Ottobre 8th, 2016 Riccardo Fucile LO STRISCIONE SU REGENI TOLTO IN COMUNE VIENE APPESO IN REGIONE… COSI’ I SOVRANISTI PATACCA SONO RIUSCITI A FARSI RICONOSCERE ANCHE QUESTA VOLTA… E IL 65% DEI TRIESTINI VUOLE CHE LO STRISCIONE RIMANGA
La presidente del Friuli-Venezia Giulia, la dem Debora Serracchiani, ha affisso questa mattina a un balcone del Palazzo del Lloyd, sede della Regione che si affaccia su piazza Unità a Trieste, lo striscione giallo di Amnesty International con la scritta “Verità per Giulio Regeni”.
Un analogo striscione era stato invece rimosso ieri dal municipio su disposizione del sindaco forzista Roberto Dipiazza.
Oggi la ‘risposta’ concreta della Serracchiani a Dipiazza: pochi minuti prima delle 12, la presidente – che è anche vicesegretaria del Pd – insieme con altre due persone, ha materialmente sistemato e assicurato al balcone lo striscione.
Poi ha annunciato l’esposizione con un post su Twitter.
Si è concluso con un assist perfetto al Pd la penosa esibizione dei cazzari del centrodestra triestino che sono stati pure sepolti dal 65% di voti on line dei triestini in dissenso dal loro sindaco, sondaggio lanciato dal maggiore quotidiano locale.
I responsabili, è bene ricordarlo, sono quattro consiglieri (Lega, Fdi e Forza Italia) che avevano chiesto al sindaco la rimozione dello striscione e il sindaco ha preso la palla al balzo per “togliere la carie” rappresentata dallo striscione di Amnesty International.
Il sedicente centrodestra triestino che dovrebbe rappresentare la “sovranità nazionale” e la legalità è riuscito così a dimostrare:
1) che se ne fotte se un regime militare, autore di crimini e torture condannate da organismi internazionali, sevizia e ammazza un italiano.
2) che la denuncia di questo crimine è “una carie”
3) che la solidarietà verso la famiglia e la richiesta di giustizia è “a tempo” finchè “assuefazione” non la separi: quindi ora possiamo dimenticare il crimine, gli esecutori e i mandanti.
4) che la destra patacca non è capace di ergersi a livello istituzionale come punto di riferimento etico ma lascia campo e terreno a una sinistra che non avrebbe nulla da insegnare a una destra civile e seria.
Quando invece sulla tutela della sovranità nazionale (quella vera, non quella degli ex secessionisti convertiti sulla via del potere) ci dovrebbe essere una convergenza nazionale fuori dagli steccati partitici.
Se poi qualcuno dei firmatari è un estimatore del regime di Al Sisi può sempre chiedere la cittadinanza egiziana e togliersi dai coglioni, che già di questa categoria in Italia ne abbiamo fin troppi.
Ultima riflessione: qualche imbecille ha commentato che “se Regeni fosse stato a casa sua sarebbe ancora vivo” senza neanche riuscire a capire che Giulio è stato mandato in Egitto dal suo tutor e “datore di lavoro” ovvero dalla università di Cambridge non per diletto, e con il compito specifico che stava assolvendo.
Comunque se “ognuno deve stare a casa sua”, confidiamo che tale invito sia seguito anche dalla Pubblica Assistenza quando gli imbecilli di cui sopra chiederanno l’invio urgente di una ambulanza perchè sono in pericolo di vita.
Forse i loro eredi capiranno che la vita è fatta anche di solidarietà .
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Ottobre 8th, 2016 Riccardo Fucile ORFINI COMMISSARIO PROROGATO… E NASCONO I DEMOCRATICI PER IL NO
Un fermento che nasce nel cuore del Pd romano, ma che va dritto al Nazareno. 
Il giorno dopo l’assoluzione dell’ex sindaco Ignazio Marino, che ha rimestato tra le macerie di quel che resta dei dem della Capitale, accadono due cose, apparentemente slegate tra di loro.
La prima: nascono i Democratici per il No al referendum del 4 dicembre.
La seconda: filtra che il commissariamento di Matteo Orfini del partito cittadino non finirà come previsto il 23 ottobre, ma si prolungherà fino alla celebrazione del Congresso, data orientativa febbraio 2017.
Malcontenti pronti ad esplodere non a caso a Roma e non a caso adesso. Anzi, in questo caso di coincidenze non si può davvero parlare.
Parafrasando la celebre frase, si potrebbe dire ‘follow the timing’.
Mentre lo stesso Orfini dichiarava all’Ansa che “non ci sono pezzi organizzati del partito in città che lavorano per il No al referendum”, nella sezione di Testaccio, il consigliere regionale Riccardo Agostini, esponente della minoranza, e l’ex responsabile comunicazione del Pd nonchè ex portavoce di Pier Luigi Bersani, Stefano Di Traglia, riunivano un gruppo di militanti ed elettori per dare vita ai “Democratici per il No”.
Non vogliono che si parli di comitati, in segno di rispetto verso la Ditta, ma tant’è.
Si tratta di fatto della prima organizzazione contro il ddl Boschi con il marchio dem e in pratica getta le fondamenta di una casa che potrebbe diventare più grande da lunedì. Quando, e non è appunto un caso, si riunirà la Direzione del Pd in cui l’area di Bersani e Speranza dovrebbe ufficializzare la propria posizione sul referendum.
Una nuova breccia nel Pd renziano che a Roma si salderà a breve anche con la promessa di Marino di tornare in campo e trascorrere le prossime settimane proprio a fare campagna contro il ddl Boschi.
Ma il ritorno del “marziano” sulla scena, nella Capitale ha anche riaperto i cahiers de doleances del partito contro la gestione commissariale di Matteo Orfini.
Lui stesso, chiudendo a settembre la festa romana del partito, aveva assicurato che il giorno dopo la fissazione della data del referendum avrebbe indetto anche il congresso dem capitolino.
Quel che filtra oggi, invece, è che si è in attesa che dal Pd nazionale comunichino la finestra in cui si possono celebrare i congressi in tutta Italia, finestra che presumibilmente dovrebbe coincidere con il mese di febbraio 2017.
Ma è ormai da tempo che il partito a Roma è in fibrillazione e il sospetto — tra le varie anime in campo – è che sia in atto un tentativo di far slittare i tempi visto anche il momento di difficoltà del commissario e di tutta la ‘filiera’, ossia di quell’asse che al momento tiene insieme i Giovani Turchi dello stesso Orfini e i renziani di Giachetti e Gentiloni.
Dalla maggioranza negano e spiegano che il probabile slittamento a febbraio sarebbe dovuto solo da ragioni tecniche, ossia la somma di campagna referendaria e periodo natalizio.
La minoranza è convinta che l’obiettivo finale sia quello di far slittare il congresso capitolino all’autunno, magari provando a farlo coincidere con quello nazionale. E questo crea enorme fermento, tanto che sono cominciati i primi ‘riposizionamenti’. In campo ci sono rappresentanti di varie anime, come Roberto Morassut, veltroniano che però nel Pd sta in maggioranza, o Marco Miccoli (vicino a Martina-Orlando), oltre ai cosiddetti ‘zingarettiani’ o a personaggi più vicini a Dario Franceschini.
La tregua che ha retto con difficoltà in questi mesi sta per saltare ma anche le opposizioni interne fanno fatica a riorganizzarsi dopo lo sfascio degli ultimi mesi.
La richiesta, però, è quella di uscire dalle sabbie mobili attuali.
“Quello che è accaduto — spiega il consigliere regionale di minoranza, Riccardo Agostini – era già scritto. L’arroccamento del Pd ha portato a una grande sconfitta in città , in cui addirittura il nostro candidato per la prima volta nella storia è andato a malapena sopra il 30%. C’è uno sfaldamento del Pd romano sia per come è stata gestita l’elezione sia per come è stata gestita la sconfitta. Sarebbe necessario che si convocasse almeno una assemblea degli iscritti per riaprire una nuova fase della città . Questo immobilismo produce disaffezione”.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 8th, 2016 Riccardo Fucile SUI SOCIAL PROCESSO AL COMMISSARIO ROMANO: “AVETE CONSEGNATO LA CITTA’ AL M5S”
La pagina Facebook di Matteo Orfini è più o meno come il Pd romano: una distesa di macerie.
Uno: «Marino non piaceva al vostro capo e siete andati dal notaio. Meglio tacere!». Due: «Hai consegnato Roma nelle mani dei cinquestelle ».
Tre: «Te la canti e te la soni come sempre, eh Orfì?».
Si potrebbe andare avanti per ore, i commenti sprezzanti sono centinaia.
«Ma questi — assicura il commissario dem di Roma — non sono la base del Pd. I nostri sono più consapevoli di noi del disastro causato da Marino: un incapace»
Punti di vista. Non coincide con quello di Pierluigi Bersani, ad esempio. “Evviva!”, scrive l’ex segretario in un sms inviato all’ex sindaco a sentenza appena pronunciata. Walter Veltroni e Massimo D’Alema addirittura lo chiamano, Gianni Cuperlo e Roberto Speranza corrono a twittare sul suo riscatto.
«Ma qualcuno del partito romano e nazionale — se la gode Antonio Bassolino – gli chiederà almeno scusa?».
Non lo farà Matteo Renzi, che in privato ricorda che furono grillini e destra gli autori dell’esposto contro Marino: «Noi lo sfiduciammo perchè non sapeva governare».
Ci mancava solo questa, comunque. Perchè se il ritorno sulla scena del chirurgo dalemiano è la miccia, il resto lo fanno mesi di passione interna.
«Parliamoci chiaramente — ragiona Orfini — si era rotto un rapporto di fiducia, si andava avanti con le bugie. Per quello decidemmo di cacciarlo, per la cattiva gestione della città »
C’è tanto grillismo, a setacciare i social che inneggiano a Marino. Ma c’è anche una fetta importante di elettorato dem. Deluso, anzi «incazzato».
Quelli, per intenderci, senza i quali non si spiega il 67,2% a Virginia Raggi.
Quelli del circolo Donna Olimpia, i più “mariniani” di tutti. «Un anno fa lo dissi a Renzi – ricorda Bersani – chi forza la mano semina tempesta».
E siccome l’ex segretario non ha mai interrotto il dialogo con Marino, il futuro promette abbracci inediti: «Ci sono le prossime battaglie da fare assieme. Sul referendum, ad esempio, la vediamo allo stesso modo».
La crepa romana, insomma, rischia di allargarsi ancora. «Il Pd esce male da questa storia – lamenta – ma è l’occasione per recuperare una risorsa come Marino»
Non sarà facile, visto il veleno che straborda dai social. «Voi avevate l’obbligo di difenderlo — scrive su Facebook un “amico” (si fa per dire) di Orfini – non di fargli il funerale».
La verità è che dopo due anni di commissariamento, scandali giudiziari, circoli chiusi e guerra tra bande, l’assoluzione nel processo per gli scontrini fa saltare una tregua di comodo.
«Noi l’avevamo detto che era tutto sbagliato, abbiamo massacrato un partito — attacca il deputato Marco Miccoli — e adesso l’unica cosa che mi sembra sbagliata è il commissariamento di Orfini: andiamo oltre, per favore. Discutiamo del congresso. Affidiamo il percorso a una cabina di regia che rappresenti tutto il partito. Non so se è chiaro, ma qua non sappiamo chi deve votare, quali sono i tesserati e chi stabilisce le regole».
Andare oltre, come fosse facile.
L’asse che nella Capitale tiene assieme i giovani turchi di Orfini e i renziani di Roberto Giachetti e Paolo Gentiloni pensa di posticipare il congresso capitolino all’autunno 2017, o comunque di farlo coincidere con quello nazionale.
E in pochi si opporranno, perchè i reduci della vecchia gestione faticano a riorganizzarsi e non disdegnano un nuovo rinvio.
A meno che non torni in campo proprio Marino, la «risorsa» di Bersani.
A tutti, maggioranza e opposizione, sembra rivolgersi a sera su Facebook l’utente Vincenzo Calcamucci: «Avete ammazzato il Pd e avete ancora il coraggio di parlare…».
Tommaso Ciriaco Matteo Pucciarelli
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 8th, 2016 Riccardo Fucile IN AULA IL MAZZACURATI PENSIERO: “L’IMPORTANTE ERA NON LASCIARE FUORI NESSUNO”
Il finanziamento bipartisan, quintessenza non ideologica dei rapporti di potere pubblico a fini di
interesse privato, fa la sua irruzione nel processo per lo scandalo Mose in corso a Venezia. In una udienza riservata a testimoni non di primo piano, ecco materializzarsi il Mazzacurati-pensiero, ovvero la filosofia che il presidente del Consorzio Venezia Nuova aveva elaborato e raffinato negli anni.
Pagare tutti, di centro, di destra e di sinistra.
Non cambiava se fossero già al potere o dovessero ancora essere eletti. L’importante era non lasciare fuori nessuno, in particolare il futuro sindaco di Venezia.
Il Consorzio, concessionario del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per la realizzazione degli interventi per la salvaguardia di Venezia e della laguna, distribuiva quindi soldi pubblici.
È in questa cornice che si colloca la deposizione di Stefano Tomarelli, manager di Condotte, che con l’ingegnere Giovanni Mazzacurati ha avuto una lunga frequentazione. Lo scenario è quello delle elezioni del marzo 2010 in laguna, dove l’avvocato Giorgio Orsoni, candidato del centrosinistra, se la giocava con Renato Brunetta, ministro nel governo Berlusconi.
Così ha raccontato Tomarelli: “Il presidente Mazzacurati mi disse che non si fidava di Brunetta, perchè era imprevedibile. Avrebbe preferito come sindaco, invece, Orsoni, che era un suo caro amico. Ma non voleva inimicarsi Brunetta, in quanto vicino a Silvio Berlusconi”.
Ecco spuntare il finanziamento-omnibus. “E dunque mi spiegò che i contributi elettorali ufficiali per i due candidati sarebbero stati analoghi. Poi disse però che a Orsoni avrebbe aggiunto un finanziamento in nero. Con lui gli era più facile parlare, mentre per difficoltà caratteriali era molto meno facile farlo con Brunetta”.
Tomarelli ha detto di non aver saputo le cifre, nè tantomeno se poi i versamenti ci furono. Ma ha aggiunto di aver avuto successivamente una confidenza da Mazzacurati, secondo cui Orsoni era diventato sindaco grazie a lui.
Al primo turno l’avvocato aveva trionfato al primo turno on il 51,1%, staccando di 8 punti e mezzo percentuali Brunetta (42,6%) che se l’era presa con gli alleati della Lega Nord, colpevoli a suo dire di non averlo sostenuto e votato un ministro di Berlusconi. L’ingegnere era rimasto alquanto contrariato quando, tempo dopo, Orsoni aveva messo il bastone tra le ruote del Consorzio Venezia Nuova che voleva accaparrarsi l’Arsenale per le proprie attività .
“Mazzacurati pretendeva riconoscenza da parte di chi aveva aiutato“, ha concluso Tomarelli.
Interpellato da ilfattoquotidiano.it, l’ex ministro Brunetta non ha dato molta importanza alle dichiarazioni di Tomarelli. “Non lo conosco, non so chi sia… Adesso sono impegnato in altre faccende”.
Ma i soldi li ha ricevuti? “Quelli che ho ricevuto erano versati secondo quanto prescritto dalla legge. Questo è il sale della democrazia”.
Furono tanti, nell’arco di due decenni, i beneficiati del sistema Mazzacurati.
Sul banco degli imputati del processo ci sono, oltre ad Orsoni, anche l’ex ministro Altero Matteoli, l’ex presidente del Magistrato alle acque Maria Giovanna Piva e l’ex eurodeputato Lia Sartori di Forza Italia.
Proprio di Matteoli ha parlato Tomarelli, riferendo come fonte sempre Mazzacurati.
Gli avrebbe spiegato che somme di denaro avrebbero avuto come destinatario il ministero dell’Ambiente e delle Infrastrutture, ovvero sia funzionari che il ministro in persona. Matteoli è infatti imputato perchè nei lavori di marginamento a Porto Marghera fu coinvolta la società romana Socostramo di Erasmo Cinque, un imprenditore vicino ad Alleanza Nazionale.
Il manager di Condotte ha spiegato che i pagamenti illeciti avvenivano sia a Venezia che a Roma.
L’udienza è servita per mettere a fuoco il sistema dell’illecito e della corruzione.
I pubblici ministeri Carlo Nordio, Stefano Ancillotto e Stefano Buccini, hanno chiamato a deporre Gianfranco Boscolo della cooperativa Coedmar che si occupava dei lavori in laguna.
L’imprenditore ha ammesso: “Per lavorare bisognava pagare”.
E ha quantificato le dazioni totali in quattro, cinque milioni di euro, con quote di 400mila euro l’anno in contati. “Era il 50 per cento di quanto il Consorzio ci dava”.
Mazzacurati non spiegava le ragioni dei versamenti illeciti. “Tu lavora e paga mi diceva Mazzacurati, al resto ci penso io” ha messo a verbale Boscolo.
Giuseppe Pietrobelli
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 8th, 2016 Riccardo Fucile I MAGGIORI ESPONENTI REPUBBLICANI CHIEDONO CHE TRUMP FACCIA UN PASSO INDIETRO
Robert De Niro attacca, J.K. Rowling ritwitta.
E’ subito diventato virale in rete il video in cui l’attore Robert De Niro attacca duramente, senza mezzi termini, il candidato alla presidenza degli Stati Uniti per i Repubblicani Donald Trump.
“E’ così stupido. E’ un maiale. Un artista della stronzata. Non paga le tasse, è un disastro nazionale. Mi fa arrabbiare il fatto che questo paese sia arrivato al punto di consentire a quest’idiota di arrivare sin qui”, dice l’attore in un passaggio del filamto trasmesso da Fox News.
E poi aggiunge: “Dice che prenderebbe la gente a pugni in faccia. Beh, a me piacerebbe prenderlo a pugni”, continua De Niro.
Una presa di posizione che è piaciuta alla scrittrice della saga di Harry Potter Rowling, che ha rilanciato su twitter il video.
Il tutto mentre i maggiori esponenti del partito repubblicano chiedono a Trump un passo indietro e il ritiro dalla corsa alla presidenza e mentre i sondaggi certificano la caduta libera del candidato repubblicano e il suo vice so è ormai smarcato in attesa di una possibile nomination al posto di Trump.
(da agenzie)
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Ottobre 8th, 2016 Riccardo Fucile SE QUELLI DEL NO HANNO DECISO DI PERDERE, CONTINUINO A MANDARE IL LEADER LEGHISTA IN TV A RIMEDIARE BRUTTE FIGURE CON LA BOSCHI
Il confronto tra il leader della Lega (colui che ambirebbe ad essere il punto di riferimento dell’intero
centrodestra) ed il Ministro per le Riforme, è stato a dire poco esilarante.
Salvini ha dimostrato approssimazione ed incapacità di “stare sul pezzo”.
“La Ministra”, invece, logica, coerente, molto persuasiva.
Quando, nel riflettere sulla scarsa efficacia comunicativa di Zagreblesky (nel confronto con Renzi), sollevai la questione/necessità di una comunicazione che fosse adeguata, efficace ed efficiente, alludevo a tante cose.
Il riferimento non era soltanto al “ritmo”, alle “note” ed agli “accenti”, ma anche (e soprattutto) alla logica; anzi, per restare alla dinamica musicale, il riferimento fondamentale era “all’armonia”, ad uno sviluppo perfettamente armonico tra i “suoni di sostegno” e la “melodia”…
Viviamo in una società nella quale la comunicazione è sempre più veloce, sintetica, “focalizzata” su accenti specificatamente rivolti alla persuasione ed alla stessa “seduzione di concetto”: non capirlo è davvero ridicolo…
Salvini ha dimostrato molta superficialità . A dire il vero, è una carenza parecchio diffusa nel centrodestra.
Continuare a sostenere che il NO sarebbe lo strumento per mandare “Renzi a casa” (quando è pacifico che questo effetto non si verificherà mai) ovvero per tutelare la libertà , sono percorsi logicamente inadeguati.
Rischiano di far vedere “mostri” – che proprio non ci sono – e di produrre soltanto tantissima confusione e disorientamento mentre le persone vogliono un “sogno da sognare”, una speranza da nutrire ed un domani da riuscire nuovamente ad immaginare…
Le persone non sono stupide. Vogliono appassionarsi.
Non si accontentano degli slogan, nè di quelli “pro NO, nè di quelli “pro SI”…
Prima lo si capirà e meglio sarà .
Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale
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Ottobre 8th, 2016 Riccardo Fucile “HO SBAGLIATO A DIMETTERMI DOPO QUELLE 26 COLTELLATE”… E RIVELA LE MINACCE CONTRO LA FAMIGLIA
“Daje sindaco!” gli ha gridato una signora con i capelli rossi mentre lui attraversava piazza Montecitorio. Inseguito dai reporter, Ignazio Marino è rimasto muto mentre camminava a passo svelto, con il solito zainetto nero sulle spalle, verso il portone di casa. Quello che doveva e voleva dire, l’ha detto nella conferenza stampa.
E lì s’è tolto due sassolini dalle scarpe.
Il primo era per Matteo Renzi: “Ognuno deve guardarsi allo specchio e vedere se ha davvero la statura dello statista oppure no. Le scuse? Bisogna avere umiltà e onestà intellettuale”.
Poi, quando gli hanno chiesto del commento di Matteo Orfini, non ha saputo trattenersi.
Prima ha domandato “Chi?”, come fece il premier con Fassina, poi ha parlato di “quei 26 accoltellatori con un unico mandante” che lo costrinsero a lasciare il Campidoglio. Adesso, sul divano beige della sua casa vicino al Pantheon, racconta come ha vissuto il giorno che poteva cambiare la sua vita – il pm aveva chiesto per lui tre anni, un mese e dieci giorni di carcere – e cosa succederà dopo il proscioglimento che ha segnato la sua rivincita.
Cosa ha provato, mentre aspettava la sentenza? Ha pensato a quello che sarebbe successo se fosse stato condannato, come chiedeva il pm?
“Io ho sempre avuto una grandissima fiducia nella magistratura. In Senato, ogni volta che arrivava una richiesta da una Procura, io votavo a favore, anche in dissenso dal mio partito “.
La sentenza chiude il capitolo giudiziario. Ma questa inchiesta ha segnato la sua vicenda politica: lei è stato prosciolto, ma non è più il sindaco di Roma. Il tempo non torna indietro
“Ci sono cose che non potranno mai essere sanate del tutto. È come quando uno viene operato: anche se guarisce, la cicatrice rimane. E io ho subìto molte ferite, dalla Panda rossa alle accuse sugli scontrini, che però mi hanno permesso di riflettere, di capire i miei limiti e di guardare avanti con maggiore forza”.
La ferita più dolorosa?
“Vedere il partito di cui sono stato orgoglioso fondatore che si riunisce insieme agli eletti della lista di Alemanno da un notaio per destituire il sindaco democraticamente eletto. Una delle scene più cupe della democrazia. In quel momento, insieme a me sono stati violentati 700 mila romane e romani”.
Dunque la cicatrice con il Pd non si richiuderà mai più?
“Ma il Pd è fatto anche da quelle persone che stasera manifestavano sotto casa mia, donne e uomini di sinistra”.
Li ho visti. Gridavano: “Non siamo grillini, non siamo renziani, siamo marziani”. E ho visto anche quella signora dai capelli bianchi che, abbracciandola, le ha detto: “La vogliamo segretario del Pd”. Dunque le chiedo: vuol fondare un suo movimento o è possibile un suo ritorno nel Pd?
“Su questo non mi sono interrogato. Finora ho pensato soprattutto a ristabilire la verità . Avevo detto che mi prendevo un anno di riflessione, e lo farò. Io non sono proprio, di indole, un capopartito. Non lo sarò mai. Posso produrre idee e studiare. E certo sento il dovere morale di continuare a impegnarmi per il mio Paese e per la mia città “.
È passato un anno esatto dall’8 ottobre 2015, il giorno in cui lei gettò la spugna. Col senno del poi, qual è stato l’errore più grande che vorrebbe non aver commesso?
“Forse non mi sarei dovuto dimettere. Ma è vero che io subivo un’enorme pressione. Non solo io, ma anche la mia famiglia. Mi arrivarono due buste con dei proiettili, in una c’erano le cartucce di una P38 special con questo messaggio: “I prossimi proiettili serviranno per bucare te, tua moglie e tua figlia. E sappiamo dove vive tua figlia”. Poi, certo, ci fu l’assedio politico e l’aggressione mediatica…”.
Nella conferenza stampa lei ha detto che “qualcuno disse che era stato organizzato un golpe”. Un anno dopo, cosa rimprovera a Matteo Renzi?
“Non ho davvero nulla da dire a Renzi. Solo che sono sbigottito, come tutti i romani, per quello che è accaduto a Roma. La cosa peggiore che può capitare a una città è che qualcuno ne determini l’instabilità . E purtroppo Roma dall’estate del 2015 vive in una grande instabilità amministrativa”.
Renzi l’ha chiamata, oggi?
Marino sorride. “No. Mi hanno chiamato Graziano Delrio, Giancarlo Caselli, Leoluca Orlando, il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, Massimo D’Alema, Walter Veltroni, Pier Luigi Bersani…”.
Cosa le hanno detto D’Alema e Veltroni?
“Con Massimo abbiamo un vero rapporto di amicizia, nato quando ancora non avevo nulla a che fare con la politica. “Finalmente la verità emerge” è stato il suo commento. Walter mi ha mandato un affettuoso sms scrivendomi di essere molto contento. Ho parlato anche con il capo della Polizia, Franco Gabrielli, che era il prefetto di Roma quando ero sindaco. “Giustizia è fatta”, mi ha detto”.
La sindaca Raggi è intervenuta nel suo processo per chiederle 600 mila euro per il danno d’immagine che la città avrebbe subìto per colpa sua. Che effetto le ha fatto, sentirsi chiedere i danni dal Campidoglio?
“Mi aspetto che la sindaca si impegni con la stessa determinazione con cui io ho trovato 13 milioni di euro di finanziamenti, grazie ai quali lei ha potuto inaugurare con la fascia tricolore la scalinata di piazza di Spagna restaurata”.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 8th, 2016 Riccardo Fucile LA SINDACA: “RENZI PARLA DI ROTTAMAZIONE, MA QUI HA CANDIDATO FASSINO”
Nel conversare con la gentilissima Chiara Appendino, da cento giorni sindaca di Torino, mi sono sentito
come quei giornalisti del secolo scorso che si ritrovavano a intervistare un esponente della nomenclatura comunista ai tempi del «centralismo democratico».
Mai una polemica, uno slogan a effetto, una battuta fuori linea o anche solo fuori posto.
Quella che leggerete non è dunque un’intervista in senso classico, ma l’eroico (patetico?) tentativo di un dentista delle parole di fare spalancare la bocca a una paziente che tiene le labbra serrate in un enigmatico sorriso.
Sindaca Appendino, la descrivono come una ragazza della buona borghesia torinese attratta in tenera età dalla politica. Si riconosce nel ritratto? «Per nulla. Ho fatto il liceo classico al Gioberti, non riuscivo a parlare in pubblico senza diventare rossa, ma non ero impegnata in politica, anche se una volta ricordo di avere votato i Verdi».
Cosa le piaceva?
«Il calcio. Giocavo coi maschi. Ala sinistra».
Chissà quanti calci ha preso.
«Veramente ero più io a darne. Nel 2006 andai con gli amici in tenda ai Mondiali tedeschi. Seguimmo l’Italia dagli ottavi fino alla finale di Berlino».
Gli anni dell’università .
«Ero indecisa tra filosofia ed economia internazionale. Scelsi economia perchè volevo lavorare nelle Organizzazioni non governative, le Ong».
Eccola, la ragazza idealista.
«Nelle Ong non ci ho lavorato neppure un giorno. Ho conosciuto mio marito, lui sì appassionato di politica. E un giorno ci siamo fermati davanti a un banchetto dei Cinquestelle».
La folgorazione.
«La pignoleria. Io sono una che, prima di firmare qualsiasi cosa, si legge pure le postille. Nel leggere, mi sono interessata. E ho cominciato a frequentarli».
Fino al fatidico 12 maggio 2015. «Alla consigliera Appendino che mi critica, dico: il giorno in cui lei siederà su questa sedia…». La famosa seconda profezia di Fassino. (La prima era stata su Grillo).
«Stavo chiedendo conto di come venivano spese le risorse di una fondazione culturale. Ma a diventare sindaca non ci pensavo ancora. Diciamo che quella frase ha velocizzato i processi di scelta della candidatura».
Velocizzato i processi di scelta della candidatura. Lei parla come…
«… una laureata in pianificazione e controllo di gestione».
Per questo ha conquistato i poteri forti. La incontrano sospettosi e all’uscita commentano: però, che persona seria.
«Pesa il clichè del Cinquestelle, ma io non mi presento mica con il bazooka. Credo che il senso sabaudo delle istituzioni vada al di là dell’appartenenza partitica».
Qualcuno dei suoi amici grillini parla di mutazione genetica.
«Rivendico l’anima movimentista ma adesso ho un ruolo istituzionale».
Si aspettavano di essere coinvolti di più.
«Essere al governo non significa dare dieci poltrone agli attivisti nelle aziende partecipate. Quella si chiama occupazione del potere, ma dobbiamo renderli partecipi nelle decisioni».
Le giova il paragone con la Raggi.
«Io l’ho trovata molto determinata e tutt’altro che sconfortata».
Naturale. Però è la Raggi che non trova gli assessori.
“Trovare un assessore al Bilancio a Roma non è semplice».
Certamente. Per quanto il ritorno in scena di Grillo…
«Lo considero un bene per il movimento».
Chiaro. Ma Davide Casaleggio, un privato cittadino, ha in mano le chiavi di tutto.
«Una figura di riferimento. Non lo vivo come un padrone».
Ci mancherebbe. Intanto Pizzarotti se n’è andato.
«Una scelta legittima che non condivido».
Impeccabile. Posso almeno chiederle se andrebbe a cena più volentieri con Di Battista o con Di Maio?
«Se avessi una serata libera, la passerei con mia figlia».
Io ci ho provato. Ma ammetterà che avete qualche difficoltà .
«Ogni volta dicono che i Cinquestelle stanno per scomparire, ma non succede mai. Vinceremo se riusciremo ad amministrare i beni comuni, coinvolgendo i cittadini».
Però lei ha appena chiesto un dividendo extra alla società dell’acqua pubblica.
«Mi è spiaciuto, non succederà più. Ma quest’anno ci tocca fare quadrare un bilancio che abbiamo ereditato da Fassino».
Con Chiamparino va meglio. Com’è che vi chiamano?
«Chiappendino».
Che differenza c’è tra il Chiampa e Fassino?
«Basta andare in giro con lui e vedi la differenza. Fassino era percepito come uno che non viveva la città ».
Si immaginava di batterlo?
«La spinta di quel modello si era conclusa. C’era voglia di una nuova forza propulsiva. Al primo turno sono rimasta poco visibile per capitalizzare l’onda mediatica al ballottaggio. Ma non dimentico che tanti torinesi non sono andati a votare nè per me nè per lui».
Lei parla come un libro stampato. Qualcuno, non Fassino stavolta, le profetizza un futuro da premier.
«Impossibile. Alla fine del mandato da sindaca, nel 2021, lascerò l’impegno politico nelle istituzioni. I dieci anni previsti dal nostro regolamento interno sono scaduti. Tornerò al mio lavoro. E magari metterò in cantiere altri figli».
Lei ha avuto una bambina poco prima di essere eletta. Trova ancora il tempo per le cose normali?
«Continuo a fare la spesa. Le persone si stupiscono e mi chiedono se sono una sosia del sindaco. Perchè fa la spesa?, dicono. E io rispondo: perchè mangio».
Come deve essere una donna di governo?
«Empatica. Una che ascolta».
In America voterebbe la Clinton, ovviamente.
«Non so chi voterei. A me piaceva Sanders».
Ah. Abbozzi un bilancio dei suoi cento giorni.
«Molti si aspettavano un cambiamento immediato, ma ci vorrà tempo. Registro però una forte apertura di credito e una grande attesa. Mi sento addosso una triplice responsabilità . Verso la mia città , la mia generazione e il mio movimento. Da me ci si aspetta qualcosa di più perchè sono Cinquestelle, perchè sono giovane e perchè sono donna. Devo sempre dimostrare qualcosa a tutti».
La cosa di cui finora va più orgogliosa?
«Avere dimezzato i costi dello staff, come promesso».
Qualcuno dice che il Salone del Libro ridimensionato a vantaggio di Milano sia stata una vendetta del governo contro la giunta grillina.
«La crisi del Salone era cominciata prima e ha radici giudiziarie, non di politica nazionale. Ma reagiremo. La competizione non è con Milano, ma con noi stessi».
Come è andato l’incontro con Renzi?
«Grande cortesia istituzionale».
Ti pareva. Non l’ha sedotta con la sua parlantina?
«Del referendum potrebbe parlarmi per ore e resteremmo lontani anni luce. Piuttosto continuo a chiedermi: perchè uno che parla di rottamazione non ha trovato il modo di intercettare la voglia di cambiamento e ha candidato Fassino a Torino?».
Un’unghiata, finalmente. Mi dice un pregio e un difetto dei torinesi?
«Prima i pregi».
Immaginavo.
«Grande senso delle istituzioni».
I difetti, adesso. Si sforzi.
«Il cambiamento ci spaventa. E poi siamo un po’ chiusi. Che però è anche un pregio…».
Massimo Gramellini
(da “La Stampa“)
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Ottobre 8th, 2016 Riccardo Fucile AVEVA DENUNCIATO LE ATROCITA’ DEL REGIME FILORUSSO IN CECENIA… NEL PAESE MITO DELLA DESTRA LEGHISTA SONO VENTI I REPORTER ASSASSINATI NEGLI ULTIMI ANNI
Dieci anni dopo non c’è ancora un mandante. Anna Politkovskaja, la giornalista investigativa russa, è stata uccisa il 7 ottobre 2006. Era un sabato, stava tornando a casa con le buste della spesa.
Ad attenderla c’era un sicario. Il cadavere della reporter è stato trovato nel vano dell’ascensore: un paio di colpi, l’ultimo alla testa. Ancora non è stata fatta giustizia.
Nel 2009, il primo processo si è concluso con l’assoluzione totale degli imputati per mancanza di prove.
Tre anni dopo è stata riaperta l’inchiesta per trovare i colpevoli: si è puntato il dito contro un ex colonnello della polizia, responsabile della sorveglianza della reporter. Condannato a 11 anni di carcere, ha negato di essere stato il mandante.
Nel terzo processo, quello del 2014, sono stati condannati cinque sicari, esecutori materiali dell’omicidio (sarebbe stato pagato 150 mila dollari).
A due di questi, ceceni, è stato dato l’ergastolo.
I figli di Anna Politkovskaja, Vera e Ilya, non si sono accontentati: hanno più volte chiesto di proseguire le indagini per scoprire il mandante.
A loro si è unito il giornale indipendente Novaya Gazeta, per cui scriveva la Politkovskaja.
Ieri il quotidiano ha diffuso un video di protesta di tre minuti. Oggi, giorno in cui cade il decimo anniversario, la redazione esporrà una grande foto di Anna esattamente alle 16:02, l’ora in cui è stata uccisa.
Parleranno anche i suoi due figli. Questo mentre Vladimir Putin, per una beffarda coincidenza, festeggerà il suo 64esimo compleanno.
Il presidente russo, in passato, ha accusato la giornalista di «terrorismo di stato», definendola «e stremamente insignificante per la vita politica del Paese».
L’assassinio di Anna Politkovskaja ha sconvolto l’opinione pubblica mondiale, ma in Russia non è stato un fulmine a ciel sereno.
Lo confermano le parole di Oleg Panfilov, capo del “Moscow Center for Journalism in Extreme Situations”, appena appresoa la notizia dell’omicidio: «Ci sono giornalisti che hanno questo destino. Ho sempre pensato che sarebbe successo qualcosa ad Anna, prima di tutto per la Cecenia».
La Politkovskaja era una delle firme di spicco di Novaya Gazeta.
Nelle sue inchieste sulla Cecenia, controllata dal leader filo-russo Ramzan Kadyrov, la giornalista ha denunciato abusi e atrocità commessi dalle forze armate russe.
I suoi articoli sono stati una calamita di minacce, anche di morte.
La reporter è stata addirittura vittima di un sequestro, nel 2001, ad opera di alcuni soldati russi (gettata in una buca è stata spaventata con una finta esecuzione).
Ma l’episodio più noto è sicuramente il tentativo di avvelenamento con un tè servitole a bordo di un aereo, durante il viaggio verso l’Ossezia del Nord, per seguire l’assedio alla scuola di Beslan, dove combattenti armati stavano sequestrando centinaia di persone per chiedere il ritiro dell’esercito russo dalla Cecenia.
«Non sono l’unica a essere in pericolo, possono provarlo».
Queste le parole della Politkovskaja a una conferenza organizzata da “Reporter senza Frontiere”, un anno prima di essere uccisa.
Dalla sua morte, Novaya Gazeta continua a essere una delle pochissime testate russe votate al giornalismo indipendente.
Dal 2006, il comitato per la protezione dei giornalisti ha registrato 20 omicidi di reporter, mentre Freedom House conta almeno 63 attacchi violenti.
A settembre una giornalista di Novaja Gazeta, Elena Kostyuchenko, è stata aggredita a Beslan, dove stava seguendo il dodicesimo anniversario della strage. Insomma, minacce e intimidazioni rischiano di portare a un’autocensura diffusa.
In Russia la libertà di stampa continua a essere fortemente minacciata, così come la regolamentazione di Internet, sempre più restrittiva.
La recente “legge Yarovaya” (porta il nome della deputata che l’ha presentata, Irina Yarovaya), comprende una serie di misure draconiane, giustificate dalla pretestuosa lotta al terrorismo.
Ha sollevato polemiche e attivato campanelli d’allarme tra gli attivisti dei diritti umani. Edward Snowden, l’ex tecnico di Nsa e Cia, l’ha soprannominata “legge del Grande Fratello”.
In un Paese in cui oltre l’80% della gente apprende le notizie dalla tv, controllata dallo Stato, l’indipendenza di Novaya ha vinto l’affetto dei lettori: 235 mila copie vendute quotidianamente, 260 mila i visitatori unici giornalieri al sito che conta 20 milioni di visualizzazioni mensili.
Insieme ad altri pochi giornali continua a pubblicare inchieste coraggiose.
Molti dei suoi reporter sono morti in circostanze misteriose, qualcuno è stato ucciso a colpi di pistola.
Il minimo comun denominatore è la delicatezza delle inchieste su cui stavano lavorando prima della morte, dalla corruzione alla violazione dei diritti umani in Cecenia.
Ma lo spirito di Novaya riesce a sopravvivere, nonostante tutto. Anche grazie a giornalisti come Anna Politkovskaja.
Simone Vazzana
(da “La Stampa”)
argomento: criminalità | Commenta »