parti della Casaleggio Associati si cerca di ostentare tranquillità , anche se la preoccupazione per quanto rimbalza sui giornali va crescendo di giorno in giorno.
E il dibattito in Rete, l’agorà  grillina, ne è il fedele termometro. Gli stessi membri del direttorio si tengono in stretto contatto, pronti ad intervenire in maniera decisa qualora il livello di guardia dovesse essere superato.
La difesa dell’amministrazione romana
Non può sfuggire che, in una giornata in cui la polvere del caso rifiuti continua a rimanere alta, l’unico esponente pentastellato di un certo rilievo che mette il naso fuori per sostenere le ragioni della sindaca di Roma e della sua assessora all’Ecologia è l’ex candidato sindaco di Bologna Massimo Bugani (uno dei tre soci, con Davide Casaleggio e David Borrelli dell’associazione Rousseau).
«Non si capisce il clamore sollevato. Paola Muraro ha messo la sua professionalità  al servizio di una società  – spiega in un video postato sul suo profilo Facebook–. Perchè ci si accanisce contro di lei e non si parla dei tanti assessori che in tutta Italia si sono comportati nello stesso modo?».
La difesa dell’amministrazione romana fa leva su un concetto caro al Movimento. «Noi siamo quelli che quando uno dei nostri sbaglia lo buttiamo fuori. Se il M5S e Raggi dovessero riscontrare qualcosa di sbagliato sono sicuro che interverranno».
La fronda interna
Il merito della vicenda non viene toccato. Ma è lì che si concentra la fronda interna. Perchè alcune spiegazioni fornite dalla stessa Muraro hanno destato perplessità  anche tra gli attivisti romani.
A cominciare dalle consulenze per l’Ama. L’assessora sul blog di Grillo ha fatto di conto e cercato di dimostrare che il suo compenso per il lavoro prestato per la municipalizzata dal 2004 al 2016 era modesto («una media di 90.880 euro l’anno al lordo di tasse, previdenza, assicurazioni e spese per lo svolgimento dell’incarico. Un compenso lordo pari a 76 euro al giorno»).
L’onda di ritorno, a scorrere i post pubblicati sulla pagina elettronica del leader, non è stata positiva: molti hanno contestato le cifre fornite.«I conti facciamoli bene – ha scritto Fabio B. – perchè poi ci sputtanano alla velocità  della luce».
Una preoccupazione che ritorna in diversi interventi, in mezzo ad incitamenti e a manifestazioni di fiducia nell’onestà  anzitutto della sindaca.
La punta dell’iceberg
Ma nelle contrapposizioni interne del Movimento il «caso Muraro» rischia di essere solo la punta dell’iceberg. L’armistizio firmato nei giorni della formazione della giunta guidata da Virginia Raggi tiene a fatica.
Nel pieno della bufera non è interesse di nessuno, nemmeno dei critici (come la senatrice Paola Taverna), fornire altri argomenti alle opposizioni che vogliono prendersi la rivincita dopo la bruciante sconfitta elettorale di giugno.
La tenuta di Roma ha una valenza che va al di là  delle sorti delle singole persone.
E tuttavia, a settembre un chiarimento, se non proprio una resa dei conti, sulle nomine fatte il mese scorso, dentro e fuori la giunta capitolina, sarà  ineludibile.

Cesare Zapperi
(da “il Corriere della Sera”)

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