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IL COMPLOTTO DELLE MATITE COPIATIVE: LA FABER CASTELL E’ TEDESCA, QUINDI E’ LA MERKEL A MANIPOLARE LE SCHEDE PER FAR VINCERE IL SI’

Dicembre 4th, 2016 Riccardo Fucile

AGLI PSICOTICI NOSTRANI CHE NON SANNO A COSA PENSARE, SUGGERIAMO LA PISTA DA SEGUIRE CON I CANI MOLECOLARI

Puntuale come ad ogni voto sentito torna il complotto della matita copiativa cancellabile, alias l’eterno ritorno della psicosi di massa.
L’emergenza democratica di oggi è il complotto delle matite copiative cancellabili. Nel pomeriggio ha cominciato a diffondersi, su Whatsapp e Facebook, un messaggio che “denunciava” la cancellabilità  delle matite copiative e invitava a portarsi una gomma e a provare a cancellare il voto sulla scheda elettorale per provare che le matite non erano indelebili, e così fare la segnalazione alle autorità  competenti. .
Il primo a parlare, come è normale visto che non ne sa nulla, è Matteo Salvini che su Facebook denuncia: “Pazzesco! Cominciano ad arrivare segnalazioni di matite elettorali che si possono cancellare con una semplice gomma”.
In realtà , come si spiega ormai ogni volta dal 2013, la differenza tra i due tipi di matite è questa: «la matita normale ha la mina di sola grafite, mentre quella copiativa contiene anche coloranti derivati dall’anilina e dei pigmenti, solubili in acqua. La matita copiativa può essere cancellata solo per abrasione. Diversamente dalle matite di sola grafite, il tratto di matita copiativa svela ogni tentativo di cancellazione tramite solvente, lasciando evidenti macchie sulla carta, essendo quindi immune da una manomissione altrimenti difficile da smascherare. Cancellando con una gomma per cancellare il tratto di una matita copiativa, viene rimossa solo la sua componente in grafite, lasciando visibili i pigmenti».
Perche’ ci sono state segnalazioni di matite cancellabili?
Perche’ la gente comune non sa come funziona una matita copiativa, che non e’ INDELEBILE, ma PARZIALMENTE CANCELLABILE, a differenza dell’inchiostro di china che puo’ essere cancellato con solventi.
E quindi qualcosa che si cancella al 90% fa scattare il panico, ignorando che quel 10% residuo e’ piu’ che sufficiente a impedire imbrogli.
Lo scopo della matita copiativa non e’ quello di lasciare una traccia che sia RESISTENTE A TUTTO, ma di lasciare una traccia che solo una gomma abrasiva possa cancellare TOTALMENTE, salvo poi lasciare una traccia di carta consumata che conferma la manomissione di quel tratto.
Purtroppo, però, questa storia delle matite copiative continua a ripresentarsi come una psicosi collettiva, soprattutto nei voti più sentiti come evidentemente è questo del referendum.
“Le matite cosiddette “copiative” sono indelebili cosi’ come, tra l’altro, aveva dichiarato il produttore, Faber-Castell, al Corriere della Sera, nel 2013 e sono destinate esclusivamente al voto sulla scheda elettorale”.
Lo ha precisato in una nota il Viminale, a seguito delle numerose denunce di elettori che hanno dichiarato essere riusciti a cancellare con la gomma segni fatti con matite in dotazione ai seggi elettorali.
“Il ministero dell’Interno, in media ogni anno, ne acquista un certo numero, basandosi sul fabbisogno storico, per rifornire i depositi ed essere in grado di rifornire le Prefetture man mano che manifestano il loro fabbisogno. Nello specifico, quest’anno, — ha reso noto il ministero dell’Interno- il Viminale ha acquistato 130 mila matite dalla ditta Luca srl — aggiudicataria del relativo appalto sul mercato elettronico che, a sua volta, si rifornisce dalla Faber-Castell, direttamente in Germania.
Di queste 130 mila, per esempio, quest’anno ne sono state distribuite circa 80 mila per il referendum costituzionale, mentre altre richieste, da parte delle Prefetture, sono state soddisfatte per il referendum sulle trivelle e in occasione delle elezioni amministrative. Le Prefetture, è bene precisare, possono utilizzare anche le matite che sono rimaste in deposito dagli anni precedenti. Si utilizzano matite prodotte dal Faber-Castell almeno da cinque anni”.

(da agenzie)

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REFERENDUM: PIU’ VOTANTI CHE ALLE EUROPEE, LA MAGGIORANZA SILENZIOSA SI E’ MESSA IN FILA, POTREBBE RAGGIUNGERE OLTRE IL 65%

Dicembre 4th, 2016 Riccardo Fucile

RENZI PARLERA’ DA PALAZZO CHIGI ALLE 24… ALMENO UN 10% IN PIU’ DEI VOTANTI PREVISTI

Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, parlerà  intorno a mezzanotte da Palazzo Chigi. Lo fanno sapere fonti vicine al governo.
Intanto si conferma il boom dell’affluenza alle urne per il referendum costituzionale. Alle 19, fa sapere il Viminale, è andato alle urne il 57,2 per cento degli elettori.
Una percentuale enorme se raffrontata al 43% alla stessa ora per Europee di due anni (che chiudero con un’affluenza del 57%), dato da che fa prevedere un risultato finale oltre il 65%.
Si è messa in fila la “maggioranza silenziosa” degli italiani, quela che probabilmente ha deciso negli ultimi giorni di andare a votare, sfuggendo a tutti i sondaggi.
È Vicenza il capoluogo dove è stata più alta la partecipazione: secondo dati del Viminale, nella città  veneta ha votato il 67,86% degli elettori. Crotone in Calabria l’ultima nella classifica della partecipazione, con il 39,25% dei votanti.
Tra le prime città  si segnala la Firenze del premier Matteo Renzi, con il 67,45%. A Roma la percentuale dei votanti è del 56,86%.
Tra le regioni la partecipazione più alta si è registrata in Emilia Romagna e in Veneto: in entrambi i casi il dato è stato pari al 65,91%. In Calabria la partecipazione più bassa, con il 44,34% di votanti alla stessa ora. Alle 12 di oggi si era recato alle urne il 20,14 per cento degli aventi diritto.
Trattandosi di una consultazione costituzionale non è necessario il quorum di affluenza minima previsto invece per i referendum abrogativi. Si può votare fino alle ore 23. Le operazioni di scrutinio avranno inizio subito dopo la chiusura della votazione e l’accertamento dei votanti.

(da agenzie)

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HOFER AMMETTE LA SCONFITTA, HA VINTO L’AUSTRIA CIVILE, VIENNA IN FESTA

Dicembre 4th, 2016 Riccardo Fucile

GLI ELETTORI DELLE CAMPAGNE GLI HANNO VOLTATO LE SPALLE, INIZIA LA FINE DEI POPULISTI D’ACCATTO, ORA TOCCA AGLI ALTRI

«Alexander Van der Bellen è il nuovo presidente dell’Austria».
Lo ha comunicato la tv pubblica Orf. Secondo le prime proiezioni, il Verde è al 53.6% e il suo rivale ultranazionalista Norbert Hofer al 46,4%. I seggi sono stati chiusi alle 17.
Il margine d’errore della proiezione è dell’1,2%, molto più basso del vantaggio calcolato di Van der Bellen su Hofer.
I sostenitori di Alexander Van der Bellen stanno già  festeggiando il successo del loro candidato.
Lothar Lockl, responsabile della campagna elettorale del Verde, intervistato dalla tv pubblica Orf, si è detto entusiasta.
“Congratulazioni ad Alexander Van der Bellen per il suo successo, chiedo a tutti gli austriaci di restare uniti e lavorare assieme. Siamo tutti austriaci, non importa che cosa abbiamo deciso alle urne”, ha scritto Hofer su Facebook.
Professore di Economia alle università  di Innsbruck e Vienna, Alexander Van der Bellen, 72 anni, appartiene ad un’antica famiglia aristocratica.
E’ nato a Vienna da padre russo di origine olandese e madre estone, entrambi profughi a seguito dell’invasione dell’Estonia da parte dell’Unione Sovietica avvenuta nel 1940. Politicamente in origine era vicino ai socialdemocratici ma fu successivamente attratto dal movimento ecologista durante le proteste del 1984 contro una centrale nucleare sul Danubio.
Nel 1992 è passato ai Verdi, diventando deputato del partito ecologista nel 1994. Leader dei Verdi nel 1999, si è dimesso dall’incarico dopo il cattivo risultato del partito alle elezioni del settembre 2008.
A queste elezioni si è presentato come candidato indipendente per ampliare le proprie possibilità , ma la sua campagna è finanziata e organizzata dai Verdi.
Fumatore accanito, è padre di due figli avuti da un primo matrimonio. Si è sposato in seconde nozze con la Verde Doris Schmidauer poco prima di annunciare la sua candidatura. Sostenitore di un’idea di Europa multiculturale e tollerante, crede che l’Ue debba rispondere con la solidarietà  alla crisi dei migranti.
Una curiosità : il nuovo presidente ha stravinto nel suo comune, Kaunertal, una piccola località  di montagna in Tirolo.
Il professore ha ricevuto 286 voti, ovvero l’86,4%. Hofer si è fermato invece a 45 voti (13,6%). Al ballottaggio del 22 maggio, poi annullato, il Verde aveva ottenuto l’85,14%.

(da agenzie)

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TV PUBBLICA AUSTRIA: HA VINTO VAN DER BELLEN 53,6% A 46,4%

Dicembre 4th, 2016 Riccardo Fucile

SCONFITTO LO XENOFOBO HOFER

“Alexander Van der Bellen è il nuovo presidente austriaco”. Lo ha comunicato la tv pubblica Orf.
Secondo le prime proiezioni, il Verde è al 53.6% e il suo rivale ultranazionalista Norbert Hofer al 46,4%.
Il ministero degli Interni ha detto che non ci sono state irregolarità .
Proprio la denuncia de partito Fpà¶ del candidato ultranazionalista Norbert Hofer aveva portato al ripetersi del ballottaggio che si era tenuto a maggio.
Per soli 31mila voti, l’ex presidente dei Verdi Alexander Van der Bellen era stato dichiarato vincitore.
Il conteggio del voto per posta e la diffusione di alcuni dati parziali erano stati alcune delle irregolarità  rilevate, sebbene secondo la Corte costituzionale non abbiano influito sul risultato.

(da agenzie)

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INTERVISTA A SERGIO ROMANO: “TRUMP, LE PEN, SALVINI: NEL NUOVO POPULISMO C’E’ SEMPRE UN POTENZIALE TIRANNO”

Dicembre 4th, 2016 Riccardo Fucile

TUTTI SEDOTTI (E USATI) DA PUTIN

Matteo Salvini, Marine Le Pen, Donald Trump e tutti gli occidentali affascinati da Vladimir Putin guardano il presidente russo e vedono riflesso in lui ciò che non possono confessare di essere: “Potenziali tiranni. In ogni leader del nuovo populismo ve n’è nascosto uno”.
Sergio Romano — ex ambasciatore alla Nato e in Unione Sovietica, professore ed editorialista del Corriere della Sera — ha appena pubblicato per Longanesi “Putin e la ricostruzione della grande Russia”, un libro che ritrae senza tifo nè pregiudizio un uomo e uno statista enigmatico e popolare (nel suo paese), capace nello stesso tempo di far suonare tutti gli allarmi della russofobia occidentale e di sedurre una parte della politica europea e statunitense, come non succedeva da tempo, riuscendo a costruire un nuovo protagonismo internazionale della Russia: “Putin non si è mai espresso sul referendum italiano, e capisco perfettamente perchè — spiega all’Huffington Post Romano —: un suo intervento sulle riforme sarebbe stato mal compreso e giudicato come un’ingerenza. Probabilmente, Putin preferisce Renzi a un suo eventuale e incerto successore, ma non lo direbbe mai: per non nuocere nè alla Russia nè al presidente del consiglio italiano”.
Scrive: “Per governare l’immenso spazio di cui si è impadronita, la Russia ha bisogno di una ideologia e di una missione”. Qual è quella di Putin?
«Putin ha elaborato un’ideologia che si fonda sulla grandiosità  della storia russa e che consente a tutti i popoli che compongono il Paese di identificarsi con essa. Nella sua visione, non c’è più una prima e un dopo l’Unione Sovietica: c’è una linea di continuità  che va dall’insurrezione contro gli invasori polacchi del Seicento sino a alla guerra vinta da Stalin contro il nazismo”.
Non c’è Lenin, però.
Per la sua narrazione di grandezza, Putin non poteva fare a meno di raccontare quel glorioso avvenimento patriottico che è stata la vittoria nella seconda guerra mondiale contro Hitler, di cui Stalin fu protagonista. Certo, Putin ha rimosso la parte più conflittuale della storia di Stalin: le purghe, la brutalità , i gulag. Così come ha accantonato la rivoluzione bolscevica. Entrambe le vicende avrebbero esacerbato le differenze che ci sono nel paese, anzichè contribuire a forgiare l’unità  del popolo russo.
È una memoria selettiva
Sì, ma Putin non ha nemmeno ripudiato la memoria di Lenin: la sua salma è ancora custodita nel mausoleo della Piazza Rossa e il presidente russo sa che in essa si riconosce una parte della società  russa post sovietica. Putin ha preferito lasciare le cose come sono, per non creare conflitti.
È un problema questo rifiuto di elaborare la storia?
A differenza di quanto accaduto in tutte le democrazie occidentali, in Russia il passato non è stato mai messo sul banco degli imputati. Con il sessantotto, in Europa comincia un processo con il quale i figli mettono in discussione i padri, giudicando le scelte che hanno compiuto. Il fascismo, il nazismo, il colonialismo diventano colpe collettive da espiare. In Russia non è accaduto nulla di simile. E quando durante un convegno — provocatoriamente — domandai perchè, mi risposero che i russi si erano scusati con i popoli baltici e che non avevano altri mea culpa da fare. “Abbiamo vinto la guerra contro i nazisti — è il loro ragionamento —: di cosa dovremmo vergognarci?”
Il sessantotto ha contestato i padri. Putin, invece, li recupera.
Che a Putin non piaccia il sessantotto, non è sorprendente. Pensi all’episodio delle Pussy Riot. In occidente, ci saremmo scandalizzati, certo, ma avremmo liquidato l’episodio come una trovata goliardica. Per lui, è inconcepibile. È così preoccupato che la società  gli sfugga di mano che non può consentire nemmeno un atto del genere.
C’era anche un attacco alla Chiesa Ortodossa in quel gesto.
Putin — che sia o meno un sincero devoto — fa un uso politico della religione ortodossa, con la finalità  di unificare il paese all’insegna di una fede identitaria che da sempre è un collante della storia russa. E quando tu decidi che l’ortodossia è un elemento d’identità  nazionale, un attacco alla Chiesa Ortodossa diventa una sfida all’intera nazione russa.
Per essere governata, la Russia ha bisogno necessariamente di un sistema autoritario?
Avrei tendenza a crederlo, anche se in ogni paese possono sempre accadere grandi rinnovamenti. L’esperienza dice a Putin che non avere il controllo del paese è molto pericoloso. Pensi a cosa è successo con Boris Eltsin, che pure aveva dei tratti di genialità  politica e coraggio civile. Gli oligarchi si erano impadroniti del paese, vendendo sul mercato internazionale le risorse naturali: il gas, il petrolio, i minerali. Si sono arricchiti senza mai pagare tasse. Hanno comprato televisioni e giornali per manipolare l’opinione pubblica e orientare il consenso. Erano uno stato nello stato. Putin li ha fermati, perchè erano diventati un elemento di disgregazione del paese.
Perchè spesso — da noi — questo merito non gli è riconosciuto?
Nel sangue delle democrazie occidentali circola una diffidenza nei confronti della Russia, un vecchio sentimento russofobo, non del tutto infondato, ma con dei tratti pregiudiziali.
Eppure, in questi anni, in Europa e negli Stati Uniti ci sono leader che sono stati sedotti da Putin: Matteo Salvini in Italia, Marine Le Pen in Francia e il nuovo presidente americano, Donald Trump.
Nei personaggi del nuovo populismo, sotto sotto, c’è sempre un potenziale tiranno. Percepiscono Putin come un alleato e un compagno di strada. Credono che possa contribuire con i suoi metodi e con le sue strategie allo smantellamento dell’ordine democratico. Viceversa, quando Putin si sente incalzato dall’occidente, è pronto a usare e agitare tutti i fermenti anti sistema che trova nelle democrazie. Più che un rapporto di cuginanza, è un rapporto strumentale.
L’autoritarismo di Putin è una risposta all’attuale fragilità  del modello democratico?
Se le democrazie occidentali potessero rappresentare agli occhi del russo medio un modello da imitare — come è stato molte altre volte nella storia — sarebbe molto più facile dire ai russi che si può percorrere un’altra strada. Le democrazie sono malate. Non riescono più a funzionare secondo quel modello di alternanza con il quale lo sconfitto riconosceva pienamente il vincitore, confermando ogni volta le virtù della democrazia.
Con Trump presidente degli Stati Uniti, crescerà  il ruolo di Putin nel mondo?
Se Donald Trump sarà  un isolazionista, come promette di essere, per Putin sarà  un bene. La politica portata avanti dalla Nato — con l’allargamento della sua influenza a sempre più paesi dell’Europa orientale — viene percepita dalla Russia come una minaccia diretta. D’altronde, quando Putin denuncia il principio dell’extra-territorialità  americana, temo abbia ragione: dire che le leggi di uno stato possono valere contro tutti, è la più smaccata manifestazione di una politica egemonica. E saremmo dovuti essere noi i primi a contestarlo e indignarci.

(da “Huffingtonpost”)

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I DANNI PER MILIONI ALLA BANCA POPOLARE DI VICENZA

Dicembre 4th, 2016 Riccardo Fucile

POLVERIZZATO IL VALORE DELLA BANCA, BRUCIATI DIVERSI MILIARDI DI EURO DI CAPITALIZZAZIONE E I RISPARMI DI 119.000 SOCI

Il danno che gli ex vertici della banca hanno fatto alla Banca Popolare di Vicenza “si può ragionevolmente stimare nell’ordine di diverse centinaia di milioni di euro”.
Il calcolo è per difetto ed è stato fatto dall’attuale cda che, per il 13 dicembre, ha convocato l’assemblea sull’azione di responsabilità  contro chi ha amministrato la banca da gennaio 2013 a maggio 2015.
Nella relazione inviata ai soci, il presidente della Bpvi, Gianni Mion, scrive che “verosimilmente” l’ammontare crescerà , visti anche l’”ingente danno” di reputazione subito dalla Banca e la possibilità  che emergano “ulteriori profili di criticità ”. L’assemblea, quindi, dovrà  decidere se dare il via libera alla richiesta di risarcimento nei confronti di chi, secondo l’attuale cda, ha contribuito a polverizzare il valore della banca, bruciando alcuni miliardi di euro di capitalizzazione e i risparmi di quasi 119 mila soci, costringendo il fondo Atlante a salvare l’istituto con l’iniezione di 1,5 miliardi di euro.
Nel mirino ci sono l’ex presidente Gianni Zonin, gli ex direttori e vicedirettori generali, gli ex amministratori esecutivi e non, nonchè gli ex sindaci.
Ma si intravedono “possibili profili di responsabilità ” pure per la società  di revisione KPMG.
L’azione contro Zonin, coinvolto in un’inchiesta per aggiotaggio e ostacolo all’attività  di vigilanza, farebbe il paio con quella verso gli ex vertici di Veneto Banca, istituto che ha avuto sorte analoga a quella della Popolare di Vicenza.
Le analisi dell’attuale cda della Bpvi confermano comunque uno scenario sovrapponibile a quello dipinto dalla magistratura e da Bankitalia, con l’individuazione di “gravi e reiterate irregolarità  nella gestione dei rischi connessi all’erogazione del credito, riconducibili a una valutazione spesso incompleta, superficiale o erronea del merito creditizio”.
L’esame del cda ha riguardato finanziamenti superiori ai cinque milioni di euro e a un milione nel caso siano stati concessi a esponenti della banca: dal campione risultano “crediti deteriorati (tra incagli e sofferenze) per circa 3,4 miliardi”.
Proprio quanto ipotizzano le indagini: che il ‘credito facile’ degli anni di Zonin sia costato miliardi di euro in accantonamenti, determinando il dissesto della Banca.
Fra i casi emblematici, il cda cita l’operazione San Marco, per aprire una filiale a Cortina d’Ampezzo, che ha portato la Banca a finanziare con 20 milioni di euro una società  “priva di capacità  reddituale”.
Nel mirino del cda sono finiti anche i 350 milioni versati dalla Bpvi nei fondi Athena e Optimun. Gli investimenti, scrivono gli amministratori, erano caratterizzati da un “elevato grado di imprudenza e opacità ” e servivano a schermare le operazioni di riacquisto delle azioni della banca.
La perdita sul solo fondo Athena è stata di 33 milioni. Azioni risarcitorie potranno essere avviate anche in relazione al fenomeno del ‘capitale finanziato’: oltre un miliardo di euro di azioni acquistate dai soci con i denari prestati dalla banca.
Spiega oggi Il Sole 24 ore che nell’operatività  dei fondi esteri Vicenza aveva investito 350 milioni tra 2012 e 2013.
I fondi su cui si sono prodotte perdite sono in realtà  tre: i due della scuderia Optimum e l’Athena balance fund e avevano profili di rischio non consoni alla banca:
Ma come appurato avevano la funzione di sottoscrivere bond a basso merito creditizio di gruppi già  pesantemente esposti con la banca.
Non solo, i tre fondi con i capitali della Vicenza che li aveva sottoscritti, hanno acquistato ingenti partecipazioni in società  appartenenti agli stessi gruppi già  indebitati con la banca. Infine parte dell’investimento è finito per acquistare azioni della stessa Banca.
Una sorta di riserva estera della Vicenza che con i propri denari effettuava operazioni su clienti indebitati del gruppo bancario.
Il danno per la Vicenza è stato importante: già  a giugno del 2015 la banca ha subito una perdita di 103 milioni sul capitale investito. Con Athena la Vicenza ha trattato per la restituzione di parte dell’investimento rientrando in possesso di 64 milioni, con una perdita finale di 33 milioni sui 100 milioni investiti in Athena.
I due fondi Optimum hanno arrecato invece perdite per la banca di 138 milioni sui 250 milioni investiti.
Sotto il tiro del nuovo Cda sono finite anche le pesanti responsabilità  nelle gestione del credito. L’analisi a campione su prestiti superiori a 5 milioni ha rilevato una serie di anomalie.
La banca ad esempio ha fornito prestiti soprattutto immobiliari a società  con apporti di capitale nulli o marginali con la conseguenza che era la Vicenza a sopportare l’intero rischio di credito.
Poi ecco finanziamenti a società  con rating negativi e senza chiedere idonee garanzie ai beneficiari. Tra i finanziamenti che hanno arrecato pregiudizi patrimoniali alla banca il documento cita in particolare il finanziamento accordato ai tempi alla Lujan di Alfio Marchini. Dall’analisi che è tuttora in corso e che vedrà  l’entità  del danno probabilmente salirenel tempo emerge una pratica di concessione del credito che poco aveva a che fare con la bontà  di merito dell’assegnatario del finanziamento.
Una pratica che ha visto i volumi di impieghi salire in controtendenza con il mercato e che ha poi visto crescere esponenzialmente i volumi delle sofferenze e degli incagli.
Il campione esaminato di prestiti sopra i 5 milioni ha finito per produrre posizioni di incaglio e sofferenze per 3,4 miliardi. Così sono nati i finanziamenti baciati, ovvero quelli che prevedevano una contestuale sottoscrizione di azioni della banca.

(da “NextQuotidiano”)

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AFFLUENZA BOOM: ALLE 12 HA VOTATO IL 20,1% CONTRO IL 16% DELLE SCORSE EUROPEE (FINI’ CON IL 57% DEI VOTANTI)

Dicembre 4th, 2016 Riccardo Fucile

IL NORD TRAINA IL SUD: BOLOGNA 26,7%, MILANO 22,8%, ROMA 18,9%, NAPOLI 14,9%

Alle 12 di oggi si è recato alle urne per il referendum costituzionale il 20,14% degli aventi diritto. Il dato è definitivo.
Lo si legge sul sito del ministero dell’Interno. Trattandosi di una consultazione costituzionale non è necessario il quorum di affluenza minima previsto invece per i referendum abrogativi.
Come capire se il dato dell’affluenza è alto, basso, in linea con le precedenti consultazioni elettorali? E se favorisce uno schieramento o l’altro?
Secondo diversi osservatori a determinare il successo di uno dei due fronti contrapposti sarà  il grado di affluenza al voto: alcuni analisti hanno sottolineato come una maggiore partecipazione (indicata come il 60%, dato mai raggiunto prima nei due più recenti referendum costituzionali) potrebbe favorire il successo del Sì.
Il paragone valido che si può fare, tra quelli più vicini in ordine temporale, è la votazione per le elezioni europee.
In quel caso andò alle urne il 57% degli aventi diritto. Si votò ad aprile del 2014 in un solo giorno, la domenica.
Alla prima rilevazione sulla partecipazione, l’affluenza è stata del 16% alle 12, mentre alla seconda si attestò al 43% alle 19.
L’unica differenza che si può sottolineare tra le elezioni europee e il voto di oggi è la stagione: in questo caso, con le temperature quasi invernali, è lecito ipotizzare che dopo le 19 ci sarà  una minore propensione a recarsi alle urne, con una flessione nell’affluenza.

(da agenzie)

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