Settembre 24th, 2016 Riccardo Fucile
SUL PALETTO CHE AVREBBE USATO IL NIGERIANO DOPO LE OFFESE RAZZISTE ALLA MOGLIE NON C’E TRACCIA DEL SUO DNA, MA C’E’ INVECE QUELLO DI MANCINI… ALTRO CHE LEGITTIMA DIFESA INVOCATA DALLA FOGNA RAZZISTA… CHI HA ORCHESTRATO I FALSI TESTIMONI?
Non c’è il Dna di Emmanuel Chidi Nnamdi sul paletto che il nigeriano avrebbe usato per colpire Amedeo
Mancini.
Le tracce di quest’ultimo, invece, sono molto evidenti sul segnale stradale.
È l’esito della perizia firmata dai carabinieri del Reparto investigazioni scientifiche di Roma e trasmessa alla Procura di Fermo.
Un risultato inatteso che smentisce clamorosamente quanto dichiarato dai cinque “presunti” testimoni oculari, i quali hanno detto che è stato proprio Emmanuel, lo scorso 5 luglio, durante la colluttazione iniziata per difendere la compagna Chinyere da un insulto razzista («africans scimmia») e terminata con il pugno fatale ricevuto dall’ultrà , a brandire il segnale posizionato all’incrocio tra via Veneto e via XX Settembre e a usarlo per colpire l’altro.
Nessun contatto con il paletto
Insomma, Emmanuel non avrebbe avuto contatti con il paletto (cioè non lo avrebbe toccato nè sarebbe stato colpito da questo).
Un punto decisivo a favore dei legali della vedova, che ora potrebbero sostenere con più forza la tesi secondo cui è stato Mancini a far degenerare la lite e mettere in crisi la ricostruzione della difesa del fermano, che punta con decisione sulla legittima difesa per scagionarlo durante il processo dall’accusa di omicidio.
La novità potrebbe dimostrare anche che Chinyere ha sempre detto la verità .
La relazione del Ris
«Attendo di leggere attentamente la relazione del Ris di Roma», afferma l’avvocato Letizia Astorri, legale della vedova di Emmanuel, «ma è certo, e me lo conferma anche il nostro consulente che ha assistito all’esame, il professor Adriano Tagliabracci (presente insieme all’altra consulente di parte, la genetista Eugenia Carnevali, ndr), che sul segnale stradale sono chiarissime e anche consistenti le tracce di Mancini mentre non sono presenti quelle di Emmanuel. E non c’è soltanto il palo, restano da vagliare i risultati degli esami sugli indumenti di entrambi».
Sorprese
Insomma, le sorprese potrebbero non finire qui, lascia intendere Astorri.
L’esito della perizia ha colto di sorpresa la difesa di Amedeo Mancini, tuttora rinchiuso in carcere in attesa del braccialetto elettronico con il quale dovrebbe essere attuata la misura dei domiciliari disposta dal gip.
«Non me l’aspettavo», ammette l’avvocato Francesco de Minicis, che insieme al collega Savino Piattoni difende il fermano.
A questo punto gli inquirenti potrebbero cominciare a indagare su chi ha orchestrato le false testimonianze rilasciate per scagionare in parte Mancini.
(da “il Corriere della Sera”)
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Settembre 24th, 2016 Riccardo Fucile
APPENDINO UNICA PROMOSSA… BASE TRA DELUSIONE E RABBIA
«Avevo fatto un piccolo passo indietro ma sì, sono rientrato». Poche parole per riprendere in mano le redini del movimento.
Papà¡ Beppe Grillo bacchetta così i suoi figli e delfini a cinque stelle. A iniziare da Luigi Di Maio e Di Battista.
Il suo passo di lato finisce qui alla fine di una serie di passi sbagliati fatti dai suoi. Unica promossa Chiara Appendino che parla dopo di lui, con orgoglio torinese (assicura che nessuno scipperà¡ alla città il salone del libro) e “passo” da potenziale leader.
Il nuovo inno è “Un amore così grande” versione originale cantata da Mario Del Monaco, regalo del figlio.
Quando le note invadono il prato in molti si commuovono, mano sul cuore come fosse l’inno nazionale.
Sono tanti alla festa grillina di Palermo, nonni, figli, nipoti, tre generazioni unite sotto la sigla dei cinque stelle.
Tante storie diverse, ambienti e culture che si intrecciano. I giovani vegani, i piccoli e piccolissimi imprenditori che tentano di allacciare i loro vagone alla motrice stellata, i delusi dalla sinistra, ma anche dalla destra.
Ognuno porta con se delusione e rabbia.
Si vogliono sentire parte di un movimento, tutti uguali, ma non lo sono se non nello scandire quel refrain: lotta ai poteri forti, che interpretano come una redistribuzione di ricchezza e privilegi.
Gente il cui collante è la rete ma soprattutto il suo Cesare, Beppe Grillo.
Maria Corbi
(da “La Stampa”)
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Settembre 24th, 2016 Riccardo Fucile
LA VITTIMA E’ UNA RAGAZZINA EGIZIANA PERFETTAMENTE INTEGRATA: “COLPITA PERCHE’ CONSIDERATA DIVERSA”… IL FRATELLO: “NON SI SONO NEPPURE SCUSATE, UNA VERGOGNA”… SARANNO QUESTI I “VALORI DELLA CIVILTA’ OCCIDENTALE” MESSI IN PERICOLO DAGLI IMMIGRATI?
Lei ci metterà un bel po’ a scordare i lividi, i graffi e il tentativo di bruciarle i capelli che ha dovuto subire
in quel maledetto pomeriggio.
Le altre due non avranno meno lavoro da fare su se stesse e sul perchè hanno agito così.
Vittima dell’increscioso episodio di bullismo al femminile è una dodicenne di origine egiziana, nata in Italia e perfettamente integrata nel paese del nord-ovest Milano dove vive con i genitori e due fratelli.
Un’adolescente con qualche difficoltà di apprendimento, che frequenta la scuola media del paese assieme a quelle che credeva amiche e che invece si sono rivelate «bulle» senza pietà .
Tutto è avvenuto martedì, quando le due aguzzine – dodicenni italiane, alunne di altre classi – hanno fermato la ragazzina fuori dalla scuola: «Ti va di venire a casa mia per un gelato? Ascoltiamo musica, guardiamo qualche video su Internet…».
Lei ha detto di sì, felice, sperando in una nuova amicizia.
Invece le due l’avevano «puntata» solo perchè avevano individuato una persona più debole, minuta, introversa, una vittima a cui fare del male.
Nell’appartamento l’hanno assalita con spintoni, graffi e botte, anche al viso. Una delle due ha preso un accendino e le ha dato fuoco ai capelli: per fortuna la vittima è riuscita a spegnere la fiamma con le mani.
Alla fine le due «bulle» hanno accompagnato la ragazza nei pressi di un canale e lì l’hanno lasciata.
Lei ha preso il cellulare e ancora sotto choc ha avvisato i compagni di classe: i ragazzi subito sono accorsi e l’hanno accompagnata all’ospedale.
«È la prima volta che succede un fatto simile nel nostro Comune», dice amareggiata il sindaco, insegnante nella stessa scuola. «Abbiamo già cominciato a lavorare a livello di istituto per capire come tutto ciò sia potuto succedere: abbiamo attivato i servizi sociali e la psicologa. Una delle due ragazze protagoniste dell’episodio non è ancora tornata a scuola, mentre l’altra è presente, e ora è lei a essere presa di mira dai compagni con accuse e offese».
I genitori della ragazza aggredita hanno denunciato il fatto ai carabinieri.
«Io e la mia famiglia siamo sconcertati, amareggiati… se ci penso non trattengo la rabbia. Ma come si fa, dico io, a picchiare e bruciare i capelli a una ragazzina di dodici anni sola e indifesa? Ma per quale motivo? Cosa hanno creduto di fare quelle due ragazzine? Ora mia sorella è all’ospedale, sta male anche per le botte e i graffi. Ma soprattutto è spaventata, non riesce ancora a credere a ciò che le è successo».
A parlare è il fratello diciottenne della ragazzina di dodici anni che, martedì scorso, è stata vittima di un atto di bullismo da parte di due sue coetanee che frequentano la stessa scuola media.
Il sindaco del paese, che è anche una delle insegnanti, pur essendo sconvolta per l’accaduto, cerca di fornire una chiave di lettura: «La famiglia della ragazza (che vive da anni in paese con i genitori e due fratelli, ndr) è integrata perfettamente».
Dunque, giudicata «diversa».
Ma il fratello della ragazzina picchiata e finita all’ospedale è un fiume in piena: «Mia sorella non riusciva a parlare dal dolore e grazie all’aiuto di due ragazzi buoni che l’hanno soccorsa al termine di quell’incubo, mentre vagava vicino a un canale, l’abbiamo portata in ospedale, dove probabilmente rimarrà fino a domenica. I lividi e le botte passeranno presto, ma lo spavento e quell’esperienza terribile non svaniranno così presto dalla sua mente».
Le due adolescenti, che si sono trasformate chissà perchè in aguzzine, non hanno girato nessun video: «È un peccato – replica provocatoriamente il fratello – perchè così almeno avevamo le prove di quanto successo! Sì – continua lui – perchè in queste ore le due amiche si stanno rimpallando la responsabilità di quanto successo… insomma si accusano l’un l’altra».
La famiglia della ragazzina non ha nessuna intenzione di lasciare perdere: «Saputo cosa era successo, ci siamo recati a casa delle famiglie delle ragazze e solo il padre di una di esse ci ha chiesto scusa. I genitori dell’altra – continua con rabbia il giovane – hanno detto che la loro figlia non c’entra nulla, perchè non è possibile che lei si sia macchiata di una cosa simile».
Tutto l’accaduto è già al vaglio della psicologa dell’istituto, dei Servizi sociali e dei carabinieri, ai quali la famiglia della ragazzina picchiata e seviziata hanno denunciato il fatto.
(da “il Corriere della Sera”)
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Settembre 24th, 2016 Riccardo Fucile
L’ASSESSORE ALL’URBANISTICA PRENDE LE DISTANZE: “COME PER L’EXPO, SI POTEVA SOTTOSCRIVERE UN PATTO PER ROMA”
Prima di dire no si poteva tentare un altro piano, magari col referendum.
Lo dice l’assessore all’Urbanistica di Roma Paolo Berdini a proposito del no alle Olimpiadi alla trasmissione “Fatto in Italia” curata da Oliviero Toscani e Nicolas Ballario su Radio Radicale, in onda domani alle 13:30.
“Dopo l’Expo il primo ministro ha sottoscritto, e ha fatto bene, un patto per Milano – spiega Berdini- che dà alla città un miliardo e mezzo per completare un disegno urbano su cui non c’è più capienza per i tagli ai comuni che avvengono dal 1994. E allora mi sono permesso di proporre che, siccome non c’è più la possibilità di fare le Olimpiadi, ovviamente io ero a favore dei Giochi con un altro progetto, quello che è stato approvato da Marino non mi convinceva affatto, allora facciamo un patto per Roma, visto che è stato sottoscritto un patto per Milano.”
Lei era per un altro progetto di Olimpiadi, Malagò ha detto che c’era il tempo per elaborare un altro progetto, ma è stato detto dalla sindaca un no a priori, non si poteva invece tentare il progetto alternativo prima di dire quel no?
“Io credo che questa strada poteva essere esperita, di questo ne son convinto – risponde l’assessore- ho una profonda amicizia con Riccardo Magi (il segretario dei Radicali italiani), Riccardo aveva provato a lanciare la via del referendum, si poteva provare la strada della democrazia, si poteva chiedere alla popolazione romana di pronunciarsi su quel progetto di città che avrebbe potuto beneficiare di quei soldi”. Avete litigato con il sindaco su questo “no alle Olimpiadi?
“No, abbiamo discusso, questo sì, litigato no”.
Intanto oggi da Palermo Beppe Grillo ha ammesso una certa “impreparazione” sulla questione Giochi.
” Roma è una città complicata .Le decisioni le prende la signora. Lei è in grado di prendere qualsiasi decisione”.
(da agenzie)
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Settembre 24th, 2016 Riccardo Fucile
I GRANDI EVENTI NON SONO IL MALE ASSOLUTO…I VERTICI M5S HANNO DATO SEGNI DI INCASINAMENTO MENTALE
Come ho più volte dichiarato, nutro sincero interesse alla crescita politica dei Cinquestelle e provo
personale amicizia per alcuni ragazzi e ragazze che nel Movimento militano; mantenendo un entusiasmo e un impegno che le impietose repliche della quotidianità ancora non mi sembra abbiano prosciugato.
D’altro canto, all’alba dei settant’anni ho tracannato tanta di quella politica da non potermi bere le ingenuità semplificatorie e i fideismi rituali che ne incastonano la subcultura.
Per questo osservo con apprezzamento l’attenzione costante alla realtà che si direbbe accompagni i primi passi della giunta torinese. Non i pasticci romani.
E mi piacerebbe che venisse essudato il settarismo staliniano che circonda la vicenda parmigiana.
Insomma, come direbbe un odiato professorone, hic Rhodus, hic salta.
Ergo, è giunto il momento di acquisire cultura del cambiamento, evolvendo dalla subcultura del millenarismo sospettoso.
Se non ferisco troppo orecchie credenti, “cultura critica”. Come diceva quel tale, “l’uscita dalla minorità autoinflitta”.
Mi rendo conto che si tratta di un’operazione intellettuale difficile per chi si è avvicinato per la prima volta alla politica attraverso il Movimento come se fosse una conversione religiosa; o per chi vi arrivava provenendo (e non mi risulta trattarsi di pochissimi soggetti) da un’esperienza simil-carismatica quale il dipietrismo.
Per questo ho registrato alcune piegature parossistiche proprio nella discussione altamente divisiva sulle Olimpiadi a Roma. Che ora passo in rassegna con chi è interessato:
1. Grandi Eventi, sì o no: il tema scatena in molti reazioni esasperate, che inducono conclusioni manichee: “si tratta del male assoluto, che va rifiutato per scelta di salvazione”. Ebbene, non è così.
Esiste un’ampia casistica di città che hanno utilizzato l’opportunità per strategie di rigenerazione o rilancio. È pura questione di contesto. Il tema su cui ragionare (le difficoltà ambientali), non la demonizzazione fanatizzata della cosa in sè. E poi sta roba del “mattone”.
Io il museo Guggenheim di Bilbao lo vorrei in ogni nostra città .
2. Virginia, ma anche Dibba, Luigino, Beppe ecc. hanno sempre ragione: ebbene no! Ad esempio la gestione specifica e generale della luna di miele con i romani da parte della sindaca è stata confusa, ondivaga e flebile. Non ha mai dato l’impressione di un polso saldo alla guida.
Come deludenti sono state le prove del nuovo gruppo dirigente messo in campo (il direttorio).
Anche il Garante ha dato ampi segni di incasinamento mentale. Affermare il contrario non è supportare il proprio campione (o campionessa), bensì penetrare in un circuito di totale alienazione che anestetizza il giudizio ragionato. Impedisce di migliorare emendando le manchevolezze.
3. Ho goduto quando il Malagò è stato “vaffato” (remake del Bersani svillaneggiato in streaming): questo compiacersi per lo sgarro a un presunto potente emette un così evidente sentore di spirito plebeo che dovrebbe far vergognare all’istante chi presume di far parte di un progetto rigenerativo dell’Italia.
Se la stagione del vaffa aveva una valenza mediatica agli albori, ora ben altri sono i toni che si convengono a chi vuole governare un Paese di per sè incanaglito.
Ecco — dunque — alcuni piccoli esempi del ritardo nel consolidamento di un maturo approccio di governo al cambiamento, che va colmato.
La sindrome della tricoteuse (quella che faceva la calza in attesa dei ghigliottinamenti) ormai è un retaggio da estirpare.
Non è prendendo a pernacchie Renzi che si esprime una cultura di governo alternativa alle sue insulse spacconate.
O insultando il blogger che invita a praticare l’uso critico della ragione
Pierfranco Pellizzetti
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 24th, 2016 Riccardo Fucile
A PALERMO ADDIO AL DIRETTORIO M5S, ARRIVA LA STRUTTURA LIQUIDA
Verrà liquidato, a poco a poco. Il direttorio del M5S per come lo conoscevamo non esisterà più.
Il succo della storia di questo ultimo tormentato mese sarà quello che vedremo sul palco di Palermo: l’urlo di Beppe Grillo che si riprende la scena e la guida del M5S. Chiuderà lui lo spettacolo e lo farà annunciando che il M5S rinascerà simile a come era prima della svolta più istituzionale incarnata da Luigi di Maio.
«Più orizzontalità »: questo il concetto. Qualcuno la chiama già la non-struttura. Nasceranno i gruppi tematici che rispolvereranno il senso originario delle 5 Stelle. Enti locali, ambiente, economia e finanza, meet-up, cultura, e altro.
Ogni gruppo avrà i suoi componenti i quali costruiranno un filo diretto con Grillo per le decisioni da prendere. Lui avrà l’ultima parola dal punto di vista più politico.
Le scelte saranno condivise sulla piattaforma Rousseau e votate online sul blog.
Si torneranno a fare più votazioni, perchè, ha detto Grillo a chi condivide con lui questo progetto: «Siamo nati con la forza del web e ci siamo persi un po’ nei Palazzi, lontani dalla gente. Abbiamo fatto troppe poche votazioni negli ultimi tempi».
Pochi voti, vuol dire anche meno clic. E il blog è un’interfaccia non solo politica ma anche aziendale.
Il direttorio muore anche per «ammutinamento», perchè al suo interno si sono create due cordate.
Quella di Di Maio, che ha puntato sulla leadership mediatica, condivisa con Alessandro Di Battista. E quella invece di chi considera i personalismi una malattia mortale per il M5S.
Non che Di Maio fosse contento della «crocifissione» (come la chiamano i deputati a lui più vicini) a cui è stato sottoposto dopo il caso dell’indagine sull’assessora all’Ambiente di Roma tenuta nascosta da lui e da Virginia Raggi.
Con il no alle Olimpiadi e la nomina ormai certa, dopo un mese di vacatio, dell’assessore al Bilancio, la sindaca a Palermo avrà il suo bagno di folla e la benedizione pubblica di Grillo.
Sarà Salvatore Tutino, giudice contabile in pensione, a tenere le chiavi delle casse della Capitale. Ieri il magistrato ha ricevuto i saluti dei colleghi alla Corte dei Conti. La nomina ufficiale in consiglio slitta alla settimana prossima.
Certo non proprio una scelta che fa felice l’arcinemica della sindaca Carla Ruocco, che tre anni fa aveva inserito Tutino nell’elenco della «casta», per la nomina di consigliere della Corte dei Conti, firmata dall’allora premier Enrico Letta, alla vigilia dell’approvazione della legge di Stabilità che avrebbe imposto un tetto agli stipendi pubblici.
La riabilitazione palermitana comunque non riguarderà solo Raggi ma anche Di Maio. Per evitare che i rancori si trasformino in rivolta interna, è stato il vicepresidente della Camera tra i primi a essere d’accordo con la fine del direttorio.
Ma Di Maio non ha intenzione di tornare nell’anonimato del mucchio pentastellato.
Anzi, ha in mente di riprendere la strada verso la candidatura per Palazzo Chigi. Saranno, infatti, lui e Di Battista a parlare prima della chiusura di Davide Casaleggio e Grillo domenica sera.
Il linguaggio del palco dirà che i due vip del M5S restano loro, ma all’ombra di Grillo che tornerà a guidare di fatto il M5S.
La blindatissima scaletta prevede ci sia anche un ospite a sorpresa. Si sfila invece polemicamente il sindaco Federico Pizzarotti perchè «i vertici hanno negato a Parma la possibilità di installare il gazebo informativo».
Per lui Grillo è ormai «il garante di nulla».
Ilario Lombardo
(da “La Stampa”)
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Settembre 24th, 2016 Riccardo Fucile
“INCREDIBILE AMMISSIONE DI INCAPACITA’ DELLA SINDACA, A LOS ANGELES E PARIGI SONO DUE GIORNI CHE FESTEGGIANO”
“Non si fermano le grandi opere, si fermano i ladri. Se invece dici ‘no’ e hai paura, preferisci non metterci
la faccia, hai sbagliato mestiere”.
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi da Prato, dove sta tenendo un comizio sul sì al referendum, attacca la sindaca di Roma Virginia Raggi dopo il no alle Olimpiadi 2024 nella Capitale: “Il fatto di dire che non si fanno le Olimpiadi per timore della corruzione, è un’incredibile ammissione di incapacità da parte della dirigenza di quella città – dice il premier – le Olimpiadi non sono domani mattina. E se tu hai davanti otto anni, se hai un minimo di credibilità e autorevolezza, tu i ladri li cacci”.
Renzi continua: “L’immagine del ‘no’ alle Olimpiadi è la straordinaria metafora di cosa significa l’Italia del ‘no’. Spero che i consiglieri comunali abbiano un sussulto di riflessione. Mi piange il cuore per i posti di lavoro persi”.
Dopo la rinuncia di Roma “Los Angeles e Parigi son due giorni che festeggiano”, ha detto Renzi.
“C’è chi sta alla finestra e chi sta nell’arena: è questa la differenza tra la politica e il bar dello sport…”, ha ironizzato il premier.
Poi però chiarisce: “Non credo sia il momento di utilizzare le difficoltà dei nostri sindaci per sparare addosso a qualcuno. Quando un Comune come Roma è in difficoltà compito del Governo non è fare ironia ma dare una mano. Prima dei partiti c’è l’Italia”
Prima aveva parlato anche di Ue. “L’Italia non avrebbe mai accettato di essere compartecipe di un disegno al ribasso, di vivacchiare, l’Italia non potrà mai accettare che la Ue sia solo un luogo di burocrazia”, ha detto Renzi oggi in Toscana per un doppio blitz. Prima a Prato dove ha visitato il Centro Luigi Pecci, museo di arte contemporanea che sarà riaperto il 16 ottobre dopo un intervento di restauro durato tre anni per poi dirigersi al Teatro Metastasio per l’iniziativa sul referendum. E dopo a Firenze.
“Le regole le devono rispettare tutti anche chi come la Germania ha un surplus, che se investito avrebbe dato una mano – ha detto Renzi riferendosi ai rapporti nell’Unione Europea – E’ finita l’epoca degli egoismi, tutti. Se pensano di intimorire me, hanno sbagliato persona e se pensano di intimorire l’Italia non sanno cosa sia l’Italia”.
(da “La Repubblica”)
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Settembre 24th, 2016 Riccardo Fucile
E LE INCHIESTE QUASI SEMPRE FINISCONO PRESCRITTE
Una ricerca di qualche anno fa di un trentenne matematico emiliano, costretto a emigrare negli Stati uniti non per ragioni di studio ma per ragioni di spazio (“tutto occupato dai parenti”), raccontava che tra gli oltre 61mila professori italiani, c’erano settemila casi di omonimia. E che duemila di essi si ripetevano più di due volte. Un’anomalia.
Perchè, prendendo un elenco a caso di 61mila persone, per la statistica le omonimie avrebbero dovuto essere meno della metà .
Se mai ce ne fosse stato bisogno, quella fu la prova scientifica che il vero problema dell’università italiana si chiama nepotismo.
Cattedre tramandate per generazioni, figli che prendono i posti dei padri e delle madri (“e questi ultimi – fanno notare oggi – non sono nemmeno calcolati negli elenchi di omonimia, per via dei cognomi diversi”), nipoti dei nonni.
Per dire, in questo momento all’Università di Bari – che fu la patria di tutti gli scandali della parentopoli con famiglie che avevano in una stessa facoltà sino a otto esponenti della stessa dinastia – cinque dipartimenti sono guidati da figli d’arte.
Ma così è da Milano a Palermo e per quanto i codici etici, approvati ormai ovunque, cercano di impedire che in uno stesso dipartimento possano lavorare padri e figli, mariti e mogli, con soluzioni creative spesso si riesce a trovare la strada giusta per l’inganno.
Ecco: le scorciatoie, ma soprattutto l’impunità , rappresentano il vero scoglio insormontabile alla lotta al nepotismo italiano.
Sollevati gli scandali, raccolte le indignazioni, la magistratura si muove aprendo fascicoli. Che però quasi mai arrivano a compimento.
E non perchè non ci sia sostanza – i figli, gli amici, sono assunti – ma perchè norme e tempi rendono impossibile il corretto corso della giustizia.
Anche in questo senso, il caso Bari fa scuola. Tempo fa durante una perquisizione i carabinieri scoprono sulla scrivania di un professore del Policlinico uno schema con 16 concorsi banditi da dieci atenei in tutta Italia per posti da ordinario e associato.
Nome e cognome del vincitore, accanto a quello dello “sponsor”, tra parentesi. Tutto si verifica come deve. Parte l’inchiesta. Siamo nel 2007 e, otto anni dopo, proprio nelle scorse settimane, viene tutto archiviato: i reati ci sono ma ormai è troppo tardi. Tutto prescritto, inutile indagare.
E fa niente che i candidati “raccomandati” siano saldamente ai loro posti.
Non si tratta di un’eccezione.
Nel 2004, sempre a Bari, si gridò allo scandalo a cardiologia con un’ondata di arresti: 12 anni dopo tutto è prescritto e non è stato nemmeno concluso il primo grado di indagine.
Il caso più clamoroso è però forse quello che riguarda la “cupola” dei giuristi, stando alla definizione che ne fece la procura di Bari.
Un’indagine monstre, che documentava (con intercettazioni telefoniche e sequestri documentali) il solito scambio di cattedre tra docenti di diritto costituzionale, pubblico comparato ed ecclesiastico. Più di sessanta indagati, tra cui alcuni dei principali giuristi italiani e taluni saggi chiamati dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per modificare la Costituzione.
Sono passati più di sette anni: alcuni fascicoli sono stati archiviati, quasi tutti prescritti, altri trasmessi per competenza in altre procure d’Italia.
Non c’è stata nemmeno una richiesta di rinvio a giudizio.
(da “La Repubblica”)
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Settembre 24th, 2016 Riccardo Fucile
LO STUDIO CONDOTTO NEGLI USA NELL’ARCO DI 20 ANNI E PUBBLICATO DALLA NATIONAL ACADEMIES OF SCIENCES CONFERMA: L’IMPATTO E’ POSITIVO NEL LUNGO TERMINE
Gli immigrati non rubano i nostri posti di lavoro, non abbassano le nostre retribuzioni. Sono un onere per
il bilancio pubblico solo all’inizio (prima generazione) ma diventano contributori netti fin dalla seconda generazione.
Non è il testo di un manifesto anti-Trump, non è un comizio di Hillary Clinton.
Sono le conclusioni di un importante studio americano, realizzato dalla National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine.
Un’analisi ampia sull’impatto economico e demografico dei flussi migratori negli Stati Uniti, da 20 anni in qua, compreso l’impatto sul mercato del lavoro e sulle remunerazioni dei cittadini americani, nonchè i costi e benefici sulle finanze pubbliche sia a livello federale che nei singoli Stati.
Una delle prime conclusioni è questa: a dispetto dell’enorme quantità di emozioni e di reazioni politiche che scatena, l’immigrazione nel lungo periodo sembra avere un impatto scarso sulle condizioni di vita dei lavoratori già residenti.
In effetti le uniche conseguenze, leggermente negative, si percepiscono nella concorrenza tra immigrati: i più recenti fanno concorrenza a quelli arrivati prima e possono toglierli posti o deprimerne i salari, se si tratta di manodopera poco qualificata.
Un’altra fascia a rischio sono i giovani che non hanno titoli di studio elevati, anche per loro l’effetto-sostituzione da parte degli immigrati è reale.
Nell’insieme, la ricaduta netta dell’immigrazione sull’economia americana rimane positiva.
In quanto all’onere sul bilancio pubblico, è limitato sostanzialmente al costo dell’istruzione per i figli di immigrati di prima generazione.
Ma quando questi ragazzi diventano adulti, anche loro cominciano a pagare tasse, e così facendo “rimborsano” lo Stato per i costi che ha sostenuto per loro.
Le dimensioni dell’immigrazione negli Stati Uniti sono notevoli. 40 milioni di residenti negli Stati Uniti sono nati altrove, e quasi altrettanti sono i residenti che hanno almeno un genitore nato all’estero.
Messi assieme, gli immigrati e i loro figli sono un quarto di tutta la popolazione americana.
La percentuale della forza lavoro nata all’estero è passata dall’11% al 16% negli ultimi vent’anni. E i flussi continuano a crescere.
Negli anni Ottanta in media entravano 600mila nuovi immigranti (legali: con Green Card) all’anno, negli anni Novanta gli ingressi sono saliti a 800mila l’anno, col nuovo millennio il ritmo è passato a un milione di nuovi arrivi ogni anno.
Vi si aggiungono 11,1 milioni di clandestini. Questi ultimi aumentano anch’essi, a un ritmo stabile di 300 — 400mila nuovi arrivi all’anno.
Le cifre del loro impatto economico — costi e benefici — sono queste: alla prima generazione i costi sostenuti dalla collettività sono pari a 57 miliardi di dollari annui. A partire dalla seconda generazione, gli immigrati portano 30 miliardi di dollaro ogni anno alle finanze pubbliche
Dalla terza generazione, il contributo netto degli immigrati ai conti pubblici balza a 223 miliardi annui.
(da agenzie)
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