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LA VERGOGNA DI VIRGINIA RAGGI SI CHIAMA BAOBAB: DOV’E’ FINITO LO SLOGAN “NESSUNO DEVE RIMANERE INDIETRO” ?

Novembre 28th, 2016 Riccardo Fucile

DA CINQUE MESI SA SOLO RIPETERE “VI FAREMO SAPERE”… E I PROFUGHI DORMONO IN STRADA… LA PRESA PER I FONDELLI DELLE TENDE NEGATE

Dino Giarrusso delle Iene ci ha fatto vedere quello che sta succedendo a Roma dopo la chiusura del Baobab, voluta dal Prefetto Paolo Tronca, e dallo sgombero del presidio di Via Cupa, deciso dalla Sindaca Virginia Raggi e dall’assessora al sociale Laura Baldassarre.
Anche se i migranti che in quel momento erano ospiti della “struttura” (non è possibile chiamarla così perchè nella sua ultima incarnazione era una tendopoli in strada) sono stati trasferiti in diversi centri molti altri ne sono arrivati da quell’ultimo sgombero.
Per loro l’amministrazione capitolina non ha intenzione di fare nulla
I cinque mesi di “studio del problema” della giunta Raggi non hanno prodotto nulla
Il Baobab di via Cupa a Roma era un centro di accoglienza per migranti chiuso dopo i fatti di Mafia Capitale e fatto sgombrare nel dicembre 2015.
Formalmente il Baobab, che in questi anni ha fornito un riparo a migliaia di migranti passati per la Capitale, è stato chiuso per riconsegnare l’edificio sito nei pressi della stazione di Roma Tiburtina al suo legittimo proprietario.
Nei fatti però nè l’allora Commissario a Roma Capitale, il prefetto Tronca, nè la giunta Raggi sono riusciti a trovare una soluzione per ospitare le decine di migranti che vivono in condizioni precarie dormendo nelle tende per strada.
La forma precaria di accoglienza è stata garantita fino a a fine settembre dal lavoro dei volontari della Baobab Experience (che non hanno a che fare con il Centro Baobab) e dalla solidarietà  e generosità  di molti cittadini romani che in questi mesi hanno donato cibo e beni di prima necessità  per il sostentamento dei migranti.
Su Internazionale in un reportage a firma di Annalisa Camilli uno dei volontari ricordava come uno degli ultimi incontri con l’assessora alle politiche sociali del Comune di Roma Laura Baldassare si fosse risolto con un nulla di fatto.
La Baldassare ha interrotto il tavolo tecnico con volontari e associazioni che operano in via Cupa spiegando che non c’è la possibilità  di allestire una tendopoli con 150 posti letto.
Come abbiamo spiegato il Comune di Roma non ha attualmente una struttura idonea ad ospitare ed accogliere tutti i migranti transitanti, o temporanei, che si fermano a Roma per qualche tempo in attesa di cogliere l’occasione di raggiungere il Nord Europa dove a volte ad aspettarli ci sono familiari ed amici.
Dopo lo sgombero di Via Cupa, dove ai migranti che vivevano per strada erano in ogni caso fornite grazie al lavoro dei volontari assistenza sanitaria e sostentamento, i migranti si erano trasferiti nel piazzale Est della Stazione Tiburtina, ma a inizio novembre anche quell’accampamento di fortuna è stato sgombrato dalla Polizia.
Nonostante le promesse di Virginia Raggi, che aveva garantito appena eletta che sarebbe stata trovata una soluzione entro metà  agosto a Roma non è successo nulla e niente si è mosso per risolvere il problema dell’accoglienza.
Lo certifica la situazione dei migranti che ancora vivono all’addiaccio per strada e anche il fatto che il centro della CRI di via del Frantoio, dove a settembre erano stati trasferiti alcuni degli ospiti di Via Cupa potrebbe presto essere chiuso.
Tutto questo accade mentre la giunta, almeno formalmente, è ancora impegnata a condurre un’indagine di mercato non vincolante per il Comune (che quindi potrebbe decidere di non tenerne conto) rivolta a titolari di strutture di accoglienza già  operative sul territorio (e che quindi a rigor di logica non è affatto detto che abbiano la disponibilità  di posti necessari a risolvere la presente situazione) o a coloro che intendono aprirne di nuove.
Nel frattempo però la situazione dei migranti che sono già  arrivati a Roma e sono rimasti fuori dai centri d’accoglienza e quella di coloro che arriveranno nelle prossime settimane rimane estremamente difficile perchè ora i volontari del Baobab non hanno nemmeno un posto dove allestire un centro sanitario con delle tende per garantire la possibilità  di un riparo temporaneo.
In realtà , come ha mostrato Giarrusso alle Iene alcuni posti dove poter allestire questi centri d’accoglienza d’emergenza ci sarebbero, e sono pure di proprietà  del Comune.
Ma la giunta Raggi, che ha fatto del dialogo uno dei principi cardine della sua azione amministrativa non sembra disposta ad ascoltare i volontari della Baobab Experience.
Ci ha pensato quindi la Iene a chiedere alla Sindaca se era disposta ad autorizzare l’allestimento di una tendopoli (con le tende del Medu — Medici per i diritti umani) per consentire ai volontari del Baobab di fornire un punto d’appoggio di prima accoglienza per i migranti transitanti.
Il risultato è questo surreale scambio dove la Raggi prima nega l’esistenza delle tende, poi promette di concedere lo spazio (un parcheggio):
Sindaco Raggi, purtroppo tante persone dormono per strada, sto parlando dei migranti transitanti

Abbiamo avviato un percorso che è quello di ripristinare una struttura all’interno della quale ospitare i migranti transitanti
Che tempi ci saranno, ogni giorno che passa ogni giorni che passa due trecento migranti dormono per strada, problemi per loro problemi per la città  di Roma.
Attenzione, attenzione, ovviamente ci vorrà  del tempo. Le persone che prima erano per strada sono state collocate all’interno di centri d’accoglienza già  presenti a Roma.
Sindaco oggi i ragazzi ci hanno fatto vedere un grande parcheggio dove potrebbero per lo meno mettere delle tende.
Attenzione, al momento le tende del Comune e della Protezione Civile sono state inviate per dare assistenza alle persone colpite dal sisma.
Sì ma ci sono le tende dei volontari, è lo spazio che gli dovete dare.
Non è vero che le tende ci sono. Non è vero.
Ma ci sono, le ho viste io: sono le tende dei volontari.
Benissimo se le tende ci sono allora metteremo a disposizione quel parcheggio con quelle tende per gli immigrati transitanti.
Virginia Raggi “risolve” l’emergenza migranti dichiarando l’accoglienza zero
Bene, ma non benissimo, perchè si tratta di una promessa che la Raggi ha già  fatto in molte altre occasioni e che è già  stata disattesa.
Giarrusso, dopo aver ottenuto rassicurazione dai volontari del Baobab che il centro temporaneo con le tende di MeDU potrebbe essere allestito in dodici ore è tornato alla carica e ha incontrato la Sindaca assieme all’assessora al Sociale Laura Baldassarre.
Se vi aspettavate che Raggi&Baldassarre avrebbero detto che sì, davano la possibilità  di utilizzare quel parcheggio abbandonato vi siete sbagliati.
L’assessora infatti dopo aver precisato che “c’è un dialogo costante con le associazioni” ha dichiarato che “per noi mettere le tende è l’extrema ratio, noi dobbiamo dare i diritti prima di tutto a queste persone, un’accoglienza dignitosa e non in tenda“.
Il che visto e considerato che ci sono già  centinaia di migranti che dormono per strada e che le temperature notturne non sono propriamente delle migliori suona un po’ come una presa in giro.
Anche alla luce del fatto che già  il 22 novembre (una settimana fa) la Baldassare aveva ripetuto le stesse parole alle associazioni che aiutano i migranti   a Roma (tra cui Medu).
Abbiamo appena terminato l’incontro con il Comune di Roma sulla drammatica situazione dei migranti in bisogno di protezione e in transito nella capitale, a seguito dei reiterati sgomberi e dell’accanimento delle ultime settimane.
L’assessore Baldassarre ha preso atto del perdurare del flusso di arrivi e della necessità  di un intervento immediato. Il 30 novembre il Comune ha fissato un nuovo incontro per definire operativamente le iniziative urgenti da attuare. Abbiamo chiesto al Comune nel frattempo di impegnarsi con la Questura e la Prefettura di Roma affinchè non si verifichino ulteriori sgomberi.

Un nuovo rinvio insomma, con la scusa che consentire l’utilizzo delle tende è l’ultima risorsa perchè, come ha sottolineato stizzita la Raggi “se noi riusciamo a trovare un tetto a queste persone mi permetterà  di dire che sono più contenta?“.
Il fatto è che è ormai certificata l’impossibilità  di trovare in tempi relativamente brevi (e umani) un tetto a tutti i migranti che si trovano per strada in queste notti: semplicemente perchè un tetto non c’è.
Continuare a dire lo “stiamo cercando” (da ormai cinque mesi) non è riuscito a farlo comparire, forse è il caso di pensare ad un’altra soluzione.
Le tende? No, la Raggi ha le idee piuttosto chiare; se consentisse l’allestimento delle tende “poi domani ne arrivano altrettanti, e poi altrettanti” e non resta quindi — testuale — “chiudere le quote su Roma, perchè Roma non è più in grado di accogliere”.
In poche parole: le tende non ci saranno mai (e probabilmente anche strutture più stabili) perchè in tal caso significherebbe che Roma è in grado accogliere altri migranti.
Se da un lato la Raggi ha ragione a dire che la soluzione deve essere organica — che però dovrebbe essere trovata proprio dalla Baldassarre, visto che i romani la pagano per questo —   (e nessuno nega che il Comune da solo non sia in grado di farcela) dall’altro c’è il fatto che ci sono — adesso, non nelle prossime settimane — persone che vivono per strada senza un riparo, senza assistenza sanitaria, in condizioni igienico sanitarie precarie.
In questi mesi la giunta a Cinque Stelle ha dimostrato di mancare non solo di progettualità , ma pure di umanità .
Dire che bisogna chiudere le quote non risolve il problema, sposta solo la questione su un altro piano, o meglio sotto il tappeto.
Dietro al no della Raggi c’è quindi l’incapacità  di guardare alla questione in maniera non demagogica, e ai più attenti non sarà  sfuggito che quella tenuta dall’amministrazione M5S è la messa in atto della linea dettata mesi fa da Beppe Grillo sull’immigrazione.
Fino ad ora la risposta della Sindaca Raggi e dell’assessora alla Persona, Scuola e Comunità  solidale Laura Baldassarre è stata una sola ed è stata la stessa della gestione che le ha precedute: lo sgombero.
Sono solo e sempre “gli altri” in Europa a costruire muri?

(da “Nextquotidiano”)

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E’ RESUSCITATO L’ALBERGATORE DI FICAROLO CHE NON VOLEVA 15 PROFUGHI NEL SUO ALBERGO: 225 EURO AL GIORNO PER 2 MESI GLI HANNO FATTO PASSARE IL MALORE

Novembre 28th, 2016 Riccardo Fucile

IL PREFETTO L’AVEVA ACCUSATO DI SPECULARE SUL PREZZO, LA LEGA SI ERA MOBILITATA SALVO SPARIRE NEL MOMENTO DELL’ARRIVO DEI PROFUGHI…ORA L’ACCORDO TRA LA COOPERATIVA E IL PROPRIETARIO, LA PREFETTURA REVOCA LA REQUISIZIONE… IL PAESE GLI HA VOLTATO LE SPALLE

L’Hotel Lory di Ficarolo esce dalle cronache dei giornali e da quelle televisive relative ai profughi con “reciproca soddisfazione” della prefettura e del titolare dell’hotel.
Leghisti e arruolati xenofobi erano già  spariti da tempo.
Il prefetto Enrico Caterino, una volta visto l’accordo fra il proprietario, Luigi Fogli, e la cooperativa padovana Edeco (che gestisce i 15 profughi) ha infatti potuto revocare l’ordine di requisizione della struttura che tante polemiche aveva alimentato.
Circolano anche le cifre sulla base delle quali è stato trovato l’accordo: la coop Edeco verserà  15 euro al giorno per ognuno dei 15 profughi fino al prossimo 20 dicembre. Ma l’accordo è prorogabile di un altro mese. Almeno.
15 euro al giorno per 15 profughi per 60 giorni fa 13mila 500 euro per l’affitto nudo e crudo di cinque stanze triple per due mesi. Niente di più.
Dei servizi collaterali, a partire dal vitto, si occupa come noto la coop.
Questa è la cifra pattuita, 225 euro al giorno per l’uso di 5 camere che, non trattandosi certo di località  tiuristica come Jesolo, sarebbero rimaste inutilizzate in questo periodo dell’anno.
Il sindaco Fabiano Pigaiani ha ottenuto che il numero di profughi in paese non supererà  il tetto di 15 (quelli dunque che già  ci sono) e si è impegnato a cercare nuove soluzioni abitative in alternativa al Lory.
Ma, a questo punto, con calma.
Fogli ora non trova di meglio che prendersela coi suoi concittadini per essersi visto scaricare, e senza mezzi termini, da buona parte del paese. “Mi spiace davvero tanto che la gente del mio paese mi abbia trattato così”.
Forse perchè lo conoscono fin troppo bene?

(da “La Voce di Rovigo“)

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“STATE LONTANI DALLE CAMIONETTE”: UN SENATORE EX M5S VANEGGIA DI BOMBE SUL REFERENDUM

Novembre 28th, 2016 Riccardo Fucile

IL SENATORE DI GAL PEPE IPOTIZZA LO SCOPPIO DI BOMBE FATTE ESPLODERE AD ARTE… AL DELIRIO REFERENDARIO MANCAVA ANCORA “LA STRATEGIA DELLA TENSIONE”

“State lontani dalle camionette. Può accadere che la settimana prima di un referendum importante in cui il governo va sotto il destino delle genti italiche possa essere indirizzato da una bomba o da una bombetta…”.
E’ il tweet choc del senatore di Gal Bartolomeo Pepe.
Il cinguettio del parlamentare ex Movimento 5 Stelle ha subito innescato la polemica. “Assistiamo ormai senza sosta a una escalation verbale inaccettabile, a richiami alla violenza e all’insulto che gli italiani che vogliono bene alla democrazia nel nostro paese non meritano”, denuncia il comitato referendario Basta un Sì di fronte all episodio definito “inquietante” del senatore Gal Bartolomeo Pepe che su twitter evoca timori di bombe fatte esplodere ad arte per influenzare l’esito del referendum del 4 dicembre.
“Più che a una strategia della tensione d’altri tempi, da queste parole emerge solo una tensione e un’irresponsabilità  scellerate e fuori luogo – attacca il comitato referendario – che mal si addicono a dichiarazioni rilasciate da un membro delle istituzioni degno di rappresentare il popolo italiano. Noi tutti – conclude il comitato – siamo impegnati a condurre una campagna serena e basata sui contenuti della riforma e siamo convinti che il nostro paese non abbia ulteriore bisogno di alimentare divisioni e ostilità “.

(da “Huffingtonpost“)

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CANTONE INDAGA SU MARRA

Novembre 28th, 2016 Riccardo Fucile

L’ANAC CHIEDE DOCUMENTI SUL RUOLO DEL CAPO DEL PERSONALE DELLA RAGGI

Roma Capitale dovrà  fornire ad Anac informazioni e documentazione sul ruolo di Raffaele Marra come capo del personale e in particolare sulla vicenda relativa alla nomina di suo fratello, Renato Marra, alla guida della direzione turismo.
La scorsa settimana, a quanto si apprende, è partita una richiesta dell’Anac diretta al Responsabile anticorruzione del Comune con cui si chiede di fornire indicazioni e documenti necessari per valutare eventuali violazioni.
L’istanza dell’Autorità  nazionale anticorruzione mirerebbe a fare chiarezza su tutti gli incarichi dirigenziali assegnati e si focalizza sulla nomina di Renato Marra, visto il rapporto di parentela.
La posizione di Marra, già  collaboratore dell’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, è finita più volte sotto i riflettori in questi mesi, l’ultima pochi giorni fa quando è emerso da articoli di stampa che la procura di Roma sta indagando sulle nomine fatte dall’amministrazione del sindaco Virginia Raggi.
Sebbene anche una parte dei Cinquestelle avesse chiesto che fosse rimosso, il 10 novembre, quando c’è stata una rotazione dei dirigenti comunali, Raffaele Marra è stato confermato al suo posto e suo fratello Renato è passato dalla polizia municipale, dove era capo della sezione sull’abusivismo commerciale, alla guida della nuova direzione turismo. Una scelta che aveva suscitato polemiche, visto il rapporto di parentela tra i due e possibili profili di conflitto d’interesse.
Ora è la stessa Anac a volerci vedere chiaro, per verificare se le regole siano realmente state rispettate e quale sia stato il ruolo di Marra rispetto alla nomina del fratello.

(da agenzie)

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CORSE, BIGLIETTI E CONTROLLI: PERCHE’ L’ATM DI MILANO FUNZIONA MENTRE L’ATAC DI ROMA NO

Novembre 28th, 2016 Riccardo Fucile

NEL 2015 L’AZIENDA MILANESE HA INCASSATO 18 MILIONI DI EURO, QUELLA ROMANA MENO DI OTTO

L’ultima trovata, a Roma, è il controllore fisso sul bus.
Deve essere parso strano, in effetti, che nel 2015 a Milano l’azienda del trasporto pubblico locale Atm registrasse multe per oltre 8 milioni di euro, mentre nella Capitale l’Atac si fermava a poco più di 1 milione.
E al di là  del singolo caso, è un confronto, quello tra l’azienda romana e quella milanese, che può aiutare ad avere un quadro più chiaro del caos in cui Atac sta affondando.
Lo spunto nasce dalla presentazione alla Fondazione Luigi Einaudi di uno studio firmato da Aduc, l’Associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori, che ha voluto mettere allo specchio i bilanci e i dati forniti dalle due municipalizzate nel 2015.
Mai come in questo caso, si può dire che un’azienda sia fatta degli uomini che ci lavorano.
L’Atm ha poco più di 9 mila dipendenti, contro gli oltre 11 mila dell’Atac tra i quali risalta un gran numero di quadri e dirigenti.
Rispetto ai colleghi romani, ogni dipendente dell’Atm di Milano costa mediamente il 14 per cento in più, è vero, ma ottiene per l’azienda un fatturato medio superiore del 24 per cento.
Per valutare un servizio di trasporto pubblico è poi necessario scendere in strada.
Il primo dato è un colpo allo stomaco: tra il 2014 e il 2015, Atac ha soppresso oltre 653 mila corse.
La metà  delle volte, a causa di un guasto alle vetture che hanno, secondo lo studio, un’età  media di dodici anni contro i nove dei mezzi milanesi.
Pesa, in questo senso, l’enorme debito di Atac nei confronti dei fornitori e la conseguente difficoltà  nel reperire pezzi di ricambio.
Per le corse soppresse delle metropolitane romane, invece, la causa è una volta su due riconducibile alla mancanza di personale. Nonostante gli 11 mila dipendenti.
A Roma, poi, i mezzi che escono nelle ore di punta sono circa 1200, contro i 1500 previsti dal piano industriale.
Eppure, a fronte di una diminuzione di chilometri percorsi, si è registrato un aumento dei costi di produzione – denuncia l’Aduc – saliti da una stima di 945 milioni di euro a oltre 1 miliardo di euro effettivi. E anche la capacità  di Atac di autofinanziarsi, senza attingere all’esterno, è stata sovrastimata: si contava di arrivare a sfiorare i 100 milioni di euro e ci si è dovuti fermare a poco più della metà .
A Milano, sempre nel 2015, la tendenza era opposta, con 163 milioni di euro di finanziamenti coperti con risorse proprie.
La qualità  dell’offerta si riflette in prima battuta sulle vendite dei biglietti e degli abbonamenti.
A Roma sono scese dai 275 milioni di euro del 2014 ai 260 del 2015, senza segnare un’inversione di rotta nel 2016, nonostante il Giubileo.
Milano mantiene invece un trend positivo, tanto da registrare, nel primo quadrimestre del 2016, una crescita di introiti provenienti da abbonamenti e ticket di viaggio di circa il 30 per cento rispetto agli stessi mesi dello scorso anno.
Un buon termometro per valutare lo stato di salute di un’azienda è dato anche dagli introiti pubblicitari.
Mentre Atm, nel 2015, incassava più di 18 milioni di euro, l’azienda romana riusciva a racimolarne meno di 8 milioni.
La distanza tra le due realtà  appare incolmabile. Atac, nei piani del Movimento 5 stelle capitolino, dovrebbe tornare ad un livello di competitività  tale da riuscire a partecipare alla gara indetta dal Campidoglio nel 2019, con cui verrà  riassegnato l’affidamento del servizio di trasporto pubblico nella Capitale.
Speranze che, per ora, si stanno scontrando con la dura realtà  di un debito da 1 miliardo e 300 milioni di euro. Virginia Raggi, però, punta i piedi. Ogni altra ipotesi, dal commissariamento alla privatizzazione, va considerata come un’eresia.
D’altronde, come potrebbe abbandonare ciò che in campagna elettorale chiamava il «fiore all’occhiello di Roma»?

Federico Capurso
(da “La Stampa”)

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INCHIESTA SUI MEZZI NOLEGGIATI DALL’ESERCITO IN AFGHANISTAN: “BLINDATURA PIU’ LEGGERA”

Novembre 28th, 2016 Riccardo Fucile

SEI UFFICIALI INDAGATI PER TRUFFA DOPO IL PRESUNTO SUICIDIO DI UN CAPITANO TROVATO MORTO A KABUL… IL TITOLARE DELL’AZIENDA RISULTA VICINO AD AMBIENTI DEL TERRORISMO

La blindatura dei veicoli civili noleggiati dall’Italia in Afghanistan era più leggera (e quindi meno cara) di quella pattuita.
E il titolare della ditta di riferimento era considerato “vicino ai terroristi”.
Per questi motivi, sei ufficiali italiani sono stati iscritti nel registro degli indagati per truffa militare aggravata dalla procura militare di Roma.
La blindatura più leggera avrebbe potuto mettere a serio rischio, sostengono gli inquirenti, il personale cui erano destinati.
I carabinieri dell’Ufficio di polizia giudiziaria della Procura militare di Roma hanno ascoltato centinaia di militari, in Italia e nei teatri operativi, a tutti i livelli.
Gli inquirenti, coordinati dal procuratore militare di Roma Marco De Paolis e dal sostituto Antonella Masala, hanno disposto diverse consulenze informatiche e balistiche e sottoposto a sequestro 28 veicoli civili blindati in quel momento nella disponibilità  del contingente militare italiano schierato ad Herat.
Quattro container sono stati invece riempiti con documenti amministrativi e contabili, partiti da Herat alla volta di Roma, per essere esaminati.
L’indagine è nata dal suicidio di un ufficiale italiano a Kabul.
Il capitano Marco Callegaro, di 37 anni, sposato e con due figli, era appena tornato da una licenza in Italia e nella notte tra il 24 e il 25 luglio 2010 venne trovato morto nel suo ufficio all’aeroporto di Kabul ucciso da un colpo di pistola.
Ma il fatto fu subito archiviato come suicidio, anche se i genitori del militare — che prestava servizio come capo cellula amministrativa del comando ‘Italfor Kabul’ — hanno più volte sollevato dubbi sulla drammatica fine del figlio.
Dopo la morte di Callegaro, De Paolis e da Masala hanno coordinato le indagini che hanno portato alla luce un presunto giro truffaldino portato avanti da alcuni ufficiali che, con i loro comportamenti, non avrebbero esitato ad esporre a rischio i loro colleghi.
In particolare, i sei ufficiali finiti nel registro degli indagati, avrebbero taciuto il dato della difformità  del livello di blindatura di tre veicoli commerciali destinati all’Italian Senior Officer, cioè l’ufficiale italiano più alto in grado in Afghanistan, rispetto alle caratteristiche pattuite nel contratto di noleggio con una ditta afgana.
L’intera pratica incriminata — corredata da un certificato di blindatura contraffatto — venne curata dagli uffici amministrativi di Kabul dove Callegaro lavorava.
Gli inquirenti che stanno indagando hanno dipinto un quadro “sconcertante“, di “reiterata contrattazione con una ditta afgana” che sarebbe stata illecitamente favorita.
L’azienda in questione, variamente denominata nel corso degli anni, faceva sempre capo ad un individuo risultato, si apprende da fonti degli inquirenti, vicino ad ambienti terroristici internazionali.
La condotta contestata ai sei ufficiali indagati si articolava in una molteplicità  di omissioni dolose: una fra tante, la designazione a membri delle Commissioni di collaudo dei veicoli blindati di soggetti del tutto privi di qualsiasi cognizione di carattere tecnico, o in materia di blindatura, e ai quali venivano peraltro negati anche i basilari strumenti di lavoro e riscontro (capitolati tecnici, documenti dei veicoli, eccetera).
Tutto ciò, sostengono gli inquirenti, per impedire qualsiasi possibilità  di verifica e favorire la ditta afgana proprietaria dei veicoli che venivano noleggiati.
I fatti sotto risalgono al maggio del 2010, quando gli uffici amministrativi del contingente italiano contestarono formalmente alla ditta di noleggio afgana il carente livello di blindatura dei tre mezzi.
Nonostante ciò, qualche tempo dopo dagli stessi uffici arrivò il via libera al pagamento delle fatture per il noleggio delle tre vetture: quasi centomila euro per cinque mesi, dall’1 marzo al 31 luglio 2010.
Così facendo gli indagati avrebbero procurato alla ditta afgana l’”ingiusto profitto” di 35mila euro, pari al maggior canone pagato per il noleggio di tre veicoli meno blindati del pattuito, provocando un danno corrispondente all’amministrazione militare.
Come ha ricostruito l’Ansa, il procuratore De Paolis si appresta a chiedere il rinvio a giudizio dei sei ufficiali per il reato di concorso in truffa militare pluriaggravata, un reato previsto dal codice penale militare di pace.
Il quale però non prevede altri reati che, secondo gli inquirenti, potrebbero forse meglio descrivere i fatti avvenuti: a cominciare dalla possibile corruzione degli ufficiali coinvolti, la cui condotta illecita sarebbe altrimenti senza apparente movente.
Su questo fronte, così come sulle circostanze della morte di Callegaro, i magistrati del tribunale militare hanno le mani legate: la competenza ad indagare è della procura ordinaria.

(da “il Fatto Quotidiano“)

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INTERVISTA A COHN-BENDIT: “IL PARADOSSO FILLON FARA’ SI’ CHE SARA’ MARINE LE PEN A SOSTENERE LE CONQUISTE SOCIALI”

Novembre 28th, 2016 Riccardo Fucile

“FILLON PER VINCERE LE PRIMARIE HA MOBILITATO LA DESTRA TRADIZIONALE, MA PER ARRIVARE ALL’ELISEO DEVE CONVINCERE LA DESTRA MODERATA”… “PREOCCUPANTE CHE TANTI SIANO FILO-PUTIN”

Daniel Cohn-Bendit commenta la vittoria di un politico, Franà§ois Fillon, che ha una visione della Francia molto diversa dalla sua.
Prima di sedere per vent’anni al Parlamento europeo nelle file degli ecologisti, «Dany» è stato il protagonista di un Maggio ’68 mai rinnegato
Franà§ois Fillon rappresenta, tra molte cose, anche una reazione al ’68?
«Non c’è dubbio. Ha vinto la Francia che cerca la rivincita sul Sessantotto. È una Francia che è sempre esistita e che adesso, vista la Berezina della sinistra al potere, si sente rivivere e rinascere. Fillon e i suoi sostenitori vogliono farla finita una volta per tutte con i valori del ’68. E l’idea di essere al potere e all’Eliseo nel 2018, per l’anniversario dei cinquant’anni, li rende pazzi di gioia. In questi decenni c’è stata nella società  una evoluzione morale che è approdata fino alla legge sul matrimonio aperto agli omosessuali. Loro vogliono tornare indietro».
Questa sera la portavoce di Fillon, Valèrie Boyer, è apparsa in televisione ostentando un crocifisso al collo. Un segno religioso esibito che secondo alcuni contraddice la laicità  del servizio pubblico. È una polemica futile o un gesto significativo?
«Mi sembra un gesto non privo di valore, anche io l’ho notato. In ogni caso, i cattolici tradizionalisti impegnati in politica sono una realtà  che conosciamo, dopo le migliaia di persone scese in piazza per protestare contro il mariage pour tous . È una Francia che rispetto, anche se non è la mia».
Sui temi di società , per esempio appunto il matrimonio omosessuale, Fillon prende posizioni più nette rispetto a Marine Le Pen. E in economia il suo liberalismo è criticato dalla leader del Front National. Non è un paradosso?
«Andiamo verso un ballottaggio delle presidenziali che vedrà  sfidarsi Franà§ois Fillon per la destra e Marine Le Pen per l’estrema destra e assisteremo a qualcosa di surreale, e cioè a Marine Le Pen che difenderà  le riforme del Consiglio nazionale della Resistenza e le conquiste sociali. Questo è lo scenario che possiamo prevedere oggi ma non ci siamo ancora arrivati, io penso che Fillon finirà  per attenuare il suo discorso».
Fillon si sposterà  al centro?
«Credo di sì, ha vinto le primarie mobilitando la destra tradizionale, ma per vincere la corsa all’Eliseo dovrà  diventare più simile allo sconfitto Juppè, coinvolgere anche la destra moderata e il centro».
In politica estera Fillon promette un riavvicinamento alla Russia di Putin. Che ne pensa?
«È preoccupante. In Francia c’è tutta una tendenza filo-russa, da Jean-Luc Mèlenchon a Marine Le Pen passando per Fillon. Le armate putiniste da noi sono numerose. Ma la cosa che mi sembra più drammatica è che Fillon non parla mai di ambiente, e neanche di Europa. Come se si vergognasse di pronunciare la parola».
Adesso, dopo Fillon, che succede a sinistra? Lei sostiene Emmanuel Macron?
«Il mio cuore esita tra due realtà  politiche, da un lato il liberal-sociale Macron, dall’altro l’ecologista radicale Yannick Jadot».
E Hollande?
«Se non si presenta è un’umiliazione, se si presenta alle primarie e perde è un’umiliazione al quadrato, se si presenta direttamente senza passare per la primarie e finisce quarto è un’umiliazione al cubo. Non gli rimane che scegliere il grado di umiliazione. Ma dopo un quinquennio simile non credo che un presidente possa vincere di nuovo».

Stefano Montefiori
(da “il Corriere della Sera”)

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GENOVA, PROCESSO ALLUVIONE FEREGGIANO: L’EX SINDACO MARTA VINCENZI CONDANNATA A 5 ANNI E DUE MESI

Novembre 28th, 2016 Riccardo Fucile

CONDANNATI ANCHE SCIDONE E DEL PONTE

Tutti condannati. Marta Vincenzi è stata condannata nel processo per l’alluvione di Genova del 4 novembre del 2011 durante la quale persero la vita sei persone, tra cui due bambine di 8 anni e 10 mesi.
Dopo le repliche degli ultimi due difensori, il giudice Adriana Petri ha pronunciato la sentenza di condanna a 5 anni e 2 mesi per i reati di disastro colposo, omicidio colposo plurimo, nonchè di falso e calunnia per aver modificato il verbale di ricostruzione dell’esondazione del Fereggiano.
Nel dettaglio, le condanne sono di 3 anni e sette mesi per omicidio e disastro colposo, un anno e cinque mesi per falso mentre è decaduto il reato di calunnia.
Per Vincenzi il pm Luca Scorza Azzarà  aveva chiesto 6 anni e un mese.
La decisione è stata presa dopo sette ore di Camera di Consiglio.
La Vincenzi era accusata di omicidio plurimo, disastro colposo plurimo, falso e calunnia. Per quest’ultima accusa è stata assolta.
Secondo l’accusa, i politici e i tecnici non chiusero le scuole nonostante fosse stata diramata l’allerta 2 e, la mattina della tragedia, non chiusero con tempestività  le strade. Dalle indagini era emerso che “gli uffici comunali di protezione civile avevano ricevuto notizie allarmanti già  alle 11 mentre il rio Fereggiano esondò intorno all’una”. In quelle due ore c’era la possibilità  di evitare la tragedia con alcuni accorgimenti che “non vennero messi in atto”, aveva scritto il pm.
I vertici della macchina comunale “non solo non fecero quello che andava fatto” ma, secondo l’accusa, “falsificarono il verbale alterando l’orario dell’esondazione”.
Quel documento secondo gli inquirenti venne alterato per sostenere la tesi secondo cui quel giorno sulla città  si abbattè una “bomba d’acqua” di per sè imprevedibile.
All’indomani della tragica alluvione, venne aperto un fascicolo per disastro colposo e omicidio colposo plurimo contro ignoti.
Grazie alle testimonianze dei cittadini, alle loro foto e video, gli investigatori hanno scoperto che la verità  raccontata dai verbali presentati dagli uffici comunali era ben diversa da quanto veramente accaduto.
Vennero così ipotizzate le accuse relative al verbale ‘taroccato’: il falso, appunto, e la calunnia perchè gli imputati scrissero nel documento che il volontario di protezione civile risultava presente sul rio a monitorare l’andamento dell’acqua quando invece non arrivò mai sul posto.

(da agenzie)

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LEGALITA’ A CINQUESTELLE: NUTI NON “VEDEVA L’ORA DI CHIARIRE” CON I MAGISTRATI, POI QUANDO LO CONVOCANO SI AVVALE DELLA FACOLTA’ DI NON RISPONDERE

Novembre 28th, 2016 Riccardo Fucile

INSIEME ALLA MANNINO E A SUO MARITO SI E’ PURE RIFIUTATO DI FARE LA PROVA CALLIGRAFICA…   CIACCIO INVECE “SI PENTE” E CONFERMA

Sale a tredici il numero degli indagati nell’inchiesta sulle firme false di M5S: nella lista entrano pure la deputata Giulia Di Vita, Pietro Salvino (marito dell’altra parlamentare Claudia Mannino) e Riccardo Ricciardi, marito della deputata alla Camera Loredana Lupo (non indagata), che ha materialmente presentato le liste al Comune.
Nuti, Mannino e Salvino, stamattina, sono stati sentiti in Procura ma si sono avvalsi della facoltà  di non rispondere.
Tutti hanno rifiutato di sottoporsi all’esame della calligrafia. I tre esponenti di M5S sono rimasti in silenzio davanti ai giornalisti.
La deputata ha chiesto ai carabinieri, infastidita, di impedire che le venissero scattate fotografie e di cancellare quelle già  fatte.
In giornata gli interrogatori dell’avvocato Francesco Menallo, ex militante, e del cancelliere Giovanni Scarpello, che avrebbe attestato la veridicità  delle firme false.
Intanto un altro indagato dell’inchiesta sulle firme false decide di rompere il silenzio e collabora con i magistrati.
È il deputato regionale Giorgio Ciaccio, che nei giorni scorsi si era già  autosospeso dal movimento dopo aver saputo di essere sotto inchiesta. Nei giorni scorsi è stato interrogato in gran segreto dal procuratore aggiunto Dino Petralia e dalla pm Claudia Ferrari e ha confermato le accuse già  mosse dalla sua collega deputata regionale Claudia La Rocca, che per prima si era presentata in procura raccontando cosa era accaduto la notte del 3 aprile 2012 nella sede del meetup di via Sampolo, a Palermo, la notte del grande pasticcio attorno a 1900 firme per la presentazione della lista alle Comunali.
Ora, anche Ciaccio accusa i suoi colleghi di aver organizzato e realizzato la falsificazione delle firme, per rimediare a un errore formale in alcuni moduli. Ciaccio chiama in causa i deputati Nuti e Mannino.
Un contributo alle indagini, più limitato, è stato offerto nei giorni scorsi anche da due candidati della lista, Giuseppe Ippolito e Stefano Paradiso, pure loro sono indagati.

(da agenzie)

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