Ottobre 1st, 2016 Riccardo Fucile
DAL LEGAME SENTIMENTALE ALLE CONSULENZE SUI RIFIUTI: ECCO COME 30 TELEFONATE SI TRASFORMANO IN ATTO D’ACCUSA DEI PM
Dice l’assessora all’Ambiente Paola Muraro che “tirerà dritto”. Che avrà modo di spiegare quando sarà sentita in Procura. Dice ancora: “Il problema a Roma non sono mica io”.
Infatti, il problema per Roma e la Giunta di cui fa parte è la sua vicenda giudiziaria e quello che ora documenta.
Una storia di abuso pagato con denaro pubblico, figlia di una relazione sentimentale clandestina.
Che raddoppia i capi di accusa da cui è chiamata a difendersi — violazione delle norme sulla gestione dei rifiuti e abuso d’ufficio — e la avvinghia definitivamente al destino non esattamente luminoso dell’ex direttore generale di Ama Giovanni Fiscon, già a processo (insieme all’allora presidente Franco Panzironi) per corruzione in Mafia Capitale e ora appunto accusato, insieme a lei, dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dal sostituto Alberto Galanti, di abuso di ufficio per una parte significativa delle consulenze ricevute nel tempo da Ama (1 milione e 200 mila euro nell’arco di una decina di anni).
Accade infatti che nelle trenta conversazioni telefoniche intercettate dai carabinieri del Ros nell’inchiesta Mafia Capitale, inizialmente ritenute non rilevanti nel processo per le quali erano state disposte, ma di cui la Procura ha poi chiesto e ha ottenuto nei giorni scorsi la trascrizione, si documenti una verità che devasta ciò che restava dell’immagine pubblica della Muraro e della favola della consulente con i fiocchi delle cui imprescindibili competenze nella gestione e smaltimento dei rifiuti l’Ama di Panzironi e Fiscon, prima, e la Giunta Raggi poi, non potevano fare a meno.
In quelle telefonate, registrate tra il 2013 e il 2014, Paola Muraro, ignorando di essere ascoltata, non fa mistero della sua relazione sentimentale con Giovanni Fiscon, introducendo un elemento che rende definitivamente abusive le consulenze che l’allora direttore generale di Ama le aveva e avrebbe continuato ad affidarle fino al suo ultimo giorno nella municipalizzata.
Per altro, con il consapevole assenso di Panzironi, anche lui legato a doppio filo con la Muraro (al punto da progettare per lei un ruolo in un futuro impianto di smaltimento rifiuti in Trentino) e, anche lui, a questo punto, di fatto coinvolto nell’indagine.
Si potrebbe obiettare (a ragione) che il privatissimo rapporto di intimità clandestina tra la Muraro e Fiscon, in sè, non sarebbe sufficiente a far superare a questa storia il confine tra l’opportunità e la rilevanza penale.
E tuttavia, come ricostruisce ora l’indagine della Procura, a trasformarlo in abuso di ufficio e dunque a sottrarlo alla dimensione ‘guardona’ del pettegolezzo giudiziario, all’intrusione dolorosa nella privacy, sono il modo e la natura con cui i contratti di consulenza vennero riconosciuti alla Muraro. In violazione di ogni norma, e con uno strumento illegittimo come quello dei contratti di consulenza, Giovanni Fiscon affidò infatti alla donna cui era sentimentalmente legato funzioni che, come tali, non avrebbero potuto essere oggetto di incarichi esterni e, al contrario, avrebbero imposto una ricerca con regolari bandi di figure professionali prima all’interno della municipalizzata e, in seconda battuta, della sua controllante, il Comune di Roma. Cosa che non avvenne mai.
Di più: quei contratti di consulenza vennero regolarmente prorogati nonostante la legge ne facesse divieto.
Per giunta, riconoscendo alla Muraro bonus una tantum per singolari prestazioni professionali quali, per dirne alcune, un accesso agli atti della Regione Lazio o una consulenza processuale in un giudizio che vedeva Fiscon e Ama imputati.
Costretta a rinunciare all’avvocato che sin qui l’aveva difesa (lo stesso di Giovanni Fiscon), la Muraro e il suo nuovo legale, l’eccellente Riccardo Olivo (uno degli avvocati che con tenacia difesero la Shalabayeva svelando il ruolo del ministro dell’Interno Alfano e del Dipartimento di Pubblica Sicurezza), si trovano dunque di fronte una montagna complicata da scalare.
Da una parte dovranno dare conto di un’ipotesi di reato (quello ambientale) nella gestione degli impianti di TMB Ama di Rocca Cencia sul cui sfondo si agita il sospetto di un interesse inconfessabile a favorire nel tempo il Re della monnezza di Roma, Manlio Cerroni, il Supremo.
Dall’altra, quella di aver abusivamente lavorato da dirigente di vertice della Municipalizzata avendo quale titolo di merito preferenziale quello di essere sentimentalmente legata all’uomo che ne era il Direttore Generale, Fiscon.
Tanto da consentirle di lavorare accampata nell’anticamera del suo ufficio e di intervenire su promozioni interne in Ama (Repubblica ne ha dato conto l’8 settembre scorso).
Vedremo cosa accadrà . Perchè l’inchiesta promette di camminare.
E di trascinare politicamente a fondo, insieme alla Muraro, la donna che a lei ha sin qui deciso di legarsi mani e piedi. La sindaca Virginia Raggi.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 1st, 2016 Riccardo Fucile
COMO: IN ATTESA DI PROCESSO PER FALSO IN ATTO PUBBLICO MA GRATIFICATI DEL PREMIO
Dalla bufera giudiziaria, ai compensi extra per i buoni risultati ottenuti.
I protagonisti sono due alti funzionari comunali comaschi, Antonio Ferro e Pietro Gilardoni, coinvolti nell’inchiesta su alcune irregolarità nella gestione delle paratie del lungolago, scoppiata nel giugno scorso.
Le accuse per i due — il primo finito ai domiciliari, il secondo anche in carcere, ma al momento liberi in attesa del processo che inizierà a novembre — sono gravi.
Dalla turbata libertà nella scelta del contraente al falso ideologico in atto pubblico, tutto in relazione al solo progetto delle paratie, nato per proteggere il lungolago dalle esondazioni del ‘gioiello’ di Como e ad oggi fermo, con tanto di cantiere.
Nonostante ciò, per effetto della decisione del Gip che ha revocato le misure cautelari e la loro sospensione dal servizio, i due dirigenti potranno tornare al lavoro. Regolarmente stipendiati con cifre adeguate al loro ruolo di dirigenti pubblici – Gilardoni nel settore ‘Reti tecnologiche, strade, acque e arredo urbano’ e Ferro nel settore ‘Opere pubbliche e manutenzione edilizia comunale’ e con il pieno diritto a ottenere quei ‘bonus’, ovviamente in denaro, previsti per i risultati ottenuti nell’anno precedente.
Ovvero, nel caso specifico e per il solo 2015, 15.935,34 euro per Gilardoni e 12.437,45 euro per Ferro.
Tecnicamente detti ‘indennità di risultato’, questi extra costituiscono la percentuale di stipendio ‘variabile’ prevista per i funzionari del settore pubblico ed è legata al raggiungimento di obiettivi.
E mentre sui social network è già esplosa la polemica, il sindaco di Como Mario Lucini ha commentato: «Sono le regole».
E infatti, come consentito ancora dalle regole, i due non sono nemmeno rientrati fisicamente al lavoro, ma stanno usufruendo delle ferie accumulate.
Il primo cittadino ha ricordato poi che questi compensi erano stati dapprima congelati dal Comune, per poi essere sbloccati e infine elargiti.
D’altronde, il Nucleo Indipendente di valutazione, l’organo che in alcuni comuni italiani appunto misura le performance e vigila sul raggiungimento di obiettivi individuali di dirigenti e di funzionari, in proposito si è espresso chiaramente.
«La valutazione delle attività svolte dai dirigenti nell’anno 2015 — scrive il Nucleo secondo quanto riportato dal comune di Como – non può essere condizionata da fatti o eventi maturati successivamente se non vengono accertati elementi che possono influire sul periodo di riferimento».
E ancora: «Allo stato degli atti si confermano le valutazioni operate con valenza per l’anno 2015 e per i dirigenti Gilardoni e Ferro si potrà procedere ad eventuali revisioni solo qualora emergano altri elementi di valutazione dal procedimento penale in corso». Insomma, l’anno prossimo la situazione potrebbe cambiare, ma per il 2015 rimane congelata.
Come quel cantiere sulle sponde del lago, ormai parte del panorama dei turisti, e dei cittadini infuriati.
Manuela Messina
(da “La Stampa”)
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Ottobre 1st, 2016 Riccardo Fucile
IL MERITO E’ ANCHE LA CAPACITA’ DI FARSI CAPIRE
Considerato il contesto, tenuta presente la finalità dello stesso ed altresì considerate le diverse, specifiche abilità “in campo”, non c’è voluto molto a capire che Renzi, a Zagrebelsky (dal punto di vista mediatico) gli ha fatto il “mazzo a tarallo”…
L’esimio Costituzionalista (che ho sempre apprezzato per aver studiato su molti dei suoi libri) ha fatto oggettivamente sfoggio di una “semantica” eccessiva e poco incisiva (peraltro “inciampando finanche in se stesso”, e più di una volta, purtroppo). Il “messaggio di merito”, ai più, sarà arrivato (forse) per 2/10.000; quello relativo alla contesa, allo scontro dialettico, invece, sarà arrivato in modo molto più massiccio e di certo non avrà spinto a favore di quello che si è oggettivamente appalesato come “un evidente parruccone”.
Se i sostenitori del no pensano di vincere senza porsi il problema di una efficace ed efficiente comunicazione, hanno già perso in partenza…
Troppo semplicistico (e finanche tremendamente indegno ed offensivo) sarebbe assumere che il popolo non sarebbe all’altezza di capire…
Il popolo capisce tutto ciò che è spiegato chiaramente ed in modo efficace… Non tenerlo presente (come in effetti fa buona parte della presunta classe dirigente del centro-destra, in generale, e del mondo “liberale”, in particolare) è la prova provata di una conclamata incapacità nel cogliere, non soltanto le ragioni “di ieri” e “dell’oggi”, ma anche quelle “del domani”…
Il merito è anche – e soprattutto – capacità di farsi capire. Di essere in sintonia con gli altri. Di conquistare la loro testa ed anche il loro cuore…
La sfida è un po’ più elevata e complessa di quanto si possa immaginare.
Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale
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Ottobre 1st, 2016 Riccardo Fucile
DAGLI ATTACCHI AI COMUNISTI AL GIUDIZIO SU BERLUSCONI: “ROVINATO DALLE DONNE”
L’invito arrivò dopo che avevo scritto un pezzo sull’aspra battaglia burocratica per aprire una grande Esselunga a Modena, nell’Emilia rossissima dove di regola i supermercati o sono Coop o non ci sono.
Il reportage, apparentemente, gli era piaciuto.
«Perchè non viene a trovarmi con il suo direttore?». Detto fatto.
Così il direttore, che all’epoca era Mario Calabresi, e il soprascritto partirono alla volta di Limito di Pioltello, sede principale dell’Esselunga, convinti di portare al giornale un’intervista a Bernardo Caprotti che non ne dava mai.
Il posto è la tipica imitazione milanese dell’America produttiva: capannoni e rotonde, rotonde e capannoni, e in mezzo gente in macchina intenta ad andare al lavoro o a tornare dal lavoro.
Arrivammo e fummo parcheggiati in una sala d’attesa tipo dentista dove spiccavano due quadri con il loro bravo cordoncino davanti, come in un museo.
Non mi sembravano meritarlo e nel tentativo di studiarli meglio mi avvicinai troppo facendo scattare una sirena terrificante. Come dire: meglio non fidarsi troppo.
Però è anche vero che non arrivò nessun vigilante. Evidentemente erano abituati agli allarmi a vuoto.
In compenso comparve Caprotti, che all’epoca era già anziano ma sempre gagliardo, ed esauriti i convenevoli (pochi e sbrigativi) ci informò, primo, che i quadri erano dei Canaletto (e qui forse era troppo ottimista), secondo, che non c’era nessuna intervista ma solo una conversazione «off the record», insomma che non avremmo potuto scrivere una sola parola e, terzo, che ci invitava a colazione.
Il tutto esibendo una copia del mio articolo tutta sottolineata con l’evidenziatore e spiegando che «i comunisti» gli volevano impedire di fare il suo mestiere, cosa peraltro verissima.
Seguì la famosa colazione. E qui capimmo che quello che avevamo davanti era un capitalista della vecchia scuola, un padrone delle ferriere senza indulgenze per nessuno, nemmeno sè stesso.
Macchè ristorante stellato, macchè insalatina veloce e fighetta così-non-mi-appesantisco-che-devo-lavorare: andammo a pranzo in mensa, insieme con i dipendenti, con l’unico modesto lusso di una tavola a parte e del cameriere e mangiando solo prodotti Esselunga perchè, come mise subito in chiaro, «io assaggio tutto quello che vendo».
Scherzando, pure. «Le piace questo patè?». Sì, non male, grazie. «L’ha fatto mia moglie», ah ah ah.
La conversazione si aggirò intorno alle vicissitudini di «Falce e carrello», il suo libro denuncia sull’intreccio fra grande distribuzione e amministrazioni locali di sinistra, allora al centro di una complicata battaglia giudiziaria.
Poi si passò ai suoi ricordi, lui di buona famiglia imprenditoriale lombarda spedito dal padre negli Stati Uniti più o meno all’epoca della presidenza Truman: doveva occuparsi di industria tessile, il business di famiglia, e invece scoprì che là esistevano degli strani grandi negozi chiamati «supermercati».
A sprazzi, emergeva qualcosa di più personale.
Il giudizio su Berlusconi, per esempio, che lui conosceva bene e di cui disse «quello l’hanno rovinato le donne», sentenza magari sbrigativa ma non sbagliata.
E, curiosamente, una gran simpatia per i greci e la Grecia, in teoria quanto di più lontano dalla sua etica del «laurà » e dalla sua estetica dell’understatement: ci raccontò che passava lì tutte le estati, in barca, e gli piaceva moltissimo.
Non una parola sulle risse giudiziarie con i figli, che pure avevano già cominciato a tracimare dai tribunali ai giornali.
I suoi giudizi erano netti, espressi in un italiano impeccabile e per questo un po’ demodè. Analizzava le malefatte di governi, partiti e sindacati con la spassionata chiarezza di chi non se ne aspetta nulla di buono. Era duro ma lucido. E si capiva (ipotesi poi confermata parlando con chi lavorava con lui) che non chiedeva ai dipendenti niente che non avrebbe fatto lui.
Tornando, Calabresi mi raccomandò di scrivere un appunto sulla giornata, cosa che feci. Non ho più rivisto il cavalier Caprotti.
Poco male: era di quelle persone che non si dimenticano. Magari era un uomo difficile. Ma certamente era un uomo.
Alberto Mattioli
(da “La Stampa”)
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Ottobre 1st, 2016 Riccardo Fucile
E ANCHE CON I FIGLI NON E’ CHE ANDASSE MOLTO D’ACCORDO
Considerava la Coop il diavolo e se stesso l’acqua santa. E anche con i figli non è che andasse molto d’accordo. D’altronde, è stato quel carattere deciso a permettergli di diventare mister Esselunga. Era questo Bernardo Caprotti, morto poco prima di compiere 91 anni e tutta una vita legata alla grande distribuzione.
Il suo nome fa capolino anche nell’inaugurazione del primo supermercato italiano, all’epoca targato Rockefeller, in viale Regina Giovanna a Milano: era il 1957.
Il nome della catena deriva da un modo di dire. A 40 anni, Caprotti riuscì a scalare la società che aveva costruito a Milano quel primo negozio di grande distribuzione, la Supermarkets, e la chiamò Esselunga quando si accorse che i clienti indicavano i suoi negozi con un articolato giro di parole: “il supermercato con la esse lunga”, appunto. Figlio del proprietario di un’azienda cotoniera della Brianza, dopo essersi laureato in Giurisprudenza, Caprotti andò in Texas, dove lavorò come montatore meccanico, per rientrare in Italia a 26 anni e assumere la direzione della ditta di famiglia.
Poi il salto nel mondo della grande distribuzione.
La sua morte coincide con un possibile momento di svolta per la sua creatura. All’esame di Citi ci sono due manifestazioni di interesse per Esselunga arrivate da Cvc e Blackstone.
L’advisor dovrebbe fare il punto su quanto emergerà , valutare se approfondire il dossier e procedere sulla strada della vendita.
Con la scomparsa di Caprotti, che in passato ha resistito alle avances di insegne della distribuzione del calibro della statunitense Walmart e della spagnola Mercadona, bisognerà capire quale strada verrà presa.
Esselunga è valutata fra i 4 e i 6 miliardi di euro, a seconda che vengano considerati o meno immobili e aree di sviluppo.
Nel 2015 aveva una rete di 152 supermarket in Lombardia, Toscana, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Liguria e Lazio, conta oltre 22.000 dipendenti e un fatturato di 7,3 miliardi di euro.
La vendita potrebbe in qualche modo risolvere il problema della successione.
Fino all’ultimo è rimasto aperto lo scontro di Caprotti con i figli del primo matrimonio, Giuseppe e Violetta, estromessi nel 2011 dal controllo della società : la causa di merito è in Cassazione, anche se con Violetta c’era stato un riavvicinamento, e gli era al fianco anche negli ultimi momenti in clinica.
Un’altra battaglia che lo ha segnato è stata quella con le Coop, che accusava di illecita concorrenza e scorrettezze.
Nel 2007 pubblicò il libro “Falce e carrello. Le mani sulla spesa degli italiani” edito da Marsilio. I suoi collaboratori lo ricordano come un vero Capitano d’industria, con l’azienda nel sangue.
E’ andato in ‘pensione’ a 88 anni. Per dare l’annuncio riunì i dipendenti della sede centrale di Limito di Pioltello (Milano): “Ho dato le dimissioni” annunciò prima di smorzare la commozione con la sua burbera ironia: “Ma quello in pensione sono io, voi tornate al lavoro!”.
Finchè ha potuto, cioè qualche mese fa, ha portato il badge, ha partecipato alle riunioni, ha pranzato in mensa ed è andato in giro per i negozi per assicurarsi che tutto funzionasse bene.
Nel 2015 i suoi collaboratori comprarono una pagina del Corriere della Sera per fargli gli auguri: “Never never never give up. 7 ottobre 2015. 22.218 collaboratori di un’Azienda straordinaria rendono omaggio al loro Dottore nel giorno del suo 90 compleanno”.
(da “Huffingtonpost“)
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