Ottobre 30th, 2016 Riccardo Fucile DELINQUENZIALI AFFERMAZIONI DI JOE FORMAGGIO, CACCIATO PERSINO DALLA LEGA E APPRODATO AL PARTITO DELLA MELONI, NONCHE’ SINDACO ANCORA A PIEDE LIBERO DI ALBETTONE
Il sindaco di Albettone (Vicenza) Joe Formaggio, già noto per le sue posizioni estreme in fatto di
immigrazione, ai microfoni de La Zanzara (radio24) le spara grosse: “Da noi negri rischiano la pelle” e avverte: “Se li mandano, Gorino passerà in secondo piano”.
Intervistato da Cruciani e Parenzo il sindaco di Albettone non si risparmia: “Se ce li mandano muriamo le case e le riempiamo di letame. Siamo orgogliosamente razzisti. Non vogliamo negri e zingari, da noi rischiano la pelle — ha aggiunto Formaggio esponente di Fratelli d’Italia non nuovo a frasi choc anche sugli omosessuali -. Esportiamo cervelli e importiamo negri” che “sono meno intelligenti di noi, sono inferiori”.
E contro l’Islam ed una eventuale moschea si dice pronto ad aprire un “grande allevamento di maiali”.
“Se un prefetto manda i profughi qui ad Albettone le barricate di Gorino passeranno in secondo piano — ha sottolineato -. Qui non vogliamo extracomunitari, negri e zingari. Abbiamo un poligono di tiro, il piu’ alto numero di porto d’armi di tutta la regione Veneto. E non vogliamo nessuno che venga a rompere. Da noi rischiano la pelle”.
Attendiamo di sapere dal Ministro degli Interni se è ammissibile che un soggetto che istiga a delinquere sia compatibile con la carica istituzionale che ricopre indegnamente.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Fratelli d'Italia | Commenta »
Ottobre 30th, 2016 Riccardo Fucile IL DELIRIO DEL SINDACO: “CHI COMPRERA’ PIU’ CASA A FICAROLO?”…HA RAGIONE, CON UN SINDACO RAZZISTA COME LUI, NESSUNO SI SOGNEREBBE DI ANDARE A VIVERE IN UNA FOGNA… GLI FA SPONDA ANCHE IL SINDACO LEGHISTA DI ROVIGO E ARRIVA IL CONSULENTE LEGHISTA DI GORINO
Sull’altra sponda del Po, nel comune di Ficarolo (Rovigo), si rischia la replica di quanto avvenuto qualche giorno fa a Gorino, con le barricate della gente per impedire l’arrivo di migranti e richiedenti asilo.
«Abbiate fiducia nelle istituzioni, non siamo degli sprovveduti»: non sono bastate, ieri sera, le parole del prefetto di Rovigo, Enrico Caterino, che si è rivolto direttamente agli abitanti di Ficarolo, durante il consiglio comunale straordinario riunito nel teatro parrocchiale.
Lo aveva indetto il sindaco Fabiano Pigaiani, aperto agli interventi del pubblico, dopo l’annuncio del prossimo arrivo, l’1 novembre, di alcune decine di profughi.
A dimostrazione che non cambia nulla se la Prefettura avvisa a tempo debito la popolazione, quando la protesta è già organizzata dai soliti noti.
“E’ necessaria un’accoglienza diffusa nella provincia — ha cercato di spiegare il prefetto Caterino — a Ficarolo sono in arrivo 70-80 persone. Dobbiamo applicare la legge. Le strutture vengono valutate dalle cooperative. Qui è stato individuato un immobile decentrato, che impatti il meno possibile sulla comunità . E non stiamo parlando di clandestini, nè di delinquenti, ma di brave persone. Il problema deve essere gestito e auspico la collaborazione dei sindaci e della popolazione».
Eppure le rassicurazioni non sono bastate, visto che è stata annunciata la requisizione per sei mesi di un albergo.
Il sindaco Pigaiani (lista civica di centrodestra) ha scritto una lettera durissima: “Egregio Signor Prefetto sono a confermare il disappunto che si traduce in delusione, incredulità ed impotenza. L’amministrazione si sta trovando di fronte a qualcosa di destabilizzante. Cosa ne sarà di quell’albergo tra qualche tempo? E chi vorrà più investire a Ficarolo? Chi comprerà più casa a Ficarolo? Chi uscirà più di sera?”.
E poi ha postato: “Profughi? Solo il 7% ha lo status di profughi, gli altri sono clandestini”( solita balla tipica della Lega, la percentuale di domande di protezione accolte è del 40%, l’anno scorso del 60%…n.d.r.)
A gettare benzina sul fuoco ci ha pensato anche il sindaco di Rovigo, il leghista Massimo Bergamin, che su Facebook ha scritto: “Occupiamo noi l’albergo prima che arrivino i clandestini”.
E ha invitato alla mobilitazione (“10, 100, 1000 Gorino”), invitando a replicare quanto messo in atto a sud del Po (istigazione a commettere un reato… n.d.r.)
Non a caso dal Polesine è stato cercato Nicola Lodi, responsabile sicurezza e immigrazione della Lega di Ferrara, uno degli organizzatori della mobilitazione con barricate in Emilia.
E qui il cerchio si chiude. Il prefetto ha solo perso tempo a stare a discutere con gente in malafede. Lo Stato faccia rispettare la legge: chi blocca le strade va caricato e arrestato. Punto.
(da agenzie)
argomento: denuncia | Commenta »
Ottobre 30th, 2016 Riccardo Fucile DA PIETRO IL GRANDE A STALIN, UNA STORIA DI POLITICA DI POTENZA… I PERICOLI DI UNA STRATEGIA CHE FA LEVA SULLA FRUSTRAZIONE DI UN POPOLO NAZIONALISTA
In una recente corrispondenza da Istanbul per «Le Monde», Marie Jègo ha attirato l’attenzione
sulla singolare iniziativa presa dalla stampa turca filogovernativa, la quale ha pubblicato le carte geografiche dell’Impero ottomano prima della sconfitta nella Grande guerra.
I giornali hanno ricordato all’opinione pubblica interna che Mosul e Kirkuk, nonchè l’intera Siria, un tempo appartenevano all’impero turco.
Un influente commentatore politico, vicino al presidente Erdogan, ha scritto che il Nord dell’Iraq e la Siria debbono considerarsi il cortile di casa della Turchia, così come Putin considera lo spazio della defunta Urss la naturale sfera d’influenza della Russia.
In effetti, vi sono analogie tra i sogni imperiali del sultano di Ankara e i progetti dello zar di Mosca, se non altro per il linguaggio antioccidentale che li accomuna
A lungo Barack Obama e le cancellerie europee hanno sottovalutato i proclami e gli atti imperiali di Vladimir Putin, scorgendovi una rude espressione dell’orgoglio nazionale russo.
Neppure l’invasione e lo smembramento dell’Ucraina, uno Stato sovrano grande come la Francia, hanno aperto gli occhi ai governanti e all’opinione pubblica dell’Occidente. Soltanto adesso Obama e alcuni governi europei, non quello italiano, sembrano aver capito chi è davvero e cosa vuole il signore del Cremlino.
Ma ciò è avvenuto soltanto dopo infiniti segnali inquietanti, dalle provocatorie esibizioni degli aerei militari di Mosca alla montante isteria guerrafondaia in Russia, dalla rozza intromissione nella competizione elettorale americana ai crimini di guerra contro la popolazione civile di Aleppo
Dopo aver intonato spesso un cupo lamento sulla fine dell’Urss, negli ultimi anni Putin è andato annunciando con voce tonante la necessità per la Russia di riarmarsi e di tornare da protagonista sulla scena internazionale.
Aprendo il 5 ottobre i lavori del suo docile Parlamento, egli ha ribadito il diritto storico della Russia ad «essere forte».
Tale messaggio ricorda quanto avvenuto parecchie volte nella storia dell’impero eurasiatico, assurto con Pietro il Grande al rango di potenza europea e mondiale.
Alberto Ronchey coniò la calzante formula di «superpotenza sottosviluppata» per designare i tratti peculiari dell’Urss poststaliniana, pronta a rivaleggiare con gli Usa nella corsa al riarmo, ma incapace di garantire un livello di vita decoroso ai suoi abitanti. L’economia statalizzata destinava le migliori risorse e le più progredite tecnologie al settore militare, garantendo il benessere della casta privilegiata e trascurando i bisogni della popolazione comune
L’odierno capitalismo mafioso e parassitario, che ha sostituito la pianificazione burocratica, ha logorato il vecchio tessuto produttivo, generando stridenti diseguaglianze e diffuse sacche di povertà .
Gli alti prezzi del petrolio e del gas hanno rimpinguato, per alcuni anni, le casse dello Stato. Putin ne ha approfittato per potenziare la capacità bellica del Paese, senza curarsi di ammodernare l’economia e di tutelare i ceti meno abbienti.
Così, oggi la Russia dispone nuovamente di armi sofisticate e altre ne prepara, come il nuovo missile intercontinentale Satan 2; ma carenti restano la tecnologia civile e la medicina.
Ci sarebbero tutti i presupposti per una violenta esplosione della collera popolare, come tante volte è accaduto nella storia russa.
Invece – ecco il miracolo operato da Putin – la gente si stringe intorno al suo zar, sfogando contro l’Occidente frustrazione e rabbia.
Come mai? La risposta si trova nelle parole del giornalista tedesco Christian Neef: «Il patriottismo offre anche ai più umiliati russi della provincia, privi di diritti, un sentimento di superiorità sulle persone che vivono in Paesi di gran lunga più democratici e opulenti. Essi si rallegrano quando Putin fa di nuovo volare sull’Atlantico bombardieri a lungo raggio, e parla giorno dopo giorno di “armi miracolose”; e quando l’Occidente ha di nuovo paura della Russia» («Der Spiegel», 28 marzo 2015)
Perchè un Paese gigantesco, che dopo la fine dell’Urss non è stato invaso nè minacciato da nessuno, non sa utilizzare saggiamente le proprie immense risorse?
Se diamo uno sguardo alla storia, vediamo che il primo grande sforzo produttivo si ebbe all’inizio del Settecento per iniziativa di Pietro il Grande, impegnato nel grande duello con la Svezia per il dominio sul Baltico.
Oltre a introdurre costumi occidentali, lo zar creò in breve tempo un apparato industriale, decuplicando il numero delle fabbriche e manifatture.
Create dallo Stato, esse si reggevano sulle commesse statali, lavoravano per la guerra e adopravano manodopera servile.
Si trattava d’una industrializzazione drogata e diretta dall’alto, volta a finalità belliche e basata su una tremenda pressione fiscale, che esaurì il Paese suscitando malcontento e rivolte.
Inoltre, Pietro consolidò ed estese la servitù della gleba, che in Occidente s’era estinta o stava morendo. Su tali basi egli creò l’impero, assumendo nel 1721 il titolo di imperatore. La Russia divenne una grande potenza espansionistica, dotata d’un temibile esercito e partecipe dei grandi giochi diplomatico-militari. Ma la società russa, al di là della occidentalizzazione di facciata, restava arcaica e arretrata era l’economia
I successori di Pietro ampliarono ulteriormente i confini dell’impero, senza avviare un reale rinnovamento.
Soltanto negli ultimi decenni dell’Ottocento sorse una più solida base industriale e l’influsso europeo si fece maggiormente sentire. Il terremoto del 1917 portò poi alla disgregazione dell’artificioso e anacronistico impero russo.
Ma la «prigione dei popoli» fu in parte ricostruita dai bolscevichi, i quali ne rinnovarono le basi ideologiche, sostituendo alla religione ortodossa e al culto dello zar il messaggio falsamente universale del comunismo, in cui si celava il nocciolo duro dell’imperialismo zarista.
Aggredendo l’Urss nel 1941, Hitler paradossalmente salvò l’impopolare regime comunista, e contribuì enormemente alla mirabolante espansione dell’impero di Stalin.
La Seconda guerra mondiale ebbe un’altra importante conseguenza: la nascita dello spirito patriottico in un Paese i cui ceti popolari prima erano rimasti sordi alla sirena patriottarda e avevano sempre avversato i signori di turno, nobili o comunisti che fossero. Invece, dopo la «Grande guerra patriottica», il culto sciovinistico di Stalin cominciò ad attecchire tra i russi, fieri della marcia trionfale dell’Armata rossa in Europa. Fu allora che si forgiò un’identità nazionale, o meglio nazionalista
La coscienza sciovinistica dei russi andò affievolendosi, fin quasi a scomparire, in seguito alle attese deluse di un benessere economico che non giungeva mai.
Cominciò a diffondersi tra gli abitanti delle grandi città l’ammirazione del livello di vita occidentale, tanto superiore al loro.
La fine dell’Urss portò all’insorgere di frustrazioni e fobie, generate dal peggioramento delle condizioni di vita e dal sentimento d’umiliazione per la perdita, dai russi giudicata iniqua, di territori etnicamente e culturalmente non russi.
Il retaggio della propaganda comunista fece sì che molti cominciassero a rovesciare sugli stranieri la colpa dei loro mali e della loro incapacità , radicata in secolari vicende storiche, di dar vita a una società e a uno Stato moderni e civili.
Putin ha saputo cavalcare per le sue ambizioni imperiali gli umori antioccidentali dei suoi compatrioti. I russi, da sempre alla disperata ricerca d’una identità nazionale, l’hanno oggi trovata nel furore sciovinistico. Ad alimentare una siffatta identità contribuisce grandemente la Chiesa ortodossa di Mosca, alleata del potere politico
La Russia di Putin è ancora, al pari dell’Urss, una potenza sottosviluppata.
Ma vi sono importanti differenze. L’arsenale convenzionale non ha raggiunto il livello dell’epoca sovietica, e il poderoso complesso militare-industriale è solo un ricordo del passato. Ma Putin è popolare, come non lo è stato nessun capo sovietico dopo Stalin, e possiede un terrificante arsenale nucleare.
Mentre la direzione collegiale nell’Urss poststaliniana rappresentava, in fondo, una garanzia contro follie individuali, Putin è solo al comando; e paiono sinistre le sue reiterate minacce di premere il grilletto atomico.
L’angosciosa speranza è che gli Stati Uniti e la Nato sappiano assolvere l’arduo compito di fermare il capo del Cremlino senza mettere a repentaglio la sopravvivenza del genere umano.
Antonio Monteverdi
(da “il Corriere della Sera“)
argomento: Europa | Commenta »
Ottobre 30th, 2016 Riccardo Fucile E’ IL MOMENTO DEI VELENI: IL CAPO (REPUBBLICANO) DELL’FBI E L’INCERTEZZA SULLE RAGIONI DEL SUO INTERVENTO A DIECI GIORNI DAL VOTO
E il “Reality Show” di queste incredibili elezioni americane arriva alla miscela esplosiva finale: e-mail, conflitti di interesse, sesso, menzogne, abusi di potere, depravazioni, sospetti, si intrecciano seguendo un unico filo conduttore, l’incertezza. Incertezza sulle ragioni dell’intervento dell’Fbi a dieci giorni dall’appuntamento alle urne, incertezza sull’esistenza di e-mail che possano davvero inchiodare Hillary Clinton, incertezza sull’esito elettorale.
Incertezza dei mercati. Incertezza dello stesso capo dell’Fbi, James Comey: «Per ora non sappiamo granchè», ha di fatto scritto al Congresso.
Ma la bomba è esplosa lo stesso, facendo schricchiolare l’impianto democratico americano. Non era meglio aspettare?
«Nel dubbio astieniti» dice il vecchio proverbio. Eppure Comey nel dubbio è andato avanti.
Ecco perchè la crisi degli ultimi due giorni oltre che elettorale diventa istituzionale. La separazione dei poteri, cardine di questa democrazia, tutela l’autonomia dell’Fbi in cambio di un paio di contropartite, equilibrio e certezze.
Esattamente il contrario di quel che è successo, Comey non ha solo introdotto improvvisi drammatici elementi di incertezza a dieci giorni dalle elezioni per la Casa Bianca 2016, ma lo ha fatto con una forte impulsività
Per questo sia democratici che repubblicani chiedono i fatti e attaccano l’Fbi.
E fanno bene, perchè un’uscita di questo genere – la diffusione del sospetto e della calunnia senza possibilità di assoluzione o di conferme delle accuse “prima” delle elezioni – non è solo miscela esplosiva, ma abuso di potere.
Trump sa che solo la pubblicizzazione di una e-mail devastante per Hillary potrebbe davvero aprirgli le porte della Casa Bianca. Hillary sa che senza la prova che le e-mail non contengono nulla di nuovo rischia di vedere franare la sua solida maggioranza per vincere la Casa Bianca.
E se vincerà sarà anatra zoppa prima ancora di cominciare. L’unica certezza per ora è che nell’era di Internet dieci giorni sono un’eternità .
Resta un mistero: se Comey non sapeva, come ha confessato al Congresso, perchè non ha atteso l’esito dell’inchiesta, la verifica delle e-mail prima di gettare barili di benzina in uno scenario politico incandescente?
C’è chi dice, come Carl Bernstein, il giornalista che ha denunciato lo scandalo Watergate, che lo ha fatto perchè le prove erano schiaccianti.
Ma può aver anche ceduto alle pressioni di agenti disillusi dopo l’archiviazione del caso contro Hillary in luglio.
Sappiamo che Comey è stato attaccato all’interno. Sappiamo che è repubblicano. Ma sappiamo anche che è al di sopra di ogni sospetto di parzialità , per questo Obama lo ha scelto.
E allora? Per Comey forse ha prevalso la difesa dell’integrità e dell’autonomia del suo Bureau, la necessità di tirare dritto proprio per tutelare la separazione dei poteri ex post.
Ma l’autonomia istituzionale chiede responsabilità al servizio del Paese.
Che la sacrosanta separazione dei poteri abbia invece portato a irresponsabilità e al disservizio per gli americani, la dice lunga sulla crisi delle democrazie occidentali.
Mario Platero
(da “il Sole24ore”)
argomento: Esteri | Commenta »
Ottobre 30th, 2016 Riccardo Fucile REFERENDUM: IL NO AVANTI DI 4 PUNTI, MA GLI INDECISI SONO ANCORA TROPPI
Il clima politico è acceso. Da un solo fuoco: il referendum sulla riforma costituzionale che avrà luogo il
prossimo 4 dicembre.
Il sondaggio condotto nei giorni scorsi da Demos riflette, dunque, un sentimento che definirei di sospensione.
Da un lato, gli orientamenti politici riproducono le tendenze dell’ultimo periodo. Le stime di voto, come nella rilevazione precedente, delineano un sostanziale equilibrio, fra Pd e M5S.
Con un lieve vantaggio del Pd, nel voto proporzionale, e del M5S, nel ballottaggio.
In entrambi i casi, la distanza è molto ridotta. Tanto da non permettere previsioni.
Il centrodestra vede Forza Italia in aumento e una Lega per la prima volta sotto il 10%, con Fdi in calo al 4,2
D’altra parte, però, le intenzioni di voto, in merito al referendum, il No supera il Sì.
Di stretta misura, in effetti: 4 punti. Anche perchè gli incerti sono ancora molti.
E la quota dei potenziali astenuti – nascosti, fra l’altro, nelle mancate risposte – ancora molto elevata.
Si tratta di un orientamento osservato da altri già da qualche mese.
Il sondaggio dell’Atlante Politico di Demos rende evidente un processo di personalizzazione del voto.
Solo un quarto degli elettori – intervistati – ritiene, infatti, che l’obiettivo del referendum sia di riformare oppure mantenere l’attuale Costituzione.
Mentre una maggioranza molto larga – 57% – pensa che si tratti di una consultazione a favore oppure contro Renzi e il suo governo.
Ed è probabile, dunque, che, a sua volta, voterà seguendo la stessa logica.
I caratteri che accompagnano il voto, d’altronde, sono piuttosto chiari.
Il favore per la riforma è più largo nel Nord (dove, peraltro, prevale il No) e nelle “regioni rosse” del Centro.
Mentre l’opposizione cresce soprattutto fra i più giovani.
Ma la discriminante delle scelte rispecchia soprattutto le preferenze politiche ed elettorali.
Il sostegno alla riforma costituzionale, infatti, raggiunge il livello più elevato fra gli elettori del Pd e, in secondo luogo, della nebulosa centrista (Ncd e dintorni).
Il fronte del No, simmetricamente, mobilita gli elettori della forza-leghisti e del M5S. Non per caso lo spartiacque riproduce il giudizio sul governo.
Fra chi ne ha fiducia, i favorevoli alla riforma raggiungono il 60% e i contrari si fermano al 13% (il resto è avvolto dalla nebbia dell’incertezza).
Mentre fra chi esprime sfiducia verso il governo il peso del No è perfino più ampio: 62%.
Difficile, dunque, pensare che l’esito del referendum non produca conseguenze significative sulla posizione e sulla legittimazione di Renzi. E del suo governo.
Non per caso oltre metà degli italiani pensa che, in caso di vittoria del No, il premier si dovrebbe dimettere.
Non solo, ma la maggioranza degli elettori ritiene probabile che dopo il referendum il Pd si dividerà . È ciò che pensano, fra l’altro, oltre 4 elettori del Pd su 10.
Più che di fratture reali si tratta, in effetti, di conflitti d’opinione. Prodotti e amplificati dalle polemiche accese che attraversano il partito, al suo interno.
Dove alcuni autorevoli leader, come Bersani e D’Alema, si sono espressi – e operano – apertamente per il No.
Così, si riproduce, con maggiore evidenza, l’immagine di due Pd – sempre più distanti e distinti fra loro.
Da un lato il “Pd delle origini”, che riassume tradizioni e organizzazione dei partiti di massa.
Dall’altro il Pd-di-Renzi, un partito “personalizzato” e sempre più “personale”. Tuttavia, la “marcia del referendum” pare stia producendo – e abbia prodotto – un esito diverso delle previsioni.
Più che accentuare le divisioni interne fra gli elettori, ha, invece, compattato il Pd intorno alle posizioni e alla persona del leader-premier.
Circa 3 elettori del Pd su 4 affermano che voteranno Sì alla riforma costituzionale. E 9 su 10 manifestano fiducia nel governo (guidato da Renzi).
Intanto, la stima personale nei confronti di Renzi appare stabile, mentre la considera- zione verso gli oppositori interni – del premier e della riforma – cala sensibilmente. Bersani, nell’ultimo mese, perde 3 punti. D’Alema 6. E finisce sotto il 20%.
Le divisioni e i conflitti nel Pd, dunque, sembrano coinvolgere e dividere i gruppi dirigenti e i militanti, più che la base elettorale.
La campagna del referendum, invece, pare aver contribuito a rafforzare l’identità “personale” del Pd. A sovrapporre il PdR al Pd. Fino quasi a farli coincidere. Ha, inoltre, radicalizzato il confronto. Fra il No e Renzi. Senza alternative.
Così, è facile prevedere che l’esito del voto, il prossimo 4 dicembre, avrà un impatto rilevante sulla politica italiana. Sul destino del governo e del premier. Sul futuro del Pd e del PdR.
Dopo, di certo, nulla – o quasi – sarà come prima.
(da “La Repubblica”)
argomento: Referendum | Commenta »
Ottobre 30th, 2016 Riccardo Fucile SE NON NE HA BISOGNO ESCA DALLA UE E RINUNCI AI MILIARDI CHE FOTTE AI GOVERNI OCCIDENTALI
E tre. Per la terza volta in pochi giorni, arrivano insulti all’Italia dal governo nazionalconservatore ed euroscettico del premier ungherese Viktor Orbà n.
Per inciso quel che è peggio, con dubbio gusto, la terza bordata è arrivata più o meno in contemporanea con il terremoto.
È toccato di nuovo al ministro degli Esteri magiaro, Pèter Szijjà rtò, lanciare gli attacchi. In quella che ormai appare una escalation pianificata per scelta ben consapevole, una escalation di attacchi alla Ue e al governo di Matteo Renzi. “L’Ungheria non ha bisogno dell’obolo o dell’elemosina degli italiani”, ha dichiarato il capo della diplomazia magiara.
E poi, tanto per rincarare la dose di cortesia, ha aggiunto: “Tra l’altro molti imprenditori italiani si sono arricchiti a casa nostra, col lavoro dei nostri connazionali, da quando l’Ungheria è entrata nell’Unione europea”.
Dimenticando un dettaglio: che quei lavoratori, senza gli investimenti di qualche imprenditore italiano, girerebbero ancora con le pezze al culo grazie a Orban e ai suoi gerarchetti collusi.
Pochi giorni fa, era stato sempre Szijjà rtò a sparare a zero sulle critiche mosse a Budapest sia dal governo italiano, sia da altri esecutivi dei ‘paesi pagatori’ dell’Unione. Cioè Stati come Germania, Olanda, Francia, Italia, Svezia che contribuiscono al bilancio e alle risorse dell’Unione pagando più di quanto non ricevano in cambio dalla Ue.
In quanto, in base ai trattati europei, i membri più antichi dell’Unione, quelli più prosperi, dalle economie più possenti, e che poi hanno avuto un dopoguerra democratico e di sviluppo economico – aiutato nel caso di Germania, Francia, Italia e altri – dal Piano Marshall, il colossale programma Usa di aiuto alla ricostruzione dell’Europa libera – è giusto che contribuiscano ad aiutare i ‘paesi riceventi’.
Cioè i paesi più poveri, come Grecia, Portogallo e i paesi entrati più tardi nella Ue dopo la fine dell’Impero del Male sovietico sotto cui avevano sofferto mezzo secolo o quasi di sfruttamento coloniale da parte di Mosca e di malgoverno assoluto dell’economia.
Poi era intervenuto, nella sua consueta intervista ‘addomesticata’ di fine settimana alla radio pubblica, il premier Orbà n in persona.
Con attacchi ancor più personali, pesanti e volgari contro il presidente del Consiglio. Come è noto l’Ungheria di Orbà n è il capofila del gruppo di Visègrad, che comprende Cechia, Polonia, Slovacchia e Ungheria.
Cioè i governi del centroest della Ue schierati duramente – e su questo ispirati e istigati soprattutto da Orbà n – sulla linea del rifiuto delle quote di ripartizione di migranti tra Paesi membri volute dalla Commissione europea per ripartire costi e problemi in modo solidale.
In altre parole: al governo Orbà n (e ai suoi alleati) la Ue va bene come fonte di fondi di coesione, aiuti, sovvenzioni, senza i quali la crescita economica e i conti sovrani di quei Paesi non starebbero certo nello stato di buona salute attuale.
Ma l’Europa come alleanza ispirata a solidarietà e valori comuni, la rifiuta.
Dopo la figuraccia del referendum da lui promosso contro le quote di ripartizione di migranti che ha visto una partecipazione al voto risibile, inferiore al 50 per cento. Quindi non valida, nonostante la martellante e incontrasta propaganda governativa.
La quale prima del referendum era giunta a insultare l’Europa occidentale definendo ‘no-go zones’, cioè aree pericolose dove è meglio non recarsi, città come Copenhagen e Nizza, Parigi e Londra, e molte altre metropoli-locomotiva di economia, politica e cultura europee.
Se a costoro fanno tanto schifo gli italiani se ne tornino nel loro Paese: in Italia abbiamo 8.034 ungheresi, 8.505 slovacchi, 97.986 polacchi e 5.805 cechi, per un totale di 120.330 soggetti da rispedire a casa con foglio di via.
Fino al giorno che non comprenderanno che al mondo si sta anche per dare non solo per ricevere.
(da agenzie)
argomento: Europa | Commenta »
Ottobre 30th, 2016 Riccardo Fucile BANDIERE, RAGAZZI CON T.SHIRT PER IL SI’, FAMIGLIOLE, GIOVANI E VECCHI: IL POPOLO DEL PD IERI IN PIAZZA
Una piazza elegante, si direbbe, e con la partecipazione straordinaria del vintage: un paio di copie
dell’Unità spuntano dalle tasche delle giacche e un gruppo musicale di Terni, tutte donne, intona canti socialisti e chiude con una Bella Ciao lenta e suggestiva, un ben scandito «oh partigiano» che fa subito pensare male – oh velenosi! – a proposito di partigiani veri e finti.
Ma poi non è soltanto una posa, niente è più sorprendente della realtà specialmente se incarnata da un uomo con berretto alla Lenin e baffi alla Stalin.
Si chiama Fausto Malinverno, ha 84 anni è di Milano e si consiglia a Matteo Renzi di contattarlo perchè è uno sbalorditivo spot vivente.
Il racconto di Malinverno, seduto su una delle poche panchine di piazza del Popolo: «Mi sono iscritto al Pci nel 1946, avevo quattordici anni. Come tutti i ragazzi della mia età ero felice per la fine del fascismo e l’inizio della democrazia, e il simbolo di questa rinascita era la Costituzione. Quanto l’ho amata! Ma è da sciocchi pensare che una cosa bella sia bella per sempre. A un certo punto può rivelarsi inadeguata, bisognosa di aggiustamenti e così è la Costituzione. Soltanto uno che ragiona male può considerarla intoccabile. Ma penso che ci sia di più: è il cadreghìn che ghè piass a quelli del No, altro che la democrazia, è la poltrona, è lo stipendio. Via, tutti a casa. E pensare che li ho anche votati. Il Bersani due volte, il Cuperlo una, il Renzi mai ma adesso voto sì e alla prossima voto anche il Renzi. La cosa che mi piace di più della riforma? La fine del bicameralismo, ‘sto ping pong, non se ne può più. E io me li ricordo i discorsi nel partito: era ancora un giovanotto e già si parlava di bicameralismo da aggiustare, poi s’è mai fatto niente. Stavolta è quella buona».
Malinverno non è l’unico.
Sentite quest’altra signora, Edy Simonini, settantuno anni, segretaria del circolo San Marco Pontino di Livorno. Lei nemmeno lo chiama circolo, lo chiama ancora sezione, «mi piace di più».
È una che si emoziona se pensa alla bandiera che conserva la città , una bandiera del congresso del ’21, quello della prima di una strepitosa serie di scissioni a sinistra, «ed è una bandiera che hanno tenuto in mano Gramsci e Togliatti».
Comunque, Edy si lancia in un discorso di fiamma, basta coi cinque stelle, basta coi senatori eletti, quelli previsti dalla riforma saranno di meno e con stipendio già pagato, basta col bicameralismo paritario e così via.
E al circolo la minoranza lei non ce l’ha? «La minoranza? Sono io la minoranza! Alle ultime primarie ho votato per Cuperlo. E guadate che non sono qui per Renzi, sono qui per la riforma. La aspetto da sempre, la voglio, a tutti i costi».
Bè, non vorremmo però avervi dato l’impressione di una piazza infocata.
Per niente, tutti perfettini, con le loro belle bandiere distribuite all’ingresso, i ragazzi con le t-shirt #bastaunsì, le spillette, i gruppetti, le famigliole, i giovani e i vecchi in un dosaggio da barman, nessuna iniziativa estemporanea.
È l’organizzazione, per cui stavolta la piazza era persino pienotta, e pronta e esibire una competenza insolita.
Del resto vengono tutti o quasi dai circoli, come Simone Giglioli, 37 anni, segretario a San Miniato in provincia di Pisa, molto nemico del bicameralismo paritario ma anche del titolo V, quello riformato nel 2001 e che conferì alla Regioni poteri così mal esercitati.
«Ma questa riforma è una ovvia opera di manutenzione della carta, non è uno stravolgimento», dice Giglioli.
Però qualcosa doveva pur sfuggire a un simile rigore e non si dice tanto di Tamara, 24 anni, giordana, a Roma per studiare design, che alla domanda sul referendum risponde: «Referendum? Non so nulla».
Eppure è lì con la sua bandiera. «Mah, me l’hanno data». E che sta qui a fare? «C’è la musica, c’è il sole, gente allegra, perchè no?». In fondo ci sta.
Piuttosto diciamo di un delizioso terzetto di ragazzi fra i 20 e i 23 anni che viene da Castelfranco Veneto, Treviso.
Riccardo Pellizzon è il più saggio, dice che la riforma è un passo in avanti, «perfettibile, nel senso che non sappiamo quanto funzionerà , e se non funzionerà abbastanza bene la aggiusteremo».
Alessandro Marcìa è il più silenzioso. Matteo Benetton il più stravagante: «Io per esempio ridurrei i deputati, ne bastano dieci». Dieci? «Dieci». Dopo un po’ torna: «Forse ho esagerato, diciamo cento». Ok, vada per cento.
Mattia Feltri
(da “La Stampa”)
argomento: Partito Democratico | Commenta »
Ottobre 30th, 2016 Riccardo Fucile PIOGGIA DI CRITICHE E INSULTI, ALLA FINE LO CAMBIA… IL PARTITO: “NON CI RAPPRESENTA”… MA IN PARLAMENTO QUESTI ELEMENTI LI AVETE PORTATI VOI
Non era passata nemmeno un’ora dalla fortissima scossa che ha colpito il Centro Italia, vicino a Norcia, che la grillina Enza Blundo ha deciso di parlare e di dar voce alla teoria complottista secondo cui le autorità ‘guidano’ la magnitudo dichiarata di un sisma per non risarcire le vittime.
“Il Tg1 apre dichiarando una scossa di 7.1 e poi la declassa a 6.1! Ancora menzogne per interessi economici del governo”, scrive la Blundo come dimostra questo screenshot.
Poi Blundo deve essersi resa conto di ciò che aveva detto, e ha cambiato il suo post aggiungendo anche la solidarietà con le popolazioni colpite, che è diventato: “Il Tg1 apre dichiarando una scossa di 7.1 e poi la declassa a 6.1! Quello che mi preoccupa è la finzione mediatica, perchè può fare danni maggiori del sisma stesso! Massima solidarietà e vicinanza per tutti coloro che sono stati danneggiati”.
Va ricordato che, riguardo alla teoria che la magnitudo viene abbassata per ridurre i costi economici per il governo e che fa riferimento a un decreto varato da Monti nel 2012, i risarcimenti non vengono calcolati sulla magnitudo (scala Richter) ma sui danni (scala Mercalli).
Le parole della senatrice Blundo hanno sollevato reazioni nel mondo politico e sui social.
Oltre alla pioggia di critiche è arrivata anche una presa di distanza da parte dei pentastellati.
“Il post pubblicato dalla senatrice Enza Blundo non rappresenta in alcun modo il pensiero dei gruppi parlamentari M5S di Camera e Senato e dell’intero Movimento”, hanno fatto sapere i capigruppo M5S di Camera e Senato Giulia Grillo e Luigi Gaetti. “A seguito del violento terremoto che stamane ha colpito nuovamente il centro Italia, ribadiamo la nostra vicinanza alle persone colpite e sentiamo con forza il senso di responsabilità a cui tutti siamo chiamati”, hanno aggiunto Grullo e Gaetti.
Esposito: “Neanche dramma ferma follia senatrice m5s”.
“Ma neanche il dramma di migliaia di nostri concittadini ferma la follia di questa senatrice del #m5s basta basta basta”. Lo scrive su twitter il senatore pd Stefano Esposito, commentando il post.
Bonaccini: “Si vergogni”: “Blundo senatrice m5s si vergogni di tale indecenza. In Emilia danni case e imprese risarciti al 100% e terremoti del 2012 furono 5.9 E 5.8”, ha scritto su Twitter Stefano Bonaccini, presidente Regione Emilia Romagna
Marcucci: “Fandonie e cattivo gusto”.
Dello stesso tenore anche la dichiarazione a caldo del senatore Pd Andrea Marcucci: “Sono parole vergognose quelle scritte dalla senatrice Enza Blundo, a pochi minuti di distanza da una scossa violentissima di terremoto.Per la seconda volta un parlamentare m5s si distingue per le fandonie ed il cattivo gusto, commentando a caldo una tragedia”.
Tidei (Pd):”Strumentalizazione senza limiti”.
Sdegnata la reazione della deputata del Pd, Marietta Tidei. “La senatrice parla di terremoti addomesticati per non risarcire i danneggiati al 100%: la strumentalizzazione dei 5 Stelle non conosce limiti neppure di fronte al dolore delle popolazioni che stamattina si sono risvegliate in un nuovo incubo dopo quello degli scorsi giorni”.
Mentana: “Non speculiamo sulla pelle della gente”.
“Purtroppo puntuale è ricominciato il balletto sulla magnitudo “abbassata ad arte per non risarcire” – scrive su Facebook Enrico Mentana, direttore del tg di La7 -. Bufala già smontata qui dopo il terremoto del 24 agosto. Non speculiamo sulla pelle della gente, per favore. Spiace vedere che ci è cascata anche una senatrice, Enza Blundo del M5S. Crollano meraviglie della nostra storia, si temono perdite umane, centinaia di migliaia di persone non dormiranno più a casa loro per chissà quanto tempo. Le fesserie possono attendere, se proprio non si riesce a farne a meno”.
Ascani (Pd): “Porta rispetto”.
“Cancella questo tweet e porta rispetto alla nostra terra e alla nostra gente”, scrive la deputata Pd Anna Ascani.
Chi è.
Enza Bludo, maestra elementare di 52 anni, è nata a Castel di Sangro ed è stata eletta senatrice nelle liste del Movimento 5 Stelle nel 2013. In passato è già stata protagonista di episodi controversi: nello scorso agosto, pochi minuti dopo il voto con cui l’Aula di Palazzo Madama aveva deciso di dare il via libera all’arresto del senatore Stefano Caridi di Gal, l’esponente pentastellata aveva postato un tweet in cui attaccava il capogruppo del Pd alla Camera Luigi Zanda: “Abbiamo votato per consegnare il Senatore Caridi alla magistratura, in attesa di consegnare tutti gli altri corrotti a partire da Zanda”.
Dopo l’indignata reazione di molti esponenti del Pd la senatrice aveva cancellato il tweet ed era intervenuta in aula per porgere le proprie scuse al capogruppo dem.
Alla ripresa dei lavori ha preso la parola per definire il tweet “ambiguo” in cui, è vero, era citato Zanda anche se “assolutamente non era riferito a lui”.
(da agenzie)
argomento: Grillo | Commenta »
Ottobre 30th, 2016 Riccardo Fucile SISMA MAI COSI FORTE DAL 1980
La scossa di terremoto nel centro Italia registrata questa mattina alle 7.40 e’ una delle piu’ forti
dell’ultimo secolo in Italia, sicuramente quella con la magnitudo maggiore dal 1980, anno del terremoto in Irpinia, a oggi, surclassando persino il sisma dell’Aquila del 2009. Per ritrovare una magnitudo di 6.5, registrata oggi dall’Ingv, bisogna andare per l’appunto al 1980, quando una scossa di identica magnitudo devasto’ i comuni tra il Vulture e l’Irpinia causando oltre 2.900 vittime.
Il terremoto dell’Aquila, pur cosi’ distruttivo, aveva una magnitudo leggermente inferiore, pari a 6.3.
Altri terremoti di potenza intorno al grado 6 negli ultimi decenni furono quello in Molise (2002), con magnitudo 5.8, in Pianura Padana (2012) di magnitudo 5.9 e quello di pochissimi giorni fa, sempre tra Umbria e Marche, con magnitudo 5.9.
“Ogni volta che si sviluppa un terremoto lungo una superficie di faglia, la zona ipocentrale si scarica (rilassamento) e vengono caricati i volumi adiacenti (lateralmente) alla faglia stessa. Tali volumi, sottoposti ad un nuovo stato di stress, possono cedere (rompersi) e generare terremoti a loro volta. Sono processi di propagazione laterale della sismicità (contagio) relativamente frequenti, già osservati in altre aree sismiche della Terra come per esempio in Turchia, California e Haiti. Questo processo sta coinvolgendo l’Appennino centrale in questi mesi”.
Lo spiega in una nota l’Istituto di geologia ambientake e geoingegneria del Consiglio nazionale delle ricerche.
“Il terremoto – viene puntualizzato – si è spostato da Amatrice verso nord, nell’area di Visso e Ussita, e da questi luoghi oggi nuovamente verso sud nell’area di Norcia, dove il terremoto di Amatrice di agosto si era arrestato. Gli intervalli di tempo tra un terremoto forte ed una altro forte adiacente possono essere di anni o decine di anni, ma anche giorni o mesi come sta accadendo oggi in Appennino centrale.
Purtroppo – sottilinea l’Igag-Cnr – non siamo in grado di prevedere quando e come tale sequenza sismica andrà a scemare, nè possiamo in linea teorica escludere altri terremoti forti come e più di quelli avvenuti fino ad oggi in aree adiacenti a quelle colpite in questi mesi. Va però detto che se da una parte questa sequenza è fortemente preoccupante, dall’altro lato la propagazione laterale fa sì che si verifichino una serie di terremoti forti ma non fortissimi. Molto peggio sarebbe se tutti questi segmenti della facomunicaglia (Amatrice, Visso, Norcia) si fossero mossi tutti insieme generando un terremoto di magnitudo almeno 7.0”.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: terremoto | Commenta »