Ottobre 9th, 2016 Riccardo Fucile PAOLO VALENTINI, DALLA POLITICA AI TRAMEZZINI…E’ RIMASTO NELLA STESSA VIA DEL PIRELLONE, MA DALL’ALTRO LATO
Dalla politica ai tramezzini. Paolo Valentini è rimasto nella stessa via, quella del Pirellone, il Consiglio regionale della Lombardia.
Ma adesso lavora dall’altro lato della strada e ha cambiato abbigliamento: tolte giacca e cravatta, indossa camicia scozzese e grembiulone.
Spalma maionese (vegana) e porta ai tavoli i tramezzini. Di fronte alla vetrina del locale che ha aperto con due soci ci sono gli uffici dove per 18 anni ha lavorato come consigliere e, negli ultimi cinque, come potente capogruppo del Pdl.
Poi la sua vita è cambiata: lo scandalo delle spese pazze si è abbattuto su gran parte dei politici di allora:
Valentini ha una ventina di provvedimenti aperti con la Corte dei conti perchè, oltre che dei suoi scontrini, è chiamato a rispondere come capogruppo di quelli dei suoi consiglieri, in solido per un quarto della somma contestata. Il totale supera il milione di euro e quindi, chiuse le porte della politica e in attesa dell’Appello, serviva un mestiere.
Valentini non si era perso d’animo: ingegnere aerospaziale alla Aermacchi di Varese, con anche in tasca un master alla Bocconi e uno alla Bedford University, era convinto che non sarebbe stato difficile tornare al vecchio mestiere.
Tanti contatti, tanti colloqui: «Ma poi chi assume uno che ha quelle pendenze?». Di fronte alla porte chiuse, ecco l’idea di cambiare vita dedicandosi a qualcosa di meno intellettuale e più manuale.
Il cibo lo aveva sempre attratto: all’inizio del Duemila si era iscritto a corsi di cucina e aveva cominciato a dilettarsi preparando marmellate e brasati.
Poteva diventare una professione. I soldi per avviare un ristorante, però, non ci sono.
Ed ecco l’idea del tramezzino: «Ho studiato un paio di modelli, a Cremona e a Venezia, e ho cercato di tradurli sulla base dei gusti e delle necessità dei milanesi, che non hanno tanto tempo per la pausa pranzo e che vogliono gustare cose leggere».
La tramezzineria ha aperto circa un anno fa e poco alla volta ha preso piede. Ogni mattina una panetteria poco lontano fornisce il pane in cassetta che qui viene tagliato a fette, bianco e integrale: più di 15 proposte per tutti i gusti, accompagnati a succhi, estratti e melograno, accanto alla birra artigianale e alle bevande tradizionali.
I primi a fermarsi sono i turisti appena scesi alla stazione Centrale che fanno uno spuntino veloce e conveniente (3 euro a pezzo). Dalle 13 cominciano ad arrivare «quelli della pausa pranzo» di questa zona di uffici: ogni tanto passa anche qualche ex collega di Valentini.
«All’inizio – racconta – le mie ex segretarie erano abbastanza imbarazzate quando mi vedevano arrivare al tavolo per raccogliere le ordinazioni. Adesso ci ridono su. E poi qui si raduna tutto l’arco costituzionale per un pranzo veloce durante la pausa dei lavori consiliari».
La testa è rimasta quella dell’ingegnere: «Sto studiando una modalità per meccanizzare alcuni procedimenti. E comunque l’idea mia e dei soci è di valutare se il marchio sfonda: potremmo aprire altre sedi in città ».
E la politica? L’unico impegno rimasto glielo ha affidato il presidente del Consiglio regionale Raffaele Cattaneo («Uno dei pochi amici che non mi ha voltato le spalle dopo le grane giudiziarie»): è consulente al Comitato delle Regioni europee e continua a usare le competenze e le relazioni allacciate in vent’anni di attività consiliare.
Rimpianti? Allarga le braccia: «Sono una persona che non vive il presente come investimento per il futuro. Nella mia prima vita ho fatto l’ingegnere e facevo volare gli aerei. Poi ho avuto questa passione per la gestione della cosa pubblica e adesso, incrociando un po’ delle esperienze passate, mi occupo di cibo».
L’inchiesta è stato una finale brusco di carriera: «Ho messo in fila le risorse che avevo e ne sono uscito un poco alla volta. Certo, ad alcuni miei colleghi è andata peggio: qualcuno si è ammalato, qualcuno non esce più di casa, qualcuno ha l’esaurimento ancora adesso. Io invece spalmo maionese, ho un progetto nuovo e, in fondo, mi diverto».
Elisabetta Soglio
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 9th, 2016 Riccardo Fucile LA PROTESTA DELLE FAMIGLIE DELLA MONTESSORI DI MONTESACRO CONTRO I TAGLI DELLE ORE DI ASSISTENZA AI BIMBI DISABILI DELL’ISTITUTO…LA RAGGI PROMETTE MA POI NON SI PRESENTA
«Se esce uno, usciamo tutti». Martedì usciranno tutti. 
Alle 14.20, i bambini dell’Istituto comprensivo Maria Montessori di viale Adriatico (Montesacro), dalla prima alla quinta elementare, andranno via da scuola due ore prima. Proprio come accade dall’inizio dell’anno agli alunni disabili della scuola: costretti ad andare via in anticipo perchè non c’è nessuno che possa occuparsi di loro, aiutarli per il pranzo e per tutto il resto.
«È questa la scuola dell’inclusione?», si chiedono le mamme e i papà di tutti gli alunni della Montessori, che hanno organizzato questa «uscita solidale» per protestare contro la mancanza degli «aec», gli assistenti educativi culturali che seguono gli alunni disabili nelle ore di scuola. All’istituto di Montesacro sono garantite in media appena 5 ore a settimana per ogni bambino, che significa massimo un’ora al giorno.
Davvero troppo poco per alunni che, in certi casi, avrebbero bisogno di aiuto in ogni momento della loro vita a scuola, dal pranzo all’essere accompagnati in bagno.
Ma il Campidoglio, da cui dipende il servizio Aec, ha drasticamente ridotto le ore, indipendentemente dalla gravità e dai bisogni dei bambini. Non ci sono soldi.
A questo si aggiungono i ritardi da parte dell’Ufficio scolastico regionale nell’assegnazione delle insegnanti di sostegno. Così la scuola è stata costretta a comunicare alle famiglie degli alunni disabili che i piccoli dovranno uscire due ore in anticipo «perchè non possono essere garantite le minime condizioni per la loro presenza in classe».
Una decisione che ha scatenato la protesta delle famiglie, di tutte le famiglie, perchè «la presenza dell’Aec è importante non solo per l’alunno con speciali esigenze ma per tutto il gruppo classe». Molte mamme hanno dovuto prendere le ferie dal lavoro per poter supplire alla mancanza del servizio.
E l’iniziativa di martedì serve ad «esprimere nella forma più ampia e partecipata possibile il disagio e l’indignazione di tutta la comunità scolastica», perchè viene leso «il diritto di un bambino a vivere a pieno come tutti i suoi compagni la giornata scolastica e perchè di fatto costruisce una scuola dell’esclusione».
Questo, spiegano i promotori della protesta di martedì «è un problema di tutti noi, genitori, alunni, e insieme lo dobbiamo affrontare». Sono invitate anche le altre scuole del municipio.
Racconta Michela Bancheri, mamma di un bimbo disabile di terza elementare alla Montessori e membro della Consulta disabilità del III Municipio: «Io devo andare a prendere mio figlio alle 13,30 perchè non c’è nessuno che possa stare con lui, ogni inizio anno è complicato ma ora siamo nel baratro: se la scuola è per tutti deve esserlo per davvero, smettiamola con l’ipocrisia». Lo scorso lunedì la sindaca Virginia Raggi era al III Municipio e ha promesso di aumentare le ore Aec: «Ma come Consulta – dice Bancheri – ci saremmo riuniti il giorno dopo, perchè non è venuta ad ascoltarci?».
(da “il Corriere della Sera“)
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Ottobre 9th, 2016 Riccardo Fucile CHI CONCORRE A UN POSTO AL SENATO O A GOVERNATORE ABBANDONA IL TYCOON PRIMA CHE LA BARCA AFFONDI
Trenta giorni al voto. E la crisi più devastante sperimentata sinora dal candidato repubblicano alla presidenza, Donald Trump, e dal suo stesso partito.
Le battute sessiste di Trump — registrate in un fuori onda del 2005, in cui l’allora imprenditore e celebrità tv diceva di poter fare qualsiasi cosa a una donna, in quanto VIP — stanno scatenando una reazione a catena dalle conseguenze incalcolabili. Trump dice di “non volersi ritirare”.
E’ chiaro però che i repubblicani stanno cercando tutti i modi per disfarsi di un candidato mai amato e che oggi rischia di fare molto male all’intero G.O.P.
Il problema è che non è facile — anzi, è quasi impossibile — liberarsi di Trump a questo punto della sfida elettorale.
Il vero dato politico è infatti questo. Nelle ultime settimane — dopo la prova deludente nel primo dibattito televisivo con Hillary Clinton, dopo le polemiche sulla regina del concorso di bellezza Alicia Machado — le chance di vittoria di Trump si sono ulteriormente assottigliate.
Di questo la leadership repubblicana era ed è perfettamente cosciente. Molti tra i repubblicani hanno anzi segretamente sperato che una sconfitta di Trump l’8 novembre spazzi via, per sempre, l’uomo che ha travolto il partito; e che da questa sconfitta/espiazione possa iniziare una fase nuova, di ricostruzione, per i conservatori americani.
Le frasi rubate nel 2005 cambiano però sensibilmente la situazione.
Intere fasce di popolazione — gli indipendenti, soprattutto donne, ma anche molti evangelici e l’elettorato più anziano e tradizionalista degli swing states — potrebbero essere portate a voltare le spalle non soltanto al candidato repubblicano alla Casa Bianca, ma anche ai candidati del G.O.P. al Senato e alla Camera.
Soprattutto il Senato appare a questo punto a rischio. Chi può cerca di abbandonare la barca prima che affondi definitivamente.
Per molti candidati repubblicani impegnati in un testa a testa all’ultimo voto, l’appoggio a Trump potrebbe infatti equivalere a un suicidio politico.
Ha preso le distanze Kelly Ayotte, impegnata in una rielezione difficile per il seggio senatoriale in New Hampshire. “Sono prima di tutto una mamma e un’americana — ha annunciato Ayotte — non posso sostenere e non sosterrò un candidato alla presidenza che si vanta di degradare e assalire le donne”.
Ha mollato Trump Joe Heck, anche lui alle prese con un’elezione complicata in Nevada.
Hanno disconosciuto il candidato repubblicano i senatori Richard Burr del North Carolina, Mark Kirk dell’Illinois e Mike Lee dello Utah.
“Sono arrivato alla conclusione che non posso più sostenere Donald Trump”, ha detto il senatore Mike Crapo dell’Idaho.
Ha rescisso ogni legame con Trump John Thune, numero tre dei repubblicani al Senato.
E poi molti deputati, tra cui Martha Roby dell’Alabama, Jason Chaffetz dello Utah, Frank Lo Biondo del New Jersey.
Fuga anche tra i governatori: dicono addio a Trump Gary Hebert dello Utah e Robert Bentley dell’Alabama.
I commenti ufficiali che più spesso si leggono o sentono tra i repubblicani, riferiti alle affermazioni di Trump sulle donne, sono: “orrende”, “vili”, “predatorie”, “riprovevoli”, “incredibili”, “disgustose”, “irrispettose”.
Carly Fiorina, ex-candidata alle primarie, chiede a Trump di “farsi da parte”. Condannano Trump, ma era prevedibile, Jeb Bush, John Kasich, Mitt Romney e John McCain (che si dice “stomacato” e ritira, anche lui, il sostegno ufficiale).
Paul Ryan esclude Trump da un evento elettorale in Wisconsin. Il suo vice, Mike Pence, rifiuta di far campagna per lui e dice di non poter “perdonare” quelle affermazioni.
“Il partito di Lincoln non è uno spogliatoio”, dichiara il presidente dell’associazione dei college Usa.
La Camera di commercio, solido bastione conservatore, chiede a Trump di “abbandonare il campo immediatemente”. “I finanziatori G.O.P. sono in uno stato di panico”, afferma una fundraiser repubblicana, Lisa Spies. E lo stesso partito fa girare una mail riservata in cui annuncia di aver bloccato la campagna denominata “Victory”, quella messa in campo per appoggiare la sfida di Trump.
Ci potrebbe essere più chiara dimostrazione di quello che il G.O.P. vorrebbe da Trump? Non sembra proprio.
La quasi totalità dei repubblicani vuole che Trump esca di scena. Solo che la cosa appare difficile, in realtà quasi impossibile.
L’unica soluzione starebbe nell’addio volontario da parte di Trump stesso. Ma Trump, al momento, appare combattivo, irremovibile, e dà anzi appuntamento ai suoi sostenitori per stasera, quando incontrerà per il secondo dibattito televisivo Hillary Clinton. “E allora solleverò il caso dei tradimenti di Bill Clinton e della foga mostrata da Hillary nel distruggere le amanti di Bill”, ha minacciato Trump.
In mancanza di un abbandono volontario, resta al Republican National Committee una sola strada: quella di appellarsi alla “rule nine” del regolamento, che dice che il partito può sostituire il candidato in caso di “morte, abbandono o diversamente”. L’abbandono di Trump è, tranne sorprese clamorose, escluso. La morte non pare in vista. Rimane quell’”altrimenti“, che i leader repubblicani potrebbero interpretare in modo esteso e usare per far fuori Trump.
La cosa non è semplice. Come definire quell’”altrimenti”?
Si può cacciare via Trump per indegnità morale? Per aver disatteso principi e valori del partito repubblicano? E cosa succederebbe, a quel punto, con i milioni di suoi sostenitori? Cosa fare nel caso Trump decidesse di adire alle vie legali contro il partito?
Senza contare che l’early voting è iniziato, migliaia di persone hanno già votato e un eventuale abbandono/cacciata del candidato potrebbe far esplodere una miriade di problemi legali. No, meglio, molto meglio, tapparsi naso, occhi, orecchie e affrontare questi ultimi giorni di campagna elettorale.
Sperando che la nemica di sempre, Hillary Clinton, faccia quello che i repubblicani non sono stati capaci di fare: cancellare dalla mappa politica, definitivamente e senza ferite ulteriori, l’uomo che ha messo a rischio la sopravvivenza stessa del partito repubblicano.
Roberto Festa
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 9th, 2016 Riccardo Fucile NUOVO AUDIO SCANDALO… E CI SONO ANCORA MENTECATTI CHE DIFENDONO UN SOGGETTO CHE NON HA RISPETTO NEANCHE PER LA PROPRIA FIGLIA
Il partito repubblicano è sempre più nel caos dopo le dichiarazioni sessiste, volgari e offensive nei
confronti delle donne fatte da Donald Trump nel 2005 e pubblicate venerdì dal Washington Post.
Molti importanti esponenti del gruppo conservatore hanno voltato le spalle al magnate americano, rilanciando le teorie di un improvviso ritiro dalla corsa del candidato repubblicano a un mese dal voto.
Una circostanza che è stata esclusa dallo stesso Trump, che non ha alcuna intenzione di mollare.
Intanto, dal passato spuntano nuovi audio imbarazzanti per Trump.
A pubblicarli questa volta è la Cnn: le parole di Trump risalgono al 2006, quando fu intervistato dal conduttore radiofonico Howard Stern.
L’attuale candidato dei repubblicani spiegò allora che una donna va lasciata dopo i 35 anni e si soffermò anche sulla figlia Ivanka, che a quel tempo aveva 24 anni: “Va bene se la chiamano pezzo di f…, è molto sensuale”.
E poi, ancora, racconti vari sul sesso a tre e sul sesso con le donne durante il ciclo mestruale.
(da Huffingtonpost”)
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