Dicembre 1st, 2016 Riccardo Fucile
SUPERATA QUOTA 2.145.000 LETTORI, 29.570 ARTICOLI PUBBLICATI, CENTINAIA DI VISUALIZZAZIONI OGNI GIORNO, 500 FOLLOWERS SU TWITTER, COPERTURA DI 20 GRUPPI SU FB PER CIRCA 300.000 UTENTI… UN BLOG CHE DA NOVE ANNI E TRE MESI FA INFORMAZIONE SENZA PADRONI
Lanciamo, come ogni fine anno, un appello ai nostri lettori, con la premessa che potrebbe essere l’ultimo, in mancanza di un vostro sostegno concreto.
Nove anni e tre mesi fa abbiamo creato un blog dalla forma “professionale” che copre 18 ore al giorno, sette giorni su sette, con circa 15 articoli ogni 24 ore: tutto questo è garantito solo dal sacrificio personale di pochi che, oltre che a collaborare gratuitamente, devono pure fare fronte alle spese vive per acquisto quotidiani, abbonamenti, manutenzione del sito e rinnovo materiali (circa 5.000 euro l’anno).
Abbiamo raggiunto un successo impensabile, diventando uno dei siti di area più seguiti in Italia e con decine di lettori ogni giorno anche dall’estero, fornendo un servizio gratuito di approfondimento attraverso una linea editoriale coerente.
Se volete metterci nelle condizioni di continuare anche per il 2017, vi chiediamo di darci una mano con un contributo libero per le spese che dobbiamo affrontare ogni mese, non avendo partiti o padrini alle spalle.
Versamenti su ns. postpay potete farli velocemente sia da ufficio postale che da tabaccherie autorizzate ricariche indicando semplicemente:
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Riccardo Fucile
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Dicembre 1st, 2016 Riccardo Fucile
LA DI VITA TACE DAVANTI AI MAGISTRATI MA SCRIVE 800 PAROLE SU FB PER SPIEGARE PERCHE’ NON SPIEGA
La deputata del MoVimento 5 Stelle Giulia Di Vita non ha ritenuto di rispondere alle domande del magistrato nè di sottoporsi a un saggio grafico.
Però su Facebook ha scritto circa ottocento parole per spiegare perchè non spiega cosa è successo nella notte tra il 3 e il 4 aprile 2012 nella sede del M5S Palermo di via Sanpolo e per chiedere pazienza visto che tutto si chiarirà a breve e finiranno tutti felici e contenti.
Sostiene di non aver rilasciato il saggio grafico — che potrebbe facilmente escluderla dal sospetto di aver falsificato le firme — perchè lei, Riccardo Nuti e Claudia Mannino sono “sotto attacco mediatico e additati come dei delinquenti di terz’ordine, la feccia della politica, il disonore del Movimento 5 Stelle” e poi perchè “prima deve uscire tutto e poi rispondo a tutto. Se no troppo facile per chi si inventa le accuse”.
Ma la parte più interessante delle 800 parole in cui la Di Vita NON spiega perchè non ha rilasciato il saggio grafico che l’avrebbe da subito discolpata è quella in cui parla di due suoi colleghi del MoVimento 5 Stelle siciliano, ovvero Giorgio Ciaccio e Claudia La Rocca, entrambi indagati ed entrambi autosospesi.
La Di Vita, dimostrando così di aver interiorizzato perfettamente gli ideali di fratellanza del M5S a cui si richiama continuamente nel suo scritto, dice che chi si è autoaccusato deve dimettersi.
Come mai tutto questo astio e la richiesta di dimissioni per Claudia La Rocca mentre si pretende di non dire alcunchè sulle accuse mossele?
Di certo si nota una certa rabbia per gli elogi arrivati a chi ha deciso di vuotare il sacco davanti ai magistrati.
In lontananza pare anche di scorgere il risultato di una guerra nascosta tra le correnti del MoVimento 5 Stelle: in altre occasioni si è notato l’attivismo di Giancarlo Cancelleri sul tema, visto che il deputato dell’ARS ed ex candidato in vena di bis in Sicilia in molte occasioni ha ribadito che il M5S non avrebbe avuto pietà nei confronti di chi ha sbagliato.
Lo stesso Cancelleri avrebbe parlato con la La Rocca prima che questa si decidesse a dire la sua davanti ai magistrati. Ma soprattutto, visto che la ritiene colpevole la tesi della Di Vita sia che la La Rocca abbia falsificato le firme autonomamente (per quale interesse?) e abbia trascinato gli altri nella melma.
Una tesi poco credibile anche per un bambino (tra chi ha abbandonato la causa del M5S c’è anche l’avvocato Francesco Menallo).
Insomma, la deputata Di Vita oggi non ha tempo per spiegare, un giorno lo farà certo, ma intanto cacciate la La Rocca che ha parlato.
“Un amore così grandeee”, si cantava dal palco a Palermo.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 1st, 2016 Riccardo Fucile
IN SILENZIO ANCHE IL MARITO DELLA LUPO… ENTRAMBI SI SONO RIFIUTATI DI FARE IL SAGGIO GRAFICO PER LA PERIZIA CALLIGRAFICA
Qualche giorno fa le ricordavano su Twitter che chiedeva di pubblicare tutte le intercettazioni.
Oggi la deputata del MoVimento 5 Stelle attualmente sospesa Giulia Di Vita ha deciso di non rispondere alle domande dei pubblici ministeri in qualità di indagata nella vicenda delle firme false per le comunali del 2012 a Palermo.
C’è da ricordare che la Di Vita aveva parlato con i magistrati quando era stata sentita in qualità di testimone (il testimone non può avvalersi della facoltà di non rispondere).
L’ADN Kronos poi scrive che la deputata M5S e l’attivista Riccardo Ricciardi, marito della deputata Loredana Lupo, entrambi indagati nell’ambito dell’inchiesta sulle firme false di Palermo, si sono rifiutati di fare il saggio grafico, chiesto dai pm durante l’interrogatorio.
Dopo essersi avvalsi della facoltà di non rispondere, i due, assistiti dall’avvocato Antonina Pipitone, hanno anche deciso di rifiutare la prova grafica chiesta dai magistrati per fare la comparazione della scrittura con le firme falsificate.
Nei giorni scorsi anche i deputati Riccardo Nuti e Claudia Mannino, entrambi indagati, avevano rifiutato di fare il saggio grafico.
Prima di lasciare la procura, la deputata ha parlato con i giornalisti, senza dire molto: «Non ho niente da dire, non voglio dire niente e ai miei elettori parlerò quando voglio e come voglio». E a chi le chiedeva se risponderà a breve agli elettori replicava: “Chi vivrà , vedrà “.
Nel pomeriggio Riccardo Nuti ha rotto il silenzio sulla sua pagina Facebook, proclamandosi di nuovo innocente ma senza fornire la sua versione dei fatti.
Una scelta legittima vista la sua posizione di indgato, ma curiosa visto il ruolo in Parlamento: una scelta comunque che accomuna tutti e tre i deputati e gli altri indagati.
L’accusa sostiene che ad essere riuscita sarebbe stata solo la ricopiatura di circa 1200 firme a sostegno della lista per le elezioni nel Comune capoluogo dell’Isola.
E per questo la Di Vita è stata indagata, assieme ad altre 12 persone, numero destinato ad aumentare.
Fra gli altri indagati — tutti rimasti in silenzio davanti ai pm — ci sono i parlamentari Nuti e Mannino, l’attivista Busalacchi, l’avvocato Francesco Menallo e il cancelliere Giovanni Scarpello.
Lo scambio delle mail testimonia chi probabilmente c’era e chi no. Pochissimi i riferimenti espliciti all’operazione della ricopiatura, oggi ammessa da quattro dei protagonisti: Claudia La Rocca, Giorgio Ciaccio, Giuseppe Ippolito e Stefano Paradiso.
(da agenzie)
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Dicembre 1st, 2016 Riccardo Fucile
LA LEGGE SEVERINO PREVEDE LA DECADENZA DALLA CARICA IN CASO DI CONDANNA SUPERIORE A 6 MESI… MORALE: TUTTI HANNO PATTEGGIATO UNA CONDANNA A 5 MESI E SONO RIMASTI AL LORO POSTO
Migliaia di firme sospette o falsificate a sostegno delle liste elettorali raccolte senza la ratifica di un pubblico ufficiale.
C’è un altro caso firme in Veneto che ha coinvolto in modo trasversale più partiti, dal Pd alla Lega, da Ncd a Forza Italia alle liste civiche.
La vicenda riguarda le amministrative del 2014 nel veronese e un’inchiesta della Procura di Verona ha portato 71 imputati a patteggiare pene fino a 5 mesi per aver raccolto firme in modo irregolare e, in alcuni casi, per aver falsificato gli elenchi dei sottoscrittori.
Tra gli imputati che il 15 novembre scorso hanno chiesto l’applicazione della pena figurano decine di consiglieri comunali, ex assessori provinciali, i sindaci del Pd di Pescantina e San Bonifacio, in provincia di Verona, e il sindaco Ncd di Pressana.
E sono rimasti tutti al loro posto.
Nel caso di San Bonifacio, il sindaco dem Giampaolo Provoli ha patteggiato una pena di 5 mesi e 19 giorni insieme — tra gli altri — ad Alberto Bozza, ex assessore provinciale di Forza Italia e ora assessore allo Sport del Comune di Verona (5 mesi e 29 giorni), Luigi Frigotto, ex assessore provinciale all’Agricoltura in quota Lega (6 mesi), Alice Leso, ex consigliere provinciale del Pd, e il sindaco di Pressana, ex segretario provinciale dell’Udc, Stefano Marzotto (5 mesi e 20 giorni).
Stessa situazione anche a Pescantina, in Valpolicella, dove il primo cittadino del Pd, Luigi Cadura, ha patteggiato 5 mesi e 12 giorni insieme — tra gli altri — al membro del Cda di Autobrennero, ex sindaco leghista di Affi ed ex assessore provinciale alla Viabilità , Carla De Beni (5 mesi e 20 giorni), oltre agli ex consiglieri provinciali Franca Maria Rizzi del Pd e Francesca Zivelonghi di Forza Italia.
La vicenda riguarda anche i comuni di Legnago, Affi e Bussolengo, sempre in provincia di Verona, e coinvolge sia i pubblici ufficiali incaricati di verificare e garantire la regolarità delle sottoscrizioni, sia coloro che hanno materialmente raccolto le firme a sostegno delle liste.
Nel caso di San Bonifacio e Pescantina tra l’altro risultano imputati anche i candidati sindaci usciti sconfitti,.
Ma la legge Severino prevede l’ipotesi decadenza solo in caso di condanna superiore a sei mesi. In questo caso, le pene applicate sono tutte inferiori.
E gli amministratori restano tutti tranquillamente in carica.
Andrea Tornago
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 1st, 2016 Riccardo Fucile
DA UN LATO ESCE DALL’OSSERVATORIO SULLA TORINO-LIONE PER ACCONTENTARE I NO TAV, DALLL’ALTRO PRENDE I SOLDI DAL GOVERNO CON IL PATTO-TORINO PER OPERE COLLEGATE ALL’ALTA VELOCITA’
Il M5S— come già annunciato durante la campagna elettorale — ha presentato una mozione per far uscire il Comune di Torino dall’Osservatorio sulla Torino-Lione. L
a Appendino ha motivato così la decisione della sua amministrazione:
La mozione ci aiuta a spiegare perchè siamo fortemente contrari alla Tav, un investimento che anche alla luce dei benefici previsti non riteniamo necessario o prioritario e pensiamo che quelle risorse andrebbero investite meglio.
Ora, che la nuova sindaca di Torino fosse contraria al Tav si sapeva, ma è anche noto alla prima cittadina torinese che un sindaco non può fermare il Tav.
Lo aveva detto lei stessa in un’intervista all’ANSA subito dopo la sua elezione: «Un sindaco non può bloccare la Tav, quello che farò è portare al tavolo le ragioni del ‘no’, dialogherò con tutti e ascolterò le ragioni di tutti e se non ci sarà dialogo possibile lasceremo l’Osservatorio».
Su questa che potrebbe essere l’ultima mossa di Chiara Appendino sulla questione del Tav (una volta che Torino uscirà dall’Osservatorio non pare che la Appendino abbia altre carte da giocare) è intervenuto il senatore PD Stefano Esposto che ha duramente criticato la scelta della maggioranza in Consiglio Comunale.
Esposito infatti ha ricordato come “solo tre giorni fa” la Sindaca abbia organizzato insieme al Presidente Chiamparino “una conferenza stampa per annunciare di aver inviato al Governo la richiesta per sottoscrivere il patto per il Piemonte. All’interno di questo patto sono contenute molte opere figlie della realizzazione della linea ad Alta Velocita’ Torino-Lione. Quindi la signora Appendino vuole i soldi derivanti dal Tav per realizzare gli interventi, utili e necessari, ma contrasta la realizzazione della Torino-Lione?“.
Si tratta di un patto da sei miliardi di euro nel quale Appendino e Chiamparino chiedono a Matteo Renzi lo stanziamento di fondi (per un totale di 3.2 miliardi di euro) per la realizzazione di interventi importanti sulle infrastrutture e “la Stampa” riferisce che nel patto tra Regione e Comune sono compresi interventi sul sistema ferroviario torinese:
C’è l’ammodernamento del sistema ferroviario metropolitano di Torino (più le fermate Dora e Zappata, interamente da finanziare con 75 milioni) e di molte linee ferroviarie: Torino-Modane, Torino-Pinerolo, Torino-Trofarello, Torino-Pont, Torino-Genova. C’è il miliardo e 200 milioni per costruire la linea 2 del metrò, su cui al momento ci sono appena 10 milioni. E ancora, il prolungamento della linea 1 verso Rivoli per cui mancano 180 dei 340 milioni necessari.
Ma ci sono per la verità anche progetti sulla coesione sociale, sullo sviluppo culturale e sulla mobilità sostenibile, più in linea con il programma del MoVimento.
Per il momento a siglare l’intesa sono stati solo Comune e Regione ma il Patto per Torino è a tre, e prevede quindi che anche Matteo Renzi dia l’assenso.
Non è chiaro se dopo la presa di posizione della Appendino sul Tav il Governo — ma sarà da valutare dal 5 dicembre in poi — deciderà di mettersi d’accordo con i due enti locali.
Tanto più che il Senato ha già approvato (la settimana scorsa) il tracciato della Torino-Lione e che iol 20 la Camera sarà chiamata a sua volta ad esprimersi.
Più che una mossa per fermare il Tav — che ormai sembra inevitabile — quella della Appendino sembra solo un’operazione per non scontentare quella parte del suo elettorato vicina ai No Tav (o dichiaratamente No Tav).
Quando la Torino Lione si farà Appendino potrà dire di aver fatto tutto quello che poteva per “impedirlo” e intanto potrà prendere i finanziamenti per sistemare le infrastrutture cittadine.
Se dal punto di vista dell’immagine da “duri e puri” che l’ala più intransigente del MoVimento vorrebbe i propri portavoce tenessero in ogni circostanza la cosa suona come una sconfitta è possibile che la decisione di Appendino — qualora i fondi richiesti venissero veramente erogati — possa fare del bene alla città di Torino.
Da questo punto di vista la decisione della Appendino denota parecchio pragmatismo e una presa di coscienza delle necessità della Realpolitik.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 1st, 2016 Riccardo Fucile
SOPPRESSIONE DELLE CORSE SULLA NAPOLI-MILANO E LA TORINO-GENOVA
“Nessuno tocchi gli Intercity”, dicono in coro pendolari, sindacati, l’assessore regionale ai trasporti della Regione Toscana e 32 parlamentari.
Una richiesta che emerge chiara, nel giorno in cui arriva il nuovo orario per il 2017 delle Ferrovie dello Stato.
Il rischio, dal prossimo 15 gennaio, che 14 corse dei treni low cost per i lunghi tragitti dal Nord al Sud vengano soppresse fa alzare le barricate a viaggiatori e istituzioni.
Le Fs, infatti, stanno firmando con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti il nuovo contratto di servizio per il cosiddetto “servizio universale” che gestisce le corse degli Intercity e degli Intercity Notte finanziati, e quindi decisi, dallo Stato e messi sui binari da Trenitalia.
Gli Ic sono spesso utilizzati come alternativa alla più costosa alta velocità ma anche come servizio interregionale da tanti pendolari delle città che non sono servite da Frecce e Italo. E che senza rischierebbero di restare isolate.
Il nuovo contratto da firmare, dopo quello scaduto nel 2014 e prorogato fino ad oggi, ha il valore di 220 milioni di euro e prevede, nelle intenzioni del Ministero e di Ferrovie, un miglioramento generale dei servizi low cost (si parla di ristorazione a bordo, pulizie durante il viaggio, wifi e carrozze nuove) ma anche tagli che ai viaggiatori e alle regioni interessate fanno paura.
A dare l’allarme per primi sono stati i rami toscani dei sindacati Cgil, Cisl e Uil con un appello: “I clienti diretti nelle città servite dagli Intercity perderebbero gli ultimi collegamenti esistenti provenienti dalle altre regioni – si legge – e la soppressione colpirebbe le stesse città che sarebbero tagliate fuori”.
Sulla Napoli-Milano, ad esempio, dai piani sono esclusi 4 treni Intercity. Con i viaggiatori che potrebbero perdere una possibilità di viaggiare a basso costo, seppur con tempi maggiori, rispetto all’alta velocità su cui invece Ferrovie sta puntando (nell’ultimo anno i ricavi della lunga percorrenza, tra Frecce e Intercity, sono stati di 2,4 miliardi di euro).
Ma fuori dal contratto per ora ci sono anche tre (6 treni) sulla Torino-Genova, 1 coppia sulla Trieste-Venezia, e un Intercity Notte sulla Roma-Siracusa.
Tratte e orari che non garantiscono il rientro dei costi rispetto ai biglietti venduti, secondo l’azienda.
Ma nel piano presentato al Ministero e in via di discussione, nonostante i tagli i chilometri/treno del servizio universale comunque non diminuiranno.
Dal 2017 al 2021 saranno 23,5 milioni tra treni e bus con il 2% di posti offerti in più negli Intercity giorno.
I treni soppressi saranno compensati: ci sarà una coppia di Intercity Roma-Salerno e 2 coppie di Intercity Roma-Trieste. Poi ancora un Intercity Notte Roma-Bolzano effettuato nei weekend e più carrozze su un Intercity notte Roma-Sicilia.
Per le regioni interessate dalle soppressioni però questo non basta, e la mobilitazione è già partita.
Dopo l’allarme dei sindacati a fare subito sponda è stato l’assessore regionale toscano ai trasporti Vincenzo Ceccarelli: “E’ il terzo anno che poniamo la questione al Ministero, togliere questi servizi è un danno gravissimo”.
Il caso è arrivato nelle scorse ore anche in Parlamento con un’interrogazione dei deputati Pd Marco Donati e Luigi Dallai sottoscritta da altri 32 parlamentari. I pendolari si sono ovviamente uniti al coro.
“La ragione ufficiale – spiega il comitato della Valdichiana – è economica: secondo Trenitalia questi Intercity non sono redditizi e quindi verranno cancellati per far viaggiare altri treni Alta velocità garantendo maggiori guadagni per l’azienda”.
Sul tavolo delle trattative però c’è anche un’altra novità importante.
Gli Intercity infatti sono spesso in ritardo, con lunghi tempi di percorrenza, e vecchi. Dal 2017 alcuni potrebbero così andare in pensione sostituiti dalle carrozze dei Frecciabianca.
“Con la consegna degli ultimi Frecciarossa 1000 – ha spiegato Ferrovie – avremo circa 300 carrozze (35 treni) Frecciabianca da poter usare come Intercity. Nei prossimi anni due-terzi della flotta sarà rinnovata”. Cioè che temono i pendolari e le regioni però è che i treni Intercity, spesso in cronico ritardo e soppressi all’improvviso, possano sparire a poco a poco per lasciare spazio all’alta velocità .
“Il contratto per questi treni è fondamentale per la mobilità del Paese – spiega Michele Formisano, segretario aggiunto dell’Orsa – è un impegno che il Mit non può non assumere con il massimo sforzo possibile. Sono state scelte governative che hanno reso possibile lo sviluppo del grande mercato Alta Velocità , ora va compensata questa differenza investendo su un contratto che serve cittadini che non vivono sulle direttrici Av e che abitano maggiormente le dorsali tirreniche e adriatiche ed il meridione del Paese.
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 1st, 2016 Riccardo Fucile
IL PRIMO PARLA DI “STRANEZZE” NEL VOTO DEGLI ITALIANI ALL’ESTERO, MA NON FA NOMI E COGNOMI, GRILLO TORNA COMICO E ACCUSA RENZI DI ABUSO DELLA CREDULITA’ POPOLARE, DI CUI LUI E’ IL MASSIMO ESPERTO (VEDI RESTITUCION DAY)
Per fortuna che domenica si vota, perchè il .livello da suburra del clima referendario ha raggiunto ormai miasmi insopportabili tra insulti, bufale, falsi e patacche.
Salvini e Grillo vogliono finire in bellezza, anche per coprire (il primo) la crisi di consensi della Lega e (il secondo) le firme false di Palermo che stanno coinvolgendo i parlamentari Cinquestelle.
Oggi Salvini entra come sempre “nel merito della riforma” e parla dei voti degli italiani all’estero, il chiodo fisso di quelli del No (pensate se poi dovesse vincere il No tra i nostri connazionali…).
Salvini come sempre lancia il sasso e nasconde la mano: “Mi arrivano tante e tante segnalazioni, di stranezze per il voto degli italiani all’estero: schede non arrivate, non consegnate, gente che chiede di votare ed è impossibilitata a votare. Temo che in qualche consolato e in qualche ambasciata possano aggiungersi o possano scomparire delle schede”.
Consigliamo la magistratura di convocare immediatamente Salvini affinchè produca documenti e prove di quanto a sue mani, indicando quali siano i Consolati e le Ambasciate dove sono state fatte sparire le schede, visto che ormai la votazione all’estero è di fatto conclusa.
Fermo restando che legalità vuole che, in presenza di una notizia di reato, sia il parlamentare a recarsi in Questura, non che denunci presunti brogli a Rtl 102.5.
Se non avesse elementi, va da sè che andrebbe denunciato per calunnia e procurato allarme.
Passiamo a Grillo che se ne esce con : “Denunceremo penalmente Renzi per il reato di abuso della credulità popolare in merito alla falsa scheda elettorale del Senato che ha mostrato pubblicamente. La banda dei calamari finirà se tutti insieme il 4 dicembre diremo No”.
Lo scrive in un lungo post sul suo blog in cui si scaglia nuovamente contro Matteo Renzi.
Sul cattivo gusto di Renzi di ipotizzare un Senato elettivo sulla base di una proposta peraltro esistente (firmata Vannino Chiti) ma non ancora approvata, tramutandola in “futuribile” scheda elettorale stendiamo un velo pietoso.
Ma che parli di abuso della credulità popolare proprio colui che ieri ha mostrato un assegno farlocco di 80 milioni nel Restitucion day, quando è stato dimostrato che sarebbe a vuoto, visto che oltre la metà della cifra il M5S non poteva restituirla in quanto non ha potuto mai incassarla, essendo privo di Statuto, e che altri 16 milioni li aveva già restituiti in passato e non possono essere restituiti due volte, nonchè che 3 milioni vengono dall’Europa e non dall’Italia, è davvero esilarante.
Più che un referendum è ormai un serial Tv imperniato sul bue che dice cornuto all’asino.
Sempre di stalla si tratta, comunque.
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Dicembre 1st, 2016 Riccardo Fucile
MA CHE RESTITUZIONE, META’ DI QUEI SOLDI IL M5S NON LI HA MAI POTUTI INCASSARE PER ASSENZA DI STATUTO E ALTRI 16 LI AVEVA GIA RESTITUITI IN PASSATO
Lunedì Beppe Grillo era a Firenze in una Piazza della Signoria semi deserta a presentare l’ultima trovata del MoVimento 5 Stelle in fatto di propaganda: l’assegno da 80.727.585 euro (156,4 miliardi di vecchie lire) che il M5S ha intestato “al Popolo Italiano”.
Si tratta del secondo Restitution Day del 2016, a maggio infatti i parlamentari del MoVimento avevano presentato — con il solito mega assegno che fa tanto concorso a premi — la restituzione di sedici milioni di euro da destinare al fondo per il microcredito.
Il gioco delle tre carte di Beppe Grillo
Ma a Firenze Grillo ha voluto fare le cose in grande e ha spiegato sul blog che tra le ragioni per dire No alla riforma costituzionale Renzi-Boschi che promette di tagliare i costi della politica c’è il fatto che il MoVimento ha fatto risparmiare agli italiani 80 milioni di euro “senza cambiare 47 articoli della Costituzione”.
Questo perchè, come scrive Grillo sul sito ufficiale del suo partito “il MoVimento 5 Stelle dalla sua nascita ad oggi ha rinunciato, restituito e donato oltre 80 milioni di euro. Precisamente: 80.727.585 euro (156,4 miliardi di vecchie lire). Una cifra che aumenta ogni giorno“.
Ma c’è un problema, perchè quell’assegno che Grillo ha mostrato con orgoglio insieme ad altri parlamentari, eurodeputati e attivisti pentastellati a 5 Stelle è scoperto. Per scoprirlo non serve andare in banca (sarebbe davvero scomodo presentare quell’assegno allo sportello) ma basta guardare come i Cinque Stelle sono arrivati a quella cifra.
Lo spiega direttamente Grillo sul blog quindi affidandoci alla sua trasparenza scopriamo che 42.782.512 di euro sono i rimborsi elettorali per le politiche 2013 cui il M5S ha “rinunciato”; 4.773.536 sono i elettorali rimborsi per le regionali 2010-2014; tre milioni di euro sono i fondi cui la delegazione del M5S all’Europarlamento avrebbe diritto in quanto parte del gruppo EFDD.
Ci sono poi i 19.493.075 derivanti dai tagli degli stipendi dei parlamentari e dalla restituzione della parte di diarie non rendicontate che sono stati destinati al fondo per il microcredito e al fondo per l’ammortamento per i titoli di Stato.
Anche i consiglieri regionali hanno restituito 8.613.724 destinandoli al fondo al microcredito, così come i parlamentari europei che hanno restituito 479.000 euro.
C’è poi il 1.091.744 derivante dalla rinuncia all’indennità di carica da parte dei parlamentari e consiglieri regionali ed infine i 420 mila euro raccolti durante lo Tsunami Tour e donati per la ricostruzione di una palestra a Mirandola dopo il terremoto del 2012 (poi però quando gli elettori votarono PD i grillini se la presero male).
Finanza creativa
Chi si fosse limitato a guardare il mega assegno e a leggere i post trionfanti dei politici pentastellati potrebbe essere stato indotto a pensare che il MoVimento ha davvero versato, il 28 novembre 2016, 80 milioni di euro (e rotti) al popolo italiano, ma non è così.
Partiamo dalla cifra più consistente, i 42 milioni di euro di rimborsi elettorali per le politiche 2013 cui il MoVimento ha rinunciato.
In realtà a quei soldi il partito di Grillo non aveva diritto poichè al momento delle elezioni non aveva uno statuto, cosa che è nota almeno dal 2012 ovvero da quando è stata approvata la legge che regola i rimborsi elettorali che prevede che per ottenere i rimborsi i partiti (ma anche i movimenti) devono dotarsi di uno statuto, ovvero di quella cosa che per diversi anni il M5S si è rifiutato di avere.
E dal momento che non si può rinunciare a qualcosa che in ogni caso non ti sarebbe stato dato allora non si possono conteggiare quei 42 milioni di euro.
Andiamo oltre: per quanto riguarda i tre milioni destinati dall’Europarlamento al M5S quei soldi sono in minima parte del Popolo italiano, poichè l’Europarlamento è finanziato con i contributi di tutti gli Stati membri, quindi di tutti i cittadini europei. Arriviamo quindi alla restituzione vera e propria, quei quasi venti milioni che i parlamentari a Cinque Stelle hanno destinato al fondo al microcredito.
Come abbiamo già visto 16 milioni di euro erano già stati versati a maggio, quante vuole si possono versare gli stessi soldi? Solo una.
Un bellissimo assegno scoperto, oggi.
Ma questo per il MoVimento non è un problema visto che ad ogni “restituzione” annuale l’ammontare dell’assegno staccato a favore del fondo al microcredito aumenta (nel 2015 erano dieci milioni ad esempio) di pari passo con il totale.
Ma un conto è dire che “stiamo restituendo 16 milioni” lasciando intendere “per il 2016” un conto è dire “quest’anno abbiamo restituito 6 milioni che si vanno ad aggiungere ai dieci che abbiamo già versato in precedenza”.
Da qualunque parte la si guardi il MoVimento ha già restituito quei 16 milioni, quindi non può metterli nell’assegno da 80 milioni (datato 28 novembre 2016).
Lo stesso si può dire per la donazione per la palestra di Mirandola che sono effettivamente già stati versati.
Il fatto inoltre che l’intera manifestazione sia stata chiamata “Restitution Day” lascia intendere che la donazione/restituzione da 80 milioni sia avvenuta contestualmente in un solo giorno, ma questo non è vero.
Il Capo Politico del MoVimento ha quindi poco da stupirsi riguardo al fatto che “per i giornali” il Restitution Day da 80 milioni di euro non è mai esistito, perchè è vero: Grillo non avrebbe mai potuto restituire il 28 novembre quegli 80 milioni di euro, semplicemente perchè più della metà non li ha mai avuti e gli altri li ha già dati.
Se il Popolo italiano volesse incassare quell’assegno scoprirebbe semplicemente di essere stato truffato.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 1st, 2016 Riccardo Fucile
CANONI MENSILI IRRISORI RESTANO INVARIATI: CON LICENZE VECCHISSIME E POSTAZIONI CHE OSCURANO I MONUMENTI, IL POTENTE CLAN DEGLI AMBULANTI POTRA’ CONTINUARE A PAGARE DIECI EURO AL GIORNO…. MENTRE IN PERIFERIA UN NEGOZIETTO PAGA 5.000 EURO DI LOCAZIONE AL MESE
La Giunta Raggi ascolta il vento che sta nettamente cambiando e per camion bar e tavolini all’aperto dei locali, uno dei maggiori problemi per il degrado del centro storico, dei monumenti e e della città , mantiene per il 2017 gli stessi canoni degli anni precedenti.
Una decisione che fa felici gli operatori dei camion bar che con licenze vecchissime e postazioni che oscurano i monumenti continuando a pagare una decina di euro al giorno (prima della giunta Marino ne pagavano 3): per la felicità della famiglia Tredicine che a Roma controlla buona parte del settore.
E il bello della storia non è tanto questo, ma il fatto che, come racconta oggi un articolo del Messaggero, l’assessore al Commercio Adriano Meloni, che aveva promesso battaglia alla sua maggioranza sulla Bolkestein, dice che entro febbraio porterà il provvedimento di adeguamento con un incremento del 20%: il consiglio comunale grillino lo farà passare?
Chi ha preceduto Meloni, vale a dire Marta Leonori (Pd) che si trovò con i camion bar che protestavano sotto l’ufficio, provò a disporre un aumento più realistico (30 euro al giorno), ma il consiglio comunale, dove i gruppi di pressione erano forti anche senza l’avvento della maggioranza pentastellata, l’affossò, limando a 10 euro.
Piuttosto di niente è meglio piuttosto. Ma nel bilancio di previsione che la giunta Raggi si appresta a portare in consiglio comunale alla voce Osp (occupazione suolo pubblico, ci sono ad esempio anche ambulanti e tavolini all’aperto) non è previsto alcun aumento. La pacchia continua. Così, per un settore che a Roma dovrebbe valere oro, il Campidoglio incassa in un anno circa 36 milioni di euro
Va anche ricordato che la Leonori, per i tavolini all’aperto, provò a fare passare una riforma improntata sulla tariffa puntuale: paga di più chi ha i tavolini in zone di pregio, di meno chi è in periferia.
Ma anche questa iniziativa si arenò in consiglio comunale, per le pressioni delle associazioni di categoria. Ora bisognerà capire se Meloni riprenderà questa filosofia. Tenendo conto che la maggioranza M5S in consiglio comunale ha approvato una mozione contro l’applicazione della direttiva Bolkestein, il nuovo tentativo di Meloni di adeguare quelle tariffe appare arduo.
L’assessore già è andato contro la maggioranza spiegando una cosa che dovrebbe essere banale: «Non possiamo non applicare la legge e dunque mettere a gara le postazioni come prevede la Bolkestein».
L’assessore ora assicura — ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il consiglio comunale — che entro febbraio porterà il provvedimento di adeguamento di quanto gli operatori pagano per la Osp: si lavora su un incremento del 20 per cento. Meloni: «Io sono il più capitalista del mondo, ma in questo caso penso davvero che i profitti vadano redistribuiti nell’interesse pubblico, perchè vi sono categorie che occupano il suolo pubblico e fanno ricchi incassi, eppure pagano un canone irrisorio».
Chi apre un negozio in periferia magari si trova a versare un canone di locazione tra i 5 e i 10mila euro mensili. Chi posiziona il suo camion bar sui Fori Imperiali se la cava con 300 euro al mese.
M5S e camion bar: un amore così grande
D’altro canto, come cantava Grillo a Palermo, c’è un amore così grande tra M5S e bancarellari che, a parte le foto di Luigi Di Maio con i rappresentanti sindacali, si è concretizzato in tante occasione.
Come nel tentativo della maggioranza pentastellata di far svolgere la festa di Piazza Navona anche in assenza dei tempi tecnici per il bando.
Lì l’assessorato al commercio alla fine si mise di traverso e non se ne fece niente. Ma l’amore così grande è continuato con la sceneggiata sulle bancarelle, quando l’Aula Capitolina si trovò a votare una richiesta di rinvio della direttiva Bolkestein che non era nelle competenze dell’amministrazione comunale.
In questo imitati, perchè la cattiva politica c’è dappertutto, anche dalla Regione Lazio. E tutto ciò nonostante anche Berdini abbia più volte protestato per i camion bar in centro.
L’epopea comincia con Donato Tredicine, che arrivò a Roma dall’Abruzzo negli Anni Sessanta. All’epoca Donato era un venditore ambulante e la sua principale fonte di reddito era la vendita di caldarroste (che è ancora uno dei business di famiglia).
È con l’arrivo dei cinque figli ( Mario, Alfiero, Elio che è il padre di Giordano, Dino ed Emilia) nella Capitale che quello della famiglia Tredicine inizia a diventare un impero.
Un’inchiesta di Repubblica di qualche anno fa rivelava che nel 2012 dei 68 posti disponibili per i venditori ambulanti nel centro di Roma 42 erano di proprietà dei Tredicine.
Il Tempo invece sostiene che delle 70 licenze del centro storico “almeno la metà sono riconducibili direttamente o indirettamente a Tredicine“.
Insomma la famiglia di Giordano detiene un vero e proprio impero commerciale, a volte le licenze le vende (e dal momento che il Comune di Roma non ne rilascia di nuove da anni il prezzo si aggira intorno ai 600 mila euro) a volte le affitta o dà in concessione lo spazio ad altri ambulanti.
Oltre a questi i Tredicine controllano la metà (centocinquanta su trecento) dei “posti fissi e unici” ovvero quelle postazioni di vendita “storiche” assegnate dal Comune una settantina d’anni fa e che nel corso degli anni la famiglia Tredicine ha acquistato.
Un business milionario: una postazione per la frutta “vale” 20-30 mila euro al mese, un chiosco per gelati davanti al Colosseo può garantire un incasso fino a cinquemila euro al giorno.
Quello che conta è che i Tredicine (e i loro amici) detengono un vero e proprio monopolio della vendita in strada: oltre alle caldarroste e ai camion bar c’è anche il redditizio business delle bancarelle in Piazza Navona nel periodo della Befana. Scrivevano Federica Angeli e Fabio Tonacci su Repubblica:
Con la festa della Befana in piazza Navona un banco di articoli natalizi alza 50-60 mila euro di guadagno netto in due settimane.
Il centinaio di posti disponibili viene assegnato in base ad alcuni criteri, tra cui l’anzianità .
Puntualmente la maggior parte finisce ai quattro fratelli, grazie alla loro posizione dominante e al loro immenso parco licenze. Si possono permettere, ad esempio, di tenerne alcune in zone meno centrali solo per acquisire punti per entrare nella lista dei grandi eventi.
Possono spostare le licenze da una zona all’altra, da un familiare all’altro, a seconda della convenienza. Una ferita alla concorrenza di mercato in un comparto, quello degli ambulanti, già congestionato, con 7 mila venditori e 130 mercati rionali. Insieme coprono il 22 per cento dell’intera vendita al dettaglio della città .
Nel dicembre di due anni fa il potere esercitato dai Tredicine sulle associazioni di categoria (Alfiero Tredicine è presidente di Apre-Confesercenti, Mario è vicepresidente dell’Upvad-Confcommercio, mentre Dino è vicepresidente della Fivag-Cisl) ha condizionato non poco la trattativa tra l’Amministrazione e gli ambulanti per la riorganizzazione del tradizionale mercato natalizio di Piazza Navona.
(da “NextQuotidiano”)
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