Settembre 11th, 2016 Riccardo Fucile
PER IL 53% DEGLI ITALIANI DI MAIO DOVREBBE FARSI DA PARTE… RAGGI: PER IL 41% PUO’ ANDARE AVANTI, PER IL 34% SI DEVE DIMETTERE PERCHE’ HA MENTITO
I problemi che hanno coinvolto la giunta di Roma hanno scalfito non poco l’immagine della sindaca
Virginia Raggi e di uno dei leader del MoVimento 5 stelle ovvero Luigi Di Maio.
Secondo un sondaggio di ScenariPolitici per HuffPost, il 53% degli intervistati, non elettori di M5s, boccia Di Maio e i suoi tentennamenti a proposito della conoscenza o meno dell’indagine che pende sull’assessore all’Ambiente, Paola Muraro.
Per più della metà degli italiani infatti Di Maio “ha dimostrato di non essere in grado di rappresentare il MoVimento 5 stelle e dovrebbe farsi da parte”.
La pensa esattamente al contrario il 53% dei simpatizzanti di M5s, affermando che il vicepresidente della Camera “è assolutamente estraneo alle vicende ed è tutta una bolla dei media perchè lo temono”.
Anche Raggi non esce bene dal caos che ha interessato la sua giunta.
Secondo il 41% degli intervistati la sindaca di Roma “dovrebbe andare avanti, ma scusandosi coi romani e facendo un rimpasto della giunta. Per il 34% addirittura “dovrebbe dimettersi perchè ha mentito ai romani”.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 11th, 2016 Riccardo Fucile
IL CODICE FIRMATO DALLA SINDACO CON IL M5S: STOP CON VOTO ON LINE… BASTANO 500 ISCRITTI PER PROPORLO
Cacciare Ignazio Marino, per il Pd, fu un’operazione tecnicamente molto complicata: le firme dei consiglieri dem, l’aggiunta di quelli dell’opposizione, la corsa dal notaio. Ma per il Movimento 5 Stelle far cadere Virginia Raggi, se la crisi del Campidoglio arrivasse a un punto di non ritorno, potrebbe essere molto più semplice.
E lo strumento, ai vertici di M5S, l’ha dato proprio la sindaca che, da candidata alle «comunarie» firmò il famoso «Codice di comportamento per i candidati ed eletti del Movimento 5 Stelle alle elezioni amministrative di Roma 2016»
Il testo
Un contratto vero e proprio, utilizzato nella Capitale e non a Torino, proprio perchè già allora i 5 Stelle – era ancora vivo Gianroberto Casaleggio – temevano qualche deriva «pizzarottiana» della sindaca.
In dieci punti, ci sono sia i «paletti» (le nomine nelle strutture «di diretta collaborazione» devono «essere approvate dallo staff coordinato dai garanti di M5S»; le proposte di «alta amministrazione e le questioni giuridicamente complesse vanno sottoposte a parere tecnico-legale») sia la possibile exit strategy.
Il punto nove («Sanzioni») elenca i motivi in base ai quali sindaco, assessori o consiglieri «assumono l’impegno etico di dimettersi».
Primo: in caso di condanna penale, «anche in primo grado».
Secondo: se, «a seguito dell’iscrizione nel registro degli indagati per fatti penalmente rilevanti, la maggioranza degli iscritti a M5S mediante consultazione in rete ovvero i garanti del Movimento (oggi è rimasto solo Beppe Grillo, ndr) decidano per tale soluzione».
Terzo: in caso di inadempienza al codice di comportamento, «con decisione assunta da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio o dagli iscritti M5S».
Raggi potrebbe essere dichiarata «inadempiente» «col principio della democrazia diretta detto recall, già applicato negli Usa».
Basta che 500 iscritti a M5S al 31 dicembre 2014 e residenti a Roma propongano di dichiararla inadempiente e che la proposta venga approvata.
A quel punto, c’è pure la penale di 150 mila euro.
Forse non immaginava tutto questo, ma quando Virginia ha firmato il «codice» ha messo nelle mani del suo movimento la «pistola» per farla fuori.
Ernesto Menicucci
(da “il Corriere della Sera”)
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Settembre 11th, 2016 Riccardo Fucile
STA NAUFRAGANDO LA MITOLOGIA EGUALITARIA DEI GRILLINI
La mitologia egualitaria dei grillini, esplicitata nell’omaggio a Jean-Jacques Rousseau al quale è stata
intitolata la piattaforma digitale di collegamento tra iscritti ed eletti del M5S, sta naufragando.
Il filosofo francese, sostenitore di una consensuale e libera volontà generale, è schiacciato tra Robespierre e Lenin, tra il furore di un custode della purezza rivoluzionaria, e il rigore di un arcigno supervisore del comportamento politico.
Come tutti i nuovi movimenti anche i grillini hanno brandito la purezza e l’innocenza come un’arma assoluta.
Tutti i riformatori religiosi, dalle eresie medievali in poi, sono stati arsi dal fuoco della redenzione dai peccati del mondo
I rivoluzionari francesi rappresentano il riferimento più vicino a noi.
Robespierre identificava la rivoluzione come l’avvento della “ virtù” nella nazione. Per questo ogni nemico era, prima di tutto, corrotto moralmente; e solo la riaffermazione continua della virtù poteva salvare la rivoluzione.
La mistica grillina dell’”onestà ”, attributo peraltro fondamentale in un paese intimamente prono al non-rispetto delle norme come il nostro, risuona di quegli accenti.
Il richiamo a Rousseau, forse più evocativo che puntuale, rimanda sia al mito del “buon selvaggio”, una condizione primigenia di verginità e candore che può solo essere deturpata dalla cattiva società , sia alla volontà generale, espressione di un corpo politico composto da liberi ed uguali.
Ovviamente, i grillini non sono tutti uguali, e non ci voleva molto a renderlo palese. Non solo: la linea di comando che si è instaurata per volontà insindacabile del fondatore calpesta il principio della rappresentanza posto a fondamento della democrazia liberale, e cioè l’autonomia dell’eletto.
Poichè il problema essenziale del M5S è quello di evitare inquinamenti, gli eretici – i peccatori contro la virtù dell’onestà – vanno allontanati senza tentennamenti. Robespierre invocava che la nazione si ergesse alta come una montagna ed eruttasse fuoco e fiamme per distruggere i suoi nemici.
Non basta quindi invocare l’eguaglianza insita nella formazione di una rousseauiana volontà generale: per difenderla ci vuole il fuoco sacro di un Robespierre.
Avanti quindi con le ghigliottine simboliche delle espulsioni. La virtù va sorvegliata e difesa giorno per giorno.
Per questo gli eletti devono essere sottoposti a un continuo screening ed eventualmente allontanati.
«La fonte dei nostri mali – scriveva il rivoluzionario giacobino nell’agosto del 1793 – viene dall’indipendenza assoluta dei rappresentanti, che non si consultano con la Nazione».
Il potere di veto che il M5S esercita sui propri eletti rimanda anche alla tradizione dei partiti di massa di inizio Novecento quando i rappresentanti non erano altro che messaggeri delle volontà del partito ed ad esso totalmente subordinati.
Che oggi i sindaci grillini siano stati scelti direttamente dai cittadini non muta in nulla l’impostazione partitocentrica del M5S per cui l’eletto risponde non agli elettori bensì al “partito”.
Una vecchia storia che riaffiora anche nella più nuova ed originale delle formazioni politiche, a dimostrazione che la politica ha delle ferree regole a cui non si sfugge.
Per questo il mito della purezza e dell’uguaglianza evocata con il nome di Rousseau si infrange contro la durezza della realtà politica impersonata, nel passato, dall’alfiere più tragico della necessità assoluta di una virtù della nazione, e dal più rigoroso teorico dell’asservimento degli eletti al volere del partito.
Il paradosso è che il partito più nuovo e moderno – anzi, post-moderno – dello schieramento partitico italiano riscopre i sentieri percorsi, e per fortuna, abbandonati dalla politica e dai partiti un secolo fa. Invece di proseguire lungo la strada di una inedita, ed auspicabile, democrazia elettronica orizzontale, il M5S batte le strade antiche del controllo dall’alto e dall’esterno sui propri eletti.
E il suo riferimento rousseauiano rimane stritolato tra Robespierre e Lenin.
Piero Ignazi
(da “la Repubblica”)
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Settembre 11th, 2016 Riccardo Fucile
IL SINDACO DI CAGLIARI DOVE SONO PREVISTE LE GARE DI VELA: “IL SUO NO E’ UN GRANDE DANNO PER LA SARDEGNA”
Da due settimane, Massimo Zedda prova a parlare con Virginia Raggi. Senza riuscirci. “Sa, tra colleghi si fa, ci si confronta”, dice il sindaco di Cagliari quasi a giustificarsi.
Lei chiama, Virginia Raggi non risponde?
«La mia segreteria ha parlato con la sua, ma non hanno voluto darmi un contatto diretto. Dicono che si fa viva lei».
Di cosa vuole parlarle?
«Delle Olimpiadi, che per Cagliari e per tutta la Sardegna sono di vitale importanza. La nostra città è stata selezionata per la vela, abbiamo già in mente un progetto sostenibile».
M5S ha detto un no molto chiaro, lo sa?
«Vorrei dire loro che non bisogna spaventarsi davanti a occasioni come questa».
Che di solito lasciano debiti pesanti.
«Ma i nuovi criteri olimpici parlano di riqualificazione urbana e attenzione all’ambiente».
Da sindaco di sinistra non teme quella che i 5 stelle definiscono “la mangiatoia”?
«No. Fossi in loro, direi: possiamo farlo perchè saremo noi a controllare. E poi non c’è solo Roma. C’è lo sport italiano, i suoi giovani atleti. C’è una generazione – la mia – che se perde quest’occasione non vedrà mai più i Giochi in Italia. Non voglio fare alcuna polemica, solo dire: pensateci bene, informatevi a fondo. Londra – ad esempio – ha creato chilometri di piste ciclabili. Un evento come questo potrebbe migliorare la vita dei romani».
(da “La Repubblica“)
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Settembre 11th, 2016 Riccardo Fucile
GIUSTO CHE IL SINDACO DI ROMA ABBIA UNA TUTELA DOPO MINACCE RICEVUTE, MA A CHE TITOLO USA ABITUALMENTE UN’AUTO DEL COMUNE PER FINI NON ISTITUZIONALI?
“Raggi va a fare la spesa con la scorta“, si legge su Repubblica.it, mentre il Messaggero opta per un
“Raggi fa la spesa con l’auto di servizio e il caposcorta ordina: Niente foto”.
E invece le foto ci sono: si vede la prima cittadina di Roma immortalata nel parcheggio della Conad di via Casal Lumbroso accompagnata da due uomini in giacca e un’auto bianca, una Peugeot 208.
Sottotesto: la sindaca anti casta della Capitale si fa accompagnare dalla scorta persino per andare a fare la spesa. La memoria corre veloce e con questi presupposti è impossibile non paragonare il nuovo “caso Raggi” a quegli scatti che qualche anno fa immortalarono la senatrice dem Anna Finocchiaro al supermercato, con gli uomini della scorta intenti addirittura a spingere il carrello.
La sindaca della Capitale è sotto tutela: dopo aver denunciato alcune minacce (ricevute sia prima che dopo l’elezione in Campidoglio) la questura le ha vietato di spostarsi autonomamente.
Quando deve muoversi — sia per impegni istituzionali che per faccende private, comprese le visite al supermercato — ad accompagnarla deve esserci obbligatoriamente un agente della polizia di Stato armato, che è poi uno dei due uomini immortalati dalle fotografie (e probabilmente quello che il Messaggero qualifica come “caposcorta”).
L’altro uomo è invece un agente della municipale capitolina, mentre la Peugeot bianca è intestata alla Arval Service Lease, società che dal 2014 ha un accordo con il comune di Roma per la cessione in leasing di veicoli utilizzati dalla polizia municipale.
E in effetti basta una veloce ricerca d’archivio per accorgersi che da quando è sindaca, Raggi si sposta quasi sempre a bordo di quell’utilitaria Peugeot della municipale.
Su questo però ci sarebbe parecchio da ridire perchè un conto è spostarsi per ragioni istituzionali, altra cosa per fini privati.
In questi casi sarebbe opportuno che uno usasse mezzi propri, fermo restando l’auto di scorta a tutela.
La polemica sui social è quindi solo in parte motivata, ma sarebbe opportuno ricordare che proprio Di Battista ha sempre lanciato anatemi contro “i politici con la scorta”, segno della Casta corrotta.
Era inevitabile che l’argomento, prima o poi, si ritorcesse contro i Cinquestelle
(da agenzie)
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Settembre 11th, 2016 Riccardo Fucile
A VENEZIA LO CHIAMANO “SPANNA MONTATA”: NON E’ UN SOPRANNOME MA UN TRATTATO SOCIOLOGICO
Sui marciapedi veneziani di Cannaregio, nella strepitosa ironia dei Dogi, Renato Brunetta è chiamato, da sempre, «Spanna montata».
Che – se ci si pensa – non è un soprannome ma un trattato sociologico
Spanna montata. Dice tutto
Quel soprannome è stato rievocato ieri, quando il capogruppo forzista della Camera si inalberava contro Vittorio Feltri che su Libero l’ aveva imbrancato tra i «falliti» azzurri che vogliono spegnere la rivoluzione di Parisi attizzata da Berlusconi («Falliti a chi? Ma come ti permetti Vittorio», ha gridato, avvolto da un colorito carminio)
E lo stesso soprannome è stato poi richiamato quando lo stesso Brunetta ha fatto riprendere, una tantum, le pubblicazioni del Mattinale – il suo denso, freudiano, bollettino antistress – sparando contro la convention del 16-17 settembre di Stefano Parisi indicato non come la speranza d’ un partito in coma ma come un passante della democrazia.
Pare che Berlusconi si sia infuriato, facendogli richiudere il Mattinale. Ma pare che Brunetta non se ne sia accorto.
Come quando, il 2 ottobre 2013, dichiarava davanti ai cronisti, col sorriso sprezzante la «sfiducia all’ unanimità nei confronti del premier Enrico Letta» ; mentre, contemporaneamente, il suo Presidente Berlusconi quella fiducia la votava
Oppure come quando, in una progressione irresistibile, chiamava «elite di merda» la parte dell’ opposizione che non gli garbava, augurandole di «andare a morire ammazzata»; o quando sfotteva i «panzoni», gli agenti di polizia che lavorano negli uffici; o quando sfanculava un’ educata ragazza precaria («voi siete l’ Italia peggiore!»).
O anche quando definiva «fannulloni» i dipendenti del suo ministero della Funzione Pubblica; senza, peraltro, alla fine dei conti, aver mai debellato davvero il fenomeno dell’ assenteismo.
Il problema è che Brunetta, oltre a cannare i tempi di reazione, vive ormai una dimensione onirica tutta sua della politica.
Dal partito gli fanno notare che per vincere occorre la palingenesi? Renato non è Toti, o Romani, o la Santanchè: non si pone domande. No. Tira dritto, continua, indomito, la personale guerra atomica contro Renzi
Lo fa in qualsiasi momento, luogo e posizione. Dal palco di Cernobbio, dove non essendoci neanche un usciere di dentrodestra non gli par vero d’ assumersi il compito di rappresentare il resto del mondo contro il satana di Rignano; dalle pagine del divertito Foglio dove definisce Renzi «un accidenti della storia»; dal palco dei talk show dove prepara l’ ennesima chiamata alle armi contro il «Papa straniero», sempre Parisi, e l’ audience gridata lo accoglie sempre volentieri.
Brunetta ormai è l’ incasinatore di professione. Quando lo interpelli, per i primi cinque minuti ti parla di deficit e pil, sguaina dati Istat e ti spiega la deflazione e la stagnazione come un Keynes, uno Stiglitz qualsiasi.
Poi qualcosa in lui scatta. Forse è il ricordo della «Spanna montata», forse l’ idea che al suo posto ora c’ è Marianna Madia -e possiamo capirlo- fatto sta che gli parte
l’ embolo. E, smesso l’ abitino ingessato dell’ economista, Brunetta si dimena, ghigna come volesse prenderti a craniate, inveisce, si trasfigura.
Somiglia in modo impressionante al Louis De Funes nevropatico nei film anni 70.
La realtà è che dovrebbero incazzarsi gli altri. Specie i suoi elettori.
Per difendere il ruolo di bastiancontrario ad ogni costo Brunetta ha dichiarato su Radio 24 da Giovanni Minoli di rivolere l’Imu; ed è stato perfino capace di apprezzare le scelte di Monti sull’ austerity e di D’ Alema sul ritorno della vecchia guardia comunista.
Come vicecoordinatore di Forza Italia e responsabile del programma ha coordinato pochino con un programma di cui s’ ignora l’ esistenza: ora è tra quelli che covano le ceneri del partito.
Come ministro non ha lasciato traccia. Anzi, ricorda Peter Gomez del Fatto Quotidiano, «secondo un rapporto della Commissione Europea (dopo i fiammeggianti piani di ristrutturazione di Brunetta, ndr) l’ Italia è ancora agli ultimi posti per l’ accesso digitale agli uffici pubblici. I dati da lui strombazzati sulla straordinaria diminuzione dell’ assenteismo nelle pubbliche amministrazioni, si sono dimostrati quantomeno gonfiati alla luce di quelli della Ragioneria Generale».
Come candidato sindaco di Venezia – la sua città , occhio- Brunetta s’ è candidato e ha perso per ben due volte.
La seconda addirittura da Giorgio Orsoni, uno con l’ appeal dell’ orso Yoghi che potrebbe fargli da assistente.
E hai voglia a dar la colpa alla città di sinistra; oggi in Laguna regna Brugnaro, di centrodestra..
Come professore universitario, pur combattendo i privilegi pensionistici dei dirigenti pubblici (leggi Rai) , «la rendita pensionistica che è sempre superiorte ai contribuiti versati», è andato in pensione con 37 anni di contributi, di cui 10 «figurativi».
E, per non infierire non m’ infilo in altri fallimenti, come il Fomez 2, l’ ennesimo carrozzone della Funzione Pubblica. Le suddette non sono esattamente illuminazioni da statista.
L’ uomo, però continua a ritenersi un fenomeno. Sarà perchè si era sinceramente preparato per vincere il Nobel per l’ Economia – come confessò a Enrico Mentana- ; ma nel Palazzo Brunetta può essere accumunato assieme a molti altri «falliti» nel senso del progetto politico della rivoluzione liberale
Spazzata da Tangentopoli la Prima Repubblica, Renato fu un ottimo professore di Economia Politica che, dalle terze file del craxismo, s’ infilò da subito nelle liste (bloccate, naturalmente) dei boiardi berlusconiani.
Ma ora di lui si ricordano, per il vero, le intemperanze in tv – molte delle quali sacrosante- i fatti privati, la polemica e la maleducazione.
Sfuggono, nel complesso, le opere…
Francesco Specchia
(da “Libero”)
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Settembre 11th, 2016 Riccardo Fucile
ATTACCO DI LIBERO AL CAPOGRUPPO DI FORZA ITALIA
Si infiamma lo scontro tra Libero e il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta. Il
quotidiano diretto da Vittorio Feltri, sia nella sua edizione cartacea che in quella online, definisce Brunetta “un fallito” e in un lungo articolo definisce la sua storia politica “una collezione di gaffe e sconfitte”.
Un ritratto che giunge all’indomani del battibecco tra Brunetta e Feltri sulla figura di Stefano Parisi.
“Vittorio Feltri su Libero l’aveva imbrancato tra i ‘falliti’ azzurri che vogliono spegnere la rivoluzione di Parisi attizzata da Berlusconi (‘Falliti a chi? Ma come ti permetti Vittorio?’, ha gridato, avvolto da un colorito carminio)”
La replica di Brunetta era stata perentoria: ” Oggi ho letto con amarezza un editorialazzo su ‘Libero’, Vittorio Feltri che ci dava dei falliti. Falliti a chi? Ma come ti permetti, Vittorio, come ti permetti. Un’intera classe dirigente, come ti permetti”, aveva affermato intervenendo alla convention “L’Italia e l’Europa che vogliamo”, a Fiuggi.
“Evidentemente il centrodestra unito fa paura, evidentemente Berlusconi e questo centrodestra fanno paura. Fanno di tutto, i giornaloni, per dividerci. E la risposta qui da Fiuggi è chiara: siamo uniti. E l’abbraccio che ho dato a Parisi era sentito, non finto. Conosco Stefano da più di 30 anni, eravamo ragazzi quando abbiamo collaborato e lavorato fianco a fianco”, aveva aggiunto Brunetta.
Ora Libero rincara la dose e riaccende lo scontro.
(da agenzie)
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Settembre 11th, 2016 Riccardo Fucile
A MELITO PORTO SALVO POCHE PERSONE ALLA FIACCOLATA DI SOLIDARIETA’… IL BRANCO ERA DI NOVE UOMINI TRA CUI IL FIGLIO DEL BOSS DELLA ‘NDRANGHETA
“Se l’è cercata”. “Una che non sa stare al posto suo”. Voci e umori raccolti da La Stampa a Melito Porto Salvo, piccolo paese in provincia di Reggio Calabria, e che si riferiscono a una ragazza di 16 anni che per tre anni ha subito abusi e violenze da parte del branco: nove uomini, tra cui Giovanni Iamonte, figlio del boss della ‘ndrangheta Remigio Iamonte.
Un incubo che è finito con l’arresto dei responsabili, ma che ora deve fare i conti con il giudizio della comunità locale.
Alla fiaccolata organizzata davanti alla stazione c’erano soltanto 400 persone su circa 14mila residenti e molti sono arrivati da altri paesi.
Quando questa tragedia italiana è incominciata, la bambina aveva 13 anni. Ora ne ha compiuti sedici.
Una settimana fa, annunciando l’arresto degli stupratori, il procuratore capo di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho, ha detto: «Questo territorio sconta un ritardo costante. C’è una mancanza di sensibilità . Anche i genitori sono stati omertosi. Tutti sapevano».
Un dramma che sembrava senza via d’uscita
«Hanno violentato la bambina per tre anni di seguito. La prostituzione non c’entra niente. L’hanno violentata in nove, a turno e insieme. Tenendola ferma per i polsi, e poi obbligandola a rifare il letto.«C’era la coperta rosa», ha ricordato la bambina nelle audizioni con la psicologa. «E non avevo più stima in me stessa. Certe volte li lasciavo fare. Se mi opponevo, dicevano che non ero capace. Mi veniva da piangere. Mi sentivo una merda». Andavano a prenderla all’uscita della scuola media Corrado Alvaro, con la lettera V dell’insegna crollata. È sulla via principale, proprio di fronte alla caserma dei carabinieri. Caricavano la bambina in auto e andavano al cimitero vecchio, oppure al belvedere o sotto il ponte della fiumara. Più spesso in una casa sulla montagna a Pentidattilo, dove c’era il letto.
L’incubo è finito, ma la ferita è ancora aperta. Alla fiaccolata c’era anche il padre della ragazza, che ha espresso parole di amarezza
«Purtroppo mi aspettavo questo tipo di partecipazione», dice camminando con un piccolo lumino in mano.
«Tante volte avrei voluto andarmene da questa situazione. Non mi piace usare la parola schifo, perchè a Melito ci sono cresciuto. Ma se potessi, certo, se non avessi il lavoro, prenderei mia figlia e la porterei lontana. Abbiamo cercato solo di difenderci».
(da “Huffingtonpost”)
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