Ottobre 18th, 2016 Riccardo Fucile A NARDODIPACE MANCANO SCUOLE E NEGOZI, NON C’E’ PIU’ NEMMENO IL SINDACO
L’arancione è il colore di Nardodipace. Sono le tute dei forestali della Regione Calabria. Se ne contano
poco meno di 160 su un totale di 1300 abitanti, praticamente ce n’è uno in ogni famiglia.
La misera economia del paese, aggrappato ai monti delle Serre, è praticamente tutta qua. Le attività commerciali si contano sulle dita di una mano: tre bar e un negozio di alimentari.
Completano il quadro una stazione dei carabinieri e una scuola dove ci sono solo tre classi: una per l’asilo, una per l’elementare e una per la media. Così da trent’anni Nardodipace è uno dei paesi più poveri d’Italia.
La prima volta che vinse la maglia nera fu nel 1989, all’epoca venne certificato un reddito medio annuo di 3 milioni di lire, Portofino che risultò il comune più ricco arrivava a 35 milioni di lire.
«Non c’è artigianato, l’agricoltura è solo di sussistenza, di industria non ne parliamo proprio. Non so se siamo il paese più povero di sicuro siamo i più emarginati», così sintetizza la realtà Antonio De Masi che di Nardodipace è stato sindaco per dieci anni a cavallo tra la fine degli anni Novanta e i primi anni del nuovo millennio.
«Anni fa – spiega – si puntò tutto sul pubblico impiego, sulla forestazione in particolare, la speranza era che da quell’assistenzialismo si potesse rendere la comunità sempre più autonoma, creando attività private, cooperative. Non è andata così».
Quando la povertà di Nardodipace finì sui giornali di mezza Europa, un giovane del paese, Antonio Cavallaro, emigrato a Bologna per studiare, ci fece la sua tesi di laurea: «Costruzione mediatica della povertà ”»
Oggi vive a Catanzaro ma in paese continua a tornarci appena può.
«Paradossalmente – ci dice – la situazione all’epoca non era particolarmente disastrosa. C’erano sei classi di scuola media, diversi negozi ed era ancora aperta la sede del vecchio Pci dove i ragazzi si riunivano. Oggi non c’è più niente, non la sezione di un partito, un’associazione, nulla».
Non c’è neanche il consiglio comunale. L’anno scorso il Comune è stato sciolto per infiltrazioni mafiose.
L’ultimo sindaco Romano Loielo è stato arrestato, mentre era in carica, per truffa all’Unione europea.
Era già successo nel 2011 quando il ministero dell’Interno sciolse il Comune per l’assunzione a tempo determinato di altre decine di forestali che avrebbero dovuto valorizzare i boschi di proprietà comunale.
«Il progetto – si legge nella relazione – non solo non ha raggiunto gli obiettivi previsti, ma ha rappresentato l’occasione per consolidare un sistema clientelare, nel quale possono proliferare gli interessi malavitosi».
Ma Nardodipace ha un altro record negativo che gli è valso il nome di «paesino dell’amianto».
Dopo le alluvioni del 1953 e del 1972 l’abitato venne interamente ricostruito. Peccato però che le «nuove» abitazioni siano state realizzate con i tetti in eternit.
Così da decenni circa l’80% degli abitanti vive con l’amianto sulla testa. Eppure nel 2002 sembrava che la riscossa di Nardodipace fosse arrivata grazie a un ritrovamento del tutto casuale.
Un incendio nel bosco portò alla luce quella che viene definita la «Stonehenge» italiana, una serie di monoliti risalenti a seimila anni fa.
Un sito archeologico che avrebbe potuto portare turisti e quindi un po’ di economia. A coltivare quel sogno è rimasta solo Graziella.
Sul sito del Comune c’è il suo numero di telefono, è l’unica a conoscere e raccontare i segreti di quelle pietre, l’offerta per farsi accompagnare è libera.
Ma «questa estate – ci dice – sono venuti solo due gruppi».
Gaetano Mazzuca
(da “La Stampa”)
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Ottobre 18th, 2016 Riccardo Fucile FILO SPINATO ANCHE A PALAZZO MARINO? ….LEGHISTA MOLESTO NON VUOLE CHE LA MAMMA CONSIGLIERA STIA CON BIMBA IN BRACCIO… MA NON ERANO I LEGHISTI A INVOCARE INCREMENTO NATALITA’?
La scorsa settimana la deputata islandese Unnur Bra Konradsdottir ha illustrato al Parlamento – e in diretta tv al Paese – la nuova legge per le politiche dell’immigrazione allattando la sua bambina di sei settimane. E nessuno si è sconvolto.
Negli stessi giorni, a Milano, anche la consigliera comunale di Sinistra x Milano Anita Pirovano si è presentata durante una seduta a Palazzo Marino con la figlia Viola di poco più di otto mesi in braccio.
Un’emergenza: cambio di nido e nuovo inserimento in corso.
Ma nella Milano città internazionale qualcuno ha avuto da ridire. Con la Lega che ha sollevato la questione alla fine di una conferenza dei capigruppo.
E Pirovano che ribatte: “Mai avrei pensato di poter essere attaccata, nel 2016, per aver portato in due occasioni e per un’ora in tutto mia figlia in Consiglio comunale”. Possibile che l’aula di Palazzo Marino sia vietata ai minori?
Madri e figlie, insieme tra gli scranni delle istituzioni.
Accade in Islanda, appunto, e accade a Strasburgo, dove la figlia dell’eurodeputata di Forza Italia Licia Ronzulli alza il braccio con lei durante le votazioni. In Comune, lo scorso lunedì – la stessa seduta in cui è stata approvata una commissione speciale per le politiche familiari – è toccato a Pirovano partecipare a un dibattito con Viola, la bambina nata il giorno dopo la vittoria di Sala alle primarie e diventata la mascotte della campagna elettorale del centrosinistra.
“In questi otto mesi mi sono inventata quotidianamente tempi e modi di essere mamma, ma anche tante altre cose in una società e in una politica non esattamente a misura di bambini e genitori”. Molte “acrobazie”, insomma, e “pochissime rinunce per entrambe”.
Tutto bene? Sembrerebbe di no, almeno per la Lega.
I rappresentanti del Carroccio hanno notato la presenza di quella consigliera in più. E ora con il loro portavoce in Comune Alessandro Morelli spiegano: “Un’aula consiliare non è un luogo adatto a un bimbo”
È ancora Pirovano a raccontare: “Mia figlia non ha arrecato il ben che minimo disturbo. Se persino nelle istituzioni si costruiscono attacchi personali e non si lavora di buon senso per rendere i luoghi accessibili ai genitori si capisce quale ipocrisia si nasconda dietro la retorica familistica della Lorenzin”.
Il presidente del Consiglio Lamberto Bertolè (Pd) cerca di minimizzare. Ma assicura: “Conciliare un impegno politico e amministrativo con la cura familiare è molto complicato ed è importante mettere i consiglieri e le consigliere nelle condizioni di gestire le necessità . Pirovano ha sempre avuto molta attenzione e comunque mi sembra che lei stessa non voglia trasformare sua figlia in un’astensionista del voto”.
Di fronte al confine disegnato dalla Lega, Pirovano rivendica: “Continuerò a portare mia figlia ogni volta che sarà necessario”.
Ma, aggiunge, “cercherò di ridurre al minimo la sua presenza”. E in qualche modo, il Carroccio c’entra: “Così eviterò che frequenti cattive compagnie almeno in tenera età “.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 18th, 2016 Riccardo Fucile SOLDI, VIAGGI, NOMINE: E’ SCONTRO SU DI MAIO, LA RIVOLTA NON SI PLACA… SOLDI SPESI, INCONTRI E FREQUENTAZIONI
Forse Beppe Grillo, che presto tornerà a Roma, dovrà affittare una camera stagionale all’Hotel Forum, al
quartiere Monti, perchè lo stato d’agitazione dentro il Movimento cinque stelle è permanente, l’aria di Rivolta non è finita, e il processo a Luigi Di Maio è appena cominciato, anche se non ne è chiaro l’esito perchè troppo variegato il fronte frondista.
La pubblicazione, ieri mattina su La Stampa, dell’ultimo capitolo di Supernova, il libro di Nicola Biondo e Marco Canestrari (due ex importanti collaboratori, con vari ruoli, di Gianroberto Casaleggio) in uscita tra due mesi ha provocato una giornata di panico purissimo.
Grillo e Davide Casaleggio venerdì hanno riconfermato la fiducia a Di Maio, mostrandosi in terzetto vicinissimi al funerale di Dario Fo (c’è un patto tra Di Maio e Davide, dal quale Grillo non sembra in grado di prescindere, va dicendo «Luigi deve solo abbassare un po’ le penne, ma dobbiamo tenere lui»).
Nondimeno è altrettanto vero che i malumori dei parlamentari ormai tracimano, vengono esposti ai quattro venti.
L’uomo del sistema
Di Maio è nel mirino per tante ragioni. Innanzitutto perchè in questi mesi si è fissato un’agenda personale di incontri con lobby, poteri, grandi imprese, ambasciatori, per nulla concordati dentro il Movimento (anche altri del direttorio non ne sapevano nulla).
Incontri di rassicurazione nei quali promette che, se andrà a Palazzo Chigi, non farà un governo infarcito di cinque stelle, ma anzi, si servirà di grand commis, garanzia per il sistema.
I parlamentari, che queste cose le hanno sapute sempre in un secondo, fino a poco tempo fa abbozzavano, ora non più. «Era questo il Movimento che volevamo?».
Il discusso Spadafora king maker per la Raggi
Altro capitolo indigesto, la nomina di Vincenzo Spadafora a uomo di punta dello staff di Di Maio.
Spadafora ha avuto un ruolo cruciale e coperto (questo si sa poco) nella formazione della giunta Raggi. Alcuni parlamentari ne chiedono espressamente conto: «Perchè prendere un uomo che era intercettato al telefono con Balducci, nelle indagini sulla Cricca?».
Spadafora non fu indagato; ma appare quanto di più distante dallo spirito delle promesse originarie del M5S. I rivoltosi attaccano, scrive Supernova: «Uno così, Grillo anni fa l’avrebbe preso a calci e mandato via».
I 108mila euro spesi in tre anni
Altro capitolo spinoso, come Di Maio spende i soldi.
Da elaborazioni di Canestrari basate sul sito tirendiconto.it è venuto fuori che Di Maio ha speso 108mila euro in due anni e dieci mesi. I parlamentari in Italia non pagano treni e aerei, come si spiegano questi soldi?
Il secondo, Roberto Fico (il punto di riferimento della Rivolta) spende appena 31600 euro nello stesso periodo. Di Maio ieri ha replicato: «È normale per un parlamentare spendere per attività sul territorio».
Significa che si sta facendo la sua corrente? Alla Stampa estera ha risposto: «Eventi sul territorio è una dicitura fittizia. Tutti quanti utilizziamo fondi, sono gli spostamenti logistici per un normale parlamentare che si muove sul territorio».
L’espressione «dicitura fittizia» ha fatto sobbalzare ancora di più i suoi avversari: «Che vuol dire esattamente?», domanda un deputato del nord.
I numeri dei rivoltosi
Ieri Fico ha smentito la ricostruzione del libro: «Nel Movimento non ci saranno mai correnti interne. Il resto sono chiacchiere da bar». Sarà , ma solo per stare a ieri, la senatrice Bulgarelli s’è scagliata contro «cerchi e cerchietti di potere, invece che facilitare non condividono nemmeno le informazioni. Siamo per la trasparenza eccetera eccetera, e poi risposte, a volte anche banali, zero».
E Paola Nugnes, altra senatrice, è stata lapidaria: «Non amo le correnti, ma il leaderismo mi fa decisamente schifo».
Sono solo la punta di un iceberg. I malumori arrivano a contare poco più della metà del gruppo parlamentare.
Di Maio e Davide hanno un patto; ma al momento Luigi è riuscito nell’impresa titanica di mettere insieme, contro di lui, gli opposti, da Roberto Fico a Roberta Lombardi, una delle poche persone che lì dentro sappiano fare politica, da Carla Ruocco a esterni all’aula di peso, come l’ex assessore Marcello Minenna.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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Ottobre 18th, 2016 Riccardo Fucile “I GRILLINI ESPONGONO ROMA A FIGURACCE GLOBALI, C’E’ BOSOGNO DI RIFORME SERIE”
L’italia ha estrema necessità di riforme, per snellire e rendere meno farraginose burocrazie che spesso paralizzano le amministrazioni, ma il voto del 4 dicembre non inciderà sui bisogni reali degli italiani. E congelare l’Italia per mesi su una riforma che modifica quarantasette articoli della Costituzione non è ciò che serve al Paese.
Un Paese che soffre da anni per la crisi economica, l’eccessiva pressione fiscale, l’azzeramento dell’assistenza ai più deboli. Partiamo da qui.
La riforma dell’articolo 117 della Costituzione assegna maggiore potere al governo nazionale nello stabilire i livelli di assistenza, con l’intento di porre fine alle disparità della sanità regionale che ha creato ventuno sistemi, con cure gratuite in alcune parti d’Italia, a pagamento in altre o addirittura inesistenti in alcune regioni del sud.
Questa riforma si può condividere, ma non si può tacere sul fatto che in molti ospedali ormai manca di tutto, le liste d’attesa sono drammatiche al punto che una donna in gravidanza ottiene l’appuntamento per un’ecografia dopo che il suo bambino è già nato, che il costo dei ticket spesso è così alto che non conviene più rivolgersi al pubblico tanto il prezzo è uguale al privato.
Qualche giorno fa, un primario di cardiologia della Capitale si è sfogato con me: «Nel nostro ospedale potremmo sostituire oltre 150 valvole cardiache all’anno ma abbiamo risorse solo per 50 interventi: come scegliamo i pazienti da salvare e quelli da scartare?».
Ben venga un maggiore coordinamento della sanità a livello centrale, ma è soprattutto ora di intervenire sull’organizzazione territoriale, sul corretto finanziamento e sul funzionamento delle strutture.
Non si sentiva invece il bisogno di una riforma del Senato che non risolve nulla. Il Senato andava abolito e invece rimane con i suoi costi, bloccherà le leggi che vorrà bloccare, i senatori avranno l’immunità ma non saranno eletti dai cittadini, bensì da consiglieri regionali che dovranno anche scegliere venti sindaci-senatori sulla base di non si sa quale rappresentanza popolare.
Si è ripreso ad annunciare il Ponte sullo stretto di Messina. Invece di immaginare strutture miliardarie non sarebbe meglio intervenire per sanare i rischi idrogeologici delle nostre terre?
Proprio vicino a Messina decine di persone sono morte per i disastri per i quali piangiamo, ci indigniamo e poi ci dimentichiamo. Se davvero ci sono miliardi per le opere pubbliche non dovremmo dare la priorità a ciò che può creare lavoro e al tempo stesso prevenire tragedie?
C’è poi il grande tema della stabilità , politica e amministrativa.
Negli enti locali come a livello nazionale, i governi si susseguono, le amministrazioni cambiano con il rischio di rendere inefficaci le decisioni assunte.
Prendiamo il caso emblematico di Roma – tralasciando le vicende politiche che conosciamo – la cui instabilità amministrativa ha prodotto enormi danni.
Durante il mio mandato, bruscamente interrotto da un notaio, avevamo due progetti di lungo respiro che avrebbero modificato il volto della città : la costruzione del nuovo stadio della Roma e le Olimpiadi.
Il primo avrebbe riversato sulla città circa due miliardi d’investimenti privati e creato più di cinque mila posti di lavoro nella fase di costruzione e quattromila a lungo termine.
Che fine ha fatto il progetto con Virginia Raggi? Chi lo sa, tutto fermo, tutto bloccato. Nessuna certezza. Anche per questo gli imprenditori stranieri, con pragmatismo, decidono di spostare in altri Paesi i propri investimenti, lasciando a bocca asciutta una città che ha vitale bisogno di essere rivitalizzata nella sua economia.
Più moderni, ma per davvero
Per non parlare del capitolo Olimpiadi, una vera figuraccia a livello planetario e un’occasione persa per la Capitale.
Virginia Raggi ha denunciato il rischio delle “Olimpiadi del mattone”: un timore legittimo, ma se si ha l’ambizione di cambiare tutto, come sostengono i grillini, allora si doveva tener testa ai costruttori per fare prevalere un progetto olimpico utile alla città , con l’ammodernamento dei suoi obsoleti impianti sportivi e la riqualificazione di quartieri che avrebbero tratto beneficio dai Giochi. Rilanciare invece di rinunciare.
E invece il clamoroso passo indietro non ha fatto che confermare negli ambienti internazionali quelle critiche di inaffidabilità e incertezza che caratterizzano l’Italia. Un’etichetta che non riusciamo a scrollarci di dosso.
Roma, lo dico a ragion veduta, ha grandissime potenzialità , ma ha un altrettanto grande punto debole, rappresentato dalla sua condizione di Capitale con troppi oneri e pochi onori.
Un esempio su tutti: il fondo nazionale dei trasporti assegna alla Regione Lazio ogni anno circa 570 milioni per tram, autobus, metropolitane, treni regionali.
Il 70 per cento del trasporto pubblico si concentra su Roma che durante l’ultima fase dell’amministrazione Polverini, ha ricevuto zero euro e poi, con Zingaretti, si è passati a 140 milioni l’anno.
Un aumento ma ancora lontano da una equa distribuzione dei fondi se si pensa che nel 2014 la Lombardia ha destinato a Milano più di duecento milioni e Milano ha un terzo della superficie servita dai mezzi pubblici rispetto a Roma. Il risultato è che gli autobus a Roma sono destinati a rimanere nei depositi invece che in strada.
Non è sui numeri che voglio soffermarmi ma sul sistema: trasporto pubblico, smaltimento dei rifiuti, dissesto idrogeologico, manutenzione delle scuole sono tutti ambiti in cui la Capitale non ha autonomia e tuttavia risulta responsabile delle inefficienze nell’erogazione dei servizi.
Ecco una riforma che servirebbe: dare a Roma lo status di Capitale non solo cambiando la carta intestata e le divise dei vigili urbani ma nei fatti e, così come accade in altri paesi europei, attribuirle fondi e responsabilità dirette affiancando una indipendenza amministrativa dei municipi, vere e proprie città delle dimensioni di Bologna o Firenze, ma senza un bilancio autonomo e privi di quelle competenze gestionali che invece può esercitare anche il sindaco di un piccolo comune di cinquemila abitanti.
Riforme che cambiano il volto di un Paese, lo rendono più moderno e al passo con il resto del mondo, più credibile e più vivibile.
Un Paese che dia delle opportunità a quei centomila giovani che, secondo la Fondazione Migrantes, l’anno scorso hanno fatto le valigie per vivere altrove.
Giovani talenti che realizzano i loro sogni nei centri di ricerca e nelle università straniere in luoghi che li valorizzano per quello che valgono e per l’impegno che dimostrano senza la spinta di un padrino che sia politico, universitario o familiare. L’assenza della cultura del merito è davvero un tarlo inestirpabile al punto che, in politica ma anche in tutta la pubblica amministrazione, scegliere i più fedeli e non i più bravi è un fatto talmente scontato da essere considerato normale.
Una stortura diventata strada maestra, in cui i brillanti, i creativi, gli innovatori finiscono in panchina e così abbandonano una gara truccata. È anche così che il nostro Paese s’impoverisce, restando ancorato alle cose come si sono sempre fatte, senza rischi, senza miglioramenti, senza speranza.
La politica di questi anni è proprio il paradigma di questa cultura tutta italiana, con una classe dirigente che si è imposta forte della sua carica di cambiamento e in un batter d’ali ha restaurato una dopo l’altra le cattive abitudini del passato, arrivando a mettere in tutte le posizioni chiave dell’amministrazione pubblica e delle grandi aziende fedelissimi e amici. Alla faccia della rottamazione.
Ignazio Marino
(da “L’Espresso”)
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Ottobre 18th, 2016 Riccardo Fucile “NON MI CONVINCE UN SENATO SNATURATO, ALLORA MEGLIO ABOLIRLO”
“A me risulta impossibile dare il mio voto ad una costituzione che contiene alcune cose positive e altre
negative, ma che – per essere varata – sembra avere richiesto una ripresa in grande stile di quel metodo di governo che a mio giudizio è il vero responsabile – molto più dei limiti della costituzione attuale – dei mali più gravi dell’Italia: evasione fiscale, corruzione, altissimo debito pubblico”.
Parole perentorie, quelle dell’ex premier Mario Monti, che in un’intervista al Corriere della Sera annuncia il suo No al referendum sulla riforma costituzionale.
Monti spiega così le ragioni del suo No alla riforma costituzionale.
“Non mi convince un Senato così ambiguamente snaturato, nella composizione e nelle funzioni. Meglio sarebbe stato abolirlo. Ci possono essere risparmi nel costo della politica in senso stretto, ma il vero costo della politica non è quello, che pure si deve ridurre, per il personale della politica. È nel combinato disposto fra la costituzione, attuale o futura, e metodo di governo con il quale si è lubrificata da tre anni l’opinione con bonus fiscali, elargizioni mirate o altra spesa pubblica perchè accettasse questo. Ho riflettuto a lungo in proposito”.
Sui timori, in Europa, di un successo del fronte del No al referendum, Monti getta acqua sul fuoco.
“Non credo che l’Europa prema per questa riforma costituzionale, e sarebbe molto grave se lo facesse. E poi l’Ue non ha nessun potere di entrare nelle questioni costituzionali, salvo che discendano da specifici atti che sono stati decisi come il fiscal compact. In questi mesi si discute di una riforma costituzionale anche in Grecia, il più sorvegliato di tutti i Paesi, ma non c’è alcuna pressione su questo punto dal resto d’Europa. Naturalmente l’Unione europea è interessata alla performance dell’Italia, come di tutti gli altri Paesi, quindi vede volentieri stabilità e governabilità . Ma ai miei interlocutori spiego che non credo che ci sarebbe un vuoto di potere in Italia, Renzi potrebbe restare anche se vincesse il No o l’attuale maggioranza potrebbe esprimere un nuovo governo”.
Un concetto che l’ex premier ribadisce anche in un altro passaggio dell’intervista.
“Se vincesse il No non sparirebbero gli investitori esteri. Se vincesse il Sì non sparirebbe ogni democrazia. E la Ue, che peraltro non ha mai chiesto questa modifica della costituzione, può stare tranquilla. L’Italia non rischia, come cinque anni fa, di cadere e di travolgere l’euro. Non c’è bisogno che la Ue perda credibilità come arbitro, dando l’idea che se non si dà una dose aggiuntiva di flessibilità all’Italia, vincerebbero ‘i populisti’. I populismi si affrontano promuovendo crescita e occupazione, non autorizzando i governi nazionali ad utilizzare risorse delle generazioni future per avere più consenso oggi”.
In caso di vittoria del No, per Monti non ci sarebbe bisogno di un passo indietro da parte di Renz
“Non vedo ragioni per cui Matteo Renzi dovrebbe lasciare in caso di una vittoria del No, come sostengono molti sostenitori del No e aveva affermato all’inizio lo stesso premier. Ma anche nell’ipotesi che lasciasse, non vedrei particolari sconvolgimenti. Toccherà al Capo dello Stato decidere, ma penso che sarebbe facilmente immaginabile una sostanziale continuazione dell’assetto di governo attuale con un altro premier facente parte della maggioranza.»«Non vedo ragioni per cui Matteo Renzi dovrebbe lasciare in caso di una vittoria del No, come sostengono molti sostenitori del No e aveva affermato all’inizio lo stesso premier. Ma anche nell’ipotesi che lasciasse, non vedrei particolari sconvolgimenti. Toccherà al Capo dello Stato decidere, ma penso che sarebbe facilmente immaginabile una sostanziale continuazione dell’assetto di governo attuale con un altro premier facente parte della maggioranza”.
Nel mirino di Monti anche una delle motivazioni che Renzi utilizza per spingere il fronte del Sì.
“A sentire alcuni ormai sembra improponibile qualunque sistema in cui non si conosce il vincitore la sera stessa. Eppure in Germania non solo non lo si conosce la domenica sera, ma a volte bisogna aspettare mesi. Eppure poi si arriva a un programma chiaro, ben definito e tale da limitare patti fra arcangeli o nazareni. Per quanto mi riguarda mi sono gradualmente convinto sempre più che i problemi dell’Italia non dipendono tanto dalla forma costituzionale e dalla legge elettorale, ma da alcuni connotati fondamentali: l’evasione, la corruzione e una classe politica che usa il denaro degli italiani di domani come una barriera contro la propria impopolarità “.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 18th, 2016 Riccardo Fucile “ITALIA HA UN RUOLO DI LEADERSHIP NELL’ACCOGLIENZA AI RIFUGIATI, UN TEST DELLA NOSTRA UMANITA'”… “ISTRUZIONE, COMPETENZE E FORMAZIONE PER AUMENTARE GLI STIPENDI E RIDURRE LE DISUGUAGLIANZE”
“L’austerity ha contribuito a rallentare la crescita europea”. Barack Obama parla in quest’intervista esclusiva a La Repubblica in occasione dell’arrivo del premier italiano. Affronta il fenomeno Trump e tutti i populismi, indicando come risposta una politica economica che “riduca le diseguaglianze, aumenti i salari, investa nell’istruzione”. Rende omaggio al ruolo dell’Italia nell’affrontare l’emergenza profughi nel Mediterraneo ma avverte che “un piccolo numero di Paesi non possono sostenere quest’onere da soli”.
Invoca più collaborazione tra i servizi segreti occidentali “per prevenire gli attacchi terroristici”. E offre un “pieno sostegno alle riforme di Renzi”.
Signor Presidente, all’inizio del suo primo mandato l’economia americana e quella europea erano in una profonda recessione. Da allora l’economia Usa ha goduto di 7 anni di crescita, mentre l’Europa soffre ancora: bassa crescita e alta disoccupazione. È ora di rivalutare il ruolo della politica fiscale, gli investimenti pubblici? In altri termini, hanno fallito le politiche di austerità ?
“Prima di tutto, vorrei dire quanto io e Michelle siamo lieti di ospitare il primo ministro Renzi e la signora Landini. L’Italia è da lungo tempo uno degli alleati più forti e vicini dell’America. Credo che l’esperienza degli Stati Uniti nel corso degli ultimi otto anni dimostri la saggezza del nostro approccio. Poco dopo il mio insediamento, abbiamo passato il Recovery Act, (la manovra di investimenti pubblici, ndr) per stimolare l’economia. Ci siamo mossi rapidamente per salvare la nostra industria automobilistica, stabilizzare le nostre banche, investire in infrastrutture, aumentare i prestiti alle piccole imprese e aiutare le famiglie a non perdere le loro case. I risultati sono chiari. Le imprese americane hanno creato oltre 15 milioni di nuovi posti di lavoro. Il tasso di disoccupazione è stato dimezzato. Abbiamo ridotto il deficit. I lavoratori stanno finalmente vedendo un aumento nelle loro retribuzioni. I redditi sono aumentati, e i tassi di povertà sono caduti. Abbiamo ancora molto da fare per aiutare i lavoratori e le famiglie a migliorare, ma ci stiamo muovendo nella giusta direzione.
“Altri Paesi hanno adottato un approccio diverso. Credo che le misure di austerità abbiano contribuito al rallentamento della crescita in Europa. In certi Paesi, abbiamo visto anni di stagnazione, che ha alimentato le frustrazioni economiche e le ansie che vediamo in tutto il continente, soprattutto tra i giovani che hanno più probabilità di essere disoccupati. Ecco perchè penso che la visione e le riforme ambiziose che il primo ministro Renzi sta perseguendo siano così importanti. Lui sa bene che Paesi come l’Italia devono proseguire il loro percorso di riforme per aumentare la produttività , stimolare gli investimenti privati e scatenare l’innovazione. Ma mentre i Paesi si muovono in avanti con le riforme che renderanno le loro economie sostenibili a lungo termine, lui riconosce che hanno bisogno di spazio per effettuare gli investimenti necessari a sostenere la crescita e l’occupazione e ampliare opportunità . L’economia italiana ha ricominciato a crescere. Più italiani stanno lavorando. Matteo sa bene che il progresso deve essere ancora più veloce, e un tema centrale delle nostre discussioni sarà come i nostri Paesi possano continuare a lavorare insieme per creare più crescita e occupazione su entrambe le sponde dell’Atlantico”.
Il “fenomeno Trump” negli Stati Uniti è stato prefigurato dai movimenti populisti e nazionalisti in Europa. Qual è il suo suggerimento per i suoi alleati europei, su come affrontare lo scenario post- Brexit? Come rispondere ai movimenti che vogliono isolare l’Europa, costruire muri, ridurre l’immigrazione, limitare la nostra esposizione al commercio internazionale
“Nei nostri Paesi, le stesse forze della globalizzazione che hanno portato tanto progresso economico e umano nel corso dei decenni, pongono anche sfide politiche, economiche e culturali. Molte persone ritengono di essere svantaggiate dal commercio e l’immigrazione. Lo abbiamo visto con il voto nel Regno Unito per lasciare l’Unione Europea. Lo vediamo nella crescita dei movimenti populisti, sia a sinistra che a destra. In tutto il continente, vediamo mettere in discussione il concetto stesso di integrazione europea, insinuando che i Paesi starebbero meglio fuori dall’Unione.
“In momenti come questi, anche se riconosciamo le vere sfide che abbiamo di fronte, è importante ricordare quanto i nostri Paesi e le nostre vite quotidiane traggono vantaggio dalle forze di integrazione. La nostra economia globale integrata, incluso il commercio, ha contribuito a rendere la vita migliore per miliardi di persone in tutto il mondo. La povertà estrema è stata drasticamente ridotta. Grazie alle collaborazioni internazionali nel campo della scienza, della salute e della tecnologia, le persone vivono più a lungo e hanno più opportunità rispetto al passato. L’Unione Europea rimane uno dei più grandi successi politici ed economici dei tempi moderni. Nessun Paese dell’Unione ha alzato le armi contro un altro. Le famiglie in Africa e nel Medio Oriente rischiano la vita per dare ai loro figli la qualità della vita e i privilegi di cui godono gli europei, e che non dovrebbero mai essere dati per scontati.
“La nostra sfida, quindi, è quella di fare in modo che i benefici dell’integrazione siano condivisi più ampiamente e che eventuali problemi economici, politici o culturali, siano affrontati correttamente. Ciò richiede politiche economiche inclusive, che investano fortemente nei nostri cittadini dando loro istruzione, competenze e la formazione necessaria per aumentare gli stipendi e ridurre le disuguaglianze. Richiede un sistema di scambi commerciali che protegga i lavoratori e l’ambiente. Richiede di tenere alti i nostri valori e tradizioni in quanto società pluraliste e diverse; e di rifiutare una politica di “noi” contro “loro” che cerca di fare di immigrati e minoranze un capro espiatorio”.
Su entrambi i lati dell’Atlantico, i negoziati per il trattato Ttip sono in fase di stallo. Il protezionismo è in aumento in tutto il mondo. Conosce bene le obiezioni americane sul libero scambio, ma la prospettiva europea è leggermente diversa: molti dei nostri cittadini, anche in Paesi come la Germania, che hanno goduto di enormi surplus commerciali, ritengono che un nuovo trattato con gli Stati Uniti abbasserebbe la protezione dei nostri consumatori, i nostri lavoratori, la nostra salute. Per molti europei, il suo Paese è diventato un simbolo di un capitalismo senza freni in cui le multinazionali dettano le regole. Qual è la sua risposta a queste preoccupazioni europee?
“Sì, nei nostri Paesi è complicata la politica in materia di commercio. Ma la storia dimostra che il libero mercato e il capitalismo sono forse la più grande forza per la creazione di opportunità , stimolando l’innovazione e alzando il tenore di vita. Lo abbiamo visto nell’Europa occidentale nei decenni dopo la seconda guerra mondiale. Lo abbiamo visto nell’Europa centrale e orientale dopo la fine della guerra fredda. E lo abbiamo visto in tutto il mondo, dalle Americhe all’Africa all’Asia. Allo stesso tempo, abbiamo anche visto come la globalizzazione possa indebolire la posizione dei lavoratori, rendendo più difficile la possibilità di guadagnare uno stipendio decente, e causare il trasferimento di posti di lavoro nell’industria manifatturiera in Paesi con costi di manodopera più bassi. E ho messo in guardia contro un capitalismo senz’anima che avvantaggia solo i pochi in alto e che contribuisce alla disuguaglianza e a un gran divario tra ricchi e poveri.
“Nella nostra economia globale in cui molto del nostro benessere dipende dagli scambi tra i nostri Paesi, non è possibile tirarsi indietro e alzare il ponte levatoio. Il protezionismo rende le nostre economie più deboli, danneggiando tutti, in partico- lare i nostri lavoratori. Invece, dobbiamo imparare dal passato e fare commercio nel modo giusto in modo che l’economia globale sia in grado di offrire vantaggi a tutta la popolazione e non solo i pochi in alto. Gli imprenditori hanno bisogno di sostegno per aiutare a trasformare le loro idee in un business. Abbiamo bisogno di forti reti di sicurezza per proteggere le persone in tempi di difficoltà . E dobbiamo continuare a lavorare per frenare gli eccessi del capitalismo adottando standard più severi per il settore bancario e in materia fiscale, e una maggiore trasparenza, per aiutare a prevenire le ripetute crisi che minacciano la nostra prosperità condivisa.
“Abbiamo anche bisogno di accordi commerciali di alta qualità come il Trans-Atlantic Trade and Investment Partnership. Anche se l’interscambio tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea sostiene circa 13 milioni di posti di lavoro nei nostri Paesi, ci sono una serie di tariffe e regolamenti diversi, regole e standard che impediscono di aumentare gli scambi, investimenti e posti di lavoro. Eliminando le tariffe e le differenze nelle normative, renderemo il commercio più facile, soprattutto per le nostre piccole e medie imprese. Il TTIP non abbasserà gli standard. Al contrario, alzerà gli standard in materia di protezione dei lavoratori e dei consumatori, tutela dell’ambiente e garantirà una rete Internet aperta e gratuita, elemento essenziale per le nostre economie digitali. Per tutte queste ragioni, gli Stati Uniti rimangono impegnati a portare a conclusione i negoziati sul Ttip, e ciò richiederà la volontà politica di tutti i nostri Paesi”.
Stiamo vincendo la guerra contro l’Isis in Iraq e in Siria? E per quanto riguarda l’“altra” guerra contro l’Isis, la prevenzione di attacchi terroristici all’interno dei nostri Paesi?
“La nostra coalizione continua ad essere implacabile contro l’Isis su tutti i fronti. I raid aerei della coalizione continuano a martellare obiettivi dell’Isis. Continuiamo ad eliminare alti dirigenti e comandanti Isis in modo da impedire loro di minacciarci di nuovo. Continuiamo a colpire le loro infrastrutture petrolifere e reti finanziarie, privandoli del denaro per finanziare il loro terrorismo. Sul terreno in Iraq, l’Isis ha perso oltre la metà del territorio popolato che controllava una volta, e le forze irachene hanno iniziato le operazioni per liberare Mosul. È da più di un anno che l’Isis non è riuscita a portare avanti una grande operazione di successo in Iraq o in Siria. Insomma, l’Isis rimane sulla difensiva, la nostra coalizione è sull’offensiva, e anche se questa continuerà ad essere una lotta molto difficile, io ho fiducia che vinceremo e l’Isis perderà .
“L’Italia è un partner essenziale della nostra coalizione. L’Italia da uno dei più grossi contributi in formatori e consulenti sul terreno in Iraq. I carabinieri italiani stanno addestrando migliaia di poliziotti iracheni che contribuiranno a stabilizzare le città irachene una volta liberate dall’Isis. Inoltre, l’Italia è un partner indispensabile per quanto riguarda la Libia. La diplomazia italiana ha avuto un ruolo importante nel processo che sta portando alla creazione del Libyan Government of National Accord. Gli Stati Uniti e l’Italia stanno lavorando per aiutare il governo libico a rafforzare la sua capacità di respingere le forze dell’Isis e riprendere possesso del suo Paese.
“Detto questo, anche se l’Isis continua a perdere terreno in Iraq, Siria e Libia, ha ancora la capacità di condurre o ispirare attentati, come abbiamo visto nel Medio Oriente, Nord Africa, negli Stati Uniti e in Europa. Prevenire gli individui solitari e le piccole cellule di terroristi che progettano di uccidere persone innocenti nei nostri Paesi rimane una delle nostre sfide più difficili. Anche se all’interno di ognuno dei nostri Paesi si lavora per sventare possibili attentati, dobbiamo fare di più insieme: condividere informazioni e intelligence, prevenire gli spostamenti dei terroristi stranieri e rafforzare la sicurezza alle frontiere”.
A volte sembra che il nostro Paese sia quasi lasciato solo ad affrontare l’emergenza profughi nel Mediterraneo. Come valuta l’importanza della solidarietà europea su questo tema?
“L’Italia è in prima linea nell’affrontare la crisi dei rifugiati, che è una catastrofe umanitaria e un test della nostra comune umanità . Le immagini di tanti migranti disperati, uomini, donne e bambini che affollano piccole imbarcazioni e annegano nel Mediterraneo, sono più che strazianti. L’Italia continua a svolgere un ruolo di leadership. La forza navale europea nel Mediterraneo, comandata dall’Italia, ha salvato la vita di centinaia di migliaia di migranti. Renzi si adopera per arrivare ad una risposta compassionevole e coordinata alla crisi, mettendo in evidenza la necessità di dare assistenza ai Paesi africani dai cui tanti di questi migranti provengono. Molti italiani hanno dimostrato la loro generosità accogliendo i rifugiati nelle loro comunità . Ma come ho detto al vertice dei rifugiati che ho convocato alle Nazioni Unite il mese scorso, poche nazioni in prima linea non possono sopportare da solo questo peso enorme. È per questo che la Nato ha accettato questa estate di aumentare il nostro supporto alle operazioni navali dell’Unione Europea nel Mediterraneo. È il motivo per cui gli Stati Uniti ritengono che l’accordo tra l’Unione Europea e la Turchia sia importante per condividere i costi di questa crisi e garantire un approccio coordinato che rispetti i diritti umani dei migranti e garantisca una politica migratoria ordinata e umana. Ed è il motivo per cui gli Stati Uniti continueranno ad essere il più grande donatore di aiuti umanitari in tutto il mondo. Lo saranno anche nei confronti dei rifugiati con il nostro nuovo impegno di accogliere e reinsediare 110.000 profughi nel corso dei prossimi dodici mesi.
“Data l’enormità di questa crisi, tutto il mondo deve fare di più. Il vertice dei rifugiati del mese scorso è stato un importante passo avanti. Quest’anno più di 50 nazioni e organizzazioni hanno aumentato di circa 4,5 miliardi di dollari i loro contributi all’Onu e alle Ong. Collettivamente le nostre nazioni stanno raddoppiando il numero di rifugiati accolti nei nostri Paesi, arrivando quest’anno a più di 360.000. Aiuteremo più di un milione di bambini rifugiati ad andare a scuola, e aiuteremo un milione di profughi ad ottenere una formazione e trovare un lavoro. Però abbiamo bisogno che ancora più nazioni diano assistenza e accettino più rifugiati. E abbiamo bisogno di riaffermare il nostro impegno verso la diplomazia, lo sviluppo e la tutela dei diritti umani, contribuendo in tal modo a porre fine ai conflitti, alla povertà e all’ingiustizia che portano così tante persone ad abbandonare la propria casa. In questo lavoro cruciale, siamo grati per l’importante collaborazione dei nostri amici e alleati italiani”
Federico Rampini
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 18th, 2016 Riccardo Fucile “CONTRO IL PAPA SI COALIZZANO NOSTALGIE, CHIUSURE CULTURALI E ATTEGGIAMENTI POLITICI”
«Chi ha paura del rinnovamento, non crede al Vangelo». 
Agli oppositori di Francesco che individuano in Putin il difensore della cristianità , l’arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte applica le categorie della «cecità ideologica» e della «nostalgia strumentale».
Nell’inchiesta pubblicata ieri sul La Stampa viene ricostruita la galassia anti-Bergoglio e il presidente della Commissione Cei per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso individua le «storture teologiche» del dissenso al Pontefice della misericordia.
Lefebvriani, ultraconservatori che evocano crociate contro l’invasione islamica, nemici del Concilio e avversari delle aperture pastorali del Papa argentino sulla comunione ai divorziati risposati e sul dialogo con il governo cinese. Lei è stato segretario speciale al recente Sinodo dei vescovi sulla Famiglia, cosa tiene insieme un’opposizione al Pontefice così diversificata?
«L’interesse unificante è il mantenimento dello status quo. Il Vangelo è libertà , rinnovamento, docilità allo Spirito Santo. Non credere al Vangelo induce a scambiare per pericoloso sovversivo chi predica la parola di Gesù. La paura del rinnovamento nasconde la paura dello Spirito Santo che guida la Chiesa. Ma è un fenomeno da ricondurre nelle sue reali dimensioni. E proprio la lezione del Sinodo è utile al riguardo»
Si riferisce alle resistenze interne alle gerarchie ecclesiastiche?
«All’inizio sembrava che la Chiesa fosse spaccata in due e invece alla fine c’è stata una grande maggioranza al Sinodo. La collegialità episcopale ha sconfessato le posizioni estreme di chiusura e di opposizione a un libero confronto».
Al Papa viene addebitata anche l’accoglienza verso i migranti?
«Di fronte a un cambiamento epocale come il fenomeno migratorio, un conto è un atteggiamento di comprensibile preoccupazione, un altro è la negazione ideologica, pregiudiziale e anti-evangelica di qualunque forma di accoglienza. Le migrazioni non sono solo questione di trasferimento di persone. È giusto interrogarsi su come garantire buona integrazione»
Perchè Francesco provoca reazioni accese di dissenso?
«Contro il Papa si coalizzano chiusura culturale, nostalgie, staticità di atteggiamenti ideologici e politici. Invece di abbandonarsi al Dio, frange minoritarie si arroccano. È un’operazione, però, senza prospettive».
La stupisce l’esaltazione del presidente russo Vladimir Putin da parte degli ultratradizionalisti che attaccano papa Bergoglio?
«No. È la dimostrazione che quando prevale la cecità ideologica tutto diventa strumentale e ci si arrampica sugli specchi pur di sostenere le proprie ragioni fino a raggiungere scenari impensabili. Gesù stende le braccia sulla croce ad abbracciare tutti, quindi preghiamo perchè gli oppositori del Papa ritrovino serenità e lucidità per discernere. Soltanto così vedranno quale dono provvidenziale sia questo pontificato».
Giacomo Galeazzi
(da “la Stampa”)
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Ottobre 18th, 2016 Riccardo Fucile COSA CAMBIERA’ PER GLI OLTRE 200.000 CONNAZIONALI CHE LAVORANO LUNGO IL TAMIGI?
Cosa cambierà per chi lavora o punta a lavorare negl Regno Unito, con Brexit? E quanti italiani coinvolge la minaccia di un divorzio traumatico tra Gran Bretagna e Unione europea?
L’Italia è uno dei Paesi che hanno contribuito in modo significativo all’aumento dell’immigrazione comunitaria nel Regno Unito. Un ruolo accresciuto negli ultimi anni: la quota degli ingressi di italiani rispetto ai 15 paesi comunitari originari, è passata dal 15% del 2008 al 25% del 2015.
Nel 2012 gli italiani iscritti all’Aire residenti in Paesi europei erano 2.365.170.
Di questi, coloro che risiedevano nel Regno Unito al 31 dicembre 2012 erano 210.690 persone (8,9%), in maggioranza maschi (55,1%).
Gli effetti della Brexit sui lavoratori sono stati oggetto di una approfondita indagine dell’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro.
Che ha evidenziato anche come il fenomeno della migrazione economica degli italiani sia sempre più scivolata verso le fasce più giovani: se nel primo decennio del secolo emigravano italiani adulti con un’età compresa fra i 25 e i 34 anni, dal 2012 si registra il sorpasso della classe di età più giovane, fino a 24 anni, che anticipa i tempi di migrazioni rispetto alla generazione precedente.
“Molto significativo anche l’incremento nell’ultimo periodo degli over 35 che migrano per ricostruirsi un futuro dopo aver tentato nel paese di origine”, annotano gli esperti.
Nel complesso, nel 2015 vi erano 7,8 milioni di lavoratori comunitari (a 28 stati) che lavoravano in uno Stato europeo diverso da quello di origine.
In Germania sono presenti il maggior numero di occupati comunitari pari a oltre 2,068 milioni di persone. Al secondo posto, con 1,985 milioni di persone troviamo il Regno Unito. Al terzo posto troviamo la Svizzera come paese ospitante di lavoratori comunitari (832 mila circa), seguito dall’Italia con 780 mila lavoratori circa.
Mentre nel 1995 lavoravano nel Regno Unito poco più di 400 mila persone comunitarie, nel 2015 il loro numero è più che quintuplicato raggiungendo la quota di circa 2 milioni.
L’impulso maggiore è stato determinato dall’allargamento dell’Unione Europea ai paesi dell’Est. Infatti, il numero di cittadini dei nuovi paesi membri hanno portato la quota di occupati stranieri dal 5% al 10% del totale degli occupati britannici.
Per analizzare l’immigrazione per cittadinanza nel Regno Unito, lo studio usa il “codice identificativo obbligatorio” NINo, che permette di pagare le tasse e lavorare con contratti in regola, avendo gli stessi diritti di un cittadino britannico.
Con questo, richiesto al Job Centre, il cittadino comunitario in Gran Bretagna può stipulare contratti, partecipare a selezioni o essere inserito in tirocini.
Dal punto di vista della statistica, si tratta quindi di dati di flusso e non tengono conto delle uscite
L’Osservatorio dei Consulenti del Lavoro mette in luce alcuni aspetti rilevanti nella dinamica degli ingressi nel Regno Unito per lavoro.
“In primo luogo, la politica di allargamento degli Stati comunitari ha coinciso con elevati incrementi di ingressi dei cittadini neo-europei”, emerge dallo studio.
Ciò è evidente per i paesi entranti il 1° maggio 2004 che ha portato il numero di ingressi dai 106 mila del 2003 ai 336 mila del 2005. I soli cittadini polacchi hanno fatto registrare dal 2005 al 2013 una media annua di ingressi pari a 130 mila persone, occupando il primo posto per numero di immigrati da paesi europei nello stesso periodo di tempo.
Con l’allargamento del gennaio 2013, si registra un nuovo shock di ingressi determinato principalmente dai romeni che hanno fatto registrare 145.575 nel 2014 e 169.888 ingressi nel 2015, diventando la prima cittadinanza Ue di immigrati economici nel Regno Unito.
Nel complesso il 2015 ha fatto registrare il superamento del limite di 600 mila ingressi annui di cittadini comunitari, pari a oltre sei volte i volumi del 2003.
Ora, però, Brexit pone questioni che non riguardano solo la riduzione della mobilità . Le nuove relazioni che ne deriveranno saranno un colpo “anche a tutti quegli obblighi di mantenimento dei livelli minimi di tutela, ormai diffusi nel mercato europeo e a cui si devono uniformare anche gli Stati non europei.
Le riflessioni si devono estendere, altresì, alla parità di trattamento retributivo e sociale, al sistema di protezione sociale del lavoro somministrato e più in generale a tutti i livelli di tutela che di regola tendono ad evitare il dumping sociale. Effetti a cascata anche su materie di assoluta importanza quali la sicurezza sul lavoro e la protezione della privacy”.
(da “La Repubblica”)
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