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LE BUGIE DELL’APPENDINO SUL SUO STIPENDIO: AVEVA PROMESSO DI RIDURLO MA E’ SEMPRE LO STESSO

Novembre 2nd, 2016 Riccardo Fucile

LA SINDACA DI TORINO PERCEPISCE UN’INDENNITA’ DOPPIA RISPETTO A QUELLA DEI SUOI COLLEGHI DI PARTITO IN PARLAMENTO: 9.123 EURO AL MESE… MALUMORE DEGLI ATTIVISTI M5S TORINESI

Mentre in Parlamento Cinque Stelle sono impegnati nella battaglia per il dimezzamento dell’indennità  dei parlamentari altrove gli eletti grillini non sembrano così intenzionati a decurtarsi lo stipendio in nome della causa e degli ideali dello stipendio.
Sulla graticola è già  finita la sindaca di Torino Chiara Appendino e alcuni esponenti della sua giunta, accusati di guadagnare troppo per gli standard “francescani” del MoVimento.
Quella promessa di tagliare lo stipendio di sindaco e assessori “appena insediata” che non è stata mantenuta
Repubblica qualche giorno fa faceva notare che l’indennità  mensile della Appendino ammonta a poco più di novemila euro, il doppio di quella percepita dall’ex sindaco Piero Fassino che però poteva contare sul vitalizio da parlamentare e che quindi riceveva un’indennità  dimezzata.
Anche la situazione del Presidente del Consiglio Comunale, Fabio Versaci, ha destato parecchia sorpresa.
Lo scorso anno Versaci ha dichiarato un reddito pari a 7.191 euro, reddito per altro percepito facendo il consiglioere di circoscrizione per il M5S (a proposito di professionisti della politica) mentre quest’anno, grazie all’indennità  da Presidente del Consiglio Comunale ne guadagnerà  quasi dieci volte tanto (poco più di 71 mila euro). Anche gli altri membri della giunta però — faceva notare Repubblica — sono stati miracolati dalla vittoria del M5S, gli unici che l’anno scorso dichiaravano redditi “importanti” sono stati l’assessore al Bilancio, Sergio Rolando, il vicesindaco Guido Montanari e l’assessora alla Cultura Francesca Leon (questi ultimi con reddito inferiore ai 71 mila euro l’anno).
Un bel problema per la Appendino e per il MoVimento, visto prima che le polemiche e i malumori degli attivisti del MoVimento arrivassero alla stampa la sindaca non ha mai dichiarato l’intenzione di decurtarsi lo stipendio.
La Appendino, conscia del possibile autogoal, lo ha fatto, a parole, dopo che la notizia è stata pubblicata, annunciando che il suo stipendio e quello di Versaci verranno adeguati agli standard della proposta di legge presentata da Roberta Lombardi che prevede un tetto massimo di 5mila euro lori per le indennità  per i politici.
In realtà  però come spiegava qualche giorno fa il capogruppo M5S in consiglio comunale Alberto Unia, non è ancora stato deciso nulla «ma da parte del presidente Versaci c’è l’intenzione di muoversi in questa direzione. Lo faremo quando avremo individuato lo strumento migliore per ridurre l’indennità , in modo da farla rientrare tra i risparmi dell’amministrazione comunale, magari attraverso un fondo specifico».
In definitiva per il momento lo stipendio della Appendino e di Versaci rimarrà  quello che è, con buona pace della base pentastellata che invece vorrebbe che la sindaca fosse maggiormente fedele alla linea.
In realtà  non è la prima volta che l’indennità  dell’Appendino finisce sotto la lente dei suoi avversari politici (ma non solo).
A giugno vennero pubblicate tre determine comunali che stabilivano che l’azienda per cui lavorava la Appendino (la Lavatelli, di proprietà  del marito) aveva diritto ad ottenere i rimborsi per l’attività  prestata dall’allora consigliera in Consiglio Comunale.
Dalle carte risulta che la Lavatelli Srl abbia chiesto ed ottenuto mensilmente il rimborso (previsto per legge) dal Comune per permessi retribuiti della dipendente Chiara Appendino. assunta nel 2010 (la Appendino venne eletta in Consiglio nel 2011).
La sindaca si era difesa ricordando che questa polemica era già  stata tirata fuori nel 2013 e facendo notare che lei, dal 2012 fino alla fine della passata consigliatura aveva rinunciato al gettone di presenza (circa duemila euro al mese per quattro anni) facendo risparmiare “centomila euro” (in realtà  ottantamila ma poco importa) alle casse del Comune.
Bisogna però far notare che nell’occasione a giugno la Appendino aveva anche annunciato, per stroncare una volta per tutte le polemiche sul suo compenso «Taglierò il mio stipendio e quello degli assessori appena mi insedio».
Cosa che, a quasi quattro mesi dall’insediamento non è ancora avvenuta.
Ma c’è da scommettere che qualora la Appendino decidesse di mantenere questa promessa si aprirebbe un altro fronte caldo interno al M5S, questa volta però a Roma dove la sindaca Raggi non sembra avere per il momento intenzione di affrontare il problema (ma potrebbe essere costretta a farlo dalla mossa della sua collega torinese).

(da “NextQuotidiano”)

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LA SCUOLA E’ SICURA DOPO IL TERREMOTO? A ROMA TE LO DICE A NASO IL CONSIGLIERE CINQUESTELLE

Novembre 2nd, 2016 Riccardo Fucile

“INVECE CHE DA TECNICI SPECIALIZZATI DEL DIPARTIMENTO LAVORI PUBBLICI, I CONTROLLI REALIZZATI DA ASSESSORI E CONSIGLIERI M5S”: LA DENUNCIA DE “IL MESSAGGERO”

Il Messaggero riepiloga oggi nella cronaca di Roma come sta andando avanti il controllo della situazione delle scuole romane dopo la scossa di terremoto che ha creato alcuni danni in città .
Oggi le scuole riaprono (quasi) tutte. Anche quelle che non sono state controllate dai tecnici del Comune.
Per le ispezioni post-terremoto il Campidoglio ha schierato solo 50 dipendenti richiamati dalle ferie.
E ieri si sono fatti sentire di nuovo i presidi: verifiche solo nella metà  degli istituti, molti controlli avverranno con le classi aperte.
Ma soprattutto il quotidiano racconta della protesta dei genitori: «In alcuni casi i controlli sono stati realizzati da assessori e consiglieri M5S, non da tecnici specializzati del Dipartimento Lavori pubblici»
Che fosse ai limiti della mission impossible, l’operazione annunciata dalla sindaca Vrginia Raggi per controllare «tutte le scuole di ogni ordine e grado» presenti a Roma, lo si era capito già  ieri.
Ma per avere la certezza basta guardare i numeri del personale disponibile a effettuare le perlustrazioni dopo il terremoto: appena 50 (cinquanta) dipendenti comunali avrebbero dovuto, in neanche 48 ore, ispezionare approfonditamente oltre 500 istituti per garantirne la staticità .
Ma su oltre 11mila addetti (10.962 nei municipi e 289 al Dipartimento Lavori pubblici) quelli rientrati dalle ferie per occuparsi dei controlli post sisma sono state poche decine: appena 2 tecnici per ciascuna delle ex circoscrizioni, più cinque squadre da 3-4 dipendenti messe a disposizione dall’ufficio centrale della Manutenzione urbana.
Che infatti ha effettuato solo 60 sopralluoghi, riscontrando nel 50% dei casi lesioni «di lieve entità ».
Ecco perchè ieri i dirigenti scolastici hanno lanciato l’allarme: «Secondo una nostra stima sono state controllate meno della metà  delle scuole romane, in molti casi le verifiche non ci sono state», ha spiegato il presidente dell’Associazione nazionale Presidi di Roma, Mario Rusconi.
E mentre i presidi chiedono al Comune di pubblicare l’elenco delle scuole controllate senza ricevere risposta, il quotidiano racconta di un modo curioso di fare i controlli:
Intanto nei territori monta la protesta dei genitori degli istituti lasciati “scoperti”. E c’è anche chi denuncia che a fare i controlli, in alcuni casi, non siano stati i tecnici specializzati del Comune, ma assessori e consiglieri municipali dei Cinque stelle: «Come possiamo esser sicuri dei controlli se a farli sono stati i presidenti dei municipi con i loro assessori? Che competenze hanno? Dove sono gli esperti dei Lavori pubblici»,le domande che si sono poste ieri tante famiglie, soprattutto nei quadranti periferici della Capitale: da Colli Aniene fino a Cesano.
Nel XV municipio, per fare un esempio, tra ieri e lunedì sono state controllate più di 80 strutture.
Soltanto in 8, però, sarebbero arrivati i tecnici del dipartimento. L’ opposizione incalza: «Le famiglie ancora non conoscono — accusa l’ex presidente Daniele Torquati- gli esiti generali dei controlli».

(da “NetxQuotidiano”)

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“PRONTO, SONO BEPPE, TU COSA PENSI DI MARRA?”: L’INCHIESTA TELEFONICA DI GRILLO

Novembre 2nd, 2016 Riccardo Fucile

IL LEADER CHIAMA I CONSIGLIERI CAPITOLINI PER CHIEDERGLI UN’OPINIONE SUL DIRIGENTE IMBARAZZANTE CHE VORREBBE FAR RIMUOVERE…MA LA RAGGI E’ INAMOVIBILE: “SIA CHIARO, SENZA DI LUI NON VADO AVANTI”

«Pronto, sono Beppe, tu, cosa pensi di Raffaele Marra?»: da ieri pomeriggio, racconta oggi Repubblica in un articolo a firma di Giovanna Vitale, è sceso in campo Grillo.
Il capo del MoVimento 5 Stelle ha telefonato ai 29 consiglieri comunali per sondare il loro umore riguardo l’ex vicecapo di gabinetto della sindaca Virginia Raggi, finito di nuovo nella bufera e in predicato di essere spostato dalla responsabilità  del personale a quella del commercio e delle attività  produttive.
Il problema Marra è nuovamente scoppiato dopo un articolo de L’Espresso, dove si parla di una convenzione tra il Comune di Roma (firmata da Marra) e Fabrizio Amore (quale rappresentante legale di Arca 93 Srl), indagato poi per turbativa d’asta nell’ambito della seconda tranche dell’inchiesta Mafia Capitale.
La convenzione, siglata il 23 luglio 2009, riguarda 53 appartamenti nel residence “Borgo del Poggio”, affittati a un canone annuo di 1,4 milioni di euro.
Lo stesso giorno viene firmato un altro contratto con la sorella di Amore, rappresentante legale della Ge.im 96 Srl per altri 43 appartamenti nello stesso residence: 1,2 milioni di euro annui. Grillo telefona per farsi un’idea su come la pensa la maggioranza grillina in Campidoglio prima di agire:
Prima di tornare nella capitale, tra oggi e domani, per scomunicare una volta per sempre il dirigente comunale di rito alemanniano diventato il braccio destro di Virginia Raggi, vuol conoscere il giudizio degli eletti.
Cercare di penetrare il mistero Marra: sapere chi è davvero l’uomo che la sindaca di Roma continua a difendere a oltranza. A dispetto delle inchieste giornalistiche e delle ombre che si allungano sul suo passato, nutrito di relazioni pericolose e affari sospetti. Quelle 29 telefonate rappresentano una novità  rispetto alla distanza finora mantenuta da Grillo coi livelli medio-bassi del Movimento.
Incontrati tutt’al più in occasioni ufficiali come la festa di Palermo o nel corso di assemblee plenarie tipo il blitz di una settimana fa a Palazzo Senatorio, ma mai interpellati singolarmente.
Un maxi-sondaggio, promosso in prima persona dal “garante”, che segnala la gravità  della situazione.
Alla vigilia di un passaggio cruciale come il referendum del 4 dicembre, i pasticci del cosiddetto “raggio magico” in Campidoglio rischiano infatti di danneggiare la madre di tutte le battaglie.
Come pure dimostra la leggera flessione dei consensi registrata dai 5stelle in tutti i sondaggi. Grillo lo ha capito e ha deciso di correre ai ripari.
Anche perchè stavolta non sono solo i parlamentari a lamentarsi: l’altro ieri il manipolo di sei-sette dissidenti guidato dai lombardiani Marcello De Vito e Paolo Ferrara, presidente dell’Aula e capogruppo del M5s capitolino, è stato chiaro: «Vogliamo parlare con Beppe. Questa situazione non è più sostenibile. Per noi Marra deve essere spostato in una posizione più defilata, ma Virginia si oppone, approfittando della rotazione dei dirigenti intende trasferirlo dal Personale alla guida delle Attività  produttive».
Il leader M5S era atteso oggi e domani nella Capitale: il suo viaggio ora è in forse ma si è sentito con la sindaca. Ma, racconta Emanuele Buzzi sul Corriere della Sera Roma, la chiacchierata non è bastata a trovare una soluzione:
Raggi, però, sembra inamovibile e al momento i Cinque Stelle navigano in alto mare. Proprio per sciogliere i dubbi (e forse anche per chiarire i programmi dei prossimi giorni) Grillo e Raggi si sono sentiti lunedì.
«Tra loro c’è stata una lunga telefonata», raccontano i rumors. Un colloquio che, però, al momento non ha prodotto risultati.
Una tappa intermedia in vista di un chiarimento probabilmente definitivo. «Dobbiamo parlare», si sono detti sindaca e garante al termine della telefonata. Raggi, infatti, avrebbe chiesto a Grillo di tener conto delle sue indicazioni facendo delle valutazioni più ampie rispetto alle critiche che sono state mosse a Marra e, indirettamente, a lei. Possibile che il confronto avvenga subito prima o subito dopo il viaggio di Raggi ad Auschwitz (con 136 studenti, in programma da domenica a martedì prossimo).
Ma c’è un problema irrisolvibile: «Sia chiaro: senza di lui non vado avanti», avrebbe detto secondo il Messaggero la sindaca a tutti quelli che le chiedevano la testa del dirigente.

(da “NextQuotidiano”)

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TERREMOTI: 70 MILIARDI PER RICOSTRUIRE, MA LO STATO NE HA INCASSATI IL DOPPIO CON LE ACCISE

Novembre 2nd, 2016 Riccardo Fucile

STUDIO DELLA CGIA DI MESTRE SU SETTE TERREMOTI, DAL BELICE ALL’EMILIA… IL FISCO HA RACCOLTO 145 MILIARDI CON 5 AUMENTI DELLA BENZINA MA I COSTI DELLA RICOSTRUZIONE SONO STATI DI APPENA 70 MILIARDI

Quando gli italiani fanno il pieno di benzina, pagano 11 centesimi al litro di accise: sono quasi quattro miliardi l’anno, prelievi giustificati con la necessità  di ricostruire le aree colpite dai terremoti.
Il meccanismo vale per il Belice del 1968, così come per l’Emilia Romagna del 2012. In cinquant’anni di danni e successive pezze, lo Stato ha incassato 145 miliardi da questi balzelli straordinari. Ma sul territorio ne sono finiti meno della metà .
Il conteggio arriva dalla Cgia di Mestre, che ricorda che “per fronte alle opere di ricostruzione delle zone interessate dai terremoti del Belice (1968), del Friuli (1976), dell’Irpinia (1980), delle Marche/Umbria (1997), della Puglia/Molise (2002), dell’Abruzzo (2009) e dell’Emilia Romagna (2012) lo Stato in questi anni ha aumentato 5 volte le accise sui carburanti, consentendo all’erario di incassare in quasi 50 anni 145 miliardi di euro in valore nominale”.
D’altra parte, il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha stimato “in 70,4 miliardi di euro nominali (121,6 miliardi, se attualizzati) il costo complessivo resosi necessario per ricostruire tutte e sette le aree fortemente danneggiate dal terremoto (Valle del Belice, Friuli, Irpinia, Marche/Umbria, Molise/Puglia, Abruzzo ed Emilia Romagna)”. Ecco allora che i conti non tornano: notano da Mestre “che in quasi 50 anni in entrambi i casi (sia in termini nominali sia con valori attualizzati) abbiamo versato più del doppio rispetto alle spese sostenute.
Solo i più recenti, ovvero i sismi dell’Aquila e dell’Emilia Romagna, presentano dei costi nettamente superiori a quanto fino ad ora è stato incassato con l’applicazione delle rispettive accise”.
L’associazione degli artigiani schematizza le cinque tragedie, con il relativo incremento delle tasse sui carburanti, al netto di quanto possono aggiungere i governatori a livello regionale
Valle del Belice (1968): l’allora Governo guidato da Aldo Moro introdusse un’accisa sui carburanti di 10 lire al litro. Dal 1970 fino al 2015 l’erario ha incassato 8,6 miliardi di euro nominali. Secondo il Consiglio Nazionale degli Ingegneri la ricostruzione è costata 2,2 miliardi di euro nominali. In valori attualizzati al 2016, invece, costo è stimabile in 9,1 miliardi di euro e la copertura ricavata dal gettito fiscale di 24,6 miliardi di euro;
Friuli (1976): l’accisa introdotta sempre da un esecutivo presieduto da Aldo Moro fu di 99 lire al litro. Dal 1976 al 2015 questa imposta ha garantito un gettito di 78,1 miliardi di euro nominali, mentre per gli ingegneri la ricostruzione è costata 4,7 miliardi di euro nominali. Attualizzando gli importi, invece, si evince che la spesa per la ricostruzione è stata di 18,5 miliardi di euro, mentre il gettito fiscale recuperato è stato di 146,6 miliardi di euro;
Irpinia (1980): il Governo di Arnaldo Forlani approvò l’introduzione di un’accisa di 75 lire al litro. In questi 35 anni di applicazione l’erario ha riscosso un gettito di 55,1 miliardi di euro nominali. Stando alle stime rese note dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri, la riedificazione degli immobili e delle infrastrutture è costata   23,5 miliardi di euro nominali. Se, invece, attualizziamo le cifre si deduce che il costo si è aggirato attorno ai 52 miliardi di euro mentre la copertura è stata di 86,4 miliardi di euro;
Abruzzo (2009): il Governo di Silvio Berlusconi   ritoccò il prezzo della benzina e del gasolio per autotrazione di 0,004 euro al litro. A fronte di una spesa ipotizzata di 13,7 miliardi di euro nominali, lo Stato finora ha incassato 539 milioni di euro nominali. Attualizzando i dati, invece, il costo è sempre di 13,7 miliardi di euro e il gettito proveniente dall’accisa di 540 milioni di euro;
Emilia Romagna (2012): l’esecutivo presieduto da Mario Monti decise di aumentare le accise sui carburanti di 0,02 euro al litro. Stando ad una spesa per la ricostruzione che dovrebbe aggirarsi attorno ai 13,3 miliardi di euro nominali, il gettito riscosso fino adesso con l’accisa sulla benzina e sul gasolio per autotrazione è stato di quasi 2,7 miliardi di euro nominali. Con i dati attualizzati, sia i costi che il gettito sono in linea con i valori nominali.
Per il terremoto delle Marche e dell’Umbria (1997) e per quello del Molise e della Puglia (2002) non è stata introdotta nessuna accisa.
La Cgia ricorda ancora che la Finanziaria 2013 del governo Monti ha reso permanenti le accise introdotte per recuperare le risorse da destinare alla ricostruzione delle zone colpite dal terremoto. E solleva un ulteriore paradosso: “Se l’applicazione delle accise per la ricostruzione è in parte giustificabile – annota il segretario Renato Mason – perchè mai continuiamo a pagare quelle per la guerra in Abissinia del 1935, per la crisi di Suez del 1956, per il disastro del Vajont del 1963 e per l’alluvione di Firenze del 1966 fino ad arrivare al rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004?”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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PUTIN FINANZIA LA PROPAGANDA ANTI-RENZI E IL WEB GRILLINO RILANCIA LE NOTIZIE

Novembre 2nd, 2016 Riccardo Fucile

IL GOVERNO RUSSO FINANZIA IL NETWORK GLOBALE “RUSSIA TODAY” CHE COPRE LE NEWS ITALIANE RACCONTANDO UNA SERIE DI BALLE STRATOSFERICHE (CHE I CONQUESTELLE DIFFONDONO)

Sabato scorso, il giorno della manifestazione per il Sì al referendum in piazza del Popolo, RT, Russia Today, il potente network in lingua inglese finanziato dal governo russo, 2500 dipendenti, uno degli strumenti più virali del sistema di propaganda pro Putin nei Paesi occidentali, ha raccontato così la notizia: «Migliaia di cittadini hanno protestato per le strade di Roma contro il primo ministro italiano Matteo Renzi, che ha lanciato un referendum sulla riforma costituzionale, che si terrà â€‰il 4 dicembre. La gente ha paura che le riforme, mirate a smantellare il Senato, porteranno più potere nelle mani del presidente del Consiglio».
Titolo della diretta Facebook: «Proteste in Italia contro il premier italiano».
Piccolo particolare: quel giorno c’era stata davvero una manifestazione, ma a favore del sì.
Diffondendo una versione completamente opposta della realtà , la diretta della web tv russa ha raggiunto un milione e mezzo di contatti diretti; senza contare la sua viralizzazione.
Non si è trattato della prima intrusione nel dibattito politico italiano; per questo, canali diplomatici italiani hanno sollevato il caso e protestato nei giorni scorsi con il Cremlino.
Bugie e propaganda, ovunque prodotte, si irradiano molto bene nell’ambiente web italiano, dominato dai siti dell’universo filo Cinque stelle.
Molti account Twitter e Facebook pro M5S, oppure pagine Facebook con migliaia di amici, rilanciano infatti RT, o Ruptly, l’agenzia video del network russo, agenzia che ha sede a Berlino, o bufale anche peggiori, perchè meno smaccate all’apparenza.
Le bufale poi si propagano dentro un’architettura propizia.
Il network russo ha adesso corretto il titolo e sono inaccessibili alcuni degli ultimi articoli postati sull’Italia, ma ne possediamo ovviamente gli screenshot.
Tante altre volte la propaganda è più sottile, mixa alcuni elementi (pochi) di verità , e una maggioranza di menzogna.
Il 22 ottobre, per dire, RT ha enfatizzato a dismisura una manifestazione dei sindacati di base contro il Jobs Act, raccontando di un’«Italia in rivolta».
Quando Renzi ha subìto una contestazione a Napoli, la cosa era stata descritta come «scene da guerra civile».
Un’esagerazione grottesca, ma attraente, magari, per i più giovani, o per chi non esce da un ecosistema web.
Il red web, il web di Putin, preoccupa ormai molto diversi governi europei: ieri il capo del MI5, il servizio segreto interno britannico, Andrew Parker, ha dichiarato al «Guardian»: «La Russia sta portando avanti una politica estera con modi sempre più aggressivi», che prevedono il ricorso «alla propaganda, allo spionaggio, a sovvertire l’ordine costituito, e ai cyber-attacchi».
Sempre ieri il ministro degli Interni tedesco, Thomas de Maizière, subito demonizzato e bastonato da account chiave filo-grillini, ha denunciato a Sky «gli attacchi su Internet specialmente di provenienza dalla Russia: sono organizzati a livello statale, attacchi alle istituzioni tedesche. Dobbiamo proteggerci, ma è un problema che dovremo superare con la collaborazione dei nostri partner europei».
De Maizière denuncia che non si tratta solo di persone, «si tratta anche di algoritmi, macchine che moltiplicano all’ennesima potenza la loro influenza sulla Germania per poter dar ragione a una particolare posizione della Russia sui social tedeschi».
La connessione culturale tra propaganda russa e filo M5S si mostra per varie vie.
Siti, non governativi come RT ma decisamente filorussi, come Sputnik Italia, ne sono un esempio.
L’ultimo caso: a caldo, dopo il terremoto, un articolo (non un commento) intitolato «Italia, il governo che vive in un altro paese» si introduceva così: «è difficile indovinare dove Renzi e i suoi allegri ministri trovino l’ottimismo da dispensare con ampi sorrisi a ogni incontro pubblico dedicato al Sì al referendum».
Sputnik viene ripreso da Tze Tze, principale sito della galassia Casaleggio, che celebra Putin, e dove viaggia molto anche RT; ma anche da siti anonimizzati, assai più opachi.
O da un numero delimitato di account Twitter o Facebook, alcuni dei quali configurano a volte gravi ipotesi di reato, su cui torneremo.
L’affinità  tra queste due propagande non pare casuale.
Nè indagata a monte, nell’ingegneria. Nè a valle, nelle ideologie: Manlio Di Stefano, deputato M5S già  ospite del congresso del partito di Putin, per commentare la loro politica estera sulla Brexit parla a RT. Beppe Grillo nell’aprile 2015, per la prima intervista in cui spiega la tesi del «colpo di stato intelligente» («in Italia è in atto un colpo di Stato intelligente, che consiste nel causare una divisione in Parlamento, infiltrarsi al governo e piazzare un leader forte che andrà  a prendere i pieni poteri») sceglie RT.
È quella, peraltro, la descrizione della riforma costituzionale che si legge su RT.
Solo pochi giorni fa Pietro Dettori, braccio destro di Davide Casaleggio, responsabile dell’Associazione Rousseau (intestataria del blog delle stelle) ha twittato un articolo su Putin dal sito silenziefalsità .it («Putin presenta Satan 2, il missile in grado di incenerire il Texas») che esordiva così: «Sarà  la volta buona che le teste calde di Washington e dintorni si raffreddano? Non è molto meglio rischiare un mondo multipolare e rinunciare a qualcosa del proprio potere anzichè correre il rischio di perderlo tutto e incenerire il mondo intero?».
Per ora, si sta incenerendo la verità .

Jacopo Iacoboni
(da “la Stampa“)

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INQUINARE UN FIUME NELLA RUSSIA DI PUTIN COSTA SOLO UNA MULTA DI 500 EURO

Novembre 2nd, 2016 Riccardo Fucile

IL COLOSSO NORNICJEL HA PRIMA NEGATO, POI AMMESSO LE PROPRIE RESPONSABILITA’… IL FIUME DOLDYKAN E’ DIVENTATO ROSSO

Aver fatto diventare color rosso sangue un fiume in Siberia costerà  una multa al colosso minerario Nornickel.
La «salatissima» multa sarà  compresa tra 30 mila e 40 mila rubli, cioè tra 430 e 580 euro al tasso attuale.
In media quindi 500 euro.
Lo ha annunciato all’agenzia di stampa Novosti un responsabile locale della Rospridonadzor, l’agenzia russa di protezione della natura.
Nornickel è il più grande produttore mondiale di nichel e palladio e solo nei primi sei mesi dell’anno ha annunciato ricavi per 1,8 miliardi di euro.
Le miniere di nichel si trovano presso la cittadina di Norilsk, tra le più inquinate del mondo, costruita dai deportati nei gulag di Stalin.
L’incidente è avvenuto il 5 settembre scorso, quando a causa di forti piogge hanno ceduto gli argini di una diga che limitava le acque residue di un intervento di pulizia e ammodernamento dell’impianto metallurgico di Nadejda.
Le acque inquinate sono finite nel fiume Doldykane, colorandole di un inquietante colore rosso sangue.
La Nornickel ha prima negato, poi, dopo le proteste delle organizzazioni ambientaliste, ha ammesso le proprie responsabilità .
Secondo la società , nonostante le immagini impressionanti, il colore rosso era dovuto solo ai sali ferrosi che non hanno posto in alcun pericolo le popolazioni, la fauna e la flora che vivono sulle sponde del fiume.
Nornickel ha dieci giorni per presentare ricorso.

(da “il Corriere della Sera”)

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UN MILIONE DI AMERICANI CON I SIOUX IN LOTTA CONTRO IL MEGA-OLEODOTTO PETROLIFERO SOTTO LE LORE TERRE SACRE

Novembre 2nd, 2016 Riccardo Fucile

DOPO I BRUTALI ARRESTI DI 141 ATTIVISTI UNA GRANDE GARA DI SOLIDARIETA’ CON I NATIVI CONTRO IL “DAKOTA ACCESS”… SUL WEB UNA MAREA DI ADESIONI A “ANCHE IO SONO ALL’ACCAMPAMENTO INDIANO IN NORD DAKOTA”

Check-in a Standing Rock: sono già  un milione le persone che hanno utilizzato l’applicazione di Facebook per dire ai loro amici e al mondo, che sì, “anche io sono all’accampamento Sioux in Nord Dakota”.
Proprio quello da dove lo scorso aprile sono partite le proteste dei nativi contro l’oleodotto che dovrebbe attraversarne la terra e che una settimana fa è stato brutalmente sgombrato dalla polizia.
Solo che tutta questa gente fin lì non è mai arrivata: ma sta utilizzando il check-in come forma di protesta nuova e inusuale per sostenere la causa dei nativi americani e proteggerli dalla polizia che li vorrebbe in galera.
Altro che sit-in. La nuova forma di protesta virtuale che sta conquistando l’America (e il mondo) non è infatti solo un modo di esprimere solidarietà  ai Sioux da mesi sul piede di guerra.
È una nuova forma di disobbedienza civile che oppone un trucco tecnologico a quello che in tanti considerano un abuso: tecnologico anch’esso, s’intende.
Il milione di persone che nelle ultime 48 ore ha infatti sostenuto su Facebook di essere a Standing Rock non ha in realtà  mai lasciato la propria casa: ma vuol confondere la polizia che indaga sugli attivisti.
Sarebbe stato infatti proprio lo sceriffo della contea di Morton, dove si trova Standing Rock appunto, a usare per primo il metodo del check in online per identificare gli attivisti che da mesi denunciano la pericolosità  di “Dakota Access”, il progetto da 3,7 miliardi di dollari che prevede la costruzione di un oleodotto sotterraneo lungo 2000 chilometri che dovrebbe passare sotto le terre degli ultimi Sioux, 4100 nativi che abitano nella contea.
Un progetto che non solo ne eroderebbe ulteriormente i territori a loro sacri: ma rischierebbe di provocare seri disastri ambientali.
Basterebbe infatti un guasto anche minimo a provocare perdite che potrebbero inquinare   il terreno e perfino le falde acquifere di un fiume importante come il Mississippi.
Le proteste finora sono sempre state pacifiche: ma pochi giorni fa uno degli accampamenti allestiti dagli attivisti è stato preso d’assalto da polizia e contractors privati pagati dalle quattro società  petrolifere che sostengono il progetto.
Durante l’assalto 141 persone sono state arrestate e brutalmente picchiate anche una volta arrivate in carcere, con una durezza che ha sollevato perfino le proteste degli osservatori delle Nazioni Unite che hanno denunciato la violazioni dei diritti umani. Ora, secondo gli attivisti, la polizia starebbe cercando di identificare gli altri contestatori proprio monitorando i loro profili Facebook
La protesta dei check in serve dunque a questo: a sommergere di informazioni sbagliate le forze dell’ordine.
Un’idea che però nessuno rivendica: e che gli stessi manifestanti pensano si sia autogenerata grazie al copia e incolla diventato virale di un post interno a uno dei loro gruppi. Su Facebook, s’intende.
Lo ha detto al Washington Post il portavoce di Sacred Stone Camp, una delle associazioni sul campo: «Il meme ci sta dando una grossa mano ma nemmeno noi sappiamo come sia nato. Sembra la riproduzione di alcuni messaggi interni. Di sicuro è un’ottima tattica. Sta proteggendo i nostri compagni e diffondendo la nostra causa nel mondo».
Intanto lo sceriffo di Morton smentisce il monitoraggio dei check in su Facebook, ammettendo solo che “vengono tenute d’occhio alcune attività  sui social”.
Ma i contestatori non si fidano. Anche perchè, secondo un report dell’American Civil Liberties Union, sia Facebook che Twitter e Instagram sono i tre grandi network che hanno deciso di dare accesso a Geofeedia, la compagnia di Chicago che ha costruito un software in grado di analizzare i feed delle manifestazioni e fornire informazioni in tempo reale alla polizia, con tanto di ubicazione degli account.
Intanto il movimento dei check in cresce. “Anche io a Standing Rock”: senza mai uscire da casa.

(da “La Repubblica”)

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MOSUL, I PESHMERGA CURDI ALLA CACCIA DI AL-BAGHDADI: “E’ IN CITTA’, SE RIUSCIAMO A ELIMINARLO L’ISIS CROLLERA'”

Novembre 2nd, 2016 Riccardo Fucile

IL CALIFFO SAREBBE RIMASTO INTRAPPOLATO IN CITTA, I SERVIZI CURDI GLIEL’HANNO GIURATA

L’Intelligence curda è convita che il califfo Abu Bakr al-Baghdadi sia rimasto a Mosul e ora le sue chance di lasciare la capitale dello Stato islamico per ritirarsi in Siria sono ridotte al lumicino.
Al-Baghdadi è difeso dalle unità  scelte composte da combattenti del Caucaso e dell’Asia centrale e da una struttura di comando composta essenzialmente da ex ufficiali dell’esercito e dei servizi di Saddam Hussein.
Secondo Fuad Hussein, capo di gabinetto del presidente del Kurdistan Massoud Barzani, nonostante negli ultimi nove mesi Al-Baghdadi abbia tenuto un profilo molto basso è probabile si rimasto a Mosul e questo spiega l’accanita resistenza dei suoi.
«Se verrà  ucciso — spiega Hussein — assisteremo al collasso dell’Isis perchè la catena di comando dell’organizzazione è molto fragile e Al-Baghdadi non è facilmente rimpiazzabile».
Hussein non ha fatto previsioni sulla durata delle resistenza a Mosul.
A difendere il Califfo sarebbero arrivati anche irriducibili jihadisti da Tall Afar che ora però sta per essere investita dalle colonne delle milizie sciite in marcia verso Nord-Ovest.
Una volta occupata Tall Afar per i combattenti rimasti a Mosul non ci saranno più vie di scampo e la loro fine “sarà  solo questione di tempo”.
Fonti militari irachene stimano in un mese circa la durata della battaglia nel centro cittadino, salvo collassi improvvisi.
L’Isis non ha ancora fatto saltare i cinque ponti sul Tigri che collegano Mosul Est con Mosul Ovest e questo può significare che pensano ancora a una possibile ritirata.
Ma una volta circondata è probabile che spostino tutte le forze sulla riva destra del fiume e distruggano i ponti.
Parà  e forze speciali sono pronti a blitz per cercare di impedirlo e per lasciare aperte le vie d’accesso all’assalto finale.

Giordano Stabile
(da “La Stampa”)

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IL SINDACO LEGHISTA CHE VUOLE ESSERE PADRONE A CASA DEGLI ALTRI MA I TERREMOTATI A CASA SUA NON LI PORTA

Novembre 2nd, 2016 Riccardo Fucile

SOLITA DEMAGOGIA A BUON MERCATO DEL SINDACO DI CENE, MA ORA CI ASPETTIAMO CHE ACCOLGA I TERREMOTATI NELLE STRUTTURE DEL COMUNE O NELLA SUA ABITAZIONE

Voleva che ai cittadini fosse ben chiara la sua totale estraneità  all’arrivo di 59 profughi sul territorio comunale e ha deciso di diffondere una comunicazione ufficiale attraverso i tabelloni luminosi adibiti agli avvisi dell’amministrazione: Giorgio Valoti, sindaco leghista di Cene (in provincia di Bergamo) non ha preso bene la decisione della Prefettura di sistemare alcune decine di migranti nell’ex colonia del Monte Bue, di proprietà  della Curia bergamasca.
Il primo cittadino ha anche postato sul suo profilo Facebook la foto del tabellone in cui comunica alla cittadinanza di aver subito la decisione “senza essere informato preventivamente” e negli ultimi giorni ha affidato più volte al social network il suo pensiero in materia, innanzi tutto invitando tutti gli abitanti di Cene a un consiglio comunale per fare “il punto della situazione sull’emergenza che il nostro paese sta vivendo/subendo in prima persona”
“La proposta che porterò avanti è quella di usare la casa vacanze della curia, appena assegnata a 60 cittadini stranieri, come accoglienza per le persone terremotate che hanno perso la loro casa” ha scritto Valoti in preda a crisi da demagogia isterica.
Quello che non è chiaro al sindaco padagno è:
1) I profughi sono ospitati in una proprietà  privata della Curia e, come dovrebbe ben sapere, “ognuno è padrone a casa sua”.
2) Non è lui a decidere chi deve alloggiare nelle proprietà  private altrui.
3) Faccia immediatamente seguito alla sua disponibilità  a ospitare le popolazioni terremotate indicando quali strutture comunali o abitazioni private, comprese le sue, sono da ritenere fruibili dai terremotati con decorrenza immediata, affinchè il prefetto possa disporne, d’intesa con la Protezione civile.
4) I tabelloni luminosi vanno usati per comunicazioni inerenti al traffico e situazioni di emergenza. Per la propaganda politica si affiggono manifesti, pagando i relativi diritti di affissione, onde non incorrere nel reato di abuso d’ufficio e peculato.
Ultima considerazione: se nessun terremotato accoglierà  la sua cristiana disponibilità  all’accoglienza, non si stupisca, laggiù non amano gli sciacalli.

(da agenzie)

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