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LA CORTE SMONTA IL COLOSSEO DI DIEGO: I MAGISTRATI CONTABILI CRITICANO IL RESTAURO A FIRMA DELLA VALLE

Agosto 8th, 2016 Riccardo Fucile

“PERPLESSITA’ SULL’OPERAZIONE E RITARDI NELLA NUOVA FASE”…LA RISPOSTA DI TOD’S

Il restauro del Colosseo è stato uno straordinario esempio della collaborazione tra privato e pubblico per la salvaguardia del patrimonio artistico o un buon affare per lo sponsor unico che si è fatto carico dei lavori, Tod’s, e il suo patron Diego Della Valle?
È la Corte dei Conti, nella sua indagine sulle ‘Iniziative di partenariato pubblico-privato nei processi di valorizzazione dei beni culturali’ a gettare più di un’ombra su uno dei più imponenti finanziamenti privati a sostegno di un bene artistico del nostro territorio.
I magistrati contabili esprimono innanzitutto “perplessità  sotto il profilo dell’economicità  dell’operazione”, spiegando in altre parole che per lo Stato lo scambio con Tod’s — restauro a costo zero per il pubblico in cambio di una serie di contopartite legate ai diritti d’immagine — possa essere stato tutt’altro che vantaggioso.
Non solo per quanto offerto allo sponsor ma, soprattutto, per la durata dei diritti concessi, inizialmente previsti soltanto per la durata dei lavori e poi in fase di stesura del contratto estesa per altri quindici anni alla “Associazione amici del Colosseo” definita dalla corte “di diretta emanazione dello stesso” sponsor.
Scrive la Corte: “Sul punto, l’originario avviso pubblico aveva espressamente previsto che i diritti d’uso fossero concessi per la durata dei lavori e non per periodi ulteriori. Diversamente, nel contratto stipulato si stabilisce, per un verso, che i diritti dello sponsor si protraggono per i due anni successivi alla conclusione dei lavori allo stato completati in minima parte senza che ciò comporti corrispettivi aggiuntivi al contributo e, per l’altro, che quelli concessi all’associazione avranno una durata di quindici anni a partire dalla data della sua costituzione (di cui non si ha notizia) eventualmente prorogabili: con il risultato — prosegue il testo dell’indagine – che, a fronte di una esclusiva sicuramente ultraventennale, il corrispettivo pagato dallo sponsor ammonta a euro 1.250.000 ad anno (importo che si ottiene dividendo la somma di 25.000.000 euro, che corrisponde al finanziamento totale offerto dallo sponsor, per il tempo di durata dei diritti concessi all’associazione)”.
Non solo. Secondo la Corte sull’operazione di restauro pesano anche “notevoli ritardi”.
Se una parte rilevante è stata conclusa ad aprile, con la cerimonia a cui ha partecipato anche il presidente del Consiglio Matteo Renzi, per altre — la realizzazione di un centro servizi e il restauro dei sotterranei e degli ambulacri — si è rimasti ancora alle fasi preliminari.
Lo sponsorizzazione di Tod’s prevede uno stanziamento di 25 milioni di euro divisi in tre tranche: 10 milioni preventivati per gli interventi sui prospetti esterni, che sono stati ultimati; 10 per il restauro interno degli ipogei, del piano terra e del primo ordine (diviso in due appalti) e 5 per la creazione di un centro servizi.
“I lavori — rileva la Corte – sono stati pagati a seguito di una fattura di sponsorizzazione emessa dalla soprintendenza e presentata alla società  Tod’s, che ha provveduto al saldo tramite il pagamento diretto alla società  Aspera s.p.a., esecutrice dei lavori. In considerazione degli evidenti ritardi nello svolgimento dei lavori come sopra descritti, in relazione alla data di stipula dell’accordo di sponsorizzazione, risalente al 21 gennaio 2011, si osserva che non risulta, allo stato, perseguita compiutamente, attraverso la suddetta operazione contrattuale, la prevista finalità  di valorizzazione”
“Si raccomanda all’amministrazione – conclude quindi l’indagine – di dare impulso, in considerazione dei notevoli ritardi accumulatisi, all’attività  di progettazione ed esecuzione dei lavori e di vigilare in ordine al rispetto dei tempi previsti”.
In serata è arrivata la replica di Tod’s. “Sui lavori per il centro servizi del Colosseo c’è stato uno slittamento, ma il bando sarà  fatto entro il 2016 e l’opera completata entro due anni”, ha spiegato un portavoce del gruppo Tod’s, commentando i rilievi mossi dalla Corte dei Conti sull’operazione di restauro del Colosseo.

(da “Huffingtonpost”)

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ROMA, CAOS TRASPORTI, METRO A: MANCANO 18 MILIONI PER LA MANUTENZIONE, A RISCHIO I TRENI, BUS A SINGHIOZZO

Agosto 8th, 2016 Riccardo Fucile

LA RABBIA SUI SOCIAL, SITUAZIONE DRAMMATICA

Agosto di passione per il trasporto pubblico della Capitale. Nonostante la tregua estiva: con il servizio ridotto e la città  semideserta, le inefficienze dovrebbero essere meno evidenti.
Se non fosse che, forse proprio in vista della ripresa post-vacanze, si moltiplicano le cattive notizie: dai bus guasti fermi in officina alla mancanza di ricambistica per la riparazione.
Risultato: oltre un terzo dei mezzi non è nelle condizioni di poter circolare.
Ma, ulteriore motivo di preoccupazione, a settembre la metro A potrebbe viaggiare con frequenze ridotte, se non arrivano subito 18 milioni di euro per la manutenzione.
Se non si dovessero trovare le risorse necessarie, ci sarà  una graduale diminuzione dei treni. E questo si tradurrà  in ritardi, tempi di attesa più lunghi in banchina, proprio nel mese in cui riaprono scuole e uffici. Non solo.
Ad aggravare il caos annunciate le dimissioni del dg di Atac, Marco Rettighieri che, però, ha prontamente smentito la notizia: «Continuo il mio impegno».
L’emergenza trasporti
«Stiamo lavorando su questa emergenza», ha assicurato l’assessora ai Trasporti di Roma, Linda Meleo. «I finanziamenti saranno destinati anche a rimettere in manutenzione la parte della metro A per cercare di garantire le corse come erano state programmate. Ci sono i tempi per poter intervenire – ha ribadito l’assessora – e con l’assessore al Bilancio stiamo facendo le opportune valutazioni con tutti gli attori interessati in questo percorso. È evidente che abbiamo avuto un’eredità  molto pesante perchè la situazione dell’azienda non si può nascondere».
«L’investimento complessivo su 3 anni è di 58 milioni di euro – ha spiegato Meleo – . Per gli interventi a breve e medio termine, servono circa 18 milioni. Stiamo lavorando per cercare queste risorse. Le strade sono tante».
«Su 100 vetture, 30-35 ferme per guasto»
Per rendersi conto da vicino della situazione, domenica l’assessora Meleo -accompagnata dal presidente della commissione capitolina Trasporti, Enrico Stefà no – hanno fatto un blitz nella rimessa Atac di Tor Sapienza.
«È inaccettabile che non si riesca a garantire il servizio neanche la domenica con una programmazione estiva già  ridotta all’osso – ha scritto Stefà no in un video su Facebook – . Le cause sono molteplici, ma andremo a fondo e i responsabili di questo disastro dovranno assumersi le loro responsabilità ».
«Abbiamo trovato una situazione drammatica – ha sottolineato -, molti autisti erano fermi perchè non avevano autobus da portare. Nei prossimi giorni faremo domande ai vertici, chiameremo i dirigenti di superficie. In questa rimessa, ad esempio, su 100 vetture che dovevano uscire 30-35 erano rientrate per guasto. Mentre sulla carta questa rimessa ha più di 300 vetture».
«Abbiamo trovato personale ridotto, uffici chiusi perchè domenica e persone che stavano arrangiando delle riparazioni. I bus in manutenzione erano tanti – ha aggiunto l’assessora Meleo – . La maggior parte dei guasti riguarda l’aria condizionata. Bisogna capire perchè non si riesce a ripararli e rimetterli in circolazione».

(da “il Corriere della Sera”)

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TERRORISMO, INTERVISTA ALLO PSICHIATRA ANDREOLI: “I KILLER? DEI NESSUNO CHE DIVENTANO EROI”

Agosto 8th, 2016 Riccardo Fucile

“MACCHE’ MOTIVAZIONE RELIGIOSA, SONO FRUSTRATI: CHI NON HA POTERE E DENARO PENSA DI DIVENTARE UN EROE”

In televisione a parlare di terrorismo dal punto di vista psichiatrico, il professor Vittorino Andreoli non è mai andato e mai ci andrà .
“Perchè l’effetto trainante, imitativo, emulativo è fortissimo. Perchè i media non fanno quella cronaca che Dino Buzzati definiva “secca”, ma soltanto spettacolo. E questo spettacolo sul terrorismo è diventato un grande invito. Ricordo quando invitavo i giornalisti a non parlare del suicidio, perchè è un atto che ha un fascino straordinario. E la situazione che stiamo vivendo è certamente peggiore. Basta un po’ di tritolo e si fa una strage per diventare eroi. Siamo a Wagner, siamo alla distruzione per la distruzione. Siamo ad una piccola apocalisse”.
Professor Andreoli, però è un fatto che assistiamo ad una ripetizione di atti compiuti da soggetti con problemi psichici o in condizioni di disagio grave, che giustificano le loro azioni in nome del fondamentalismo religioso.
“Prima di tutto io metterei in campo un altro soggetto: e cioè, la psichiatria. In crisi profonda per due motivi. Il primo è che si è perso il punto di riferimento della normalità . D’altronde, in un mondo in cui sono cadute le certezze è caduta anche la possibilità  di definire cosa è follia. Insomma, si parla di pensiero debole ma io dico che c’è anche una psichiatria molto, molto debole. Soprattutto se rapportata al mondo giovanile, dove tutto diventa ancora più complicato”.
La follia applicata alle nuove generazioni.
“Mah, come si fa a definire la follia in un processo in crescita, in un giovane che sta sviluppando la propria personalità , in un cervello non ancora organizzato, sistematizzato? E poi quale famiglia accetterebbe per un figlio la diagnosi che sia un giovane matto. E badi che quando uso la parola matto, lo faccio con amore”.
Non c’è neanche una rete sociale che se ne occupi.
“Ecco, e siamo al secondo punto. Questa è una società  che come mai nella storia ha il potere di frustrare. È così accelerata, complessa, così in crisi e non solo economica per cui ciascuno si sente frustrato: sul lavoro, in casa, nel rapporto con i figli… e laddove c’è frustrazione c’è sempre una spinta a produrre eroi”.
Che tipo di eroe?
“Un Nessuno che non accetta di esserlo e vuole emergere facendo ciò che può distinguerlo. Una volta c’erano gli eroi del sabato sera che andavano contromano sull’autostrada. Adesso non basta più. Bisogna fare cose grosse. Cosa vuole che sia gettare un sasso da un cavalcavia? Oggi per diventare eroi si guarda quello che ci suggerisce la società : la figura di un eroe superiore ad Achille e Ettore, che da solo riesce a vincere tecnologia e potere, che è capace di mettere in crisi una nazione, anzi addirittura il mondo occidentale. Insomma, viviamo in una società  di frustrati che tendono all’eroismo e sono convinti di diventarlo compiutamente soltanto se i loro gesti vengono replicati all’infinito su internet o in televisione”.
Frustrati e malati, con modelli e schemi che si ripetono
“I modelli sono quelli della stupidità  del mondo occidentale. E’ la nostra società  che ha creato il delirio del potere e del denaro. E chi non ne ha non può che avere uno sbocco: diventare un eroe”.
Quindi le motivazioni ideologiche, politiche, religiose non c’entrano.
“Macchè, non l’avete ancora capito: c’entra il gruppo, che permette di fare cose grandi, segrete.   E oggi essere Nessuno significa non essere visti, diventare trasparenti, non avere un centesimo. E allora ecco che all’eroe non importa di crepare di fronte a un gesto eclatante. Quando a Stalingrado assediata il generale Von Paulus diceva: Cani, volete voi vivere in eterno? Allora morite in battaglia… beh anche lì mica c’era un Dio, c’era Hitler”.
Un esercito di Nessuno al servizio di chi vuole utilizzarli per altri motivi
“Ma certo. Crede che i soldati della Quinta Armata di Von Paulus fossero tutti consapevoli di morire per la causa? E gli otto milioni di baionette? Il problema non è il contenuto ma la frustrazione di questi giovani forti e intelligenti che si sentono capaci ma sono trasparenti e finiscono per diventare eroi. Vuole sapere se mi piacciono? Le rispondo di no. Ma anche con i miei matti è la stessa cosa”.
Che c’entrano i suoi matti?
“C’entrano. Perchè queste persone più fragili, con più difficoltà  di vivere, che hanno comportamenti inaccettabili, invece di essere curati sono abbandonati. E faccio questo discorso perchè se c’è una categoria facilmente strumentalizzabile è proprio quella dei deliranti. Il delirio, che è errata interpretazione della realtà , ha due possibilità : delirio di grandezza, quindi io sconvolgo il mondo, o delirio di persecuzione, quindi tutto il mondo ce l’ha con me. E allora, chi è più adatto di loro a rispondere alla chiamata: vieni che sbaragliamo il mondo, oppure difenditi perchè la società  occidentale ti sta ammazzando. Ecco perchè queste ideologie finiscono per essere compatibili col delirio. E perchè chi delira ci cade dentro”.

(da “Huffingtonpost“)

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GRILLO CHIEDE PIÙ SOLDI AI MILITANTI: “CI SERVE PIU’ SOLIDARIETA'”

Agosto 8th, 2016 Riccardo Fucile

RACCOLTA FONDI IN VISTA DELL’INIZIATIVA “ITALIA A 5 STELLE”   PREVISTA PER SETTEMBRE A PALERMO

Beppe Grillo chiede un “aiuto concreto” ai militanti del Movimento 5 Stelle e ai cittadini, affinchè facciano delle donazioni in soldi, tanto più in vista dell’appuntamento di fine settembre a Palermo, con l’iniziativa “Italia a 5 Stelle”.
In un post pubblicato sul suo blog, Grillo rivolge un appello: “Ci serve un po’ di solidarietà , non sempre delle solite 10.000 persone che versano 30-40 euro a testa. Bisogna fare qualcosa di più, bisogna che anche altri diano qualcosa. Mi ha fermato una persona che mi ha detto: ‘sono 8 volte che do’ 30 euro, non ce la faccio più!’. Bisogna trovare 8 persone che diano 30 euro a testa. Sostieni Italia 5 Stelle con una donazione”, spiega il cofondatore del Movimento.
Sempre nello stesso post, Grillo dà  appuntamento a tutti a Palermo, il 24 e 25 settembre, per l’iniziativa “Italia a 5 Stelle”.
E garantisce: “ci sarò e sarò più forte di prima”.
Il cofondatore del Movimento 5 Stelle, in un post pubblicato sul suo blog – e annunciato via Twitter – dal titolo evocativo, “Beppe Grillo da Cesenatico sul mare in procinto di tempesta”, e corredato da una foto che ritrae l’ex comico genovese con sullo sfondo un cielo scuro e nuvoloso.
“È quello che succederà  a settembre, ottobre, novembre: lampi, tuoni, tempeste. Ma noi avremo ombrelli, avremo impermeabili, passeremo attraverso qualsiasi cosa”, prosegue Grillo sul suo blog.
“Stiamo facendo veramente una grande cosa. Il 24 e il 25 settembre a Palermo ci saranno ospiti internazionali che parleranno di sogni, di visioni. Abbiamo bisogno di mantenere la nostra visione del mondo e vogliamo vedere e sentire altri visionari come siamo noi. Artisti. Visionari. Fantasia al potere! come diceva Gianroberto. Abbiamo bisogno di questi stimoli. Stiamo organizzando Italia 5 Stelle il 24 e il 25 settembre a Palermo in un posto vicino al mare, sempre vicino al mare. È il mare la liberazione, l’utopia, l’orizzonte, sempre andare oltre… Andare oltre: questo è il MoVimento 5 Stelle. Il 24 e il 25 settembre vi aspettiamo a Palermo, tutti insieme, ci sarò anche io. Non so come arriverò, in che modo, che cosa farò. Non lo so. So che ci sarò e sarò ancora più forte di prima”, conclude.

(da “Huffingtonpost”)

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INTERVISTA ALLA MOGLIE DELL’AGENTE MORTO D’INFARTO A VENTIMIGLIA: “DA MESI SOTTO STRESS, MA DIEGO SOGNAVA DI AIUTARE I PROFUGHI”

Agosto 8th, 2016 Riccardo Fucile

“MIO MARITO STAVA SEMPRE DALLA PARTE DEI PIU’ DEBOLI, LUI LI’ AVREBBE AIUTATI TUTTI”… “TURNI TROPPO PESANTI”

Ci sono pensieri che arrivano prima delle parole. Presentimenti.
«Quando Belen mi ha chiamato ho avuto un attimo di esitazione prima di rispondere. Ho pensato subito: è successo qualcosa di grave…»
Danila Josefa sapeva che erano brutte notizie ancora prima che la voce preoccupata di sua figlia le dicesse «ci sono qui i colleghi di papà , vogliono parlare con te»
Gli occhi lucidi dei poliziotti
È rientrata a casa più in fretta che ha potuto e ancora una volta le parole non sono servite, le è bastato vedere gli occhi lucidi dei suoi amici poliziotti…
Suo marito Diego Turra, agente del reparto mobile di Genova, era appena morto stroncato da un infarto. Tutt’attorno a lui, le hanno raccontato, gli altri colleghi erano alle prese con le operazioni per identificare i 13 ragazzi No borders fermati dopo i tafferugli con la polizia al confine con la Francia.
Diego non ha avuto contatti diretti con quei ragazzi, è sceso dal furgone per ultimo e senza dire una sola parola è crollato per terra.
Inutili i tentativi di salvarlo. «Ogni tanto aveva la pressione un po’ alta ma non in modo preoccupante, e comunque non ha mai avuto problemi di cuore» dice adesso Danila.
«Semmai – aggiunge – aveva problemi di stress. Era sotto pressione continua per i turni duri che faceva. Quando stava fuori qualche giorno per servizio tornava a casa stanchissimo e ormai era da molti mesi che lui, come i suoi colleghi, viveva in emergenza continua per la questione dei migranti».
«Non ha mai abusato della divisa»
Non passava giorno che Diego non raccontasse delle sue «missioni» (come le chiama sua moglie) sul fronte dell’immigrazione.
Del suo dispiacere quando capiva che gli immigrati avevano paura della polizia, del fatto che qualche volta ci volevano due-tre poliziotti per fermarne uno facinoroso. «Lui li avrebbe aiutati tutti, stava sempre dalla parte dei deboli, non ha mai abusato della sua divisa» racconta Danila che di cognome fa Jipijapa, che qui in Liguria ha appena finito un corso di operatrice socio-sanitaria e che è nata e cresciuta in Ecuador, dove ha avuto un marito e sei figli prima di trasferirsi in Europa e conoscere Diego. «Ci siamo incontrati a un compleanno nel periodo in cui io vivevo in Spagna. Poi, nove anni fa ci siamo sposati e lui è diventato il padre adorabile dei miei figli, un uomo dolce, unico, pacifico. Non credo che nessuno lo abbia mai visto arrabbiato».
Belen, 20 anni, e Mariela, 24, sono le due figlie che vivono ancora a casa con la madre, in un appartamento nel centro di Alassio.
«Per noi» giura la bellissima Mariela in lacrime, «lui è stato tutto quel che non è mai stato il nostro vero padre».
Princess, la cagnolina di Diego, è la sola che riesce a strappare un sorriso a Danila saltellando fra il tavolo e il divano. «L’ho visto l’ultima volta uscire da questa casa giovedì pomeriggio», ricorda lei ripensando al saluto di suo marito, «e adesso non riesco proprio a immaginare un futuro senza di lui. Se mi avesse ascoltato due anni fa…»
Aveva lasciato il lavoro d’ufficio
Danila è convinta che il carico di lavoro e le tensioni dell’attività  operativa lo abbiano sfinito fino all’infarto.
Due anni fa, appunto, lei non avrebbe voluto quel che Diego aveva invece chiesto con insistenza, cioè lasciare il lavoro d’ufficio e tornare a uscire per servizio.
«Avevo paura che gli capitasse qualcosa, temevo gli scontri allo stadio durante l’ordine pubblico o qualche disordine per i migranti… invece è morto così, senza nemmeno un’ambulanza vicino che potesse provare a salvarlo».
Nel suo pensare e ripensare a lui, in questi due giorni senza fame e senza sonno, Danila ha giurato a se stessa che appena l’avrà  seppellito chiamerà  i suoi colleghi dei sindacati di polizia.
«Voglio che sappiano – promette – che non si può vivere con questi turni massacranti, che non è giusto che un pover’uomo come Diego faccia straordinari per portare a casa qualche soldo in più e poi veda quei soldi soltanto alla fine dell’anno, voglio ripetere a loro quello che mi diceva sempre Diego: che era stanco, che lo facevano lavorare troppo. Mi chiedo: i sindacati non dovrebbero tutelare i lavoratori? Non dovrebbero impedire i turni troppo pesanti? Spero che almeno la morte di mio marito serva a stare più attenti per il futuro…».

Giusi Fasano
(da “il Corriere della Sera”)

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IL LUNGO VIAGGIO DI YUSRA VERSO LE OLIMPIADI: DA RIFUGIATA AD ATLETA OLIMPICA

Agosto 8th, 2016 Riccardo Fucile

HA SALVATO 17 PROFUGHI NELLE ACQUE DEL MEDITERRANEO

I secondi che precedono il tuffo sono i più difficili. Muscoli pesanti, tensione nervosa, la paura di non riuscire nell’impresa.
Un conto, però, è tuffarsi dal blocchetto di una piscina olimpionica, tutt’altra storia è saltare in mare, di notte, nel tentativo di salvare la vita ad altre 17 persone. In fuga dalla guerra.
È la storia di Yusra Mardin, la diciottenne siriana portabandiera alle Olimpiadi del Team dei rifugiati, che ha debuttato nelle batterie dei 100 metri farfalla.
La prima batteria l’ha vinta, poi l’eliminazione in semifinale.
Nonostante questo, Yusra è soddisfatta: “È stato straordinario. Sono molto felice”. Ma la diciottenne avrà  un’altra possibilità  il prossimo 10 agosto, nei 100 metri stile libero. Una seconda chance che quella notte di un anno fa non le sarebbe stata concessa: “Non potevo annegare quel giorno, perchè io sono una nuotatrice e avevo un futuro da inseguire”.
La ragazza è scappata dalla Siria con la sorella nell’agosto del 2015, arrivando in Libano e poi in Turchia.
Qui sono riuscite a mettersi in contatto con alcuni scafisti per trovare il modo di arrivare in Grecia. Partono, ma la guardia costiera turca blocca la loro imbarcazione, rispedendole indietro.
Le ragazze non demordono e ci riprovano con una barca più piccola, stracarica di persone. Dopo un’ora e mezza di traversata il motore si spegne, nel bel mezzo del Mar Egeo, di notte.
Yusra, con la sorella e altri tre rifugiati, si tuffa in acqua e con un immenso sforzo riescono a trainare la barca verso le coste europee.
Dopo tre ore di nuoto, raggiungono l’isola di Lesbo: la vita di 17 persone, grazie a quell’impresa, è salva.
Dalla Grecia, le due sorelle si spostano prima in Austria, poi in Germania, a Berlino, dove Yusra vive e si allena con il team del Wasserfreunde Spandau 04.
Per il dopo Rio, a cui si aggiunge la partecipazione ai campionati mondiali di nuoto di Turchia 2012, il suo obiettivo è quello di prepararsi al meglio per i Giochi di Tokyo 2020.
Le sue specialità  sono i 100 farfalla e i 100 stile libero, anche se la sua speranza sarebbe stata di riuscire a qualificarsi per i 200 stile.
Non potendo gareggiare vestendo i colori del suo paese natale, la giovane nuotatrice siriana ha avuto la possibilità  di coronare il suo sogno olimpico grazie al team refugee creato dal Comitato Olimpico Internazionale, per permettere ad atleti scappati da situazioni drammatiche di proseguire la propria carriera sportiva in un altro paese e competere ai massimi livelli.
“Voglio che tutti i rifugiati siano orgogliosi di me – racconta Yusra – e che si sappia che dopo ogni lungo e complicato viaggio, si possono raggiungere risultati importanti”.

(da “Huffingtonpost”)

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“DATI AMA IN UN ARCHIVIO PRIVATO”: COSI’ LA MURARO CONSERVAVA IL POTERE NELL’AZIENDA

Agosto 8th, 2016 Riccardo Fucile

I PERITI INDIPENDENTI: “POCA CHIAREZZA SUGLI SCARTI PERICOLOSI”

Paola Muraro archiviava su computer privati, anzichè nell’azienda per cui ha lavorato per dodici anni (dal 2004 a giugno 2016), i dati fondamentali sugli impianti dei rifiuti di Roma, ora sotto inchiesta della Procura.
Dati decisivi per valutare la regolarità  del funzionamento di quegli impianti, il rispetto delle autorizzazioni pubbliche, l’eventuale commissione di reati.
Quando i consulenti indipendenti nominati dal nuovo management dell’Ama nel 2015 hanno ripetutamente cercato quei dati negli uffici dell’azienda, hanno trovato solo carte disordinate, fogli mancanti, interi faldoni assenti e fogli A4 bisunti e dispersi.
E peggio andava negli impianti: c’erano i documenti di un mese non quelli dei due successivi, in un altro mese mancavano dieci giorni, e così via.
Solo dopo insistenze la Muraro li ha messi a disposizione per mail.
È quanto emerge da una serie di documenti interni dell’Ama e dalle testimonianze dei protagonisti di questa vicenda.
Perchè il possesso di quell’archivio era così importante?
In quei dati – campionamenti, analisi, qualità  dei rifiuti in ingresso e in uscita degli impianti Ama di Rocca Cencia e Salaria – c’è tutta la storia di cos’è successo nella partita dei rifiuti a Roma negli ultimi dodici anni, su cui è in gioco la tenuta della giunta Raggi, di cui la Muraro è assessora all’ambiente.
I fatti risalgono alla primavera del 2015.
Il nuovo direttore generale Alessandro Filippi constata che la gestione dei due impianti Ama è fuori controllo.
Nel frattempo l’indagine della Procura si approfondisce. Per l’Ama nomina due supertecnici, Giuseppe Mininni (dirigente del Cnr) e Paolo Ghezzi (responsabile scientifico del Master in Gestione e Controllo dell’Ambiente del Sant’Anna di Pisa) sia per fare chiarezza all’interno dell’azienda, sia per predisporre i documenti a fini giudiziari. I due esperti operano una «due diligence» a tutto campo, chiedono conto delle disfunzioni alla Muraro (responsabile delle autorizzazioni e del controllo degli impianti) e ai capi degli stabilimenti, relazionano allarmati con cadenza settimanale ai vertici aziendali. Va avanti così per più di un anno.
I due esperti evidenziano quattro falle nel settore di cui si occupava la Muraro.
Uno: gli impianti sono stati tenuti per anni in condizioni di funzionamento pessime, dunque sottoutilizzati.
Due: fino all’aprile 2015 — quando arrivano i nuovi tecnici – non si fanno controlli sui rifiuti in ingresso e dunque non si garantisce l’assenza di scarti pericolosi, che gli impianti Ama non possono assolutamente trattare.
Tre: i controlli sui rifiuti in uscita sono rari e approssimativi, dunque c’è poca chiarezza sui rifiuti particolarmente pericolosi. Quattro: i depuratori dei percolati (i reflui prodotti dalle discariche di rifiuti urbani) sono fuori dall’autorizzazione.
Ci sono poi due rilievi dei consulenti indipendenti che riguardano il rapporto tra Ama e gli operatori di mercato, in danno dell’azienda.
Dai due impianti escono pochi scarti combustibili (da inviare agli inceneritori) e tanti da discarica. I secondi hanno costi di smaltimento più alti perchè non garantiscono alcun recupero energetico.
Inoltre, scrive Mininni dopo un sopralluogo, «in via Salaria si era ricavata la sensazione di un impianto che avrebbe cessato di operare a fine anno. (…) Cosa che a me appare irragionevole, considerando la criticità  del trattamento dei rifiuti indifferenziati a Roma. (…) Il gestore privato, ovviamente, ha tutto l’interesse a dimostrare che il soggetto pubblico non è capace». A Roma l’imprenditore privato che ha impianti analoghi e alternativi a quelli pubblici è Manlio Cerroni. E nel blitz in Ama del 25 luglio la Muraro intimava al presidente dimissionario Fortini di portare i rifiuti proprio lì.
Nell’audizione dell’assessora in Commissione parlamentare ecomafie – il 5 settembre, assieme al sindaco Virginia Raggi – le sarà  chiesto conto anche di questa vicenda.
Non in termini penali, ma di responsabilità  gestionale: chi e come controllava quegli impianti?
Perchè i dati non erano raccolti in modo ordinato, digitalizzati, resi tracciabili alle autorità  di controllo, e dunque depositati in azienda?
Perchè le disfunzioni furono segnalate solo dopo l’arrivo del nuovo management e dei consulenti indipendenti?
E chi ne ha tratto vantaggio, dentro e fuori l’Ama?

Jacopo Iacoboni, Giuseppe Salvaggiulo
(da “La Stampa”)

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PANZIRONI A MURARO: “FACCIO UNA SOCIETA’, TI ASSUMO IO”

Agosto 8th, 2016 Riccardo Fucile

LA TELEFONATA TRA L’ASSESSORA E L’EX DI AMA COINVOLTO IN MAFIA CAPITALE

Tra stipendio raddoppiato e incarichi, l’asse Muraro-Panzironi è ormai un dato di fatto.
Un’alleanza consolidata negli anni con l’attuale assessora all’Ambiente in cui “Franco” (così lo chiamava il ras delle coop Buzzi) era ai vertici Ama, e proseguita anche quando fu sostituito da Giovanni Fiscon.
Ed è proprio dalla scrivania di un’altra azienda del Comune, la Roma Multiservizi, che Panzironi continua a dare incarichi alla storica consulente della municipalizzata e a confrontarsi con lei su come spendere soldi.
A lei affida, ad esempio, la gestione dell’apertura di un impianto a Trento. È lei che va dal legale dell’imprenditore dell’impianto di smaltimento rifiuti che aprirà  a Trento: consulenze extra dunque, a spese di Ama.
Così, con una mano, Franco aiutava Cerroni e le cooperative di Buzzi e Carminati, motivo per cui ora è uno degli imputati del maxiprocesso sulla mafia romana, dall’altra proseguiva nella gestione della partita rifiuti potendo contare sull’attuale assessora sui cui rapporti con il re delle discariche ora sta indagando il pm Alberto Galanti, da due mesi arruolato nel pool dell’Antimafia.
Nonostante lo stillicidio di episodi non penalmente rilevanti ma politicamente scomodi, però, il direttorio del Movimento 5Stelle continua a blindare l’assessora.
Il commissario accetterà .
Il 24 ottobre del 2013 Panzironi contatta l’ex consulente Ama e le chiede se ha incontrato il Commissario che dovrebbe dare l’ok per l’impianto da fare a Trento e da affidare all’imprenditore Alessandro Falez, della società  “Gemma”.
“La donna dice di sì – scrivono i carabinieri della II sezione del Ros – e gli dice: “Abbiamo riguardato i suoi poteri e lui ha effettivamente un percorso privilegiato per impianti che trattano frazione organica da raccolta differenziata”.
Aggiungendo che “sulla raccolta differenziata dell’organico “lui” agevola (verosimilmente il Commissario, ndr)”. Conclude infine dicendo che la cosa è positiva e a quell’incontro dovrebbe esserci, in via informale, anche Fiscon.
I 50 milioni della Regione.
Il giorno successivo “Panzironi dice alla Muraro che le ha inviato dei riferimenti perchè sono usciti dei fondi stanziati dalla Regione pari a 50 milioni e vedere se possono essere utilizzati”.
La regione è il Trentino Alto Adige e l’ex ad Ama ha fiutato un affare. A lei si chiedono lumi su come poterli gestire.
“Ti assumo io”.
Siamo al 6 novembre quando “Paola Muraro e Franco Panzironi parlano del progetto sull’impianto di trattamento rifiuti (di Trento) – questo si legge nell’ordinanza di Mafia capitale – Panzironi riferisce che sarà  l’amministratore delegato della società  che gestirà  l’impianto e prospetta alla donna la possibilità  di assumerla in qualità  di tecnico all’interno della nascitura società “.
Gli incontri per l’impianto.
A gestire tutta la partita per conto di Panzironi è proprio la Muraro. Che l’8 novembre, dopo aver presenziato a un incontro nello studio del legale di Falez in via della Conciliazione a Roma è pronta a partire per il Trentino. “Muraro dice a Franco che ha fatto “quella verifica” alla Provincia di Trento e che è “una bella soluzione”.
Lo informa anche di aver fatto l’incontro con la figlia dell’imprenditore Falez e hanno parlato con il costruttore per andare a vedere. Lei andrà  a Trento il successivo 14 o 15 novembre”.

(da “La Repubblica”)

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IL GIORNALE DEI PROFUGHI: “RACCONTIAMO LE NOSTRE STORIE CHE NON SONO FATTE SOLO DI NUMERI”

Agosto 8th, 2016 Riccardo Fucile

UN BIMESTRALE, PRESTO ON LINE, PER COMPRENDERE I LORO DRAMMI

A sfogliare il primo numero non si trovano nè la cronaca nè la politica, e non c’è nemmeno lo sport, o lo spettacolo. Perchè La nostra voce è un giornale che parla di storie. Protagonisti e narratori, nella veste di giornalisti d’eccezione, infatti, sono i 120 richiedenti asilo ospiti delle strutture di accoglienza del Mugello, in Toscana, che tramite la carta stampata hanno deciso di condividere le proprie esperienze di vita.
I viaggi in barcone dalla Libia attraverso il Mediterraneo, le lunghe marce nel deserto per raggiungere le coste dell’Africa, la paura di essere respinti e rimandati indietro, “anche se per molti di noi — scrive un ragazzo della Costa d’Avorio, sul primo numero de La nostra voce, pubblicato a luglio — significherebbe rischiare la vita”.
“La nostra voce è un giornale scritto dai profughi che racconta il passato dei profughi, per spiegare, cioè, tutto ciò che questi ragazzi hanno vissuto prima di arrivare qui — racconta Davide Delle Cave, psicoterapeuta della cooperativa Il Cenacolo, ideatrice del progetto — tutto il dolore, la sofferenza, la speranza di potersi infine costruire un futuro migliore che li accomuna. Tuttavia speriamo sia anche qualcosa di più: un’occasione, cioè, per chi legge, di ricordare che questi ragazzi sono persone, e non solo numeri. Perchè spesso, quando si parla di immigrazione, si finisce per snocciolare dati e statistiche. Si dimentica il lato umano. Ecco, noi vorremmo che, leggendo il giornalino scritto dai migranti, le persone riuscissero a guardare al di là  del pregiudizio o della paura per il diverso”.
La nostra voce avrà  cadenza bimestrale, e inizialmente sarà  distribuito gratuitamente in 200 copie a negozi, bar e ristoranti tra Firenze e il Mugello, “ma ci stiamo organizzando anche per pubblicarlo online”.
Ogni numero sarà  curato interamente dai richiedenti asilo, 120 ragazzi e ragazze provenienti da tutto il Sud del mondo: dal Senegal al Gambia, dal Burkina Faso allo Zambia, al Ghana, al Mali, fino al Bangladesh.
“L’idea ci è venuta quasi per caso. La nostra cooperativa organizza anche una scuola d’italiano per i richiedenti asilo, e il giorno prima dell’inizio delle lezioni regalammo a tutti quaderno e matita. Quando toccò a uno dei ragazzi, originario del Ghana, lui si commosse. Ci disse che non aveva mai avuto la possibilità  di studiare, che da bambino aveva lavorato e basta, e che per lui lo studio era la cosa più bella a cui un ragazzo potesse aspirare. Noi lo ascoltammo parlare, e decidemmo che quella storia andava raccontata”.
Così è nato La nostra voce, nome scelto dai profughi — giornalisti “perchè loro una voce spesso non ce l’hanno — spiega Delle Cave — certo, molti migranti non sanno l’italiano, o sono analfabeti quando arrivano, ma abbiamo trovato una soluzione: chi sa scrivere intervista gli altri in inglese o francese, e noi traduciamo, così tutti possono prendere parola”.
K.C, originario del Gambia, è il protagonista della prima storia pubblicata sul bimestrale, e quando racconta il suo viaggio per l’Italia, spiegano i giornalisti che l’hanno intervistato, Ebrima Bajo e Demba Balde, anche loro richiedenti asilo, piange.
Ha 21 anni, e oggi vive un centro di accoglienza a Dicomano, in provincia di Firenze, ma prima di attraversare il Mediterraneo si trovava in Libia, “il posto più spaventoso che abbia mai visto”. “Là  non c’è pace, soprattutto per i neri come me. Un giorno, mentre stavo andando a lavoro, sono stato fermato senza motivo e portato in cella. Sono rimasto prigioniero 7 mesi in condizioni disumane. Tanti miei compagni sono morti di stenti”.
K.C quasi un anno dopo è riuscito a scappare, e con qualche lavoro saltuario si è pagato il viaggio in Italia con i trafficanti.
“Ora sono in un limbo, aspetto di sapere se merito di rimanere o no”. “Se i migranti sapessero a cosa stanno andando incontro probabilmente non lascerebbero il proprio paese — scrivono anche Bajo e Balde, in calce all’articolo — e se gli europei sapessero da dove veniamo e cosa abbiamo passato, forse non penserebbero mai di rimandarci indietro”.
C’è chi si lascia alle spalle la fame, come Alì e Juel, partiti da un Bangladesh dove, secondo ActionAid, il 36% della popolazione vive in condizioni di povertà  estrema.
E chi fugge dalla guerra, vedi B.S. e I.D, che preferiscono non scrivere il loro nome sul giornalino “perchè spesso i ragazzi si vergognano a raccontare ciò che hanno sofferto”, spiega Delle Cave.
B.S viene dal Mali, I.D dalla Costa d’Avorio, ed entrambi sono stati salvati dalla Guardia costiera italiana. “Se torniamo nel nostro paese rischiamo la vita — raccontano — e non possiamo pensare che il paese che ci ha salvati voglia rimandarci indietro. Speriamo di poter rimanere qui, sogniamo una vita serena, lontana dalla violenza e dalle discriminazioni, in questo nuovo mondo”.
“Raccontare è terapeutico, aiuta i ragazzi a esorcizzare dolore e paure — spiega Delle Cave — e chissà , magari sarà  utile anche a chi legge: per conoscere meglio chi sono queste persone che arrivano in Italia, e quali sofferenze cercano di lasciarsi alle spalle”.

Annalisa Dall’Oca
(da “il Fatto Quotidiano”)

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