Novembre 30th, 2016 Riccardo Fucile
LA NOVITA’ SAREBBE CHE TRE QUARTI DEI 100 NUOVI SENATORI POTREBBERO ESSERE ELETTI DIRETTAMENTE DAI CITTADINI CONTESTUALMENTE AL RINNOVO DEI CONSIGLI REGIONALI
Ieri il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha finalmente rivelato all’Italia — a soli cinque giorni dal referendum costituzionale — in che modo il Governo prevede si svolgeranno le elezioni del nuovo Senato.
La faccenda è interessante perchè solo di recente il Partito Democratico si è accorto dell’esistenza di un disegno di legge presentata il 20 gennaio 2016 dai senatori Dem Federico Fornaro e Vannino Chiti recante Norme per l’elezione del Senato della Repubblica.
La riforma della Costituzione infatti non specifica la modalità con la quale verranno eletti (i sostenitori del No dicono “nominati”) i nuovi senatori.
La riforma ha abrogato infatti l’articolo 58 della Costituzione, che prevede che i senatori siano eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età .
Inoltre nuovo articolo 57 della Costituzione stabilendo la composizione del nuovo Senato da 95 senatori (più cinque eventuali senatori nominati dal Presidente della Repubblica) specifica che i nuovi senatori dovranno essere eletti tra i componenti dei Consigli Regionali (e dei Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano):
Il Senato della Repubblica è composto da novantacinque senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da cinque senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica. I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori fra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, fra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori
Il fatto che non ci sia ancora una legge elettorale (chiamiamola così per semplicità ) per il nuovo Senato non è di per sè uno scandalo, perchè il comma 6 dell’art. 57 prevede appunto che una legge che regolamenti le modalità di elezione dei componenti del Senato delle Autonomie venga approvata da entrambe le Camere:
Con legge approvata da entrambe le Camere sono regolate le modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato della Repubblica tra i consiglieri e i sindaci, nonchè quelle per la loro sostituzione, in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale o locale. I seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio.
Fermo restando che fino all’approvazione di una legge che regoli l’elezione dei senatori rimangono valide le disposizioni transitorie della riforma Renzi Boschi e quindi i senatori saranno eletti “direttamente” dai Consigli Regionali esiste una proposta di legge per rendere i cittadini partecipi dell’elezione dei nuovi senatori. Questa proposta proviene dalla minoranza PD, e pare che in questi ultimi tempi l’orientamento della maggioranza del partito (che invece voleva i senatori eletti con elezioni di secondo livello) sia quella di farla propria.
Del totale dei cento senatori, tolti i cinque di nomina presidenziale, sappiamo che i sindaci senatori saranno 21 (uno per ogni Regione e uno ciascuno alle Province autonome di Trento e di Bolzano) e che verranno scelti direttamente dai Consiglieri Regionali.
Con circa un quarto dei senatori “nominati” (a proposito con il nuovo Senato quelli scelti dal Presidente della Repubblica “pesano” di più) restano quindi 74 senatori da scegliere tra i Consiglieri Regionali, ma in che modo?
Il disegno di legge Chiti prevede l’adozione del collegio uninominale di lista “con un unico candidato collegato a un raggruppamento regionale e attribuzione dei seggi con metodo proporzionale” con la ripartizione dell’Italia in 74 collegi elettorali e ogni regione ne potrà avere uno (o più) in proporzione alla popolazione residente (ad eccezione delle Province autonome di Trento e di Bolzano).
In pratica — ed è quello che ha detto Renzi ieri durante il suo MatteoRisponde, al momento delle elezioni regionali agli elettori verranno consegnate due schede, una per l’elezione del Consiglio Regionale, l’altra per l’elezione del Consigliere da mandare al Senato.
Il consigliere (o i consiglieri) che prenderà più voti verrà eletto al Senato, ma solo se sarà eletto in Consiglio Regionale altrimenti rimarrà a casa.
L’adozione di questa prospettiva da parte di Renzi è una discreta novità , frutto di un cambio di rotta in Direzione PD ad ottobre in appoggio alla bozza Fornaro-Chiti.
Fino ad ora il Presidente del Consiglio infatti non aveva ancora spiegato come verrà eletto il Senato delle Autonomie.
Del resto la proposta di Chiti e della minoranza Dem e potrebbe non essere approvata perchè non è chiaro quale maggioranza (i voti del PD non bastano) potrebbe sostenerla.
La trovata di Renzi potrebbe servire anche a convincere la minoranza Dem ad appoggiare convintamente la riforma, già il 20 gennaio il senatore Paolo Corsini (uno dei firmatari del ddl Chiti) diceva: «Sia chiaro che il nostro sì al referendum non è incondizionato. Dipende da come il governo e il Pd accoglieranno questa nostra proposta…Anche perchè non sarà facile sconfiggere il fronte del No che già assomiglia al TCR (Tutti contro Renzi) ».
Ci sono poi alcune criticità specifiche della proposta.
A partire dal modo in cui i candidati consiglieri designati ad andare al Senato verranno scelti dai singoli partiti (primarie o scelta della direzione), il fatto che nella scheda mostrata da Renzi ci sia un solo nome per ogni partito fa capire che gli elettori non potranno scegliere fino in fondo chi votare.
Ma innanzitutto c’è il problema di un’eventuale incostituzionalità della norma salvata solo in parte dal comma 5 del nuovo articolo 57 che dice che l’elezione dei consiglieri senatori dovrà avvenire «in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge».
La riforma costituzionale ha abolito l’elezione a suffragio universale dei Senatori mentre la proposta avanzata da Chiti (e la scheda mostrata ieri da Renzi) sembra andare di nuovo verso l’elezione dei senatori a suffragio universale anche se formalmente a nominare i senatori sarà il Consiglio Regionale in base all’indicazione proveniente dalle urne
Come per l’elezione dei deputati il ddl Chiti prevede che partecipino alla scelta tutti i cittadini che hanno compiuto il diciottesimo anno d’età e che ad essere eleggibili siano solo i cittadini che hanno compiuto il venticinquesimo anno di età (articolo 8 della proposta di legge) cosa che non è però specificata dalla nuova Costituzione che ha abrogato anche il limite d’età per essere eletti al Senato (che era a quarant’anni).
A questo va aggiunto inoltre che il nuovo Senato dovrà rappresentare i Consigli Regionali e non gli elettori (per questo i renziani spingono per un’elezione di secondo livello, più aderente al nuovo dettato costituzionale).
C’è poi la questione della proporzionalità : la riforma prevede che ogni Regione non possa avere meno di due senatori in molte regioni (quelle meno popolose) dal momento che un senatore verrà scelto tra i sindaci eleggeranno un solo senatore. In questo modo però non verrà rispettato il criterio della proporzionalità rispetto alle decisioni degli elettori di quella singola regione (ma non sarebbe nemmeno con qualsiasi altro sistema visto che un solo eletto rappresenta semmai l’espressione della maggioranza politica al governo in quella Regione).
Nelle altre Regioni, fa notare Alessandro Gilioli, la situazione è ancora più complessa perchè la proporzione in oggetto è quella “si stabilisce che i consigli regionali, eletti con il maggioritario, sceglieranno i senatori con il proporzionale, cioè in base alla proporzione tra i gruppi eletti con il maggioritario“.
Così come per i consiglieri-senatori anche il mandato dei sindaci-consiglieri sarà infine legato alla durata del Consiglio Regionale che li ha nominati.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 30th, 2016 Riccardo Fucile
CROLLA IL FALSO MITO DELLA DIVERSITA’ DEI CINQUESTELLE, GIUSTIZIALISTI SOLO A PAROLE
Pensare di chiudere il pasticciaccio brutto delle firme false con la “sospensione cautelare” di tre deputati e di un’attivista del Movimento 5 Stelle sarebbe come tentare di sigillare la crepa di una diga con il silicone.
Ed è una crepa che si allarga ogni giorno di più, man mano che cresce il divario tra il prima e il dopo, ovvero tra il giustizialismo fondamentalista nel quale Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio hanno gettato le fondamenta di un movimento che ha come slogan “O-ne-stà , o-ne-stà “, e il garantismo alle vongole di questi giorni.
Una crepa dalla quale appaiono le scene grottesche di quei deputati paladini della legalità a tutti i costi che, arrivati davanti al magistrato, si rifiutano di fare il test della calligrafia e balbettano, come un qualsiasi ladruncolo preso con le mani nel sacco, la formula standard di chi sa che ogni sua parola potrà essere usata contro di lui: “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere”.
La differenza tra il prima e il dopo, tra i grillini che assaltavano il Palazzo e quelli che vi sono entrati, passa per due frasi- bandiera.
La prima è di Luigi Di Maio, che un anno fa – invocando le dimissioni della ministra Boschi – ammetteva a Libero di essere un giustizialista convinto: “Non sono a favore della presunzione d’innocenza: se uno è indagato deve lasciare, lo chiedono gli elettori”.
La seconda è di Virginia Raggi che, quando la sua assessora di fiducia Paola Muraro è stata indagata dalla Procura di Roma, ha sostenuto la tesi diametralmente opposta: “Gli avvisi di garanzia vanno valutati caso per caso”.
Purtroppo non bastano la faccia da bravo ragazzo di Di Maio o la vis oratoria da Bar Sport di Alessandro Di Battista (“Le firme false sono solo copiate”) a placare i dubbi che diventano rabbia dei militanti pentastellati che – almeno fino a ieri – credevano ciecamente nella promessa messianica di Grillo di una politica pulita dove tutti discutono amichevolmente, poi votano le leggi sulla Rete e mandano a governare i loro “portavoce” e i loro sindaci, che naturalmente sono onesti per definizione ed entrano nelle stanze dei bottoni per bonificarle con il ddt della Casaleggio Associati.
La realtà , purtroppo, si sta rivelando un po’ diversa, e sorvolando su quel capogruppo di Alessandria beccato mentre rubava negli armadietti della palestra, il numero degli amministratori pentastellati finiti sotto inchiesta o accusati di violare le regole del Movimento è cresciuto di mese in mese.
E ora, dopo le acrobazie dialettiche alle quali Grillo è stato costretto per difendere le imbarazzanti nomine della sindaca di Roma, la storiaccia di Palermo ha messo i Cinquestelle con le spalle al muro: può essere ancora difeso chi si rifiuta di dare una prova calligrafica, chi invoca davanti al magistrato – nella terra dell’omertà – il diritto a rimanere in silenzio?
Naturalmente no, perchè tutto questo sarà pure previsto dal codice di procedura penale, però fa crollare in un colpo solo il falso mito della “diversità ” dei Cinquestelle, giustizialisti a parole e azzeccagarbugli nella realtà .
E basta dare un’occhiata all’ironia che si scatena su Facebook, dove Nuti è diventato “Muti”, e soprattutto ai commenti sul blog di Grillo per accorgersi che i militanti sono furibondi, e non si accontentano affatto della “sospensione cautelare” inflitta ai quattro incriminati (declassati dai probiviri da “portavoce” a “signori”).
Ma come, scrivono in tanti, tutto qui? “Espulsione senza se e senza ma” detta, lapidario, Marzio. “Bisognava cacciarli e basta! Perchè non siamo stati interpellati?” domanda Daniele. Li avete sospesi per 12 mesi, scrive Ivan, ma “in questo periodo loro percepiranno gli stipendi e i rimborsi spese? E dovranno rendicontare?”.
Anche sul sito del Fatto, il giornale amico, tra i 1557 commenti alla notizia delle sospensioni affiora l’ira dei grillini: “Sospesi dal Movimento, però continuano a percepire gli stipendi e indennità , e non dovranno versare nulla, cioè si terranno tutto lo stipendio per intero” commenta “g.d.m.” che evidentemente conosce a memoria il decalogo del portavoce.
Molti, è naturale, trasformano la sanzione in prova della diversità , perchè il Movimento sospende gli inquisiti mentre gli altri no, ma l’analisi più dura è quella di un post anonimo: “Si comincia col copiare il compito e si arriva alle firme false, alle raccomandazioni e alle tangenti. Siamo un popolo di furbi, che vivono di raggiri e tante piccole bugie. Renzi è un bugiardo? È un gran bugiardo. Ma lo siamo anche tutti noi”.
Conclusione amara di una bella favola: c’era una volta la diversità dei grillini.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 30th, 2016 Riccardo Fucile
LA NOTTE TRA IL 3 E 4 APRILE DEL 2012 QUANDO UN GRUPPO DI ATTIVISTI M5S FALSIFICO’ CENTINAIA DI FIRME
L’ansia, le liti, poi il brindisi: «Andiamo a ubriacarci», disse alla fine Giulia Di Vita, oggi parlamentare (sospesa) di 5 stelle.
Ecco cosa accadde fra il 3 e il 4 aprile del 2012, quando un manipolo di attivisti di M5S riuscì a racimolare in extremis le firme necessarie per presentare la lista per le Comunali.
Commettendo la sciagurata leggerezza di ricopiare centinaia di sottoscrizioni, ovvero di falsificarle: è il reato sul quale indaga la procura di Palermo.
Il frenetico scambio di mail fra esponenti del movimento e candidati (molte delle quali acquisite dalla magistratura) e la testimonianza resa da alcuni “pentiti” (su tutti i deputati regionali Claudia La Rocca e Giorgio Ciaccio) aiutano la ricostruzione.
L’allarme scatta alle 2,25 del 3 aprile.
Scrive Samanta Busalacchi, indagata e sospesa da M5S: «Vi sto inoltrando il modello del foglio raccolta firme. Raccogliete quante più firme potete., domani sera sarò in sede per il ritiro dei moduli. Rischiamo di non potercela fare, non è uno scherzo quindi datevi una mossa!»
La Rocca mezz’ora dopo ribadisce: «È davvero importante come scrive Sam! È un’urgenza!!!»
Marco Negri, altro candidato, si lamenta: «Ma qualche spiegazione? Com’è che era tutto a posto e adesso c’è quest’urgenza? »,
Prova a chiarire Pietro Salvino, marito della deputata Claudia Mannino (entrambi sono indagati): «Ti rispondo io… durante la riunione Claudia con Alice (Pantaleone, altra indagata, ndr) hanno controllato le firme facendo una stima di quelle che sono assolutamente perfette… e sono circa 850… ma consideriamo che alcune di queste potrebbero non essere valide perchè magari avevano giù firmato… »
Salvino parla di «12 persone presenti», delle quali tre erano a conoscenza di tre firme non valide «tanto per fare un esempio».
“Comunque altre firme mancavano di data di scadenza o di emissione, ora si è deciso di mettere entramble le date per sicurezza così siamo strasicuri. Dobbiamo raccoglierne 400… in teoria poco meno di quaranta a testa – scrive Salvino – ma in un giorno mi pare molto difficile così la cosa giusta è allargare la cerchia di persone che conoscono più persone… Buon lavoro e buon giorno, vista l’ora».
È l’alba del tre aprile quando anche Ciaccio si sente di dare una spiegazione: «Le firme valide sono 850, le altre sono incomplete. Vi chiedo di non creare polemica sul come ci siamo ridotti così ma solo di prendere più firme che potet. Risolviamo questo problema urgente e poi discutiamo. Domani sera riunione urgente in sede…»
Il clima è quello del caos, all’interno di un gruppo che è alla prima esperienza elettorale.
Giorgio Stassi sbotta: «Mi spiegate quale esperto vi ha detto che la patente plastificata non è valida come documento di riconoscimento?» Ermanno Romano critica: «Non è scritto da nessuna parte che bisogna indicare luogo e data di rilascio e scadenza del documento di identità . È forse la vostra una precauzione per evitare eventuali problemi o siete certi di quello che dite?»
Lo stesso Romano dice che «le 850 firme sicure sono più che sufficienti». E Azzurra Cancelleri, oggi deputata, gli dà ragione: «Ho letto il vademecum inviato dallo staff di Grillo e per i Comuni con abitanti inferiori al milione (e da Internet risulta essere il caso di Palermo) le firme devono essere minimo 500 e massimo 1000».
Inizia un infuocato valzer di messaggi: appunti, critiche, osservazioni sulla procedura da seguire rivolti soprattutto a Busalacchi.
Che alle 14,05 del 3 aprile perde la pazienza: «Ragazzi mi sono ufficialmente rotta le scatole. Scusate lo sfogo. Va bene in taluni casi ho peccato di superficialità ma i vostri continui dubbi non mi hanno aiutato per nulla e nemmeno l’ignorare ciò che vi ho detto per mail.. per sms o a voce! Mi esprimo male? Mangio le parole? Non avete fiducia in me? Ditemelo perchè almeno evito di impiegare le mie forze così…»
A quel punto Azzurra Cancelleri si ritira di buon ordine: «Se si cercano informazioni e si scrivono qui non è per sminuire qualcuno o mettere in dubbio il suo operato… Nessuno di noi ha esperienza, era giiusto per dare una mano… Smettiamola di pensare che ci facciamo guerra interna. Io non fiaterò più, cià ».
Si avvicina la sera decisiva. Marco Negri dice di poter fare poco «ma di aver coinvolto la figlia», “Angelocustode970” promette di portare in sede dieci firme («meglio di niente»), Toni Ferrara dice: «Avvicinerò anch’io in seconda serata per portare delle firme».
C’è gran confusione, nella sede di via Sampolo dove si mettono insieme le sottoscrizioni, dove – magicamente – viene fuori l’elenco con quasi duemila firme. È in quella sede che l’attivista Vincenzo Pintagro, il primo grande accusatore, dice di aver visto Mannino e Busalacchi ricopiare le firme.
È da quelle stanze che, ha fatto mettere a verbale Claudia La Rocca, entravano e uscivano tante persone, fra cui Riccardo Nuti, il leader dei 5 stelle palermitani, adesso indagato e sospeso.
Di certo La Rocca, alle 12,45 del 4 aprile, esulta: «Alcuni di noi sono stati in sede fino alle 4 di mattina, io e Clod (Claudia Mannino) in particolare abbiamo battuto il record delle 12 ore di fila.. ma forse ce l’abbiamo fatta! A questo punto che Dio ce la mandi buona ».
Di lì a poco, un altro attivista le omaggerà tutte, le protagoniste dell’impresa: «Un sincero grazie alle due Claudie e a Samantha Busalacchi per essere rimaste in sede fino alle 4 per finire l’estenuante lavoro ».
«Festeggiamo tutti insieme?», chiede Mannino sempre via e-mail. «Propongo ubriacatura», replica Giulia Di Vita.
Un cin-cin simbolico per una vittoria che, quattro anni dopo, sarebbe costata cara – molto cara – alle due future onorevoli.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 30th, 2016 Riccardo Fucile
PER IL 15% I PANNI SPORCHI SI DEVONO LAVARE IN FAMIGLIA, PER IL 18% E’ LECITO PALPEGGIARE SUL POSTO DI LAVORO, PER IL 22% LE DONNE SI INVENTANO LO STUPRO, PER IL 17% LA DONNA SE L’E’ ANDATA A CERCARE, PER IL 27% LO STUPRO E’ GIUSTIFICABILE SE LA DONNA VESTE PROVOCANTE O VA IN GIRO DI NOTTE
Appena qualche giorno fa si è svolta la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita diciassette anni fa dalle Nazioni Unite per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni.
Dall’inizio dell’anno sono già 116 le donne vittime di femminicidio in Italia, una ogni due giorni, un massacro che si consuma sette volte su dieci in famiglia, spesso per mano di un ex.
Nel marzo di quest’anno, durante la Convenzione di Istanbul, la Commissione Europea ha messo sul tavolo diverse proposte che vincolino gli stati membri a mettere in atto politiche concrete ed efficaci per contrastare la violenza di genere.
Lo stesso organo comunitario ha reso pubblici i dati di una ricerca condotta da TNS che interessa i ventotto paesi dell’Unione e illustra sia i dati complessivi che quelli per singolo paese.
Il primo dato che emerge è che, sebbene l’84% degli intervistati sostenga che la violenza domestica verso le donne sia sempre inaccettabile e debba essere punita per legge, il 12% ritiene che non sempre vada punita per legge (con punte del 30% in Lettonia) e il 2% sia accettabile ad alcune condizioni.
Sulla falsariga di questi risultati si comprende come il 15% sia totalmente o parzialmente d’accordo col fatto che la violenza domestica sia un fenomeno che debba essere gestito in famiglia, nel rispetto del vecchio detto “i panni sporchi si lavano in casa”.
L’11% ritiene che costringere il proprio partner ad avere rapporti sessuali indesiderati non dovrebbe essere illegale (il 21% degli italiani), così come il 16% ritiene che non debba essere punibile lo stalking via mail/messaggio, il 40% il rivolgere apprezzamenti “pesanti” alle passanti e il 18% palpeggiare i colleghi in modo inappropriato o non desiderato.
Ma il peggio deve ancora venire. Il 22% degli intervistati ritiene che le donne inventino lo stupro o quantomeno ingigantiscano quanto accaduto.
Quasi un europeo su cinque (17%) ritiene che la violenza contro le donne sia provocata dalla vittima, sebbene con dati molto diversi tra i singoli stati.
Più di un cittadino dell’Unione su quattro (27%) ritiene invece che la violenza si giustificabile in presenza di uno dei seguenti motivi: la vittima è ubriaca o sotto effetto di droghe, va volontariamente a casa con/di qualcuno, si veste in maniera provocante, non è chiaro se dica ‘no’ o respinga fisicamente, abbia flirtato, abbia più partner sessuali o vada da solo in giro di notte.
Numeri e statistiche che fanno riflettere e inducono a concludere che la sottovalutazione della gravità di alcuni comportamenti e i pregiudizi – anche culturali – sono benzina su un fuoco, quella della violenza di genere, che sembra non voglia mai smettere di divampare.
Antonio Grizzuti
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 30th, 2016 Riccardo Fucile
IL PRIMO CITTADINO DEL COMUNE LIVORNESE POI RICEVE INSULTI E MINACCE
Una battuta di cattivo gusto sull’ex pilota Alex Zanardi e il suo voto al referendum scatena la bufera contro il sindaco di Suvereto Giuliano Parodi.
Prima con le critiche, a cui il sindaco ha risposto, e poi con insulti e minacce di morte tanto da costringerlo a cancellare il post.
Il profilo ora è diventato irraggiungibile.
Parodi, che con una lista civica nelle ultime elezioni ha strappato il paese in provincia di Livorno al Pd dopo anni di predominio del centrosinistra aveva scritto sulla sua bacheca Facebook: “Alex Zanardi vota Sì…peccato, lo facevo più “in gamba”.
L’ex pilota, campione paralimpico ed esempio per tanti giovani, ha perso le gambe a causa di un incidente durante una gara nel 2001 e, nel corso degli anni, la sua forza di rialzarsi e la sua grinta lo hanno reso un modello da seguire.
Anche per questo l’ironia del sindaco di Suvereto non è piaciuta agli utenti di Facebook che hanno mostrato il loro disappunto nei commenti al post: “Giuliano non ti sembra un po’ troppo crudele?”, chiede Venanzio a cui il sindaco risponde: “La satira deve essere un pugno nello stomaco per funzionare, altrimenti sono le battute di Zelig”. Ma un altro utente contrattacca: “Quindi lei fa satira? Mi sembrava di aver capito che invece facesse il sindaco”.
I commenti scorrono. Ce ne sono alcuni che giustificano il post e altri che lo attaccano. Poi il sindaco è stato costretto a cancellare il post, e Facebook dopo le segnalazioni ha bloccato il profilo: “Era una battuta ironica, Zanardi è una persona speciale che è il primo ad ironizzare su ciò che gli è accaduto. E molti giornali hanno usato quest’espressione in passato”.
Il sindaco ora si dichiara turbato: “Sono stato minacciato di morte, hanno postato insulti e minacce sotto le foto dei miei figli. L’ironia è un conto, ma non voglio che se la prendano con i miei figli. E’ stato un attacco squadrista”.
Non pare abbia ancora compreso che l’ironia è altra cosa dal cattivo gusto.
(da agenzie)
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Novembre 30th, 2016 Riccardo Fucile
“IL DIBATTITO NEL MERITO SI E’ TRAMUTATO IN UNA RISSA CHE CI HA INDEBOLITO ALL’ESTERO”
Al fotofinish, proprio quando l’ansia da prestazione per il 4 dicembre ha raggiunto livelli di guardia a Palazzo Chigi, Romano Prodi dice sì. E Matteo Renzi tira un respiro di sollievo.
La nota che annuncia il sì dell’ex premier era nell’aria, almeno da ieri. Un minuto dopo i lanci di agenzia, i renziani si mettono al lavoro per contattare i sondaggisti più vicini. Mission: capire quanto sposti Prodi sul voto di domenica, che effetto può avere un sì del prof non tanto sull’elettorato Dem, dove un effetto positivo potrebbe essere scontato, ma su quell’elettorato moderato di centrodestra che poi è il bottino sul quale Matteo Renzi ha posto le sue mire per vincere.
Da Ancona il premier ringrazia: “Fatemi dire da qui grazie a Prodi, che poco fa ha detto che voterà Sì pur non condividendo tutto, ma riconoscendo che c’è un’esigenza per il Paese”. Al suo quartier generale, cioè sui social, è festa.
In effetti Renzi ci ha lavorato un bel po’ per ottenere un pronunciamento del professore. Non direttamente.
Ci hanno lavorato i suoi più vicini a Prodi. Ore di chiacchierate, telefonate. A quanto raccontano, il Prof non è mai stato tentato dal no alla riforma Boschi. Ma era deciso a non pronunciarsi prima del voto, lasciare Renzi e i suoi in quel limbo di sospensione tra la vita e la morte politica senza dare mani di aiuto.
Alla fine invece ha deciso di intervenire. Sulla base di due convinzioni.
La prima: legare il suo sì alla riforma della legge elettorale. Lo scrive proprio in testa alla nota diffusa oggi: “Anche se le riforme proposte non hanno certo la profondità e la chiarezza necessarie, tuttavia per la mia storia personale e le possibili conseguenze sull’esterno, sento di dovere rendere pubblico il mio sì, nella speranza che questo giovi al rafforzamento della nostre regole democratiche soprattutto attraverso la riforma della legge elettorale”.
Il secondo elemento per cui Prodi ha deciso di esprimere il suo sì è racchiuso nella formula sulla quale Renzi ha puntato in questi ultimi giorni di campagna referendaria. E cioè la stabilità , il no ai governicchi, le carte che lui considera più convincenti per vincere.
Prodi non la mette esattamente così. Ma, dall’alto delle sue relazioni internazionali ancora intense e vive malgrado il prof non eserciti più politica attiva in Italia, l’ex premier ha voluto dare un aiuto all’idea che con il sì al referendum il Belpaese sia più stabile.
Il suo, spiega chi ci ha parlato, è un sì ad un’Italia che resta in piedi rispetto ai venti populisti che si stanno abbattendo ovunque nel mondo. E’ un sì ad un cammino riformatore che andrebbe raddrizzato, ma se si fermasse sarebbe peggio. E’ un sì comunque condito di amarezza.
“Dato che nella vita, anche le decisioni più sofferte debbono essere possibilmente accompagnate da un minimo di ironia, mentre scrivo queste righe mi viene in mente mia madre che, quando da bambino cercavo di volere troppo, mi guardava e diceva: ‘Romano, ricordati che nella vita è meglio succhiare un osso che un bastone'”, scrive il Prof lasciando dunque intendere le sue perplessità .
E senza nascondere di aver considerato “di non rendere esplicito il mio voto sul referendum”.
Perchè, dice, “sono ormai molti anni che non prendo posizione su temi riguardanti in modo specifico la politica italiana e, ancora meno, l’ho fatto negli ultimi tempi. Questa scelta mi ha di conseguenza coerentemente tenuto lontano dal prendere posizione in un dibattito che ha, fin dall’inizio, abbandonato il tema fondamentale, ossia una modesta riforma costituzionale, per trasformarsi in una sfida pro o contro il governo”.
La parte amara arriva alla fine della nota. Dove Prodi prende le distanze sia da Renzi che da D’Alema, i due maggiori avversari del Sì e del No nel Partito Democratico.
“Voglio solo ricordare che la mia storia personale è stata tutta nel superamento delle vecchie decisioni che volevano sussistere nonostante i cambiamenti epocali in corso. Questo era l’Ulivo. La mia vicenda politica si è identificata nel tentativo di dare a questo paese una democrazia finalmente efficiente e governante: questo è il modello maggioritario e tendenzialmente bipolare che le forze riformiste hanno con me condiviso e sostenuto. C’è chi ha voluto ignorare e persino negare quella storia, come se le cose cominciassero sempre da capo, con una leadership esclusiva, solitaria ed escludente. E c’è chi ha poi strumentalizzato quella storia rivendicando a sè il disegno che aveva contrastato”, ha aggiunto il padre dell’Ulivo”.
Ad ogni modo, il grosso è fatto. Con il suo sì, Prodi non si distingue dunque dalle personalità politiche a lui più vicine.
Come l’ex premier Enrico Letta, che ha annunciato il suo sì ben prima dell’estate, malgrado la nota freddezza di rapporti con il suo successore a Palazzo Chigi.
E come i parlamentari della sua cerchia in maggioranza con Renzi, come Sandra Zampa, vicepresidente del Pd ed ex portavoce di Prodi. Oppure Antonio Parisi, altro sostenitore del sì.
Per Renzi la richiesta di tener fede alla promessa di rivedere l’Italicum.
Mentre Renzi brinda ma si interroga su quanti voti gli porti il Prof. Prima del sì bolognese, aveva brutte notizie a livello nazionale con una speranza di rimonta sul voto all’estero.
Adesso urge un ricalcolo. Riservato.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 30th, 2016 Riccardo Fucile
I DATI INAIL CERTIFICANO UN LEGGERO CALO DELLE VITTIME MA NON RACCONTANO IL MONDO SOMMERSO DEGLI ABUSIVI
Ancora morti su lavoro nell’Italia della crisi dove le vittime nella maggior parte dei casi ufficiali sono uomini (il 93% ), che hanno più di 55 anni.
Il giorno dopo la strage di Messina dove tre operai sono morti uccisi dalle esalazioni di gas di una cisterna della nave che stavano pulendo, restano gravissime le condizioni del quarto operaio rimasto ferito mentre la procura ha aperto un fascicolo con l’accusa di omicidio colposo.
Ancora un incidente, ancora morti bianche: 77 ufficiali in meno rispetto all’anno scorso ma sempre una strage infinita.
“Ribadisco con forza l’esortazione a fare di tutto perchè non si ripetano queste gravissime tragedie. Ogni morte sul lavoro è inaccettabile in un Paese come il nostro”, ha detto il presidente della Repubblica
A raccontare l’Italia dove ancora si muore per guadagnarsi il pane, sono i dati dell’Inail.
Parlano di 549 vittime fino al mese di settembre di quest’anno contro le 626 dello stesso periodo 2015 ma ovviamente il dato non tiene conto delle morti nascoste, degli abusivi, dei muratori assoldati a giornata, lasciati feriti sulle strade fingendo incidenti stradali dopo essere caduti dalle impalcature, pagati, ma solo se feriti o morti, con vaucher improvvisamente usciti dalle tasche degli imprenditori.
Così l’anno scorso i dati dell’ Osservatorio Indipendente di Bologna sulle morti sul lavoro parlavano rispetto alle cifre ufficiali di una strage ben più pesante: oltre 1400 vittime, quest’anno sarebbero gia 1260
Inail: italiani e stranieri.
Sul numero totale gli italiani sono 465 contro “solo” 84 stranieri: un dato poco vicino alla realtà se si pensa ai punti di raccolta nelle periferie dove al mattino passano i pullmini per scegliere, caricare chi arrivato dall’est o dall’Africa si offre per pochi spiccioli come muratore o carpentiere, senza assicurazioni o diritti, se si pensa ai luoghi del caporalato dove la schiavitù sembra tornata nei campi.
Così le regioni dove la situazione occupazionale è più legale e chiara per assurdo risultano quelle dove ci sono più vittime.
La prima è infatti l’Emilia Romagna con 70 casi, seguita dal Veneto con 59 morti, Lombardia, 57, Piemonte 47.
La geografia delle morti bianche vede il centro con il 32,6 per cento degli incidenti mortali, seguito dal sud col 21,7, il nord ovest con 20,9. E il nord est con 15,7.
I settori a rischio.
In quasi la metà dei casi non è determinato il settore economico dove il lavoratore ha perso la vita, seguono poi le costruzioni con 74 casi, l’attività manifatturiera con 65, il trasporto e magazzinaggio con 62, il commercio all’ingrosso con 33.
“Siamo il Paese Europeo con il più alto numero di morti sul lavoro e questo vorrà pure dire qualcosa
Abbiamo anche un altro triste primato che è quello dell’abuso dei voucher, che molto spesso favorisce il lavoro nero, usati per coprire il lavoro nero. E non mi pare siano stati messi dei limiti concreti perchè questo abuso possa essere fermato. Averli estesi a tutte le lavorazioni non mi pare sia stata una bella idea”. così dice Marco Bazzoni, operaio metalmeccanico e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
I vaucher e gli incidenti.
Le sue parole confermano le denunce fatte dall’Inail. All’istituto per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, nei mesi scorsi è infatti scattato l’allarme: nel 2012 gli incidenti di lavoratori retribuiti con i ticket erano stati 436, nel 2014 si sono triplicati, arrivando a circa 1.400.
Anche le morti bianche dei voucheristi si sono raddoppiate: da 2 a 15 in tre anni.
Non solo, a dimostrare l’abuso, l’imbroglio grazie ai vaucher c’è il fatto che quasi sempre il pagamento del vaucher (10 euro lordi di cui 7,5 destinati al lavoratore) coincide con il giorno dell’infortunio mentre in precedenza non risulta alcun rapporto tra il datore di lavoro e il lavoratore.
Segnalazioni, denunce si sono moltiplicate tanto che da giugno il governo ha deciso di obbligare ad una tracciabilità in modo che non si ripetano abusi, in modo che il vaucher, ormai in uso dalle campagne al lavoro domestico, non venga usato come foglia di fico per nascondere lavoro nero, sfruttamento.
E salti fuori solo al momento in cui arrivano sul luogo dell’incidente carabinieri e polizia a fare i rilievi.
(da “La Repubblica“)
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Novembre 30th, 2016 Riccardo Fucile
PRIMO AUMENTO DOPO SETTE ANNI
È stato siglato da sindacati e governo l’accordo quadro sul contratto dei lavoratori del pubblico impiego.
L’intesa, che mancava da sette anni, è stata raggiunta dopo circa otto ore di riunione. Sul punto più importante, quello delll’aumento, la formula trovata nell’intesa è quella di un incremento “non inferiore a 85 euro mensili medi”.
Una soluzione che si avvicina alla proposta formulata dal governo, che indicava un aumento medio di 85 euro. “Dopo sette anni #lavoltabuona per i dipendenti pubblici. Riconoscere il merito, scommettere sulla qualità dei servizi #passodopopasso”, ha scritto il premier Renzi su Twitter.
Inoltre il governo si è impegnato a trovare una soluzione per non penalizzare i lavoratori che percepiscono il bonus di 80 euro e che rischiano di perderlo con l’incremento salariale.
Nella contrattazione dovranno essere riviste le scale parametrali in modo da non penalizzare chi percepisce gli 80 euro di bonus fiscale. “Un anno fa questo accordo ce lo sognavamo, ora è la realtà “, ha commentato il segretario della Uil Carmelo Barbagallo.
“Nuove regole per nuovi contratti – commenta Giovanni Faverin, segretario generale della Cisl Fp – è il cambio di passo che volevamo e che abbiamo ottenuto grazie alla mobilitazione coraggiosa e determinata di milioni di lavoratori pubblici. Abbiamo firmato un accordo sul pubblico impiego per una nuova stagione dei servizi pubblici, con i lavoratori per i cittadini. La maratona del lavoro pubblico continua”.
Cgil, Cisl e Uil, rileva il sindacato di Corso Italia, con le rispettive categorie di settore, e il Governo hanno condiviso le linee guida “che dovranno sovrintendere l’apertura delle trattative per il rinnovo dei contratti di lavoro nelle pubbliche amministrazioni. Dopo sette anni di blocco della contrattazione si interviene correggendo le norme introdotte dalla legge Brunetta e dalla buona scuola che limitavano la contrattazione ridandole ruolo e titolarità “.
Con questo accordo, rileva la Cgil, “si ripristina un sistema di relazioni sindacali in tutti i settori basato sulla partecipazione di lavoratori e sindacati all’organizzazione e alle condizioni di lavoro, alla valorizzazione professionale, che supera la pratica degli atti unilaterali”.
Di particolare valore, aggiunge, “la garanzia assunta dal governo di rinnovare i contratti dei lavoratori precari assunti dalle pubbliche amministrazioni in scadenza e l’impegno a superare con apposite norme il precariato all’interno della Legge quadro che dovrà essere prossimamente varata. Importante è anche l’introduzione nel settore pubblico di welfare contrattuale con misure che integrano le prestazioni pubbliche.Le soluzioni salariali indicate nelle linee guida fanno riferimento a un aumento contrattuale di 85 euro medie mensili per il triennio 2016-2018. Si è, inoltre, convenuto di trovare una soluzione che tuteli le retribuzioni dei lavoratori garantendo che gli aumenti contrattuali abbiano efficacia per tutti senza che possano incidere sul bonus degli 80 euro”.
(da agenzie)
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Novembre 30th, 2016 Riccardo Fucile
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