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INTERVISTA AL FILOSOFO FERRARIS: “IL DIBATTITO SUL REFERENDUM E’ UNA QUESTIONE RIDICOLA, RICORDA COME FRANCESCHIELLO PENSO’ DI CAMBIARE NEL 1859 LE DIVISE DELL’ESERCITO”

Novembre 20th, 2016 Riccardo Fucile

“BISOGNA ESSERE MOLTO IMBECILLI PER CREDERE CHE LA RETE SIA UN AGONE DEMOCRATICO”

Filosofo, docente all’università  di Torino, Maurizio Ferraris ha appena pubblicato per il Mulino un saggio dal titolo “L’imbecillità  è una cosa seria”.
Gli chiediamo di applicare la sua lettura al dibattito politico italiano e non solo. Che spesso appare una cosa grave, ma al contrario non seria
Il 4 dicembre voterà  Sì o No?
Non ho deciso, e mi chiedo se mi deciderò mai. Mi interessa tanto poco quanto il precedente sulle trivelle, e quanto tutti i referendum che lo hanno preceduto con la sola esclusione di quello sul divorzio. Nel momento in cui gli stati nazionali dovrebbero scomparire per lasciar posto all’Europa — ma temo che l’occasione storica sia ormai sfumata, perchè nessuna èlite nazionale ha voluto cedere potere, condannandosi peraltro all’impotenza, comportamento che mi sembra ascrivibile alla sindrome che stiamo studiando — ci si occupa di questioni che, agli occhi di una grande politica, dovrebbero essere infime o ridicole. Quando, tra pochissimo, ci si dovrà  occupare di come allestire una forza militare europea dopo il ritiro degli Stati Uniti, si toccherà  con mano quanto peso politico potesse avere il dibattito sull’opportunità  o meno di una “camera delle rappresentanze e delle autonomie”. Mi ricorda Francischiello che nel 1859 pensò bene di cambiare le uniformi del Regno delle due Sicilie.
Renzi afferma che «il sistema è tutto schierato con il No». Significa, per esempio, sostenere che la Confindustria schierata con il Sì è antisistema. Ci si sente un po’ imbecilli ad essere destinatari di questo genere di comunicazione.
È una sensazione giustissima, ma il presidente fa come tutti gli altri contendenti dell’agone politico. Si è sempre detto che la prima vittima della guerra è la verità . Si dovrebbe trovare il modo, alla luce del trionfo di populismi post-fattuali caratteristico degli ultimi 20 anni, di rimettere all’ordine del giorno il nesso insolubile tra democrazia e verità . È molto più importante della questione morale: senza verità  non può esserci democrazia, e le democrazie postfattuali conservano della democrazia soltanto il suffragio universale
C’è un’imbecillità  di massa, scrive lei, e una di èlite. Se ne rintracciano esempi nel dibattito politico di oggi?
L’imbecillità  di èlite risale alla notte dei tempi, e anche qui con momenti alti, che so, proporre brioches al popolo senza pane. Le masse ridevano o si arrabbiavano, e si sentivano immuni, per loro gli imbecilli erano i signori, con le loro fisime e le loro debolezze. Gli utopisti politici, per parte loro, ritenevano che, invece, le masse fossero portatrici del senso della storia e di valori alti e irrinunciabili, di generosità , bontà , sapere (la scienza proletaria, variante della sapienza poetica di Vico). Poi anche le masse hanno avuto espressione politica e mediatica, e si sono rivelate allo stesso livello di imbecillità  delle èlite. I nostalgici dei valori autentici li hanno cercati altrove: nell’alterità  geografica, o nell’animalità , ma non sono sicuro che sia la soluzione giusta: perchè mai un migrante dovrebbe essere immune dall’imbecillità ?
Che ruolo ha la Rete in questo dibattito?
Dà  voce, rappresentanza e documentazione potenzialmente incancellabile all’imbecillità , tanto di èlite quanto di massa. «Madamina, il catalogo è questo». Inoltre procede alla costruzione di post-facts, cioè di frottole. Quando Chomsky denunciava le menzogne del New York Times non poteva immaginare che cosa avrebbe fatto il web.
Si confonde la Rete con un agone democratico, anche grazie a una forza come M5S?
Sì, si confonde, o almeno si confondeva, sull’onda dei miti di trasparenza che avevano caratterizzato i primi anni della rete. Ora però bisogna essere molto più imbecilli della media per credere che la rete in quanto tale, senza dispositivi di verifica, accreditamento, validazione, sia un agone democratico. Erano più trasparenti (anche perchè contenevano l’80% di verità ) gli editoriali di Goebbels sul Và¶lkischer Beobachter.
Ha scritto: «Noi non siamo affatto più imbecilli dei nostri antenati, anzi, è altamente probabile che siamo molto più intelligenti di loro». C’è speranza, dunque?
Ci deve essere. Se noi avessimo la certezza che l’umanità  va verso una imbecillità  crescente non ci sarebbe senso nella storia e “progresso” sarebbe una parola vuota. Ma non è così. Abbiamo per esempio preso coscienza (almeno in teoria) della necessità  di tutelare l’ambiente o della parità  fra i sessi. La gente non va più al fronte in stato di esaltazione patriottica. Trump parla di cacciare i clandestini, non di sterminarli, magari dipendesse da lui lo farebbe, ma sa che quegli imbecilli che lo hanno votato non lo accetterebbero, mentre gli imbecilli al cubo che hanno votato Hitler lo hanno accettato. Sbagliando si impara, o altri imparano.

Daniela Preziosi

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INTERVISTA A ROBERTO VECCHIONI: “IL POPOLO E’ DIVENTATO POPULISTA, PRENDE E ARRAFFA QUELLO CHE PUO'”

Novembre 20th, 2016 Riccardo Fucile

“NON CI SONO PIU’ IDEALI, OGNUNO PENSA AI PROPRI INTERESSI PERSONALI E VA DIETRO A IMBONITORI E CIALTRONI”

Roberto Vecchioni non parla “con piacere di politica”, però si appassiona quando considera ciò che c’è intorno: “Qualsiasi posizione tu prenda — dice all’Huffington Post — una parte la accoglierà  come una disgrazia. Ti diranno che sei un venduto, un faccendiere, un interessato. E non ho nessunissima voglia di dire se voterò ‘sì’ oppure ‘no’ al referendum. Per me, è faticosissimo scegliere. Il cuore e l’anima sono per il ‘no’. Invece, l’intuito personale e la rabbia per alcune persone che sono contro mi spingono verso il ‘sì’. Lo vivo come un tormento. Ma non vedo gente lì fuori disposta a condividere la complessità  della scelta”
Cantautore, scrittore, padre: Vecchioni ha appena pubblicato per Einaudi “La vita che si ama. Storie di felicità ”, una biografia narrata in brevi racconti e accompagnata da un disco di nove canzoni destinate ai figli, in cui si respira qualcosa di antico.
Lei scrive a mano, Vecchioni?
Sono dipendente dal rapporto tra la mano e il foglio. È fondamentale per me. Mi rifletto in quella scrittura che è solo mia, vi riconosco lo sforzo che ho fatto per cercare un aggettivo, il lavoro che c’è voluto per comporre una frase. Le brutte copie conservano tutto ciò che ho pensato, le indecisioni che mi hanno attraversato, i tagli che ho fatto e sofferto: per questo le conservo. Le belle copie, invece, le butto.
La felicità  è nella bella o nella brutta copia?
È nella brutta. Credo che la definizione di felicità  che diamo vada completamente ribaltata: in genere, la immaginiamo come un insieme di attimi di gioia, oppure la confondiamo con la serenità . Tuttavia, la felicità  è la sensazione di essere nella vita, la convinzione di contare nel mondo e poter combattere.
Eppure, la letteratura spesso è più attratta dall’infelicità .
È difficile raccontare la felicità , almeno quanto è difficile narrare la vita, perchè la felicità  e la vita sono indistinguibili. Pensi al Paradiso di Dante: quanta felicità  c’è là  dentro? Il sublime dell’uomo, l’attimo in cui sente di essere vicino a Dio e che la sua vita ha un senso: è questa la felicità , il significare a se stessi che tutto quello che hai passato, anche se ti ha fatto male, ha una ragione d’essere.
Cosa si rimprovera della sua vita?
Molte volte quando sali su un palco fai scena. Mimi i sentimenti ma non li vivi. E quindi sono stato ipocrita, a volte. E anche un individualista spietato —quando mi sono innamorato troppo di me stesso e non sono stato ad ascoltare le ragioni degli altri. E quando ho insegnato ai miei figli a sognare, ma non a vivere.
Ha avuto un padre migliore?
Ho avuto un padre eccezionale. Per me, era un eroe mitico. Lo amavo perchè era fuori dal mondo: un personaggio che non aveva niente a che fare con le miserie quotidiane. La sua vita è stata uno sfarfallio di piccolezze che comunemente catalogheremmo come cose inutili. Momenti di intensi piaceri e grandi egoismi. È lui che mi ha insegnato il sogno e il gioco.
Si sogna (e si gioca) meglio con delle regole chiare?
Il sogno non è mai a vanvera. Devi sognare quello che vuoi o puoi realizzare, altrimenti diventa un’utopia del cazzo. Tutta la mia vita è stata un tentativo di dare più realtà  ai sogni di mio padre.
Nel suo libro c’è la musica, la famiglia, l’insegnamento: non la politica. La felicità  non ha niente a che vedere con la sfera pubblica?
Gli uomini non saranno mai contenti politicamente. Non esiste una società  in cui tutti i suoi membri siano felici: una parte di disadattati e scontenti rimarrà  sempre. Pur sapendolo, la politica per me è stata una grande illusione e una grande delusione. Da qualche anno, mi ha proprio disgustato. Non ne parlo mai volentieri. Rimango un uomo di sinistra, ma non trovo concrete affermazioni di queste idee nella realtà .
Trova che la sinistra si sia allontanata dal “popolo”?.
È il popolo che è diventato populista. Non tutto il popolo, per fortuna. Ma, in gran parte, non riesco ad amarlo come lo amavo una volta. È un popolo senza idealismo, che è diventato una banderuola tremenda. Per qualche mese va dietro ad uno, poi va dietro a un altro. E non è solo colpa sua, certo: c’è la miseria, le difficoltà , il bisogno.
C’erano anche una volta, però
Fino all’inizio degli anni settanta, il popolo aveva molte più ragioni per essere amato. Nutriva aspirazioni. Non faceva calcoli. Com’è oggi, non mi interessa più.
Cosa voterà  al referendum?
Non voglio prendere posizione. Qualsiasi cosa dicessi, verrei insultato e additato. E nessuno avrebbe davvero voglia di ascoltare le mie ragioni, considerare la difficoltà  che avverto. È una scelta difficile per me: ci sono impulsi che mi portano verso il no e altri che mi spingono verso il sì. Ma a pochi importa guardare le sfumature. I social network sono diventati un calderone di giudizi affrettati con i quali tutti sentenziano e mettono in discussione l’altro. Mai loro stessi.

(da “Huffingtonpost“)

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I SONDAGGI AFFOSSATI DA CELLULARI E VUOTO IDEOLOGICO

Novembre 20th, 2016 Riccardo Fucile

IL WEB HA SCONVOLTO IL MONDO DELLE RILEVAZIONI POLITICHE… IL FUTURO? DOMANDE INDIRETTE E ANALISI IBRIDE

Sondaggi in tilt, alla ricerca dell’elettore nascosto. È stato un boccone indigesto.
E non parliamo del grillo che Sam Wang, stimato professore di Princeton, si è mangiato in tv per aver clamorosamente sbagliato i pronostici: aveva definito «impossibile» la vittoria di Donald Trump.
Di errori grossolani ce ne sono stati diversi ultimamente, in tutto il mondo.
Dalla Brexit al referendum greco sulla ristrutturazione del debito.
E in Italia, alle politiche 2013, sfuggì l’esplosione del Movimento 5 Stelle, poi alle europee del 2014 non fu previsto il boom del Pd di Renzi.
Quasi un baco sistemico.
La Stampa ha messo a confronto esperienze e valutazioni di sondaggisti, politologi e sociologi italiani e statunitensi per capire che cosa sta succedendo.
Dopo l’8 novembre, infatti, ad essere sotto accusa è l’intera filiera dei sondaggi, l’industria che studia l’opinione pubblica.
Uno choc sintetizzato in un tweet da Patrick Ruffini, stratega digitale repubblicano a poche ore dall’elezione del tycoon: «Invoco la chiusura totale dei sondaggi e dei commenti politici finchè non capiamo».
Abbaglio collettivo o fallimento? Negli Usa è il momento dell’esame di coscienza. L’associazione di categoria (American Association Public for Opinion Research) indaga per capire cosa sia andato storto incrinando la credibilità  delle rilevazioni.
Un «mea culpa» gli addetti ai lavori non lo pronunciano, ma ammettono che andranno aggiornate metodologie e rintracciati gli sbagli.
Fattori sottovalutati  
«Dalla fine degli anni ’90 al 2012, negli Stati Uniti, 1200 organizzazioni hanno condotto quasi 37mila sondaggi facendo miliardi di telefonate», osserva la docente di Harvard Jill Lepore.
Peccato però che la maggioranza degli americani si sia rifiutata di partecipare.
Il tasso di risposta alle chiamate è precipitato dal 36% del 1997 al 9% del 2012, secondo i dati del Pew Center.
E 3 americani su 4 nel 2013 ritenevano che i sondaggi fossero faziosi.
A questa sfiducia va aggiunto un elemento tecnologico: l’ascesa dei cellulari, che in molti casi hanno rimpiazzato le linee fisse, in passato fulcro delle interviste.
Oggi negli Usa almeno il 41% delle utenze domestiche sono mobili, un altro 17% usa il fisso solo in emergenza.
Uno scenario che complica il lavoro dei sondaggisti e che aumenta i costi, anche perchè le leggi statunitensi non permettono di usare sistemi automatici per contattare gli elettori.
Per completare un sondaggio su mille persone, si devono digitare 20mila numeri. «I sondaggi si fanno usando i telefoni fissi e molte persone non li hanno più», dice Luca Diotallevi, professore di sociologia all’Università  di Roma Tre.
«Qualcuno chiama anche i cellulari, a caso, ma per questi non ci sono gli elenchi telefonici e dunque è impossibile costruire un campione», aggiunge.
«Molti elettori di Trump sono disoccupati: tra le spese ritenute non essenziali hanno tagliato il telefono fisso».
La difficoltà  a creare campioni rappresentativi è uno dei nodi che deve sciogliere chi analizza l’opinione pubblica.
L’evoluzione tecnologica è una sfida. «Si usano tecniche miste con linee fisse, cellulari e web ma i risultati non sono soddisfacenti- evidenzia Roberto D’Alimonte, professore di Sistema politico alla Luiss-.
E le intenzioni di voto sono diventate più volatili col declino delle ideologie». I costi incidono sui risultati.
Un sondaggio con un campione di 20mila persone costa 40mila euro e l’errore statistico è del 2%. Se sono 1500 intervistati, costa 3mila euro, ma l’errore sale al 3,4%. «Quelli pubblicati dai media erano in prevalenza sondaggi nazionali con campioni piccoli (2000 persone) – commenta, dati alla mano, Paolo Feltrin, professore di Scienze politiche a Trieste – Bisogna, però, distinguere fra tipi di consultazione».
È più semplice, infatti, prevedere la distribuzione dei voti tra tante opzioni o partiti che tra due sole opzioni (come il referendum) o partiti, perchè nel primo caso la variazione di pochi punti percentuali incide poco sull’attendibilità  e il successo di previsione del sondaggio.
Mentre in una situazione 50-50 basta una differenza di pochi punti a cambiare l’esito. È quanto successo con la Brexit, finita 52 a 48.
E come potrebbe essere, in teoria, per il referendum costituzionale italiano del 4 dicembre. «La sottovalutazione della crescita del M5S nel 2013 è stata un errore più grave proprio perchè lì c’era una situazione a più opzioni», dice.
Convergenze tra istituti  
Quando ci sono 50 Stati, con 50 situazioni e storie diverse, fare sondaggi nazionali ha poco senso. «Nelle presidenziali Usa c’è stata una sottovalutazione delle specificità  locali – precisa Feltrin – Anche perchè per aggiustare la scarsa rappresentatività  dei campioni, si deve fare ricorso alle riponderazioni: si prendono in considerazione i voti passati, le tendenze statistiche». Cioè si devono manipolare i dati col rischio di fare danni. In un quadro già  complesso c’è poi una criticità  ulteriore.
Al di là  degli errori, pesa la convergenza della maggioranza dei sondaggisti. «I fallimenti peggiori dei sondaggi – ha scritto il Los Angeles Times – sono avvenuti perchè chi li fa, volutamente o meno, si è indirizzato su una sola visione delle elezioni».
Ovvero ha fatto branco, gregge. Altri, più pesantemente, parlano di cartello.
Ed è un fenomeno che esiste anche fuori dagli Usa.
«I grandi sondaggisti si confrontano fra loro, introducendo fattori di ponderazione se i loro sondaggi sembrano troppo anomali rispetto alla media degli altri», dice Massimo Introvigne, presidente del centro di ricerche Cesnur.
Secondo Nicola Piepoli, fondatore dell’omonimo istituto di sondaggi, «questa consuetudine di consulto tra gli Istituti di ricerca è nata in Francia negli anni ’80 e ha una precisa ragione: ci si consulta non per mediare l’informazione ma per capire come sono state ottenute le informazioni se sono differenti tra loro».
Per Stefano Ceccanti, ordinario di diritto pubblico comparato alla facoltà  di scienze politiche dell’università  «La Sapienza» di Roma, «il problema della compensazione tra sondaggisti esiste, ma ha un presupposto». Infatti «non è tanto che gli istituti facciano cartello ma che gli intervistati tendono a occultare parte delle risposte che ritengono sgradite agli intervistatori o che comunque fanno fatica ad ammettere o che ritengono reversibili».
Resta il fatto che il coro c’era, negli Usa e altrove, ed era stonato.
«Non importa la metodologia usata, tutti hanno sbagliato nella stessa direzione», sostiene Tim Johnson, vicepresidente dell’American Association for Public Opinion Research. «E questo ci dice che c’è una fonte sconosciuta di errore sistematico che ancora non abbiamo individuato».
Ci sono state però due voci dissonanti, nelle presidenziali Usa.
Gli unici due sondaggisti che hanno indicato la vittoria di Trump erano finiti nel mirino delle critiche prima delle elezioni. Adesso invece vengono celebrati.
«Il punto è avere buoni dati di partenza su cui lavorare», commenta Raghavan Mayur dell’azienda Technometrica.
«Nel nostro caso, significa fare bene le interviste attraverso dei professionisti: ne facciamo un 65% ai cellulari e un 35% a utenze fisse». Tuttavia Mayur ritiene che quello degli strumenti utilizzati sia un problema collaterale. «Si è trascurato il sostegno a Trump».
Verso rilevazioni ibride  
L’altro che ha colto la volata di Trump è Arie Kapteyn, creatore dei sondaggi USC Dornsife. «Diversamente da altri, usiamo molto Internet, ma confrontando e calibrando il campione con l’archivio degli indirizzi postali», spiega.
L’anonimato percepito dei sondaggi on line aiuta a raccogliere risposte da chi è più ostile o timido nell’esprimere le proprie posizioni».
Altro aspetto metodologico-chiave: viene chiesto agli intervistati di comunicare non un voto secco, ma la probabilità  (da 0 a 100) di votare Trump o Clinton; e poi la probabilità  di andare proprio alle urne. Ciò consente di non sottovalutare gli astensionisti della volta prima, che però ora potrebbero avere la motivazione per presentarsi. «Siamo di fronte, anche da noi, ad una quota di astenuti che continua a crescere, ma che se sollecitata in determinati momenti rilascia inattese energie», sostiene Roberto Weber, presidente dell’Istituto Ixè. La maggiore difficoltà , dunque, è individuare quello che viene chiamato «voto nascosto o segreto».
Esattamente quello che dichiara di aver scovato Cambridge Analytica, la società  di analisi dei dati ingaggiata da Trump e specializzata nella costruzione di profili personali e psicologici degli elettori con l’obiettivo di individuare quelli da persuadere.
Al voto non dichiarato, invece, non era stato dato il giusto peso dalla maggioranza degli addetti ai lavori. E così adesso si cerca di correre ai ripari e, nei progetti degli istituti di ricerca sondaggi saranno sempre meno una voce isolata.
Il futuro è un ibrido.
I sondaggi saranno combinati con l’analisi demografica, le conversazioni sui social media, e altri dati raccolti in tempo reale.
Secondo Maurizio Pessato, presidente Swg, «il problema è la non risposta, le persone che non rispondono».
Da qui la difficoltà  di avere una piena conoscenza dell’opinione pubblica. «Quello che è accaduto nel voto americano, è già  successo con la Brexit», afferma.
«Sono persone che pensano di votare “contro” il sentire comune e alle quali non interessa rivelare la propria opinione». Si tratta di «una tendenza con cui dovremo fare i conti anche nei prossimi anni».
«Bisogna lavorare sugli indicatori indiretti, dare più peso alle domande indirette, ad un tipo di domande che possano fare emergere lo stato d’animo delle persone. Poi spetta al sondaggista e all’esperienza bilanciare le risposte per tracciare il quadro generale. Anche in Gran Bretagna il governo era a favore del “remain”, come lo erano media e industria. È il tramonto del politically correct».

Carola Frediani Giacomo Galeazzi
(da “la Stampa”)

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FILLON, LA GRANDE RIMONTA DEL TERZO INCOMODO, IL PIU’ LIBERALE DI TUTTI

Novembre 20th, 2016 Riccardo Fucile

INTERVISTA AL POLITOLOGO CANN CHE NE AVEVA PREVISTO IL SUCCESSO: “SARKOZY DIVIDE, JUPPE’ TROPPO SULLA DIFENSIVA”

Per mesi e mesi queste primarie francesi del centrodestra sono sembrate una noiosa battaglia dall’esito scontato: nonostante la presenza di sette candidati, si trattava di una partita a due, tra Alain Juppè e Nicolas Sarkozy.
E con il primo dato costantemente come vincente. Poi, invece, qualcosa è cambiato. Ce lo spiega Yves-Marie Cann, politologo, direttore degli studi politici di Elabe, a Parigi.
Cos’è successo?  
«Da tre settimane Franà§ois Fillon beneficiava di una dinamica favorevole nei sondaggi”
Com’è riuscito a risalire la china Fillon?  
«Grazie ai dibattiti fra i candidati organizzati in tv a tre riprese (l’ultimo giovedì sera). L’audience è stata sempre molto alta. E tanti elettori potenziali delle primarie del centrodestra hanno riscoperto questo personaggio politico, che fu premier durante tutti i cinque anni della presidenza Sarkozy».
Cosa piace di Fillon?
«Sul piano economico, ha un programma liberale, il più liberale di tutti i candidati. E sui valori, fa prova di un conservatorismo che genera simpatia tra tanti elettori della sua famiglia politica. Al tempo stesso ha un temperamento calmo e un piglio serioso: così diverso da Sarkozy, che, invece, divide molto i francesi e anche la destra».
Perchè il sindaco di Bordeaux Juppè cala?  
«Non ha preso rischi nella campagna, non è andato all’offensiva. Ora paga questa strategia».
Le ultime rivelazioni su possibili finanziamenti di Gheddafi a favore di Sarkozy nella campagna delle presidenziali del 2007 hanno un’influenza negativa sul candidato? O l’elettorato della destra è impermeabile a questo tipo di notizie, un po’ come succedeva un tempo per Berlusconi in Italia?
«No, questo tipo di rivelazioni non fa per niente bene a Sarkozy. La sua immagine soffre degli scandali già  da 2-3 anni.
In ogni caso, le differenze programmatiche fra i tre non sembrano così forti…  
«Si tratta soprattutto di una battaglia tra le personalità . E per trovare le differenze bisogna scendere ai dettagli: guardare alle misure concrete, più che alle idee generali».
Ad esempio?  
«Tutti e tre vogliono ridurre il numero dei funzionari pubblici. Ma Fillon vuole tagliare addirittura 500mila posti, Sarkozy 300mila e Juppè 250mila. Dove, invece, i punti di vista sono nettamente più distanti è sul fisco: Juppè, ad esempio, non prevede tagli all’imposta sui redditi, previsti invece da Sarkozy. E, anzi, il sindaco di Bordeaux vuole aumentare l’Iva».
Sul piano economico prevedono tutti riforme ambiziose, in un Paese bloccato dai sindacati qualche mese fa per una riforma del mercato del lavoro davvero poco ambiziosa. Come faranno a realizzare i loro “libri dei sogni”?  
«Ce lo chiediamo tutti. Anche perchè, se, come probabile, il candidato del centro-destra andrà  alle presidenziali al ballottaggio con Marine Le Pen e vincerà , lo farà  anche con i voti degli elettori della sinistra decisi a sbarrare la strada alla candidata del Front National. Ecco, in quel caso il presidente uscente sarà  ancora meno legittimo per realizzare un programma davvero molto a destra, come previsto in questa campagna».
A proposito, ma siamo sicuri che il candidato del centro-destra possa davvero imporsi fra cinque mesi, in un eventuale ballottaggio, contro la Le Pen?  
«Le inchieste d’opinione, almeno per il momento, dicono di sì. E qualsiasi sia il candidato del centro-destra. Però, Juppè o Fillon realizzerebbero dei risultati importanti, superiori al 60% o anche vicino al 70%. Mentre con Sarkozy sarebbe più complicato, perchè meno numerosi andrebbero a votarlo gli elettori di sinistra».

Leonardo Martinelli
(da “La Stampa”)

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BRUTTE NOTIZIE PER MARINE LE PEN: LE PRIMARIE DEL CENTRODESTRA LE VINCE FILLON, SECONDO JUPPE’, FUORI SARKOZY

Novembre 20th, 2016 Riccardo Fucile

L’ELETTORATO MANDA AL BALLOTTAGGIO DUE LIBERALI… I SONDAGGI DAVANO SPERANZE ALLA LE PEN SOLO CONTRO SARKOZY

La Francia attende di conoscere i risultati delle primarie per scegliere il candidato della destra gollista, Les Republicains, alle presidenziali del 23 aprile 2017.
Secondo i dati di 9.036 seggi su oltre 10.228 sarebbero passati al secondo turno del 27 novembre gli ex premier Francois Fillon (44,2%) e Alain Juppe (28,3%) mentre sarebbe fuori l’ex presidente Nicolas Sarkozy con il 20,8%.
Secondo una stima realizzata dall’istituto Elabe per BFM-TV hanno votato tra i 3,9 e i 4,3 milioni di francesi.
Su radio, tv e quotidiani on-line si parla di «mobilitazione record».
«Siamo sommersi», dicono gli organizzatori riferendosi alla massiccia partecipazione in tutto il Paese.
Inizialmente il voto era previsto dalle 8 alle 19 ma alcuni seggi, come quello del sedicesimo arrondissement di Parigi, sono rimasti aperti anche oltre per consentire a tutti di votare.

(da agenzie)

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LA LETTERA DI RENZI AGLI ITALIANI ALL’ESTERO REGOLARMENTE PAGATE DA SOSTENITORI DEI SI

Novembre 20th, 2016 Riccardo Fucile

CONTRIBUTI DA DAVIDE SERRA E DA ALTRI PRIVATI.. COSTO DI 1,5 MILIONI DI EURO, TARIFFA POSTALE RIDOTTA DI 3 CENTESIMI… STESSO CODICE DELLA LETTERA DI BERSANI

Ieri il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha fatto sapere che ha intenzione di querelare chi dice che le lettere che il Partito Democratico invierà  agli italiani per il sì al referendum costituzionale del 4 dicembre sono mandate usando i soldi pubblici. Oggi Il Fatto spiega che l’iniziativa per gli italiani all’estero è stata finanziata in effetti con donazioni fatte da privati, tra cui Davide Serra di Algebris, da sempre vicinissimo al premier.
Il Fatto ha scoperto che il Nazareno ha ricevuto un contributo economico dal simbolo del renzismo finanziario, Davide Serra, per inviare 2,5 milioni di lettere agli italiani al l’estero con le fotografie e l’autografo di Renzi.
Il capo del fondo d’investimento Algebris, assieme a numerosi e finora ignoti uomini d’affari, ha risposto a un appello del partito di governo: “Diverse persone stanno finanziando le lettere agli italiani all’estero, non solo Serra, e il denaro va al comitato ‘Basta un Sì’ inglese e italiano”, spiega un portavoce di Serra.
Il finanziamento è personale, non tramite Algebris. Ogni comitato europeo ha partecipato: a Bruxelles i membri si sono autotassati per gli aperitivi elettorali, a Londra sono in allerta i tanti italiani attivi nella finanza, che hanno disponibilità  economiche più consistenti.
Poi ci sono le Poste, che hanno praticato uno sconto per il recapito all’estero
L’azienda controllata dal Tesoro e quotata in Borsa, i cui vertici sono stati nominati dal governo in carica e sono in scadenza, ha praticato ai dem una tariffa di spedizione per 0,52 centesimi a busta — cifra comunicata al Fa t t o in maniera ufficiale da Poste Italiane —contro gli 0,55 (Europa) e 0,65 (Africa, Americhe, Oceania) previsti dalle tariffe di mercato per il servizio Postatarget International Plus.
Il conto è agevole: 1,3 milioni di euro per 2,5 milioni di lettere, più la spesa per la tipografia che spinge il totale verso il milione e mezzo. §
Come si può evincere dagli ultimi numeri che indicano l’anno, il codice stampato sui volantini di Renzi — G i p a / C n /E r / 0 0 0 2 / 2 01 3 — è lo stesso delle lettere che l’allora segretario Pd Pier Luigi Bersani recapitò agli italiani all’estero per lepolitiche del febbraio 2013.

(da “NextQuotidiano“)

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FIRME FALSE M5S, GLI EX ATTIVISTI ACCUSANO IL CERCHIO MAGICO

Novembre 20th, 2016 Riccardo Fucile

FABIO D’ANNA E GIUSEPPE MARCHESE ALL’ATTACCO DEI VERTICI REGIONALI DEL MOVIMENTO: “IMPEDISCONO DI AVERE UN MOVIMENTO DEMOCRATICO, UN GRUPPETTINO DI PERSONE PENSA DI FARE CIO’ CHE VUOLE”

Un cerchio magico per emarginare le voci dissonanti all’interno del M5S e “spianare cosi’ la strada a un gruppetto ristretto di persone” in vista delle future elezioni nazionali.
A denunciarlo sono due ex-attivisti del Movimento 5 Stelle, Fabio D’Anna e Giuseppe Marchese, oggi esponenti del Movimento di democrazia diretta “Decidiamolo Insieme”, che hanno incontrato i giornalisti nel corso di una conferenza stampa a Palermo, nello studio dell’avvocato Alessandro Crociata.
D’Anna e Marchese, oltre ad annunciare che si costituiranno parte civile nel futuro processo contro gli autori dei reati contestati in relazione allo scandalo firme false del M5s — al momento sono otto gli attivisti e i deputati indagati dalla Procura del capoluogo siciliano — hanno voluto far luce su alcune presunte irregolarità  che dimostrerebbero “che nel movimento c’è del marcio e la totale assenza di democrazia”.
Proprio D’Anna, tra i primi fondatori a Palermo nel lontano 2008, è tra coloro i quali ha disconosciuto la sua firma sui moduli presentati dai grillini in occasione delle elezioni amministrative del 2012.
Marchese invece aveva parlato delle mail che si erano scambiati gli attivisti dopo la raccolta firme
“Quella firma non era la mia, è sta chiaramente falsificata -ha detto, spiegando di aver presentato la dichiarazione di parte offesa in attesa del rinvio a giudizio- . Evidentemente qualcuno si e’ preso la briga di farlo, e ne hanno tratto dei benefici. Da allora ho lasciato il movimento: questi episodi sono la prova che c’è del marcio e non ho più fiducia in queste persone”.
D’Anna e Marchese ora puntano il dito contro alcuni deputati e attivisti del movimento, una ventina di persone, un cerchio ristretto che farebbe capo all’attuale deputato del M5s Riccardo Nuti, i cosiddetti “nutiani”.
Per alcuni la vicenda delle firme false sarebbe riconducibile soltanto a una leggerezza, ma per i due ex attivisti si e’ stata, invece, si sarebbe trattata di “una scelta ben precisa: la lista serviva per candidarsi alle competizioni nazionali”.
“All’epoca delle comunarie -raccontano- c’era un cerchio magico, un gruppo di soggetti che fa riferimento a Nuti, che hanno progressivamente emarginato ed eleminato le voci dissonanti all’interno del movimento. La decisione della falsificazione è stata presa da alcuni e non e’ stata prima condivisa. Queste persone erano le uniche ad avere contatti con la Casaleggio Associati e avevano in mente un percorso che doveva portarli in Parlamento”.
Secondo i due ex attivisti, infatti, la partecipazione a quella competizione elettorale — le comunali del 2012 — non era fine a se stessa, ma serviva per candidarsi alle prossime elezioni.
“In quel periodo -proseguono- ancora non si conosceva il nuovo regolamento che, per partecipare alle elezioni in Parlamento, prevedeva una precedente candidatura a una competizione elettorale comunale. Sospettiamo che questa regola fosse già  conosciuta all’epoca, altrimenti non si spiega questa fretta nel presentare le liste. Dopo il servizio delle Iene, si sta dipanando un filo logico molto chiaro: gli attivisti storici mai avrebbero avallato questo comportamento, l’hanno studiata per avvantaggiarsi personalmente, estromettendo quelli che potevano dare fastidio e hanno reso il M5s a Palermo terreno sterile”. Sembra però davvero poco probabile che la regola successivamente implementata per le candidature (tra l’altro con molte proteste) fosse nota già  all’epoca a Palermo: perchè?
Le responsabilità  di Cancelleri
Ma per i due ex attivisti le responsabilità  sono anche in chi, nonostante le voci che circolavano da tempo, non ha mai fatto chiarezza.
“Le scorse parlamentarie sono state propagandate come un esercizio di democrazia pura -ricostrusce l’avvocato Crociata-, ma molte delle persone che erano in elenco sono state escluse prima, pur avendone diritto, senza alcuna spiegazione. Come nel caso di Marchese, inserito nella lista dei possibili candidati ma, il venerdi’ sera, a due giorni dalle parlamentarie, inspiegabilmente è stato tagliato fuori perchè non in possesso dei requisiti. Nessuno ha mai spiegato le ragioni di tale scelta, nemmeno la Casaleggio Associati, e non sarebbe l’unico caso isolato”.
D’Anna e Marchese attaccano anche Giancarlo Cacellieri, attuale deputato regionale del movimento e tra i possibili candidati presidente alle prossime regionali: “Cancellieri sapeva tutto della nostra storia, e non ci ha fatto mai avere alcuna notizia. Anche lui, prima di parlare di fare pulizia, dovrebbe passarsi una mano sulla coscienza perchè ha fatto finta di nulla e si è tenuto persone in lista”.
Adesso i due ex attivisti, che affermano di non voler mai più far parte dei 5 Stelle, chiedono il “innovamento del movimento”, con l’esclusione dei soggetti che hanno dimostrato con la loro condotta “cosa non si deve fare, e che siano i vecchi attivisti a risollevare le sorti del M5s, di chi crede ancora nei valori di democrazia”.
I due si dicono delusi anche dal leader del Movimento, Beppe Grillo: “Ci attendiamo che tutti gli indagati seguano l’esempio di La Rocca, ma da Beppe ci saremmo aspettati qualcosa di più della richiesta di autosospensione, tardiva e insufficiente, a riprova del doppiopesismo che esiste nel movimento. In altre occasioni hanno cacciato direttamente le persone, come nel caso di Pizzarotti. Di questi, nonostante l’indagine, nessuno è stato sospeso o cacciato. Ci stanno impedendo di aver un movimento democratico soltanto perchè un gruppettino di persone possa fare ciò che vuole” concludono.

(da “NextQuotidiano”)

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LA GRILLINA LA ROCCA: “NON SONO UN’EROINA, HO DETTO LA VERITA’ SULLE FIRME FALSE”

Novembre 20th, 2016 Riccardo Fucile

“MI DISPIACE SE HO DELUSO QUALCUNO”

La deputata siciliana Claudia La Rocca, che nei giorni scorsi ha ammesso le proprie responsabilità  davanti ai pm di Palermo sul caso delle presunte firme false nella lista dei Cinquestelle alle comunali del 2012 a Palermo e che due giorni fa ha deciso di autosospendersi dal M5s, ha deciso di rompere il silenzio e di affidare a un post su Facebook alcune considerazioni sulla vicenda.
«Mi ero ripromessa di non scrivere nulla. Sono giorni molto difficili, ogni parola potrebbe essere sbagliata – scrive la deputata -, so che la gente da dietro una tastiera sa essere molto cattiva, so che c’è sempre qualche detrattore del Movimento pronto a strumentalizzare ogni cosa, senza nessuna oggettività  e umanità . Ormai da una settimana ricevo decine e decine di messaggi di stima e incoraggiamento da amici, colleghi, conoscenti, sconosciuti, giornalisti, dirigenti, sindaci e assessori. Dimostrazioni di affetto pubbliche e private… E senza alcuni `angeli’ questi momenti sarebbero stati ancora più difficili da sopportare. Un calore così immenso e inaspettato per il quale non posso non ringraziare tutti e l’unico motivo delle mie parole adesso».
«Io – scrive nel post – non voglio essere l’eroina, non voglio essere la protagonista, volevo solo mettere la parola fine ad una situazione che stava degenerando, tirando dentro tutto e tutti, e l’ho fatto nell’unico modo che conoscevo, la cosa che mio padre più apprezzava di me… Dicendo la verità ».
«La mia scelta è stata difficile e non riesco a smettere di provare un profondo dolore. Sapevo di mettere in discussione gli ultimi 8 anni della mia vita, il mio ruolo di portavoce che ho messo al primo posto, sacrificando la mia vita privata, cercando di portare avanti il mio lavoro con serietà , impegno e passione… Ma la vita è fatta di scelte e affrontare un temporale con dignità , potersi guardare allo specchio, vale di più». «So che è stato uno stupido errore – conclude – e mi dispiace se ho deluso qualcuno».

(da “Huffingtonpost”)

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“FIRME FALSE, NON SOLO COPIATE”. SI ALLARGA L’INDAGINE SUI CINQUESTELLE

Novembre 20th, 2016 Riccardo Fucile

DUE TESTIMONI: “ABBIAMO FIRMATO PER IL REFERENDUM SULL’ACQUA NON PER LA LISTA”… SI SOSPENDE IL DEPUTATO CIACCIO, NO DI NUTI E MANNINO

Non solo firme ricopiate.
Nella lista del Movimento 5 stelle per le Comunali 2012 sarebbero state inserite anche firme rubate.
Alcuni nominativi, con le date di nascita e i documenti d’identità , provenivano dagli elenchi di chi firmò ai banchetti per il referendum che aveva come argomento la privatizzazione dell’acqua e non per la costituzione delle liste per le successive elezioni amministrative. Banchetti ed elenchi di un anno prima, insomma.
Intanto l’inchiesta della procura si è già  arricchita di nuove indicazioni importanti. Non solo la deputata La Rocca, ma anche altri due attivisti del Movimento hanno raccontato ai magistrati cosa accadde.
E dopo La Rocca, ieri si è autosospeso il deputato regionale Giorgio Ciaccio, mentre i due parlamentari nazionali indagati, Riccardo Nuti e Claudia Mannino, restano in sella: “Prima l’avviso di garanzia”.
Un avvocato e un commercialista, convocati nei giorni scorsi dalla Digos, hanno spiegato di non avere firmato le liste elettorali di M5S: «Quelle firme sono palesemente false, non sono nostre», hanno messo a verbale in questura.
Nel 2011, i due professionisti avevano invece firmato ai banchetti per il referendum sistemati davanti al palazzo di giustizia, in piazza Vittorio Emanuele Orlando, e al Politeama.
L’avvocato e il commercialista lo confermano a Repubblica. «Non ricordo di avere firmato per le liste elettorali – dice il legale – ma ricordo con certezza di avere firmato per il quesito sull’acqua pubblica».
È il nuovo fronte dell’inchiesta, che presto potrebbe far saltare fuori altri nominativi rubati dalle liste di chi ha aderito al referendum.
Intanto, l’inchiesta della procura si è già  arricchita di nuove indicazioni importanti: non solo la deputata regionale Claudia La Rocca, anche altri due attivisti del Movimento 5 Stelle hanno raccontato ai magistrati della procura cosa accadde la notte del grande pasticcio per salvare la lista delle comunali, nel meetup di via Sampolo.
Le critiche del Pd. “La firmopoli siciliana si allarga di giorno in giorno e fa emergere contorni di una gravità  sempre più evidente. Ma i vertici del Movimento 5 stelle continuano a sminuire” il caso, afferma il senatore del Partito democratico Francesco Scalia sull’inchiesta delle firme false a Palermo.
“Di fronte alle nuove ammissioni degli attivisti siciliani, che ammettono le responsabilità  sul metodo illegale di raccolta firme, false, copiate o clonate che siano, i vertici pentastellati, che sapevano e hanno taciuto non possono più balbettare. Hanno il dovere di fare chiarezza. Attendiamo fiduciosi. Ma non troppo”.
E il senatore Stefano Esposito aggiunge: “Dopo le firme copiate spuntano quelle clonate, spostate pari pari dalle liste di chi aveva firmato per il referendum sull’acqua in Sicilia e finite sotto le candidature a Cinquestelle. I vertici pentastellati, che sapevano e hanno taciuto invece di assumersi le loro responsabilità , continuano a tergiversare e dal tour siciliano per la campagna del no fanno saltare la tappa di Palermo”.
Giuseppina Maturani, vicecapogruppo del Pd al Senato afferma: “Dalle firme false a quelle clonate, raccolte per un altro motivo? Questo è quello che è avvenuto a Palermo tra i dirigenti (?) del movimento grillino? Siamo passati da onestà -onestà  a Grillopoli. Nel solito silenzio omertoso e assordante — aggiunge – di Grillo e dei vari Di Maio e Di Battista che si girano dall’altra parte e intanto scappano da Palermo nel loro tour ferroviario. Eh, come è trasparente la diversità  grillina”.
“Ormai quella delle firme false a Palermo è diventata una vera e propria Grillopoli — afferma la vicecapogruppo del Pd alla Camera, Silvia Fregolent. Oggi Di Maio e Di Battista, Grillo e Davide Casaleggio continueranno a sminuire e a girarsi dall’altra parte o proveranno a fare chiarezza sulle nuove allarmanti denunce. La vicenda può essere ancora più grave rispetto a quanto già  emerso. Se fosse vero che hanno clonato firme siglate per altri motivi, l’imbroglio sarebbe ancora più serio”.

(da “La Repubblica”)

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